La capitana del Yucatan/28. L'inseguimento

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28. L'inseguimento

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27. In rotta per Santiago 29. L'ultima corsa
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CAPITOLO XXVIII.


L’inseguimento.


L’indomani poco prima dell’alba, quando le stelle cominciavano ad impallidire, l’Yucatan, dopo una rapida e fortunata traversata, avvistava la lunga catena dei cayos de las Doce Legua.

Quelle isole formano una vera barriera la quale difende le coste meridionali di Cuba dall’altezza di Trinidad all’ampia baia di Buena Esperanza.

Alcune isole hanno dei contorni rilevanti, come quella Grande, quella della Piedra e della Lana, ma le altre sono tutte piccole e un numero infinito non sono che dei semplici scoglietti. Quale aspetto grazioso offrono però le isole di quell’arcipelago!... Quando l’orizzonte è puro, esse si presentano come una serie continua di giardini galleggianti, essendo coperte da una vegetazione splendida, da una vera vegetazione tropicale.

I grandi palmizi, i colossali cedri, gli aranci, i tamarindi, gli smisurati bambù, i mirti del pimento, mostrano la massa cupa e frastagliata delle loro fronde, mentre le rive ridenti sono incoronate di rigogliosi leandri, di rosai africani, di pergolati di gelsomino e dei fiori scarlatti del cordio, e dei profumi si espandono lontani lontani sul mare, spinti dai venti di settentrione.

L’Yucatan che filava con una velocità di quindici a sedici nodi all’ora, correva incontro a quei giardini allineati sul mare, turbando, coll’elica poderosa, quelle acque tranquille e limpide, frettoloso di mettersi al riparo dietro a quella barriera verdeggiante.

La marchesa, il capitano Carrill e Cordoba, appoggiati alla cancellata di prora, guardavano con una certa ansietà se qualche colonna di fumo s’alzava sull’orizzonte, temendo che qualche nave da guerra americana stazionasse presso quelle isole, però fino allora nulla di sospetto si scorgeva. Forse le forze avversarie si stavano concentrando verso Santiago o si erano allontanate per correre incontro alla flotta spagnuola che in quei giorni già si dirigeva, a tutto vapore, verso il golfo del Messico, per accorrere in aiuto della capitale cubana già gravemente minacciata.

Rassicurati dall’assenza di quelle poderose corazzate, Cordoba e la marchesa fecero ravvivare i fuochi e lanciarono l’Yucatan in mezzo alla barriera d’isole e d’isolotti, imboccando il canale del Caballones che si apre fra il cayos della Lana.

La traversata di quel passaggio si compì con una velocità di diciotto nodi all’ora, senza che la piccola nave facesse alcun incontro. Già Cordoba e la marchesa cominciavano a sperare di poter gettarsi sotto le coste di Cuba onde tenersi nascosti in mezzo [p. 245 modifica]alla moltitudine di scogli e d’isolotti che si raggruppa intorno alle coste di Puerto Principe, quando si udì la voce d’un gabbiere in osservazione sulle crocette del trinchetto, a gridare:

— Fumo all’orizzonte!

— Mille pesci cani! — esclamò Cordoba, girando con rabbia la ruota per far virare l’Yucatan verso l’isola della Lana. — Verrebbero ora a guastare la nostra marcia, quei dannati piratacci? Ehi! Diego!

— Tenente!... — gridò il gabbiere.

— Dove va quel fumo?...

— Pare che si diriga verso queste isole.

— Puoi scorgere la nave?...

— Non ancora. Mi pare che quella colonna di fumo ingrossi rapidamente.

— Che sia una nave americana? — chiese il capitano Carrill.

— Non può essere che tale, — rispose la marchesa, la cui fronte si era aggrottata. — Brutto incontro in un simile momento, proprio all’alba. Fosse prossimo il tramonto, non mi preoccuperei, ma ora... Bastano pochi colpi di cannone per far accorrere altre navi.

— Vediamo prima se si tratta veramente di una nave americana, — disse Cordoba. — Potrebbe essere qualche transatlantico spagnuolo che tenti di violare il blocco, donna Dolores.

— Ho i miei dubbi, signori miei. Gabbiere, si scorge?

— Vedo l’alberatura, Capitana, — rispose il marinaio di vedetta, il quale aveva puntato il cannocchiale.

— E non vedi il gran nastro delle navi da guerra?

— Un momento, capitana!... —

Tutti i marinai erano allora saliti in coperta e s’erano raggruppati verso prora, fissando gli sguardi su quel pennacchio di fumo che ora si distingueva anche dalla tolda, mentre altri si erano issati sulle griselle interrogando avidamente l’orizzonte.

