La crisi dell'infanzia e la delinquenza dei minorenni/Relazione di Scipio Sighele
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Provvedimenti di profilassi sociale per la delinquenza dei minorenni in rapporto specialmente alla filiazione legittima ed illegittima.
(RELAZIONE DI SCIPIO SIGHELE).
Prima di riferire intorno al tema che dalla nostra Sotto-Commissione mi fu assegnato, credo mio dovere dichiarare per debito di lealtà, che ben poco di nuovo potrò esporre e proporre, giacchè il nostro argomento non solo fu già trattato con esauriente ampiezza nella Relazione del cavaliere A. Aschieri pubblicata negli Annali di statistica del 1902, ma da allora fu oggetto di tanti e così varii studî in Italia ed all’estero, che ben può dirsi oggi un argomento di moda.
Non si tratta ormai che di riassumere, coordinare, organizzare il molto che fu detto e scritto, perché finalmente dall’analisi del male si passi alla sintesi che ne proponga la cura, perché dalla teoria sì passi ai fatti. Tale è lo scopo pratico per cui fu istituita la nostra Commissione: e a raggiungere questo scopo, credo giovino la brevità e la chiarezza con cui io mi propongo di adempiere al mio mandato.
Io devo riferire sulle cause famigliari che determinano la delinquenza dei minorenni, e specialmente sulla statistica della filiazione legittima ed illegittima.
Cominciamo da questa.
Consultando il prospetto che qui unisco, si vede che il numero dei nati illegittimi ed esposti va continuamente e regolarmente decrescendo in Italia. Erano 85,904 nel 1887, diminuirono a poco a poco sino alla cifra di 50,571 nel 1907: e mentre nel 1887 si contavano su 100 nati 7.45 illegittimi ed esposti, nel 1907 non se ne contarono che 5.23.
Numero dei nati legittimi ed illegittimi negli anni 1872, 1877, 1882, 1887 e dal 1892 al 1907.
ANNI | Totale dei nati | Nati legittimi | Nati illegittimi ed esposti | Su 100 nati si contavano illegittimi ed esposti | ||
---|---|---|---|---|---|---|
In complesso | Illegittimi riconosciuti | Illegittimi non riconosciuti e di stato civ. ignoto | ||||
1872 | 1,020,682 | 949,775 | 70,907 | 37,062 | 33,845 | 6,95 |
1877 | 1,029,037 | 954,913 | 74,124 | 46,149 | 27,975 | 7,20 |
1882 | 1,061,094 | 981,451 | 79,643 | 50,649 | 28,994 | 7,51 |
1887 | 1,152,906 | 1,067,002 | 85,904 | 50,561 | 35,343 | 7,45 |
1892 | 1,110,573 | 1,032,617 | 77,956 | 45,990 | 31,966 | 7,02 |
1893 | 1,126,296 | 1,048,190 | 78,106 | 45,311 | 32,795 | 6,93 |
1894 | 1,102,935 | 1,028,242 | 74,693 | 43,502 | 31,191 | 6,77 |
1895 | 1,092,102 | 1,021,563 | 70,539 | 40,292 | 30,247 | 6,46 |
1896 | 1,095,505 | 1,025,227 | 70,278 | 40,088 | 30,190 | 6,42 |
1897 | 1,101,848 | 1,031,649 | 70,199 | 41,366 | 28,833 | 6,37 |
1898 | 1,070,074 | 1,002,812 | 67,262 | 38,900 | 28,362 | 6,29 |
1899 | 1,088,558 | 1,021,706 | 66,852 | 39,414 | 27,438 | 6,14 |
1900 | 1,067,376 | 1,003,970 | 63,406 | 37,020 | 26,386 | 5,94 |
1901 | 1,057,763 | 996,475 | 61,288 | 35,465 | 25,823 | 5,79 |
1902 | 1,093,074 | 1,030,543 | 62,531 | 36,394 | 26,137 | 5,72 |
1903 | 1,042,090 | 982,922 | 59,168 | 33,969 | 25,199 | 5,68 |
1904 | 1,085,431 | 1,025,278 | 60,153 | 35,560 | 24,584 | 5,54 |
1905 | 1,084,518 | 1,025,663 | 58,885 | 34,937 | 23,918 | 5,43 |
1906 | 1,070,978 | 1,013,816 | 57,162 | 38,815 | 23,347 | 5,34 |
1907 | 1,062,333 | 1,006,762 | 55,571 | 38,554 | 22,017 | 5,23 |
Non mi fermo nè a scomporre queste cifre, che riguardano tutta la nazione, nelle cifre rispettive per provincie e regioni, nè a constatare che la diminuzione nel gruppo degli illegittimi riconosciuti deve con tutta probabilità la sua causa al fatto che i matrimoni contratti col solo rito religioso vanno diminuendo.
