La cieca di Sorrento/Parte terza/XIII

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XIII. Le tenebre

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XIII.


le tenebre.


Diamo di presente al lettore talune necessarie spiegazioni rischiarative di questo inatteso attentato.

Allorchè il cav. Amedeo (che ora sappiamo essere quella stessa persona che si presentò nella curia di Tommaso Basileo per indurre [p. 204 modifica]Gaetano a furare ii testamento), allorchè il cav. Amedeo ricevette dal commesso del notaio il convegno pel domani, presso le gradinate dell’Orto Botanico, per ricever da quello il testamento all’anima e consegnargli le cento piastre di promesso guiderdone, non mancò, siccome fino ciascuno immaginarsi, di trovarsi al sito indicato, verso le ventitrè ore italiane, secondo che convenuto si era tra lui e il giovine scribente della curia. Ma indarno aspettò quivi fino al cader della notte, perciocchè il commesso non venne. In quella medesima ora, Gaetano, se i nostri lettori sel ricordano, tornava in sua cosa col denaro ricavato dalla vendita di un gioiello, e trovava, dopo fracassata la porta, estinta la nonna. È chiaro che Gaetano, cui la Provvidenza avea posto sottocchio la lettera del genitore, sicuro oggimai di aver nelle mani un documento che lo avrebbe arricchito, non si era dato più alcun pensiero d’involare il testamento che gli potea fruttare soltanto qualche centinaio di piastre. Anzi, dobbiam dire che, nello scompiglio in cui lo avea gettato la scopritura della lettera, avea dimenticato interamente la faccenda del signore dal nastro rosso. Pochi giorni di poi, Gaetano abbandonava Napoli, e postergava tutte le funeste ricordanze della sua prima giovinezza.

Intanto il domani del giorno in cui avea inutilmente aspettato, il cav. Amedeo si portava di bel nuovo alla curia di Tommaso Basileo, che trovò chiusa; vi ritornò il giorno appresso, e [p. 205 modifica]parimente rinvennela barrata; e così per molti giorni consecutivi, il cavalier Amedeo, sospettoso di qualche funesta avventura accaduta al giovin commesso, ricercò della cagione, per la quale la curia rimanea chiusa, e gli fu detto che da oltre una settimana notar Basileo era gravemente infermo, e che il suo commesso era sparito, non si sapea per dove e per qual motivo.

Santoni vivea nella più ambasciosa incertezza per non poter conoscere se il testamento era stato involato: gli ricorreva spesso alla mente il pensiero che il commesso non si fosse valuto dell’istrumento per venderlo alla giustizia: pensava a tante cose che il rendevano insonne e smanioso, e ogni dì il suo carrozzino attraversava il vicolo dov’era situata la curia.

Un mattino la curia era sbarrata... Amedeo respirò, e, dato un balzo dal suo carrozzino, fu dentro.

Un uomo sedeva alla scrivania, ma non era Gaetano...

Un sudor freddo bagnò la fronte del signorotto, e dimandò al nuovo commesso:

— Di grazia, è ammalato forse quel giovine che occupava non è guari il posto che voi occupate presentemente?

— No, il notaio lo ha congedato.

— Qualche mancanza forse?...

— Un delitto, o signore.

— Un delitto! Cielo! e quale?

— Un furto. [p. 206 modifica]

— Un furto! per bacco! Ha involato forse del denaro?

— Così dicono, ma il notaio non ha voluto, o, per meglio dire, non ha potuto rivelar niente, perocchè ei giace nel letto gravemente infermo...

— Ah! il vostro principale è infermo! E che male ha?

