La Stella Polare ed il suo viaggio avventuroso/Parte terza/12. Il ritorno

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Parte terza - 11. Verso il polo Carta polare

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Capitolo XII

Il ritorno


Mentre il capitano Cagni ed i suoi valorosi compagni si spingevano audacemente verso il polo, una profonda angoscia regnava alla baia di Teplitz.

Il dottor Cavalli ed il suo drappello erano tornati felicemente all’accampamento dopo ventiquattro giorni di marcia e non vi avevano trovato quello comandato dal tenente Querini, che avrebbe dovuto giungervi quindici giorni prima.

Nè S. A. R. nè alcuno dei suoi compagni avevano veduto il secondo drappello, quantunque avessero mandato uomini fino al capo Fligely, sospettando il ritorno d’una parte degli esploratori.

Cos’era adunque avvenuto del tenente, della guida Ollier e del macchinista Stökken?… Si erano smarriti in mezzo agli immensi campi di ghiaccio od erano periti?…

Il Duca, inquieto per la loro scomparsa e conoscendo quanti pericoli nascondono i ghiacci, non rimase inoperoso.

Saputo dal dottor Cavalli che il drappello si era diviso dal grosso della spedizione il 21 marzo e che aveva viveri per soli dieci giorni a razioni intere, oltre a dieci cani, organizzò subito delle carovane di soccorso.

Furono mandati marinai al Capo Germania, al Capo Fligely, sulle coste settentrionali della Terra Principe Rodolfo ed in direzione dell’isola Osborne, a perlustrare quelle coste ed i banchi di ghiaccio.

Si era saputo che qualche giorno dopo che il drappello di Querini aveva abbandonato il grosso della spedizione, una bufera di neve era scoppiata verso le coste settentrionali della Terra Principe Rodolfo e si sperava che quei tre disgraziati si fossero smarriti all’ovest dell’isola.

Le ricerche continue ed affannose non avevano dato alcun risultato. Nessuna traccia nè del tenente, nè dei suoi due compagni, nè della slitta, nè dei cani. Cosa era adunque accaduto? Bisognava per forza convenire che tutti avevano dovuto trovare la morte in mezzo [p. 312 modifica]ai banchi di ghiaccio. Certo l’uragano di neve li aveva spinti tutti dentro qualche canale od il ghiaccio si era aperto sotto i loro piedi e l’oceano Artico li aveva inghiottiti.

Il Duca, vivamente impressionato, non cedette nondimeno dinanzi ai primi scoraggiamenti. Formò nuovi drappelli di soccorso mandandoli verso l’ovest e verso l’est della Terra Principe Rodolfo e stabilì un piccolo campo al Capo Fligely, perchè sorvegliasse i banchi di ghiaccio che si estendevano al nord dell’isola. Sperava ancora di vedere un dì o l’altro ritornare il povero tenente, pel quale aveva nutrito sempre un vivo affetto, ed i suoi due compagni.

Vane speranze. I giorni passavano, ma nessuna buona nuova giungeva mai al campo, finchè Cagni ritornò e senza aver incontrato, durante il periglioso ritorno, gli smarriti.

Lo scoraggiamento cominciò ad invadere anche il Duca. Comprese finalmente che tutto era finito e che quei valorosi erano morti.

– La nostra spedizione fu utile alla scienza, – disse quel giorno che comprese essere vano qualsiasi tentativo. – È stata da forti italiani, ma non fu felice. –

Non avendo però l’assoluta certezza che il tenente ed i suoi compagni fossero periti, al Capo Cave furono depositati dei vestiti di pelle, delle provviste per venti persone e per dieci mesi e delle lettere in lingua italiana e norvegese, colle quali s’avvertivano gli scomparsi di attendere in quel luogo la ventura primavera o di raggiungere possibilmente il Capo Flora in attesa d’una spedizione di soccorso.

Era tutto quello che potevano fare il Duca ed i suoi compagni.

Intanto l’estate s’avanzava a rapidi passi e s’avvicinava il momento dell’imbarco.

Già i marinai norvegesi erano riusciti ad accomodare alla meglio l’avaria subita dalla Stella Polare. La povera nave però aveva gravemente sofferto in causa delle pressioni dei ghiacci e la sua macchina si era guastata.

