L'Economico/Capitolo I

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Senofonte - L'Economico (IV secolo a.C.)
Traduzione di Girolamo Fiorenzi (1825)
Capitolo I
Emendazioni Capitolo II

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I

VOLGARIZZAMENTO

DELL'

ECONOMICO

DI

SENOFONTE




Udii pure alcuna volta Socrate anche intorno alla economia siffatte cose ragionare. – Dimmi, o Critobulo, la economia è egli il nome di una scienza, come lo è la medicina, o l'architettura, o la scultura? – Così mi pare, disse Critobulo. – Adunque siccome di queste arti potremo dire quale sia l'officio di ciascuna, così ancora dell'economia potremo dire quale sia il suo officio? – Io avviso, rispose Critobulo, che ad un buono economo si appartenga di ben governare la propria casa. – E la casa di un altro, disse Socrate, se alcuno gliela confidi, non potrebbe, se il volesse, così ben governare come la propria? perocchè colui che sa l'architettura simigliantemente potrebbe per altri adoperare quello che per se medesimo, e l'economo il potrà egli [p. 2 modifica]sì. – Certo, o Socrate, credo che il potrebbe. – Può adunque, disse Socrate, chi sa una tale arte, quando sia esso privo di beni, ricevere alcuna mercede per governare la casa di un altro, come un architetto, per fabbricarla? – Sì veramente, disse Critobulo, e assai grande mercede ne avrebbe, se potesse, prendendo a governare una casa, e fornire ad ogni spesa che si convenga di fare, e rendendola di tutto copiosa darle accrescimento. – La casa poi, che cosa stimiamo che sia? Forse quello medesimo che l'abitazione, ovvero qualunque cosa che altri possegga fuori della sua abitazione, tutto ciò si appartiene alla casa? – Quanto a me, disse Critobulo, stimo che sebbene quello che alcuno possiede non lo abbia nè meno nella propria città, pure qualunque cosa egli abbia, tutto si appartenga alla casa. – E non vi sono forse di quelli che hanno dei nemici? – Si certo, ed alcuni ben molti. – Or diremo noi che debbano annoverarsi fra i loro averi questi nemici? – Sarebbe pur cosa ridicola, disse Critobulo, se chi accrescesse i nemici dovesse anche averne di questo la mercede. – E non dicemmo noi, che la casa si è tutto quello che l'uomo possiede? – Si, rispose Critobulo, ma ciò mi è avviso, che voglia significare tutto quello che ha, e che è buono, perocchè quello, ch'è cattivo non lo chiamo già possedere. – Tu adunque stimi che possedere si abbia a dire soltanto di ciò che ne [p. 3 modifica]arreca utile? — Appunto così, perchè giudico anzi danno che ricchezza tutto quello che nuoce. — Ora se alcuno comperasse un cavallo, e non sapendosene servire sia da quello gittato in terra, e pesto, non sarà per esso ricchezza quel cavallo. — No: perchè ricchezza è ciò ch'è utile. — E nè anche una terra sarà ricchezza per chi in modo la coltivi, che coltivandola si trovi con perdita. — Certo che neppure questa terra sarà una ricchezza se piuttosto, che nutricarti, ti si faccia cagione di fame. — A questo modo nemmeno gli armenti saranno ricchezza per quell'uomo, a cui dall'averne, non sapendone bene usare, gliene torna danno. — No certo, a mio credere. — Tu adunque stimi che sia ricchezza tutto ciò che giova, e che non lo sia tutto ciò che nuoce. — Così è. — Pertanto se così è, ciascuna cosa per chi sa usarne è ricchezza, e non è ricchezza per chi non sa usarne: quindi i flauti a chi sa ben suonarli sono ricchezza, a chi non lo sa a nulla più servono che le inutili pietre. — Se pure non li venda. — E che! vogliamo noi adunque ora dire, che i flauti, se il padrone li venda, siano ricchezza, se poi non li venda, ma se li tenga non siano più ricchezza, quando non sappia servirsene? — Certo; perchè ben si accorda, o Socrate, questo discorso colla nostra opinione, avendo noi detto che ciò ch’è utile fa ricchezza; quindi i flauti [p. 4 modifica]non venduti non sono per colui ricchezza, mentre a nulla gli sono utili: venduti poi sono ricchezza — A questo Socrate soggiunse, quando però sappia venderli: che se li venda per alcuna cosa di cui poi non sappia usarne, nemmeno venduti saranno ricchezza secondo il tuo discorso. — Mi pare che tu voglia dire, o Socrate, che nemmeno il denaro sia ricchezza, per chi non sappia usarne. — E tu ancora mi sembri consentire, che quello solamente da cui può l’uomo averne utile, faccia ricchezza: se adunque alcuno