Un profondo silenzio, rotto solamente dalle rapide pulsazioni della macchina e dai muggiti delle eliche che fendevano e tenagliavano le acque facendole schiumeggiare, regnava sulla nave. Tutti aspettavano, con ansietà, la risposta del gabbiere, il cui cannocchiale era diventato immobile.

— Nastro da guerra sull’albero maestro! — gridò ad un tratto il marinaio.

— Gli squali divorino i cani che montano quella nave! — brontolò Cordoba.

La marchesa si era voltata tranquilla e serena verso il capo macchinista che stava seduto sul boccaporto della sala delle macchine, dicendogli:

— Al vostro posto, signore. Stiamo per giuocare una pericolosa partita. —

Poi guardando Cordoba, gli chiese: [p. 246 modifica]

— E così, amico mio?...

— Si fugge, donna Dolores.

— E andiamo?

— Al sud.

— Ancora al sud?... No, Cordoba: noi giuocheremo la nave da guerra.

— Cosa volete fare, donna Dolores?

— Conosci queste isole?

— Tutte.

— Vi è acqua sufficiente fra le isole della Lana e quella della Piedra?

— Sì, marchesa.

— Ebbene, amico Cordoba, noi lasceremo che la nave americana entri nel passo del Caballones e poi risaliremo al nord passando fra le due isole.

— Un giuoco pericoloso, donna Dolores.

— Ma forse il migliore, Cordoba. Preferisco cacciarmi sotto le coste di Cuba che tornare al largo, dove possiamo trovarci improvvisamente di fronte ad una squadra.

— È vero, — rispose il tenente. — Gabbiere!...

— Signore.

— Si dirige verso questo canale quella nave?

— Sì, tenente.

— Fuggiamo, donna Dolores. Forse i marinai di vedetta di quella nave ci hanno già scorti.

— Fuggiamo, Cordoba. —

L’Yucatan, che era stato arrestato, virò di bordo quasi sul posto e rientrò nel canale, tenendosi a cinquanta o sessanta metri dalle coste occidentali dell’isola della Lana.

Colon che conosceva quelle isole quanto Cordoba, si era messo alla ruota del timone, mentre la marchesa, il capitano Carrill ed il tenente erano saliti sulle griselle dell’albero maestro per meglio osservare la nave nemica.

Essendo tutti tre muniti di cannocchiali di lunga portata, poterono distinguerla già nettamente, non essendo lontana più di sette od otto miglia.

Pareva un grosso incrociatore, avendo un solo albero e parecchie torri che si elevavano, in forma di castello massiccio, attorno ai due alti e grossi fumaiuoli e pareva che fosse anche dotato d’una celerità non comune, poichè guadagnava via rapidamente, muovendo diritto verso il canale del Caballones.

Non era però solo. Un po’ più indietro si scorgeva, ma confusamente in causa della sua poca elevazione sulle onde, una massa lunga che mandava molto fumo. Era una cannoniera o qualche torpediniera d’alto mare?...

— Uhm!... — fe’ Cordoba, tormentandosi i baffi. — Il tempo diventa minaccioso. [p. 247 modifica]

— Cosa dici, amico mio? — chiese la marchesa. — Non vi sono che delle rade nubi in aria e dici che minaccia cattivo tempo.

— Alludo a quei due cacciatori di mare, donna Dolores. Temo che volendo ingannarli restiamo invece ingannati noi.

— Vuoi dire?...

— Che quei due compari mi inquietano più di quanto credevo. Non è il grosso incrociatore nè i suoi poderosi cannoni che mi dà fastidio, bensì l’altro il piccolo. Se è una torpediniera d’alto mare, ci darà da fare donna Dolores.

— Cosa temi?...

— Che vada a cacciarsi fra queste isole per torpedinarci spietatamente alla nostra uscita. Colla corazzata alle spalle e quel legnetto dinanzi, non ci rimarrebbe altro che recitare il De Profundis.

— Vuoi fuggire al sud?...

— No.

— E cosa vuoi fare?...

— Gettarci in mezzo al labirinto de las Doce Leguas. In mezzo a quel caos di scogli, d’isolotti e di banchi potremo trovare un rifugio e contemporaneamente impedire al grosso incrociatore d’inseguirci. Se vorrà tentarlo, tanto peggio per lui, poichè andrà a incagliarsi.