— Sfido a saperlo!... Egli non vuol farsi visitare da nessun medico... è ammalato dal giorno che ha licenziato il suo commesso... Se lo vedeste com’è rifinito!... è una larva... molte volte ha il delirio; dice tante cose strane... bizzarre... Pare che la somma di ventimila ducati gli- abbia stravolto il cervello; a qualunque dimanda ei risponde: ventimila ducati. Se a sua estrema povertà non fosse nota in tutto il quartiere, si potrebbe sospettare che il commesso gli abbia involato per lo appunto questa somma. D’altra parte, se ciò fosse, in qualche momento di lucido intervallo di ragione, egli avrebbe rivelato alla giustizia l’enorme furto commessogli dal calabrese.

— E credete, domandava Amedeo, credete che il vostro principale potrebbe morirne?

— Eh!... Non mi pare difficile... o, se campa, credo che la sua ragione darà uno sgambetto al cervello, e se ne andrà ai regno dei pazzi.

— E ditemi, di grazia, siete voi che ora menate innanzi le sue bisogne?

— Per lo appunto.

— Ed avete per conseguenza la consegna di tutte le schede? [p. 207 modifica]

— Sì; la Camera Notariale mi ha facoltato a supplir notar Tommaso.

— Abbiate dunque la bontà di trovarmi l’atto originale d’un testamento formato nell’anno 1745.

E Amedeo gli diede le indicazioni necessarie.

Il nuovo commesso, per nome Domenico, si apprestò a fare la volontà del cavaliere.

— Cospettone! sciamò Domenico, l’armadio è aperto!.. Un incartamento è qui spiegato!!... è questo appunto il vostro testamento, signor cavaliere.

— Il mio!

— Forse notar Basileo, soggiunse il commesso, dovette riveder qualche cosa in questo atto originale.

— È probabile, disse Amedeo che si sentiva sollevato da un peso mortale.

— Ebbene? che cosa vi occorre di sapere, signor cavaliere?

— Nulla! mi occorre di avere nelle mani questo testamento... Ecco di che compensare il vostro silenzio.

E ciò dicendo, gittava sulla scrivania una borsa, che diede un suono acuto e nuovo alle orecchie di Domenico... Era zeppa d’oro.

Il commesso restò trasognato.

— Non abbiate scrupolo alcuno, ripigliò subitamente Amedeo, nè timore per la vostra persona...

Domenico guardava la borsa con occhi di fuoco. [p. 208 modifica]

— E questa borsa... questo danaro, ei diceva, voi me lo date... me lo regalate, non è vero?

— Quest’oro è vostro, e il testamento è mio... slegatelo, mio caro.

Domenico tagliò macchinalmente il filo che ligava quell’atto originale alle altre scritture... Amedeo s’impadronì dell’istrumento.

— Non temete per notar Basileo, diceva il cav. Amedeo con sorriso di gioia, chi sa!... la natura gli risparmierà i ferri...

E Amedeo saltava sul suo carrozzino, lasciando il commesso più in cielo che in terra.

Pochi mesi dopo, notar Tommaso Basileo era condannato ai ferri dall’alta Corte Criminale... Ma quando la sentenza fu pronunziata, notar Basileo più non era nel numero dei viventi — Quasi contemporaneamente, un’altra sentenza del tribunale civile investiva il cav. Amedeo Santoni del feudo in Sicilia, dopo una lite di moltissimi anni.

Tutta questa storia era interamente ignorata da Gaetano, il quale nel tempo in cui simili cose accadevano si trovava nell’alta Italia — Nel giungere a Sorrento, dopo quattro anni di assenza da Napoli, egli avea riconosciuto nel fidanzato di Beatrice Rionero l’uomo che gli avea fatto la proposta del furto del testamento; ma il cav. Amedeo non si era minimamente ricordato delle fattezze di Gaetano, nè avrebbe mai potuto supporre che nel medico inglese Oliviero Blackman si nascondesse il commesso povero e succido della curia di notar Basileo — [p. 209 modifica]S’immagini adunque il lettore la sorpresa del cavaliere, allorchè Gaetano gli palesò di conoscere il fatto del testamento, fatto che Gaetano non sapea compiuto, ma che divinò dal turbamento del suo rivale.

