Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894/Parte I/Capitolo XVI

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Capitolo XVI

Delle primarie dignità della Repubblica Beneventana
Del primo tremuoto accaduto in Benevento

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Capitolo XVI

Delle primarie dignità della Repubblica Beneventana
Del primo tremuoto accaduto in Benevento
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CAPITOLO XVI.


Gran parte dei moderni scrittori, che presero a indagare le antichità di Benevento, sostengono che la repubblica beneventana fosse stata adorna di tutti gli ufficii civili istituiti in diversi tempi in Roma; e a me pare che in ciò essi diano nel segno, come risulta da molte iscrizioni.

Infatti in una colonna, rinvenuta nella fabbrica che si giudica appartenere alla chiesa di S. Maria a Voto (Scheda Colle de Vita), si leggono le parole:

V. CERVIO. A. F. COSUL.

DEDICAVIT.


Una tale iscrizione rende certa l’opinione del Garrucci, a cui annuì Henzen istesso, il quale negli Scavi nel bosco sacro afferma che «le recenti scoperte del P. Garrucci non consentono più di dubitare della esistenza dei consoli [p. 138 modifica]municipali in Benevento.» E se si considera che una tale opinione, benchè divisa da Plinio nel Tuscolo, fu sempre combattuta dalla maggior parte degli storici bisogna convenire che la riferita lapide assume un’alta importanza nell’istoria romana.

Da diverse altre iscrizioni si rileva che furono in Benevento i magistrati quinquennali, i tribuni della plebe, i questori, gli edili, i decurioni, i centurioni, e gli augustali, — i quali si distinsero in augustali claudiali, e claudiali augustali quando aggiunsero il culto di Claudio a quello di Augusto — i Pretori, i proconsoli, e finanche i Seviri, che sebbene si fossero spesso confusi con gli Augustali, il cui sodalizio era addetto al culto di Augusto, pur tuttavia costituivano un ordine distinto.

E, a passarmi delle minori, a queste si riducono, per quanto è dato desumere dalle antiche iscrizioni che ci avanzano, le primarie dignità che ebbe in diversi tempi la repubblica beneventana.

La colonia adunque di Benevento può dirsi in certo modo illustrata dalle epigrafi, da cui si possono anche desumere tutte le forme di governo alle quali soggiacque da che fu dichiarata colonia latina (Garrucci). L’opportunità del sito pel commercio con la Puglia, e il bisogno di separare i Caudini dal resto della regione Sannitica, indusse i Romani a collocare nel 486 una colonia latina in Malventum, colla quale mutossi forma di governo e lingua, sostituendosi all’idioma nativo la latina favella. Questa colonia latina battè sin dal principio la sua moneta coi tipi campani. Il nome Maleventum, o, secondo altri, Malventum all’orecchio latino rendeva un suono infausto, e fu perciò preso partito di mutarlo e, melioris ominis causa, l’appellarono Beneventum. La nuova moneta stampò la testa di Apollo cinta di lauro, e intorno l’epigrafe di Benevento.

Dopo il 545, di Benevento non più si fa parola nell’istoria Romana, nè ci avanza memoria di essa sino ai tempi di Silla. Egli è a credere perciò che, durante la guerra sociale? cadde Benevento in potere degli italici: ma che dopo [p. 139 modifica]questa epoca, ottenuta la cittadinanza, fu municipio, di che sono testimoni i monumenti che la dimostrano retta da quattro viri.

Seguì la terza forma di governo introdotta con la colonia designata da Giulio, nel qual tempo Murazio Planco divise le terre, e per l’accordo succeduto fra i triumviri, questa colonia tolse il nome di Concordia. Essa fu poi rinnovata da Augusto, il quale ne trasse i veterani per vendicare la morte di Giulio Cesare, e si attribuisce a tale colonia la nuova forma di governo, cioè il reggimento dei Pretori.

La quarta forma di governo prende cominciamento colla nuova colonia Augustea. E di questa non mancano monumenti, che per la loro paleografia e per altre ragioni si debbono assegnare ai tempi augustei, nei quali sono ricordati i duumviri giudicenti e gli edili; e dagli stessi avanzi di antichi monumenti si attinge la certezza che sino all’impero di Commodo perdurò in Benevento la forma di governo della colonia rinnovellata da Augusto.

Infine la quinta forma di governo, della quale ci fanno testimonianza le lapidi, non s’introdusse che tardi, e quasi sul declinare dell’impero. Questa si distinse per una novità senza esempio, voglio dire pei pretori giudicanti, i quali decidevano le cause maggiori, e segnatamente quelle riguardanti le mercature di grano; le questioni poi che cadevano sugli edificii, sui pesi, e sulle vie e le acque si decidevano dagli edili. Questa forma di governo si protrasse sino ai successori di Caracalla.

