L'economia politica/IV
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Ed ora uscendo da questo campo astratto, dove mi ha sorretto fin qui l’indulgente tolleranza vostra, mi rimarrebbe da aggiungere, come già prenunziava, qualche considerazione generale, ma che più concretamente riguarda le convinzioni mie personali; e avrò bentosto fruito.
Io ho sempre avuto fede nella scienza e nella libertà; e non è sull’estremo limite della mia carriera studiosa e didattica che mi sentirei di abdicarvi.
La scienza, a mio avviso, non è soltanto il più sacro retaggio del pensiero (e intendo la scienza in generale, nelle multiformi sue esplicazioni ed applicazioni); è anche leva la più poderosa a progressiva conquista della libertà, e a fecondarne il portato.
E ne risente di ricambio l’influsso, ne riflette lo spirito.
Il fatto che più conta, a mio avviso, nell’Evo moderno, e la cui importanza grandeggia di più in più venendo all’età nostra, è il dominio positivo della scienza; la quale tutto investe ed atteggia co’ suoi concetti e le sue scoperte, i suoi metodi e i suoi risultati.
Guardate un tratto, e non soltanto al regno speculativo del pensiero, ma pur a quello applicativo dell’industria, agli ordini sociali e di Stato, a quelli dell’Amministrazione e della Finanza, e alla tecnica corrispondente; a quelli strategici, se così vi talenta; dovunque insomma sia d’uopo di norme fisse e ben determinate a regolare l’azione; — avvertite insieme a quel duplice movimento di diffusione e di attuazione utile, che trae a’ giorni nostri la scienza così rapidamente dal sommo all’imo, espandendola in tutti gli strati (nuova e fruttuosa forma di democrazia), e concretandola nella pratica, che ne diventa alla sua volta il sindacato e la riprova sperimentale: — e Vi parrà, non dubito, come tutto inclini oggidì ad improntarsi (vorrei dire) a tipo scientifico; e ad un tempo, come nella compagine ognor più fitta dei rapporti e consentimenti tutti dell’azione e della vita, la scienza sotto tutte le forme, co’ suoi capisaldi razionali e i suoi criterj direttivi, diventi viemmaggiormente una necessità.
È l’esperienza universale, sicura, largo-veggente, al posto del ristretto, mal fermo, e di corta veduta, empirismo individuale.
A tipo scientifico, ho detto; e ad una volta, per mutua naturale corrispondenza dal pensiero all’azione, e da questa a quello, a tipo di libertà.
Ed è pertanto a questo duplice obbiettivo che l’opera dev’essere preordinata.
Libertà, da promuoversi armonicamente a tutti i gradi dell’ordinamento sociale e politico; ma vorrei aggiungere (in ossequio pure alla speciale disciplina che professo, e financo, se volete, per mio personale temperamento), libertà che profitti in definitiva all’uomo individuo, e in nome dell’umana personalità.
Avvegnachè, negli ordini pratici del volere e del fare, come ne’ speculativi del pensare e del sapere, e più che mai per entro alla sfera dei rapporti ad interessi economici, tutto metta capo all’iniziativa e responsabilità individuale; al valore intrinseco dell’uomo, operi esso da solo o comunque associato, singolarmente o per classi; all’energia, insomma, di questa mònade elementare, donde in ultimo risulta anche l’energia integrale del sistema.
Si è fatta colpa agli economisti, specie d’altro tempo (colpa d’altronde scusabile quale resistenza o protesta contro eccessi dispotici ed arbitrarie ingerenze del Potere) di non aver reso giustizia allo Stato, ravvisandolo quasi un ùlcera (è stata talvolta, sgraziatamente, la parola!), un male, sia pure inevitabile; e come tale da ridursi al minimo possibilmente del suo intervento e della sua azione.
Oggi siamo anche su ciò meglio edotti, se non altro in via di dottrina, e da parte dei più fra i cultori in genere delle discipline sociali; per quanto pur ferva sempre la disputa fra i due estremi: e, cioè, fra l’Individualismo assoluto, con quel Nichilismo amministrativo che lo Huxley rimproverava allo Spencer, e l’Assolutismo legislativo da costui combattuto; per non fare altri nomi e riferimenti.