— Vorresti ripetere il giuoco fatto alla corazzata presso il capo Sant’Antonio?...

— Possibilmente sì, — disse Cordoba.

— Conosci il labirinto?...

— Colon vi è già stato quand’era contrabbandiere. Me lo disse ieri sera.

— Ebbene, amico Cordoba, si vada al labirinto. —

Il piano era quanto mai audace e pericolosissimo perchè fra quella moltitudine di scogli, d’isolotti, di banchi e di rocce, l’Yucatan poteva fracassarsi la carena o restare arenato, ma forse era l’unica via di salvezza che restava agli arditi violatori del blocco, poichè il pesante incrociatore non avrebbe commessa la pazzia di cacciarsi in mezzo a tutti quegli ostacoli. Forse anche la torpediniera o cannoniera che fosse, non avrebbe osato lanciarsi sulle tracce del Yucatan, per tema di finire malamente fra quel caos di rocce.

Il tenente e la marchesa, assicuratisi che le due navi nemiche correvano verso il canale del Caballones e che quindi la ritirata era necessaria, lanciarono risolutamente l’Yucatan verso l’est, volendo prima d’impegnarsi nel pericoloso labirinto, tentare d’ingannare le due navi nemiche.

Avevano lasciata l’isola della Lana da appena venti minuti, quando videro l’incrociatore corazzato apparire sulle coste meridionali, mentre verso quelle occidentali cominciava già a disegnarsi un pennacchio di fumo annunciante la presenza della torpediniera o della cannoniera. [p. 248 modifica]

— Vedi, Cordoba, — disse la marchesa. — Se noi tentavamo di cacciarsi fra l’isola della Lana e quella della Piedra a quest’ora noi saremmo presi fra due fuochi.

— È vero, donna Dolores, — rispose il lupo di mare. — Quei birbanti di yankees sono più furbi di quanto credevo. Per ingannarli saremmo rimasti a nostra volta ingannati e come!... Cosa vorranno fare ora?...

— Ci dànno la caccia, signor Cordoba, — disse il capitano Carrill che aveva puntato il cannocchiale.

— Corrono su di noi?

— L’incrociatore ha virato di bordo ed ha messo la prora all’est. Si prepara ad inseguirci senza attendere la torpediniera.

— Oh!... Per quella ci vorrà poco a raggiungere il colosso. Filerà venti o ventidue miglia all’ora, ne sono certo.

— Noi corriamo di più, Cordoba e la lasceremo indietro, — disse la marchesa. — Ingegnere!... A tutto vapore!...

— Sì, a tutto vapore, — disse Cordoba. — Cerchiamo di cacciarci nel labirinto, prima che possano indovinare la nostra vera rotta. —

Dieci minuti dopo l’Yucatan aveva già accelerata considerevolmente la marcia, toccando i ventidue nodi all’ora e continuava ad aumentarla per giungere ai ventisei, il limite massimo.

Torrenti di carbone venivano precipitati nei forni mentre le eliche turbinavano con crescente fragore, sollevando delle ondate spumeggianti. Il vapore, imprigionato nelle pareti di ferro, muggiva sordamente imprimendo ai bracci ed agli stantuffi pulsazioni febbricitanti che di momento in momento aumentavano.

Un fremito sonoro scuoteva la piccola nave dalla chiglia alla sommità degli alberi e dalla ruota di prora a quella di poppa.

L’Yucatan pareva che balzasse sotto i colpi vertiginosi delle due eliche. Il suo sperone fendeva netto le acque sollevando due vere pareti liquide che s’allargavano rapidamente a babordo ed a tribordo, tracciando un solco smisurato e spumeggiante.

In capo a mezz’ora aveva ormai guadagnato considerevolmente sull’incrociatore. Questi però, quantunque dovesse essersi accorto che non poteva gareggiare con quella piccola nave, non aveva sospeso l’inseguimento, anzi tutt’altro. Si era posto bravamente in caccia bruciando tonnellate di carbone e coprendosi di fumo e di scintille. La cannoniera o torpediniera che fosse, lo aveva già raggiunto e lo seguiva a breve distanza.

Il labirinto de las Doces Leguas non era più lontano. Al di là della barriera delle isole si vedevano già apparire i primi isolotti e le prime rocce le quali dovevano in breve diventare numerosissime.

L’Yucatan avrebbe potuto tagliare la barriera approfittando di uno dei tanti passaggi, non volendo però correre il pericolo di esporsi ad un arenamento, voleva raggiungere prima il canale dell’Est, più comodo, più conosciuto e quindi meno da temersi. [p. 249 modifica]

Non era che questione di una mezz’ora sola, con quella velocità straordinaria che aumentava sempre. Il loche aveva segnato già venticinque nodi e sei decimi.