Sono questi, ricerche e problemi che esorbitano dal nostro assunto.
A me importa, per ora, una sola considerazione d’indole generale, ed è questa: poiché, da un lato, le nascite illegittime diminuiscono, e poichè, d’altro lato, la criminalità dei minorenni invece aumenta, non si può — a priori — attribuire all’illegittimità dei natali alcuna apparenza di causa sulla delinquenza in genere e su quella dei minorenni in ispecie.
Per mutare questa considerazione generale in certezza, occorrerebbe — come è evidente — conoscere il dato, tanto importante, della legittimità o illegittimità dei natali dei singoli delinquenti. La notizia è richiesta dalla scheda individuale, ma la nostra statistica giudiziaria non ne tien conto, sia per difficoltà di spoglio, sia perchè il modo con cui la notizia è raccolta non lascia tranquillo lo statistico coscienzioso. E pur inchinandoci di fronte a queste ragioni che legittimano la mancanza del dato importantissimo, io mi permetto, in via incidentale, di esprimere il voto che, con inchieste speciali, la Direzione della statistica possa darci tra breve, almeno per i minorenni delinquenti, il dato che riguarda la legittimità o l’illegittimità della loro nascita. Allora noi potremo con certezza trarre da dati di fatto indiscussi, indiscutibili conclusioni. Per ora, noi dobbiamo star paghi alla considerazione generale cui ho accennato, e che, oltre ad essere logica, è confermata anche da studî e ricerche speciali di autori recenti1. E possiamo quindi, con perfetta tranquillità, concludere coll’Albanel: — I figli naturali e i figli legittimi hanno presso a poco le stesse probabilità di cadere nel male: tutto dipende dal valore morale di coloro che li educano, e dalla natura specifica di ciascuno di essi2.
In altre parole, non è il fatto di nascere legittimamente o illegittimamente che può avere una grande influenza sulla criminalità in genere, e su quella dei minorenni in ispecie; ma sono le condizioni fisiche dei genitori al momento del concepimento, e le loro condizioni morali economiche sociali che hanno influenza sull’avvenire dei figli. Non si tratta cioè di una burocraticamente semplice questione legale di nascere da un matrimonio, o fuori del matrimonio: si tratta di una complessa questione sociale di eredità fisiologica e di ambiente morale. La funzione della riproduzione non può dirsi più o meno fisiologica nelle sue conseguenze, secondo che è compiuta con o senza l’intervento preventivo del sindaco. Possiamo dire soltanto - e assai dolorosamente - che questa funzione (sia essa compiuta legalmente o illegalmente) va sempre più compiendosi nei paesi civili in senso sfavorevole a una vera selezione naturale. Le cause di tale triste fenomeno sono molte e notissime. Sono, anzitutto, i vizî e le malattie — alcoolismo, sifilide, tubercolosi, ecc. — che si trasmettono ereditariamente con tutte le complicazioni e le sorprese della legge d’eredità, e che creano bambini deboli o degenerati.
E’, in secondo luogo, il fattore economico che, premendo sugli altri fattori sociali, peggiora la razza. I matrimoni si combinano senza avere alcun riguardo, o per lo meno lasciando in secondo ordine, le tre grandi condizioni che dovrebbero regolarli: la salute, la simpatia, l’età. Non occorre ricordar prove del danno che produce per la discendenza il trascurare negli sposi l’elemento della salute. Non occorre nemmeno insistere sull’utilità fisiologica dell’elemento della simpatia perchè è noto che i figli dell’amore (ove non concorrano altre circostanze a violare la legge di natura) sorpassano spesso gli altri in bellezza, salute e qualità morali e intellettuali. E quanto al danno che può produrre il trascurare l’elemento dell’età (cioè matrimonii tra vecchi, o tra un vecchio e una giovane) rimandiamo alle statistiche del Marro. Oggi, nelle classi medie ed alte, questi tre elementi sono trascurati, e non si tien conto che della dote e in genere delle condizioni economiche sociali delle famiglie tra cui si vuol concludere un matrimonio; — e da tale trascuranza ha origine, più o meno inconsciamente, la povertà fisiologica dei figli, che è terreno facile alla loro futura miseria morale.