Anche la prora era stata danneggiata molto e le costole presentavano una solidità molto dubbia. Era un’impresa tutt’altro che facile ritornare in Europa con simile nave, attraverso a mari ancora ingombri di ghiaccio.

Nel maggio, dopo d’aver imbarcato gran parte dei viveri e degli [p. 313 modifica]oggetti che erano stati portati a terra, fu fatto il primo tentativo per liberare la nave dai ghiacci che la rinserravano.

Tutti avevano compreso che un altro svernamento sarebbe stato fatale alla povera nave, di già ridotta in così pessimo stato, quindi si erano messi alacremente all’opera.

Con mine fu fatto saltare parte del banco su cui si trovava la Stella Polare, poi coi picconi fu sbarazzata del ghiaccio che si era incrostato dovunque, in coperta, lungo le murate, sulle bancazze e sulla cintura.

Se erano però riusciti, dopo molte fatiche ed un lungo lavoro, ad aprire un piccolo bacino attorno alla nave, la baia rimaneva chiusa ostinatamente dai banchi, nè pareva che vi fosse, almeno pel momento, nessuna probabilità che dovessero rompersi. Anzi anche il bacino gelava durante la notte costringendo l’equipaggio ad un lavoro incessante.

Passarono così due lunghi mesi fra continue speranze e delusioni e già tutti erano convinti di dover cominciare il ritorno a bordo delle scialuppe e di raggiungere il Capo Flora, quando verso i primi di agosto i ghiacci cominciarono a screpolarsi. Il 15 un vento furioso cominciò a muoverli, lasciando finalmente libera la Stella Polare.

L’imbarco fu precipitoso. Temevano, ritardando qualche po’, di correre il pericolo di rimanere ancora prigionieri e di dover ritirarsi sulle scialuppe.

La nave era molto danneggiata, è vero, ma valeva ben più delle baleniere e dei canotti.

La Stella Polare, speronati gli ultimi ghiacci che le impedivano il passo, mise subito la prora verso il sud per raggiungere, più presto che era possibile, la Terra Carlo Alessandro e quindi cacciarsi nel Canale Britannico.

Il tempo era pessimo ed il mare ingombro di banchi e di floe-bergs, i quali tendevano ancora a riunirsi.

La Stella Polare però, navigando con prudenza e con destrezza, potè sfuggire alle loro strette, avvistare le coste della Terra Carlo Alessandro e quindi le due isolette di Neale e di Elisabetta.

La sua corsa, molto faticosa e continuamente interrotta dall’aumentare dei ghiacci, non durò che due giorni. [p. 314 modifica]

Il 17 agosto la nave veniva nuovamente bloccata nel Canale Britannico, nei pressi dell’isola Eaton e così strettamente da dubitare che potesse più mai liberarsi.

Però la fortuna che aveva fino allora protetta la spedizione, anche questa volta non le mancò.

Il 29 agosto, quando già facevano i preparativi per abbandonare la nave, i ghiacci si ruppero nuovamente e la nave poteva raggiungere felicemente il canale de Bruyne.

Scendendo lungo il canale e battagliando continuamente coi banchi di ghiaccio, il 30 agosto doppiava il Capo Barentz, poi piegando verso occidente, dopo poche ore giungeva al Capo Flora, dove si arrestava fino al 31 per dare un po’ di riposo all’equipaggio ed al capitano Evensen, il quale era caduto accidentalmente nella stiva ferendosi al capo.

L’indomani la spedizione dava un addio alla Terra di Francesco Giuseppe, un addio molto triste perchè in quelle desolate regioni lasciava, forse ancora vivi, tre dei suoi valorosi compagni: Querini, Ollier e Stökken.

Poveri esploratori, cosa sarà accaduto di voi? Errate ancora smarriti fra quei ghiacci orribili, fra i nebbioni e le bufere tremende del polo od i vostri corpi dormono il sonno eterno nei profondi abissi dell’oceano Artico?

La Stella Polare, lasciato il Capo Flora, prende definitivamente la via del sud, la via del ritorno. Cammina lentamente perchè è scarsa di vele e la sua macchina funziona male avendo l’elica torta e le caldaie in disordine.

A trenta miglia dalle coste europee corre ancora un grave pericolo in causa dei grossi e pesanti floe-bergs che la stringono di nuovo, pure riesce, dopo una traversata penosa e molto lenta, ad avvistare finalmente le coste settentrionali della Norvegia.