Resta ad ogni modo per me che lo Stato, ordinamento giuridico, a tutti i gradi, della società; istituto altrettanto naturale quanto la società stessa (intesa fra certi limiti di territorio e di popolo, che son quelli della nazione); legittimo rappresentante de’ suoi interessi collettivi, senz’essere esso medesimo la società tuttaquanta; a volte avversato, o viceversa esaltato e piaggiato di troppo; se non è dunque una piaga, nè un genio malefico che s’imponga per una penosa necessità, non è poi neanche un Nume panteistico, una Provvidenza universale incarnata, il giudice e l’ausiliatore obbligato d’ogni impresa e il tutore d’ogni incapacità, il vindice e l’espiatore responsabile d’ogni errore, il coordinatore lui solo d’ogni interesse e il supremo dispensatore d’ogni beneficio; limitato altresì com’esso è nella capacita de’ suoi mezzi materiali e morali da quel tanto, e molto assegnato (lo sappiamo alla prova!), che può essergli assentito dalla società; deficiente insieme nella sua personalità astratta di que’ vividi impulsi, che (specie nel campo economico) son l’anima della libera e individua persona.
Ed anche nella sfera degli interessi che avrebbero per sè carattere di generali, perchè toccano più o men davvicino alla vita collettiva della società, lo Stato ha debito di lasciar fare quel tanto che da altri potrebbe farsi in libera pratica; ed è anzi del suo ufficio di educare e predisporre l’azione comune in questo senso, e rendersi così esso medesimo, nel suo diretto intervento, men necessario.
Nè è per se stessa la libertà (questione d’altronde universale, e non esclusivamente economica), che abbia bisogno di essere volta per volta provata; sibbene ha d’uopo di prova la necessità del vincolo che si reputi necessario d’imporle.
Facil cosa il sindacato della libertà, e di quella che in Economia si traduce in libera concorrenza, dal punto parziale di vista de’ suoi inconvenienti; non altrettanto invece il ponderare in equa lance cogli inconvenienti anche i vantaggi, i meriti in un coi demeriti.
Vi sarebbe tuttavia un modo di soccorrere per indiretto a siffatta stima; e cioè quello di figurarsi mentalmente soppressa la libertà fin dalle origini, e far poi ragione, così all’indigrosso, del risultato.
Oggi che una sì gran larga copia di beni e mezzi utili d’ogni guisa è creata, e più ancora son creati i processi tecnici per la loro riproduzione, si può anche discutere con una relativa tranquillità di spirito, o men vive apprensioni, circa la possibilità e le conseguenze di una diversa loro ripartizione; ma provatevi in estrema ipotesi a sopprimere coll’immaginazione, e fin dai primordj, quella molla poderosa del libero tornaconto, che massime ne’ tempi più a noi vicini ne è stata in sì alto grado il fattore; e lascio poi a Voi il calcolare a che ridurrebbesi, anche nel miglior sistema distributivo, fra i possibili compartecipi, e in misura assoluta, la quotaparte di ciascheduno.
Vi servirà se non altro ad apprezzare per quale ordine logico d’idee gli Economisti abbiano mostrato altre volte curare, in forma a giudizio nostro troppo esclusiva, lo studio della produzione della ricchezza; mentre ora, davanti alla ressa incalzante della questione sociale, sono anch’essi richiamati a portarsi con più esauriente indagine a quello della sua distribuzione.
Si può parimenti discutere in oggi, ed anche per ragioni non propriamente economiche, e (se volete) anche più che economiche, circa ai mezzi perfezionati di comunicazione, sul pro e sul contro di un monopolio di Stato; ma figuratevi intimato un tale principio in modo assoluto e generale fino dai primi momenti, e quando tutto era ancora da farsi, e non so davvero nemmen quanta sarebbe oggidì la materia su cui potrebbe esercitarsi la disputa.
Ed è poi naturale e logico che siffatte considerazioni riguardo al passato non abbiano a rimaner senza peso anche sulla norma da adottarsi per l’avvenire.