Ma oltre a queste — che potremmo dire cause lontane ed ereditarie — vi sono le cause vicine e sociali. Non soltanto, cioè, è assai scarso il senso di responsabilità nel compiere l’altissima funzione di mettere al mondo dei figli, ma è anche assai scarsa la preoccupazione dell’educazione morale di questi figli, una volta che essi sono nati. Il fattore economico che già aveva fatto sentire la sua deleteria influenza nella decisione del matrimonio e nella scelta del coniuge, la fa maggiormente sentire nelle cure che i genitori devono ai figli. Come, per essere più forti e più liberi, non ci si sposa, o ci si sposa tardi, o si sposa soltanto chi porta nel contratto, non salute giovinezza ed amore, ma danaro, — così, una volta sposati, il matrimonio diventa quasi esclusivamente un’associazione di interessi, dove tutto è subordinato al calcolo, sotto la spinta delle difficoltà materiali della vita.
Nelle classi elevate e ricche — dove il fattore economico non può avere queste conseguenze — altri fattori, l’ambizione, l’egoismo, i cosiddetti obblighi della vita mondana, producono analoghi effetti. Il padre è troppo occupato e preoccupato dei suoi affari e dei suoi piaceri: la madre è troppo presa dalla società, perchè l’uno e l’altra dedichino veramente tutto il tempo che dovrebbero all’educazione dei figli, che essi, per comodità, abbandonano a dei mercenarii. Ed è una strana contraddizione — sulla quale mi piace insistere — che mentre oggi nelle classi ricche si è straordinariamente sviluppato il senso della solidarietà e soprattutto ogni forma di aiuto e di beneficenza verso l’infanzia abbandonata o traviata, si siano invece affievoliti nei genitori ricchi il senso di responsabilità e la cura verso i propri figli. Vi sono infatti signore che lavorano tutto l’anno con fervore in opere di carità, e credono con ciò d’aver esaurito ogni loro obbligo, d’avere, per dir così, acquistato una specie di carta di scusa che le esoneri da altri doveri, dal dovere di preoccuparsi di chi le circonda più da vicino, dei loro bambini, i quali sentono la nostalgia di queste mamme troppo affaccendate e troppo lontane dalla famiglia. Negli ambienti della piccola borghesia e soprattutto negli ambienti operai, la trascuranza — totale o relativa — dell’educazione dei figli, è dovuta non a un atto di volontà, ma ad una necessità. Il padre e la madre che sono tutto il giorno occupati al lavoro, alla fabbrica, nei negozi, non possono evidentemente compiere intero il loro dovere. Ed è uno dei delitti fatali dell’industrialismo moderno, e del conseguente urbanismo, di aver disgregata la famiglia, rompendo quasi a forza quelle abitudini di convivenza che erano la sorgente dei sentimenti più delicati e più intimi, e staccando, per così dire, i genitori dai figli. Anche a questo proposito, mi sembra inutile recare prove statistiche. Tutti sanno che la delinquenza dei minorenni, e in genere ogni forma di immoralità che circonda l’infanzia, sono assai più sviluppate nei centri urbani e soprattutto nei grandi centri, che non nelle campagne, perchè appunto nei centri urbani non solo urge con più imperiosa necessità il fattore economico che tiene i genitori lontani dalla casa, ma anche perchè l’agglomero, la visione di un mondo bello e ricco, e le conseguenti suggestioni al mal fare, costituiscono un gruppo intricato di fenomeni, l’uno dipendente dall’altro, e che tutti insieme contribuiscono allo sfasciarsi della famiglia. Così, per cause diverse, ma disgraziatamente eguali nelle loro conseguenze — sia perchè le classi alte vogliono essere più libere nei loro divertimenti, sia perchè le classi inferiori sono costrette dalla necessità a trascurare il nido famigliare — noi assistiamo a un decrescere continuo dell’importanza e del valore dell’educazione famigliare. Questa si va facendo, in tutti gli ambienti, più fiacca; in alcuni, nei più miserabili, scompare. E come vi è fra i ricchi chi delega a dei mercenari tale dovere, così quelli che vivono del loro lavoro quotidiano devono spesso necessariamente abbandonare il figlio alle cure di estranei o alla strada. Anche dunque senza tener conto degli esposti i quali immediatamente, appena aprono gli occhi alla luce, vengono abbandonati, anche cioè al di fuori di questo che è il fenomeno più acuto di irresponsabilità famigliare e di sconoscenza dei doveri verso i figli, — noi dobbiamo constatare che pur nelle famiglie regolari la responsabilità verso i figli va attenuandosi, sotto una forma di trascuranza.
