Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XI
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XI.
Belisario in Ravenna parlamenta i Gotti ed i soldati romani. Vitalio nell’Emilia alla testa de’ pubblici affari è abbandonato dagli Illirj. Aussimo stretta da Totila riceve aiuti. — Ricila stoltamente ardito incontra morte. Le truppe di Belisario uscite da Aussimo incappano negli agguati de’ Gotti. — Totila indarno tenta Pesaro fortificato dagli imperiali; Fermo ed Ascoli assediate dalle sue truppe.
I. Le cose di Tivoli non passarono altrimenti. Belisario, per tornare a lui, condottosi con tutto il navilio a Ravenna, chiamò i Gotti ivi a stanza ed i soldati romani a parlamento arringandoli pressochè di questa conformità. «Non è oggi la prima volta, o miei uditori, che le opere egregie di virtù siensi guaste dal vizio, avendo già da lungo tempo di tale sciagura messo profonde radici nelle umane cose, e molte illustri imprese di personaggi probi dalla malvagità di altri scelleratissimi furono rovesciate e distrutte. Nè per altra cagione vediamo ora fallite le bisogne dell’imperatore, il quale pertanto sì forte brama correggere il male sin qui operato, che posto da banda il suo intendimento di portare la guerra ai Persiani, ordinommi passare tra voi all’uopo di riparare e risarcire alle ingiustizie dei prefetti contro le sue truppe e le gottiche genti. Il non commettere fallo di sorta è al tutto di là dalle umane forze, e fuori della natura delle cose; il correggere poi gli errori commessi è dovere principalissimo dell’imperatore, ed assai utile a coloro ch’egli ama con tutto l’animo suo. Nè avrete solo compensagione de’ molti disagi, ma, ch’è più, susseguirannovi di botto le testimonianze ed i frutti della imperiale benevolenza; felicità di cui non havvene altra che regga al paragone, dovendo a lei cedere le stesse ricchezze quantunque a mano larghissima prodigate. Essendo io adunque pronto a rendervi tali servigi, fa mestieri altresì che ognuno di voi coraggiosamente adoperi per ritrarne profitto. Laonde chi ha parenti ed amici presso il tiranno Totila manifestando loro il buon volere di Augusto in fretta li richiami. Imperciocchè il bene della pace e la molta bontà del grande Giustiniano vi si offrono tali che rendesi la mia venuta in questi luoghi affatto estranea dalla guerra, e mi guarderò affè mia ognora dal ricettare di moto proprio nell’animo sentimenti ostili verso i soggetti al suo trono. Se poi hannovi tra voi chi rifiutinsi di parteggiare pel migliore loro e si dichiarino a noi contrarj, saremo avvegnachè a malincorpo eccitati di trattarli siccome nostri avversarj.» Di simigliante guisa favellò Belisario, nè ebbevi uom de’ nemici, non Gotto non Romano, che si dipartisse da lui. Mandò in appresso il pretoriano Torimunto ed altri della sua guardia con Vitalio e le truppe illiriche nell’Emilia, coll’incarico di tentarne i luoghi forti. Vitalio accompagnato da quelle truppe si avvicinò a Bologna, ed impossessatosi per composizione d’un adiacente castello vi fermò sua dimora. Non guari dopo tutti gli Illirj a suoi stipendj improvvisamente e senza aver ricevuto offesa di fatto o di parola camparono cheti di là, e tornati alle proprie case inviavano legati all’imperatore chiedendogli mercè, e adducendo a comune discolpa che l’andar creditori dell’erario di molta pecunia in causa degli stipendj trattenuti loro durante la ben lunga guerra in Italia era stato il solo motivo di quel repentino disertamento. Aggiugnevano di sopra più che l’esercito degli Unni fattosi violentemente sulle terre loro aveali privati della prole e delle donne menandole seco prigioni; così la nuova di tanta sciagura in un colla mancanza di vittuaglia, cui duravano in Italia, aveali costretti a ripatriare: Giustiniano, uditone, da prima levossi ad ira, ma quindi graziolli. Totila saputa la partenza degli Illirj spedì truppe a Bologna colla vista di sorprendere Vitalio e gli altri tutti seco lui. Ma questi e Torimunto avutone sentore tesero loro agguati, e fattone gran macello costrinsero i superstiti alla fuga. In tale conflitto Nazare originario e conte dell’Illirio diede più che tutti luminosissima pruova del suo valore; Torimunto di poi si restituì presso Belisario in Ravenna.