Amedeo suppose che per una funesta combinazione o per secreto motivo Domenico avesse rivelato il tutto all’Inglese; e si vide perduto.

Già, pria che Gaetano gli avesse detto di conoscere il fatto del testamento, il cav. Amedeo, dopo la scena accaduta nel salotto di Rionero a Sorrento avea giurato di sacrificare l’aborrito Blackman alla sua vendetta... Egli avea veduto quest’uomo levarsi qual tremendo ostacolo agli ambiziosi proponimenti che avea fabbricati sul matrimonio con Beatrice, e non sapea portar l’idea che un uomo brutto, straniero, di modi selvaggi, fosse caduto dal cielo per rapirgli un brillante avvenire, in seno del quale stava per slanciarsi con tanto prospera fortuna.

«Oliviero Blackman morrà per mano ignota... misteriosa... La sua morte sarà attribuita ad un assassinio nello scopo di rubarlo... Una volta rimosso questo ostacolo, il tempo, l’assiduità, la mia ipocrisia faranno il resto; e Beatrice Rionero sarà mia... Questi Inglesi si battono come diavoli... D’altra parte... che sciocchezza sarebbe il morire per una donna che io non amo... e poi per una cieca! per una stupida creatura, che mi preferisce un Blackman!... un mostro, un ignobile maniscalco inglese...!»

Queste parole rimasticava il Santoni sdraiato [p. 210 modifica]su i sofà de’ vaggoni di prima classe della strada di ferro... Egli tornava a Napoli, dopo la scena violenta avuta con Blackman a Sorrento, e dopo che dato gli avea convegno pel domani nel suo appartamento alla strada Nardones.

Maturato ben bene l’infernale disegno di fare assassinare Oliviero Blackman, Amedeo ne affidò l’esecuzione a tre esperti sicari, de’ quali egli si era servito altre volte per infami dissolutezze.

Tutto era ponderato a puntino... tutto era stato concertato con diabolica sagacia, e niente altro mancava al compimento della malvagia rete che la venuta di Blackman.

Amedeo, per un resto, non diremo di scrupolo, ma di prudenza, avea combinato con uno dei suoi sicari, che, non sì tosto il Blackman sarebbe salito sull’appartamento, si fosse quegli fermato in istrada per ricevere un comando deffinitivo dell’assassinio.

I lettori ricorderanno che, entrando Gaetano nel gabinetto del cavaliere, un uomo ne usciva... Questi era colui che doveva aspettare il cenno deffinitivo, e che, per non farsi conoscere dalla sua vittima, gli fece un profondo inchino sotto la bussola, affinchè Blackman non avesse potuto osservarne le fattezze del volto.

Noto è parimente il dialogo tra il cavaliere e Gaetano.

La rivelazione fatta da quest’ultimo dette il colpo di grazia alla rea determinazione del Santoni; onde, quando Gaetano fu in istrada, il cavaliere, fattosi alla finestra, faceva col [p. 211 modifica]capo un movimento affermativo ad un uomo che, decentemente vestito, non aveva cessato di guardar su con ismania crescente d’impazienza.

E quando ebbe avuto quella riconferma, il sicario si mosse verso Gaetano, che stava per montare nella carrozza, ed il pregò, com’è noto, di salvargli uno zio moribondo.

Si osservi eziandio che, per maggior sicurezza ed agio di commettere il delitto, si era scelto un luogo cui la carrozza non potea pervenire... Il cocchiero, se non altro, avrebbe conosciuto il sito dov’era entrato il medico... E tutto rimaner dovea profondo mistero.

Gaetano dovea scomparir dalla faccia della terra, senza lasciare indizii della sua morte.


Gaetano ricevè due colpi di pugnale alle spalle. Le tenebre erano densissime come nelle profonde visceri della terra... Egli gittò un grido soffocato di rabbia, di dolore, di sorpresa, e, voltatosi con indicibil prestezza, quasi contemporaneamente al ricevere i due colpi, afferrò le due braccia che glieli aveano vibrati, e le strinse con forza convulsiva.