Alle otto, mentre la velocità raggiungeva il massimo di ventisei nodi, l’Yucatan si avventurava audacemente nel passaggio dell’Est, un canale ampio che si apre verso l’estremità orientale di quella lunga barriera d’isole e che serpeggia fra il labirinto de la Doces Leguas.

Non essendo prudente mantenere quella velocità straordinaria, fu dato il comando in macchina di rallentare, poi la marchesa si mise in persona alla ruota del timone con a fianco Cordoba.

L’incrociatore e la torpediniera non si vedevano più, essendo rimasti nascosti dalle isole, però era convinzione di tutti che non si fossero arrestati, anzi che continuassero attivamente la caccia.

Poco però importava ormai a Cordoba ed alla marchesa, avendo la certezza che almeno la grande nave non avrebbe osato impegnarsi nel labirinto.

La torpediniera non avrebbe certamente mancato di avventurarsi essendo di poco tonnellaggio, ma per essa vi erano il pezzo della torretta e gli hotchkiss.

Il labirinto stava dinanzi all’Yucatan. Era un vero caos di isolette d’ogni dimensione e d’ogni forma, alcune splendide per vegetazione, altre alte, diroccate, aridissime, calcinate dal sole; di lunghe barriere di scogli che correvano in tutte le direzioni, che formavano centinaia di baie microscopiche capaci di dare ricetto ad una nave di piccolo tonnellaggio od a qualche dozzina di barche; di banchi e di bassi ed alti fondi sabbiosi, circondati di scoglietti a fior d’acqua, acuti come lame di coltelli e tremendi per le carene delle navi.

Un fragore assordante veniva da quell’ammasso d’isole e scogliere, causato dalle ondulazioni prodotte dalla marea. L’acqua rumoreggiava dovunque, frangendosi e rifrangendosi contro le rupi e tuonando sordamente entro la baia o entro le caverne marine scavate dall’eterna azione dei flutti.

La marcia del Yucatan era rallentata. La Capitana lo guidava con estrema prudenza poichè un colpo di timone male dato sarebbe stato sufficiente a mandare la piccola nave su qualche bassofondo o sulle punte rocciose che emergevano dovunque, come bestie malefiche in agguato.

Mastro Colon con due marinai, scandagliava senza posa le acque, gridando incessantemente:

— Sette piedi... cinque piedi a babordo... poggiate... otto piedi... orzate, signora!... Attenta la Capitana!... Scogli a tribordo!... —

Donna Dolores eseguiva celeremente e con mano sicura, i comandi del mastro. Cogli sguardi fissi sulla prora per non perdere di vista un solo istante il tortuoso canale, stringeva nervosamente la ruota del timone, non mantenendola ferma un solo secondo. [p. 250 modifica]

I marinai, allineati lungo le murate, scrutavano l’acqua per scoprire i bassifondi e venivano in aiuto del mastro, segnalando gli scoglietti le cui punte talvolta parevano che sfiorassero lo scafo della nave.

Ad un tratto Cordoba, che si teneva aggrappato alla grisella di babordo dell’albero maestro per meglio dominare il canale, gridò:

— Macchinista!... Stop!...

— Cos’hai, Cordoba? — chiese la marchesa, mentre le eliche battevano rapidamente l’acqua in senso inverso per arrestare lo slancio del Yucatan.

— Vi è laggiù un rifugio che fa per noi, — rispose il lupo di mare. — Sarà un ottimo nascondiglio.

— Vuoi arrestarti qui?...

— Lo credo necessario, donna Dolores. Chi ci assicura che usciti dal labirinto non ci troviamo dinanzi a qualche altra nave?

— L’avevo pensato anch’io, Cordoba.

— A babordo vedo un canale che conduce in mezzo ad una barriera di scogli e d’isolotti. Vi deve essere una specie di lago, la carta del labirinto lo indica.

— Vi sarà acqua bastante nel canale? La marea è bassa in questo momento.

— L’acqua è molto azzurra, donna Dolores, e ciò indica che deve esservi una profondità notevole.

— Una parola ancora, Cordoba. Non verremo bloccati?...

— Uhm!... Non lo credo. Il labirinto è vasto ed ha molte uscite e poi credo che gli americani non abbiano molto tempo da perdere per occuparsi di una piccola nave.

— Sia, Cordoba, ma la torpediniera?