si serva del denaro a comperarsi, per esempio, una femmina, per la quale peggio venga a stare il suo corpo, peggio il suo animo, peggio la sua casa, come fia ad esso utile quel denaro? — In niun modo, purchè non vogliam dire che sia una ricchezza il possedere quell’erba che si chiama giusquíamo per cui quelli che ne mangiano divengono pazzi. — Anche il denaro pertanto, o Critobulo, se alcuno non sappia usarne, così da lungi sia rigettato, che non possa nemmeno avere nome di ricchezza. Gli amici poi, se alcuno sappia di essi giovarsi, che cosa diremo che sieno? — Ricchezza al certo, disse Critobulo, e molto maggiore che il posseder buoi, perchè sono dei buoi assai più utili. — E ben anche i nimici, secondo il tuo discorso, sono ricchezza, per chi può trarre utile dai nimici. — In vero che era così parmi. — Dee [p. 5 modifica]adunque un buon economo sapersi servire anche dei nimici, onde trarne da essi vantaggio? — Si al certo. — E tu vedi, seguì egli a dire, o Critobulo, quante case di privati cittadini si sono accresciute per la guerra, quante per la tirannia. — Veramente quanto abbiamo detto fin ora, o Socrate, disse Critobulo, mi pare che stia bene: ma che dovremo noi pensare di ciò, che ora ti dirò? Sovente veggiamo alcuni i quali, oltre ad ogni altra facoltà, hanno pure quelle scienze, onde potrebbero accrescere le loro case, quando in ciò adoperare si volessero; ma ci avvediamo che nol vogliono fare, e quindi quelle scienze sono ad essi inutili. Ti pare che si possa altro dire, se non che per essi anche le scienze non sieno ricchezza? — Dei servi, rispose Socrate, tu cominci ora, o Critobulo, a ragionarmi. — No certo, disse, in verun modo, anzi di quelli che sono nobilissimi, dei quali ne veggio altri forniti delle scienze che si appartengono alla guerra, altri di quelle che si adoperano nella pace, ma che non vogliono eser citarle appunto per questo, come parmi, perchè non hanno padroni. — E come mai, Socrate disse, non avrebbero essi padroni, se bramando di viver felici, e volendo attendere a quelle cose per le quali potrebbero avvantaggiarsi, ne sono impediti da quelli che li comandano? — E chi sono cotesti, disse Critobulo, che invisibili comandano loro? — Non sono [p. 6 modifica]già invisibili, disse Socrate, anzi assai manifestamente si scorgono, e che al tutto vituperevoli sieno, nè anche tu lo ignori, se avvisi essere da vituperarsi l’oziosità, la mollezza dell’animo, e la trascuratezza. E vi son pure altre padrone ingannatrici che prendono la sembianza di piaceri, come le tavole da gioco, e le inutili conversazioni fra gli uomini: queste coll’andare del tempo si rendono manifeste ancora a quelli che furono da esse ingannati, come sono veramente noie ammantate colle vesti dei piaceri, e quelle sono che rendendosi padrone di essi, non li lasciano adoperarsi in ciò che rechercbbe loro vantaggio. — Ma ve n’ha pure alcuni altri, o Socrate, disse Critobulo, che non sono per queste trattenuti dall’operare, anzi quanto all’operare non si danno alcuna posa a procacciarsi guadagno, tuttavia questi ancora e consumano le loro case, e si trovano nell‘indigenza. — Perchè sono servi ancor essi, disse Socrate, e di assai aspre padrone: altri della intemperanza, altri della lascivia, altri della vinolenza, altri della prodigalità per certa stolta brama di gloria; le quali tutte così aspramente comandano a quegli uomini di cui si sono fatte signore, che fino a tanto, che li veggono nel vigore dell’età, ed atti ad acquistare ricchezze, li sforzano a recargli tutto il frutto di ogni loro fatica, e di spenderlo per appagarne le ingorde brame: quando poi si avveggono [p. 7 modifica]che per vecchiezza questo più non potrebbero, lasciandoli vituperosamente logorare all’età, esse altri servi studiano di procacciarsi. E veramente contro di queste, o Critobulo, è ben d’uopo a noi di combattere per la nostra libertà niente meno, che contra coloro i quali colle armi tentano di ridurci in servitù: perchè alla fine i nimici sovente, essendo essi saggi ed onesti, hanno saputo costringere a rendersi tali molti di quelli che si aveano fatti servi, e quindi resili migliori, meglio pure gli hanno fatto poi condurre il rimanente della loro vita: ma queste padrone di cui ti ragiono, mai non cessano dal contaminare agli uomini, e i corpi, e gli animi, e le case, finchè li hanno in loro potere.