— Un colpo è sbagliato... e l’altro non è mortale, il medico disse con sorprendente freddezza e lucidezza d’intelletto... Giù le armi, vilissimi assassini.

Ciò dicendo, con forza colossale diede una scossa alle due braccia che avea impugnate, ma i due pugnali non caddero a terra.

Ebbe luogo allora una lotta tremenda... Gaetano non abbandonava le due braccia [p. 212 modifica]che, ma due altre braccia erano libere, e toste egli si sentì stretto alla gola da due pugni di ferro... e la sua respirazione fu interrotta.

Era finita per lui!... Pochi altri secondi, ed altre tenebre lo avrebbero circondato nella eterna loro caligine, le tenebre della morte... Egli sentiva scoppiarsi il petto e il cervello... la soffocazione il vinceva, nè potea difendersi, perocchè, se abbandonava uno delle braccia dei suoi nemici, lasciava libero il proprio petto a un pugnale...

In un momento un grido lacerante si fa udire... Uno degli assassini è ferito... mortalmente ferito.

Uno de’ due sicarii, fatto uno sforzo inaudito, era pervenuto a sprigionare il suo braccio; tosto egli avea vibrato un colpo; ma invece di ferir Gaetano, avea trafitto il fianco dell’altro sicario.

L’assassino era caduto...

Gaetano avea questa volta libero il braccio destro, sel cacciò immantinente nella tasca, afferrò una delle pistole, e puntatala sul petto dell’altro avversario che ancora cercava di soffocarlo, scattò il grilletto... Una costola dell’assassino era infranta... Ma Gaetano era caduto anch’egli privò di vita, imperocchè l’assassino, nel ricevere il colpo, aveagli stretto la gola con tanta forza che l’infelice sentì il sangue affogargli il cervello... e cadde come morto.

Non sapremmo dire quanto tempo ei rimanesse nello stato cadaverico... Il sentimento della [p. 213 modifica]vita gli tornò col sentimento del dolore, che la sua ferita sotto la scapola erasi inasperata per l’eccessivo freddo ed umido che si pativa in quella specie di caverna.

Nel ridestarsi ci si trovò gittato sovra il cadavere di uno de’ suoi assassini... Le tenebre erano fittissime, e non era possibile sapere se era giorno o notte.

Gaetano si alzò in piedi... Ei risentiva ancora alla gola l’impressione dolorosa delle dita che lo avrebbero senza meno affogato senza un prodigio della Provvidenza... e la ferita alla spalla gli dava uno spasimo infernale.

Ma in questo momento, più del dolore della ferita, dominava in lui il pensiero di trarsi fuori di quella tomba... Cercò di richiamarsi lo idee e le ricordanze, ed appunto ricordò che pochi passi egli avea fatti quando era entrato col suo assassino in quella caverna... l’uscita non dovea esser lontana.

Gli sarebbe bastato un poco di luce per cavarsi fuori d’impaccio, e trovò subito il modo di proccurarsela... Si ricordò che egli avea nella tasca un’altra pistola carica a quattro colpi (una eragli caduta nel cader che egli fece a terra), la trasse tosto, e tirò un colpo...

Questo lampo non gli fece distinguere altro se non che la tomba nella quale ei trovavasi: una specie di antro nero e fuliginoso scavato sotto un monte e zeppo di schifosi animali, i quali, allo scoppio dell’arma, erano fuggiti in tutti i versi, strisciando su quell’umida terra... Ma nessuna porta era apparsa, nessuna [p. 214 modifica]uscita; sicchè Gaetano sì trovò nello stato primiero.

Egli sparò un altro colpo per ritrovare l’altra pistola, e col fatto quel getto istantaneo di luce bastò per fargliela vedere giacente a fianco del cadavere dell’ultimo che egli avea morto... Il medico la raccolse, e questa volta avea cinque altri lampi che poleangli forse servire a rintracciare l’uscita di quel l’orrido speco.