— Non ci troverà tanto facilmente.

— Andiamo nel canale, adunque, — concluse la marchesa. — Colon, scandaglia sempre.

— Non temete, Capitana, — rispose il mastro.

L’Yucatan riprese le mosse lentamente, quasi passo a passo, essendovi in quel luogo numerose scogliere e molti bassifondi. Stava per cacciarsi nel canale segnalato da Cordoba, quando in lontananza si udì a rimbombare una formidabile detonazione che si ripercosse fragorosamente fra le scogliere e gl’isolotti.

Un istante dopo si udì in aria come un ronfo metallico che cresceva con rapidità prodigiosa, poi uno scoppio tremendo che fece diroccare la sommità di uno scoglio situato a cento passi dalla poppa del Yucatan.

Carramba!... — esclamò Cordoba. — Deve essere una granata d’acciaio di quarantacinque chilogrammi. Gli americani abbondano troppo!...

— E quello che è peggio, questo colpo significa che l’incrociatore ci ha seguiti, — disse la marchesa.

— Fra poco noi saremo fuori di tiro, donna Dolores. Quel proiettile non poteva andare più lontano. Ah! Eccolo!... — [p. 251 modifica]

In quel momento l’Yucatan passava in un punto che rimaneva quasi scoperto.

Le isole e le scogliere per una strana combinazione, lasciavano aperto un canale lunghissimo da cui si poteva dominare il mare libero, un canale però che doveva essere assolutamente impraticabile, essendo interrotto da una moltitudine di banchi e di scoglietti.

Attraverso a quello squarcio, la marchesa e Cordoba poterono scorgere, ad una distanza di sei miglia, il grosso incrociatore, il quale doveva essersi fermato dinanzi all’entrata del labirinto, all’estremità del canale dell’Est.

Quasi subito una seconda detonazione, più formidabile della prima, si distese sul mare, poi in aria si udì il ronfo metallico che annunciava l’avvicinarsi d’un proiettile di dimensioni non comuni.

La palla passò sopra la piccola nave e andò a demolire la cresta d’una roccia, poi piombò in acqua sollevando una colonna di spuma.

— Palla da 24, — disse Cordoba. — Ci salutano con centoquarantasette chilogrammi di ferro!... Troppa roba, cari yankees!... Serbate quei proiettili per le corazzate!... —

Un terzo sparo echeggiò ma il proiettile non giunse questa volta fino all’Yucatan. Lo si vide scoppiare trecento metri al di là del canale, facendo volare in aria un turbinìo di macigni.

— Tornano alle palle esplodenti, — riprese Cordoba colla sua solita voce scherzevole. — Deve essere uno shrapnel da 9; fanno ora economia quei cari yankees. Troppo tardi, amici carissimi!... Tempo sprecato!... —

L’Yucatan avendo trovato acqua più che sufficiente pel suo scafo, si era slanciato in quel nuovo canale, mettendosi al riparo dei colpi dell’incrociatore.

A tribordo si estendevano delle lunghe catene di scogliere assai alte ed assai massicce che lo coprivano completamente contro quegli enormi proiettili.

Il canale continuava a serpeggiare, prolungandosi in mezzo a quel caos d’isolotti e di bassifondi. Colon ed i suoi marinai erano costretti a scandagliare senza interruzione, per tema che le acque improvvisamente venissero meno o che sotto si stendesse qualche banco.

Per un’ora l’Yucatan s’avanzò penosamente fra quei pericolosi ostacoli, poi tutto d’un tratto si trovò in una piccola baia quasi circolare, rinchiusa da un’isoletta verdeggiante e da alcuni gruppi di scogliere dove l’acqua era tranquilla come quella d’un lago.

Due sole aperture servivano di passaggio: il canale che la nave allora aveva seguito ed un altro che pareva si dirigesse verso il nord, serpeggiando fra il lembo occidentale del labirinto.

— Stop!... — gridò Cordoba.

Le due eliche si arrestarono, poi turbinarono in senso contrario, mentre a prora veniva lasciata cadere l’àncora di babordo. [p. 252 modifica]

— Donna Dolores, — disse il tenente, stringendole la mano. — Io credo che nessun pilota della marina messicana avrebbe osato dirigere una nave fra queste scogliere come avete fatto voi.

— Sono la Capitana dell’Yucatan, — rispose la marchesa, ridendo. — Spero che sarai contento della tua allieva.

— Mille tuoni!... Un’allieva che è diventata ormai una famosa lupa di mare?... I lupi possono andare a nascondersi. —