Anche cioè il bambino che ha una famiglia si sente oggi lontano, estraneo ai suoi, si sente oggi più solo. E in questa solitudine morale, egli diventa per forza più presto uomo, vale a dire egli è costretto ad entrar più presto nella vita, senza l’appoggio, senza l’affetto di coloro che dovrebbero guidarlo nei primi passi e difenderlo. Egli sente cioè troppo presto il contraccolpo dell’esistenza febbrile che ci trascina: perchè, ricco od agiato, mescolandosi alla nostra vita, udendo i nostri discorsi, leggendo i nostri giornali, egli prova troppo presto quelle emozioni che la sua età dovrebbe ignorare e che lo turbano: - povero e abbandonato, egli subisce tutte le tentazioni, tutti i pericoli della miseria e deve lottare contro di essi. Ma la lotta è impari; perchè la sua precocità, se lo fa uomo per i desiderii e per le passioni, non può far]o uomo per la forza e per la costanza. E da questo squilibrio fra la legge di natura e le disgraziate condizioni sociali, scoppia oggi assai più frequentemente che una volta quel dramma che è il suicidio o il delitto dei minorenni. Poichè, come è noto, non solo l’aumento del delitto, ma anche l’aumento del suicidio nei fanciulli è uno dei fenomeni caratteristici della nostra civiltà, è, si può dire, il triste brevetto d’immoralità dell’epoca nostra.
Esposte così — molto sommariamente — quelle che a noi paiono le condizioni famigliari generali della società moderna, crediamo di poter porre come assioma questa pregiudiziale:
Ogni fanciullo che delinque non è che la vittima di un delitto che altri, PRIMA, ha commesso verso di lui.
Questo delitto commesso da altri verso di lui, può essere commesso:
a) inconsciamente, per scarsezza del senso di responsabilità, procreando un organismo che fatalmente, per le condizioni fisiologiche dei genitori o dei loro antenati, dovrà nascere debole od ammalato;
b) per volontario abbandono materiale del figlio (trovatelli);
c) per necessario abbandono (genitori che dalla ferrea legge dell’industrialismo moderno, dovendo chiedere alla fabbrica le ragioni della loro esistenza, sono costretti ad abbandonare per parecchie ore del giorno i loro bambini);
d) per volontario abbandono morale del figlio (genitori che non vedono nella prole che una losca speculazione, e li spingono alla mendicità, al vagabondaggio, al furto, alla prostituzione; — o per una inversione delle leggi di natura li odiano, e l’odio sfogano in sevizie e tormenti).
È evidente che per ognuna di queste quattro categorie di cause — in cui si racchiudono, io credo, tutte le diverse e molteplici origini della delinquenza e della degenerazione dei minorenni — occorrerebbero diversi e molteplici provvedimenti e rimedii.
A)
Quanto alla categoria a) essa considera il problema dal punto di vista più ampio e più lontano: essa richiede una prevenzione sociale nel senso più completo, più rigido, più assoluto, della parola. Per diminuire l’esercito dei delinquenti minorenni che così spaventosamente cresce, noi dobbiamo preoccuparci di loro non già quando sono nati, ma nell’atto in cui li mettiamo al mondo. E ritorna opportuno a questo proposito ricordare la frase di Legouvé, al quale essendo stato chiesto una volta quando, secondo lui, dovesse cominciare la preservazione morale del fanciullo, rispose: Prima che nasca. Sì: prima che nasca, perchè bisogna difendere, non solo il bambino, ma bisogna difendere il nascituro dai nostri vizii, dalle nostre malattie, dalla nostra incoscienza. Come difenderlo? Alla difficile e paurosa domanda sono state date in questi ultimi tempi molte risposte.