Ogni volta che si accingeva a scattare un colpo, ei cambiava la direzione del proprio corpo, ad oggetto di osservare tutt’i punti di quell’antro.

Sparò due altri colpi, l’un dopo l’altro, ma inutilmente! Le tenebre lo investivano più tremende, più mortali...

Gaetano cominciò a tentare con la mano quelle mura, non ostante il ribrezzo che gl’ispiravano i succidi animali che gli scappavano sotto le dita; proccurò di studiare la posizione.... Dopo alquanti passi, urtò col capo contro la volta, e fu costretto a chinarsi per poter procedere nelle sue ricerche.

Le mura non cedevano affatto.... dappertutto la stessa sepolcrale immobilità!!

La disperazione cominciava a stringere il cuore di Gaetano... ma egli non voleva esaurire gli ultimi tre colpi di pistola che gli rimanevano; erano le ultime speranze di salvezza.

La ferita all’omero gli dava cruccio mortale; l’umidità gli era penetrata nel midollo delle ossa.... le tenebre gli pesavano come piombo sulle palpebre... Nella sua disperazione gli corse [p. 215 modifica]alla mente un pensiero tetro... infernale! Due altri colpi doveano servirgli a tentare l’uscita di quella tomba... e l’ultimo colpo dovea servirgli ad abbreviargli le torture d’una morte lenta e atroce.

Questo pensiero impertanto si andò perdendo nella immagine di Beatrice, la quale apparsagli come vinta dall’infame seduzione del cav. Amadeo... E questa idea pose nell’animo di Gaetano il desiderio ardentissimo della vita, imperocchè la sua morte avrebbe esaudito voti di quello scellerato... Ei richiamò tutta l’energia della sua volontà; si accinse freddamente a prendere una risoluzione qualunque.

Un’idea gli corse alla mente, ed il fece palpitare di speranza... si cacciò la mano nella tasca, ne cavò il taccuino, prese dal taccuino una carta... una cambiale... la ravvolse a bacchetta... l’accostò alla canna della pistola, e sparò.

La Provvidenza lo aveva favorito... La carta si accese... Una somma enorme era sacrificata, ma la sua vita era salva.

Gaetano capovolse la carta per farla meglio accendere, e in pari tempo altre carte estrasse dal taccuino per sovvenire alla prima quando si sarebbe consumata... Nella ebbrezza della speranza egli non si curò di gettar gli occhi sulla polizza che andava parimente perduta...

E si pose a guardare con avidità all’intorno di sè...

Dapprima nulla vide, ma indi a poco si accorse che uno dei due cadaveri degli assassini [p. 216 modifica]era caduto in modo che col capo e con le spalle covriva due gradini... Gaetano respirò..... rimosse il cadavere da quel luogo, e sollevò la carta accesa che avea nelle mani.

Quelle gradine menavano ad uno stretto corridoio, in fondo al quale era una porta bassa... Ei si ricordo che quando venne introdotto in quella specie di sepoltura, gli fu ingiunto di abbassar la testa e di scendere per quelli due gradini...

La carta accesa, epperò la luce durò appunto tanto quanto bastò a Gaetano di sgangherare il pesante lucchetto, e aprir quella porta... Nell’uscir che ei fece, l’aria esterna e tepida gli rifluì sul cuore un torrente di gioia, come se veramente fosse uscito da una tomba...

Era notte!... Gaetano si trovò bentosto fuori di quel palazzo, dal quale più non doveva uscir vivo... Non ostante l’asprezza della sua ferita, discese precipitosamente l’erta di Betlemme.

La carrozza non si era dipartita.

— Che ora è? chiese Gaetano al cocchiere cacciandosi in fretta nel cocchio.

— Le nove e mezzo, signore.

— Va bene... Ritorna alle Crocelle.

Gaetano era stato in quella tomba circa sette ore.


fine del volume primo.