Una questione di non lieve importanza nella istoria di Benevento, e che fu trattata con assai spirito di parte dai nostri scrittori, consiste nel determinare se Benevento ai tempi dell’impero avesse fatto mai parte della Puglia, o se fosse stata sempre la metropoli d’una colonia distinta. Egli è certo che dopo la guerra sociale, essendosi mutata la condizione politica di Roma, il Sannio intero, sotto la giurisdizione di un preside, fu noverato tra le diciasette province in che venne divisa l’Italia. E sebbene non si possa negare che la colonia beneventana fosse stata d’ordine di Augusto compresa nella provincia di Puglia, e che non [p. 140 modifica]si facesse luogo ad altro mutamento allorquando l’imperatore Adriano destinò il Sannio a comporre una delle quattro divisioni del regno, è un errore però il ritenere che Benevento in quei tempi fosse stata inferiore a qualche altra città della Puglia, poiché si ha dall’istoria che dopo la guerra sociale, essendo state pressoché distrutte le migliori città campane e Sannite, Benevento addivenne la città più notevole e fiorente di commercio dell’ampissima provincia di Puglia, e di tutto il Sannio, e anzi la metropoli di questa regione. (De Vita, Sarnelli). E si è accertato dagli eruditi e dagli scrittori delle patrie cose che eransi istituiti a quei tempi in Benevento i collegi degli esercenti le singole arti o scienze, locchè costituiva un privilegio delle più cospicue e popolose città; e che i medici di Benevento aveano, come ora si direbbe, legalmente composto un collegio col dritto di ricevere legati ed inviti ai desinari.

Si deduce pure da varie iscrizioni che Benevento fu deputata alla fabbrica delle armi. E qui è a sapere che, secondo la più comune opinione, sei erano in Italia le città che fruivano di un tal privilegio, poiché vietavasi ai privati di esercitare quell’arte. È queste appartenevano all’Italia Superiore, e s’indicava persino in quale specie d’armi soleano eccellere le fabbriche in ciascuna di esse città. E perciò acquistarono celebrità gli scudi e le armature di Verona, le frecce lavorate in Concordia, le spade di Lucera e via dicendo. Ma che in Benevento si fossero istituite officine di tal genere, (alle quali chi era preposto prendeva il nome di Comes fabricarum) è una rivelazione che dobbiamo a un’iscrizione sculta in un marmo che fu riportata dal Verusio, dal Nicastro e dal De Vita. Laonde da questi cenni si può argomentare quale fosse stato il fasto e l’opulenza di Benevento all’epoca della colonia Romana.

Sullo scorcio di questo secolo, e propriamente nell’anno 370, accadde in Benevento il primo grandissimo tremuoto che apportò indicibili danni alla nostra città. E fu in quell’occasione che rifulse in mirabile guisa l’amor patrio dei cittadini, poiché essendo in quell’epoca assai popolosa [p. 141 modifica]Benevento, e ricca d’uomini preclari e di alto lignaggio, fu veduta in poco volgere di tempo risorger quasi dalle sue rovine, mercè la magnanima gara dei cittadini di profondere tutto il lor denaro per ridarle la primiera magnificenza. Un tal fatto ci è attestato da quel Simmaco Seniore che fu Prefetto di Roma, uomo assai chiaro per nascita, eloquenza e probità di vita. Costui essendosi recato in Benevento, poco dopo l’indicato tremuoto, fu tocco da sì rara grandezza di animo, e da tanta carità cittadina, e, scrivendo di ciò a un suo amico, tramandò ai posteri con una commovente epistola la ricordanza del fatto. E a diffondere tanta squisita coltura nei cittadini contribuirono, più di ogni altra cosa, le pubbliche e private scuole che fiorirono in questa città ai tempi della colonia Romana.

Fra i cittadini di Benevento che più segnalaronsi nelle lettere e nelle scienze dopo l’epoca di Augusto furono M. Cecilio Novatilliano, egregio poeta ed oratore, che visse probabilmente sotto Gordiano, ed altri di minor fama; ma certamente a tutti gli altri dovrebbe anteporsi il sommo Papiniano, principe dei giureconsulti Romani, se si fosse potuto accertare con argomenti irrefragrabili l’opinione dei tanti che lo dissero nativo di Benevento.