Il 5 settembre, al largo di Hammerfest, presso l’isola di Rolfso, incontra una nave, la prima che vede dopo la sua partenza dalla Terra di Francesco Giuseppe.

Quella nave è l’Herta, una piccola baleniera di Sandyfjord, di duecentocinquantatre tonnellate, con una macchina di centottanta cavalli indicati, al comando del capitano Bade. [p. 315 modifica]

Era la nave mandata in cerca del Duca dal Re Vittorio Emanuele, per comunicargli la tremenda notizia del più grande delitto del secolo: l’assassinio di Re Umberto.

A bordo aveva i signori cav. Silvestri ed il conte Tarsis, incaricati di lasciare al Capo Flora la corrispondenza della Casa Reale.

La nave stava appunto tornando dalla Terra Francesco Giuseppe, non avendo potuto approdare in causa dei ghiacci.

Una scialuppa venne messa in acqua ed i signori Silvestri e Tarsis recano al Duca, mentre gli equipaggi si salutano con urrà entusiastici, la ferale notizia.

È un colpo di fulmine che scoppia a bordo della Stella Polare. La prima notizia che i fortunati esploratori dovevano ricevere dall’Europa, doveva essere l’assassinio del Re buono e cavalleresco!…

La commozione fu immensa. S. A. R. estremamente commosso, si rinchiuse nella sua cabina dove rimase due giorni, mentre la Stella Polare, invece di appoggiare su Hammerfest, riprendeva nuovamente il viaggio verso il sud.

Il 9 settembre la Stella Polare, fra gli urrà della intera popolazione, accorsa in massa a salutare gli arditi esploratori, approda a Trondhiem, e due giorni dopo S. A. R. e Cagni facevano la loro entrata trionfale in Christiania, la capitale della Norvegia, a fianco di Nansen e seguìti da uno stuolo di scienziati.

Tutti rammentano le grandi accoglienze fatte a S. A. R. ed al capitano Cagni in Norvegia, in Danimarca ed in Italia: tutti ricordano l’infinito numero di dispacci mandati dalle più notevoli autorità italiane ed estere all’audace organizzatore della spedizione polare, perchè io ne parli. Risuona ancora per l’aria l’eco degli entusiastici applausi, ben meritati, di Torino, di Roma, di Napoli e di Venezia.

Fu un vero ritorno trionfale, giusta ricompensa a coloro che per la gloria d’Italia e della scienza avevano percorse quelle gelide terre polari per quattordici mesi.

E quali i risultati della spedizione? Splendidi senza dubbio.

La spedizione italiana ha avuto il vanto di superare tutti gli esploratori che da trecent’anni, con costanza invidiabile, marciarono alla conquista del polo, superando perfino lo stesso Nansen. [p. 316 modifica]

Oltre a ciò la spedizione ha cancellate le Terre di Petermann e di Oscar non avendole vedute in alcun luogo, ha preso numerosi rilievi, rettificando la cartografia dell’arcipelago Francesco Giuseppe, prima molto imperfetta; ha corretto molti errori di longitudine e di latitudine fatti dai precedenti esploratori; ha fatto un gran numero di osservazioni magnetiche ed astronomiche e molti esperimenti di gravità, e numerosissimi scandagli lungo le coste.

Ha poi portato con sè un bel numero di piante, di pelli di foche, di trichechi e di orsi bianchi.

Con tuttociò sembra che S. A. R. non sia ancora completamente soddisfatto di aver spinto la spedizione così vicina al polo e d’aver fatto spiegare la bandiera italiana più innanzi di tutte le nazioni marinaresche del mondo.

Si dice che mediti un’altra grande spedizione al polo nord. Lo farà? Glielo auguriamo per l’interesse della scienza, per la gloria d’Italia.

Quello che si sa di positivo, si è che nella ventura primavera una nave verrà inviata all’arcipelago Francesco Giuseppe con la speranza, ahimè! troppo vaga, di poter ritrovare quei tre coraggiosi che sono scomparsi fra le nebbie e le nevi della terribile regione polare.

Povero Querini!... Povero Ollier e povero Stökken!... Il polo voleva le sue vittime e ha preso le vostre giovani esistenze.

FINE