Bensì, poichè ho alluso incidentemente a ragioni non del tutto economiche, consentite che io ribadisca in forma più generale il mio proprio pensiero. L’Economia, già Vi esponeva fino dal principio del mio discorso, non è il tutto della scienza sociale; e non è dessa perciò che possa presumere di dar sempre o in modo preponderante il tratto alla bilancia degli interessi generali della società, e dirimpetto allo Stato che ne è il legittimo rappresentante. — Naturale che l’Economia abbia talvolta a risentire nella pratica le conseguenze (dirò così) della sua stessa specialità.
Strano per lo meno ed anomalo avvenimento il fatto delle barriere doganali, colle nuove o redivive asprezze da un sistema che per eufemismo simpatico appellasi protettore, ad un’epoca dov’è d’altra parte così saliente ed irresistibile quel processo di universale perequazione, che tende a vieppiù stringere per mille guise i vincoli fra le nazioni, accostandole fra loro per ogni via di più frequenti e agevoli corrispondenze, accomunandone o rendendone men disparati e più consentanei (per quanto comporta il genio di ciascheduna) usi, interessi ed istituzioni, intelletto e senso morale; e come se a consociarle in una sola e maggior famiglia: - un processo, che all’ultimo e suo ideal termine, arieggierebbe all’immagine del Poeta:
- Facies non omnibus una,
- Nec diversa tamen, qualem decet esse sororum.
Ad altri tempi era un concetto arbitrario dello Stato e delle sue funzioni, che così poteva intimare, ad una col pregiudizio (non del tutto volgare) che nel traffico umano il vantaggio e il bene degli uni abbia a necessario correlativo il danno e il male degli altri; oggi che quel pregiudizio dovrebbe pur ritenersi sfatato, per merito non ultimo della scienza nostra, e che lo Stato si concepisce in forma assai più razionale, sono per gran parte gli antagonismi nazionali e le ragioni politiche, che, sopraffacendo le prette ragioni economiche, o travisandone il portato, cospirano a guerra di tariffe come a quella più temuta e sempre minacciosa dell’armi; fino a tanto che la mutualità delle offese e del danno, come in miglior sistema quella della pace e del beneficio (e speriamo puranco una più deferente adesione ai consigli della scienza), non abbia indotto a più liberali e salutari intendimenti.
Ancor più stridente anomalia quella di un Continente che intima agli altri una specie di blocco commerciale, mentre non si perita di bandire nel suo interno, e fra i suoi 49 Stati e Territorj che sono già per sè soli tutto un mondo, la più sconfinata e tumultuosa libertà degli scambj!
Scienza e libertà pertanto: due ordini razionalmente consociati e cospiranti di pensiero e d’azione: - ed è a Voi, egregi Giovani, qui convenuti numerosi ad una solennità che è anzitutto la vostra, e ai compagni vostri di studio; a Voi, che io ne vorrei raccomandato il sentimento, destinati qual siete ad essere testimonj di altri e fors’anco non minori miracoli della scienza, che non sien quelli ai quali abbiam potuto fino a qui assister noi stessi, e ad avere nella progrediente evoluzione che investe tutti gli ordini della vita sociale, un campo ognor più largo e fruttuoso d’azione.
Attendete alacremente alla vostra coltura professionale; agguerritevi colla scienza alle lotte feconde della libertà; date opera puranco, chi di Voi meglio può, a scrivere degnamente il vostro nome negli annali gloriosi di essa; amatela ad ogni modo la scienza, come si addice alla generosa indole vostra, anche ne’ suoi ideali, e d’accordo con que’ più alti intenti morali che ci fanno ravvisare nel maggior utile nostro personale un elemento di quello più generale della società e della nazione, e un mezzo di più efficacemente concorrere alla sua promozione.
Ricordando che oggi più che mai può dirsi che scienza è potenza, V’incuori la fede — (lasciate che io ripeta qui a Voi ciò che in altra simigliante occasione, e in altro Ateneo di studj che allora era anche il mio proprio (11), io già esprimeva a giovani allora pari vostri, e che contano ormai di buon tratto tra gli adulti), — la fede costante, che ad ogni incremento nel patrimonio intellettuale della nazione non potrà a meno di corrispondere un incremento in quel patrimonio di grandezza, decoro e prosperità, che noi tutti dobbiamo augurarci e adoprarci che sia il maggiore possibile per questa cara e imperitura Patria nostra.