Della patria di questo divino ingegno che, specialmente dopo la sua tragica fine, toccò il colmo della gloria umana, si è variamente disputato sino ai nostri giorni senza che si fosse mai potuto indicare, da Benevento in fuora, altro luogo natale. Il Camerario, il Borzella, il Rasulli, il Ciarlante, il Nicastro, il Cocchiarelli, Angelo Catone, Giov. Antonio Rutio in un suo famoso epigramma, e ultimamente il Brayda, Consigliere della Corte di Appello di Napoli, fondano la loro opinione in una pretesa indiretta confessione del medesimo Papiniano, che sino a pochi anni or sono non fu revocata in dubbio dai commentatori del dritto Romano. Le parole che si leggono nella legge sono le seguenti: «Heredes mei ff. ad S. C. Trebellianum. Heredes mei quidquid ad eos ex hereditate, bonisve meis pervenerit, id omne post mortem suam restituant patriae meae Coloniae Beneveutauorum[p. 142 modifica] E aggiungono i detti autori che, affermando Papiniano di essere beneventano con la stessa ingenuità con cui Ulisse chiama Itaca sua patria diletta, Dionigi Siracusa, Scipione Roma, e Cicerone Arpino, riuscirebbe cosa inesplicabile per un sapiente il rinnegare la terra natia, o farsi vanto d’una patria non sua. Ma, per adempiere al dovere di storico imparziale, non debbo tacere che il chiarissimo Giuseppe Mantellini, avvocato generale Erariale, pubblicò nel 1885 un discorso storico-giuridico su Papiniano, ove, accennando alla sua patria, scrisse: «chi lo dà di Benevento, perchè nella legge 57 ff. ad senatus consultum Trebellianum Papiniano pone il quesito dei beni da restituirsi Patriae meae coloniae Beneventanorum, non si accorge, o lo finge, che la legge 57 è presa dal libro 8 dei Responsi, e che quelle parole sono del cliente che poneva il quesito su cui dal giureconsulto si rispondeva. E non si attribuì a Papiniano la nepote Claudia, sol perchè nel quesito è posto ad neptem meam Claudiam pervenire volo

È innegabile che, accettando l’interpretazione delle trascritte parole, cade di colpo l’unico argomento sul quale gli allegati scrittori fondano la loro opinione, e, in tale ipotesi, dovrebbe accogliersi, rispetto alla patria di Papiniano, l’altra congettura, messa su da alcuni autori, che egli traesse a Roma da Siria, per essere stato condiscepolo di Settimio Severo.

Se vuolsi ritenere, malgrado di ciò, che Papiniano sia di Benevento, egli è innegabile che ne costituirebbe la prima gloria, giacché, per unanime consentimento dei giuristi di tutte le nazioni, niuno altro scrittore de’ secoli seguenti ne potè adeguare il merito nell’ardua scienza del dritto, considerando il tempo in che scrisse, e la prematura sua fine. Il sommo Cuiacio afferma doversi ritenere Papiniano per il più àbile giureconsulto, che sia stato e che sarà giammai; e San Girolamo pareggiando a quelli di S. Paolo i precetti di Papiniano, e i suoi inimitabili responsi, attesta aver egli la medesima autorità nel dritto civile che questi nel sacro. A Papiniano sopravvissero gli inconsolabili genitori, [p. 143 modifica]e gli eressero per memoria sepolcrale un’urna con la seguente iscrizione; riportata da Aldo Manuzio nell’Ortografia:

d. m.
aemilio paulo papiniano
præfecto praetorio
iurisconsulto
qui vixit annos xxxvi
dies xi et menses iii papini
anus hostilius euge
nia gracilis turba
to ordine in senio
heu parentes infe
licissimi silio optimo
benemerito fece
runt.


E non debbo infine omettere che delle nostre antiche iscrizioni non vi ha per avventura alcuna che faccia chiaramente menzione di Papiniano, e solo allorché pel tremuoto dell’anno 1688 diroccò il campanile della chiesa della Nunziata si rinvenne in un quadro di pietra una statua a mezzo busto di basso rilievo che ritraeva una madre atteggiata a mestizia con la seguente iscrizione:

infelix fato prior debui

mori mater


E allora alcuni antiquarii di Benevento opinarono che la detta statua facesse ricordo di Eugenia Gracile, madre di Papiniano. Ma siffatta opinione non ha altro fondamento che una lievissima congettura, avvegnacchè sebbene, seguendo il naturale ordine delle cose, dovrebbero ai figli premorire i genitori, pur tuttavia avverasi non di rado il contrario, e però una tale epigrafe può attribuirsi non meno alla madre di Papiniano, che a qualsiasi altra madre di non ignobile lignaggio, priva innanzi tempo dei suoi figli.