II. Allora il supremo duce imperiale indirizzò alla volta d’Aussimo, città, ed in soccorso dei Romani ivi assediati, tre delle sue lance, Torimunto, Ricila e Sabiniano con mille guerrieri, i quali, senza dare il menomo segno di lor venuta a Totila ed all’esercito di lui, entrativi colle tenebre divisarono stancare il nemico co’ frequenti loro schermugi. Laonde in sul meriggio del vegnente giorno al grido che i barbari eransi approssimati vie più alle mura uscironne a furia per iscontrarli, spediti dapprima esploratori per averne il numero e per essere opportunamente cauti in questa fazione. Ricila, lancia di Belisario ed in quel tanto disgraziatamente briaco, disdegnando che altri spiasse, dato degli sproni al cavallo da solo va oltre; se non che in periglioso luogo avvenutosi a tre Gotti si tenne per acconciarsi innanzi tutto da prode armigero, e da senno lo era, alla difesa: ma poscia mirandosi avviluppato da ogni parte diede il tergo, e nel fuggire tra’ que’ precipizj cadutogli il cavallo, venne da tutti i nemici, tramandate altissime grida, fatto bersaglio del generale saettamento. I Romani spettatori di quel sinistro corsero ad aiutarlo; ma egli nondimeno rimase coperto e spento da un nembo di frecce; i militi di Torimunto riusciti quindi a fugare i barbari pigliansi il morto, al cui valore pur troppo conveniva più nobile fine, e si ritraggono con esso in Aussimo. Sabiniano poscia e Torimunto consigliatisi con Magno giudicarono fuor di proposito una più lunga dimora entro le mura, non potendo eglino mai affrontare con pari forze i nemici, e certi che consumando pur essi l’annona degli assediati avrebbero accelerato la resa della città. Convenuti adunque d’un animo nella determinazione, i duci con mille ausiliarj nella prossima notte si apprestarono alla partenza. Se non che tal della truppa incontanente ripara con occulta fuga nel campo nemico, e vi appalesa il tutto. Re Totila, uditone, senza manifestarsi a chicchessia, appostossi tra quelle tenebre e con due mila prodissimi eletti guerrieri a trenta stadj lunge dalle mura, e non appena ebberli veduti sulla mezza notte a passare di là che tratte fuori le spade e venuti loro addosso ucciserne dugento; Sabiniano, Torimundo e gli altri tutti ebbero la propria salvezza dall’oscuritade, la cui mercè poterono campare entro Rimini, abbandonando ai Gotti l’intiero novero dei giumenti destinati al trasporto dei bagaglioni, delle armi e delle vesti.
III. Aussimo e Rimini hanno tra loro sopra la marina del seno Ionico due altre città, Pesaro e Fano, i cui edifizj nel principio di questa guerra Vitige avea messo in fiamme, e diroccato forse una metà delle mura, per tema non i Romani addivenutine possessori recassero da quivi travaglio a’ suoi. Belisario non di meno volle occupare l’una di esse, ciò è Pesaro, sembrandogliene la posizione idonea al foraggiare. Il perchè nel cupo della notte mandò persone legate in istretta amicizia seco a prendere le misure per lo largo e lungo di ciascheduna porta, ed avutele commise che se ne costruissero colla maggior segretezza di nuove, ben fortificandole di ferro, e terminate posele sopra barche ordinando a Sabiniano e Torimunto di accompagnare il convoglio colà, ove giunti metterebbonle prestamente in opera così pure, tenendosi bene in guardia, darebbon opera a racconciare del meglio loro con sassi, terra od altro materiale comunque i luoghi rovinati; ed il voler di lui fu in ogni sua parte diligentemente compito. Il re de’ Gotti, informatone, pronto v’accorra con molte truppe, cerca d’impossessarsene, e consumatovi assai tempo intorno, vedendola impossibilità di espugnarla retrocede privo affatto di riuscita al campo innanzi ad Aussimo, dove nessun de’ Romani più non osava cimentarsi co’ nemici, ma tutti sbigottivano rinchiusi entro le mura. Belisario spedì similmente a Roma due sue lance, Artasire, di schiatta persiana, e Barbacione trace, i quali unitamente a Bessa doveano attendere alla difesa della città, e guardarsi bene dal fare sortite contro il nemico. Totila poi ed il suo esercito sapevoli che Belisario era loro molto inferiore di forze statuirono di tentare anche i più muniti luoghi, e traportato con questo intendimento il campo nell’Agro Piceno tra Fermo ed Ascoli, vi cinsero d’assedio l’uno e l’altro luogo. Col verno terminò l’anno decimo di questa guerra da Procopio scritta.