Essendo ormai penetrata in tutti la convinzione della fatalità della legge d’eredità, essendo cioè ormai riconosciuto che la discendenza dell’alcoolico, del tubercoloso, del sifilitico, del delinquente nato od incorreggibile, dell’individuo insomma affetto da qualunque tabe trasmissibile, è votata dal destino alla miseria fisiologica e morale, — alcuni proposero di privare i riproduttori malsani degli organi della riproduzione, sostenendo che è logico e giusto strappare alla vipera il suo veleno. Non cito, per brevità, i nomi di coloro che sostengono. questa teoria. Ricordo soltanto che essa non rimase soltanto semplice teoria, ma fu tradotta in pratica. Lo Stato di Indiana (Stati Uniti dell’America del Nord) con legge 9 marzo 1907, capitolo 215, l’applicava per i delinquenti incorreggibili, gli imbecilli ed i pazzi, previo parere di un consiglio di medici. E nel settembre 1908 — secondo riferisce l’ Archiv für Kriminalanthropologie — già 300 castrazioni avevano avuto luogo. E non è l’America sola che ci dà l’esempio di questi audaci sistemi di prevenzione. Anche il Cantone di San Gallo in Svizzera ha discusso una legge simile a quella dello Stato d’Indiana, e se non l’ha ancora approvata, l’ha tuttavia applicata in parte, operando la castrazione di quattro malati nell’Asilo Cantonale di Will (1907) previo, però, il loro consenso e quello dei loro parenti e delle autorità competenti. Altri Stati, pur non osando il rimedio sicuro ed eroico della castrazione, hanno adottato delle misure meno energiche, ma dirette all’identico fine. E seguendo i consigli di alcuni uomini di scienza che vorrebbero sottoporre il matrimonio a certe limitazioni o condizioni, hanno proibito (in modo più o meno assoluto) il matrimonio agli epilettici, ai pazzi, agli idioti, agli ammalati di mali venerei (Stati del Minnesota, d’Alabama, Tennesee, Colorado, ecc.). E si fa strada sempre più l’idea esposta dal Wylm nella sua Morale sexuelle, che gli sposi — prima del matrimonio — siano sottoposti a una visita medica dopo la quale dovrebbe esser rilasciato loro un certificato che li dichiari esenti da malattie trasmissibili. Non è mio compito discutere queste idee, nè esporre in proposito un’opinione giacchè esse esorbitano dal mio mandato. Ho voluto soltanto accennarle come argomento affine a quello di cui mi devo occupare.
B)
Quanto alla categoria b) — vale a dire al volontario abbandono materiale del figlio, cioè alla grande piaga degli esposti — è anch’esso un tema che sarà oggetto degli studî di altro membro della Commissione. Mi piace però ad ogni modo ripetere che le basi per lo studio completo di tale problema che involge tutti i provvedimenti sociali di assistenza all’infanzia abbandonata, furono già poste egregiamente nell’ampia e documentata relazione del cav. Aschieri che ho dianzi citata. Qui, per non invadere un campo altrui, e per non ripetere ciò che è stato già detto, voglio soltanto accennare ad una recente iniziativa privata che fiorisce all’estero (Parigi, Ginevra, Bonn) con ottimi risultati, e che si sta trasportando anche in Italia (Roma, Firenze). Alludo alla creazione degli Asili materni, dove sono accolte dagli ultimi mesi di gravidanza in poi, le fanciulle incinte, promettendo loro assistenza ed aiuto, coll’obbligo che riconoscano il figlio.
Questi Asili materni tentano di rimediare all’ingiustizia e all’illogicità dei nostri costumi, i quali così mal proteggono la maternità quando non è legittima. Da un lato, infatti, togliendo alla fanciulla incinta le ansie morali e fisiche della gravidanza illegittima, e circondandola di un’atmosfera di tranquillità e di pace, questi Asili diminuiscono il numero degli aborti (naturali o procurati), e degli infanticidii, e provvedono a che il bambino nasca in condizioni più favorevoli, non solo di salute fisica ma di ambiente morale; — dall’altro lato, facendo obbligo alla madre di riconoscere il figlio, diminuiscono il numero degli esposti, dei figli di nessuno, e assicurando al bambino l’appoggio della madre, fanno — oltre che opera utile a lui — anche opera morale di riabilitazione per la fanciulla traviata.
C)
Quanto alla categoria c) — cioè all’abbandono dei figli, abbandono necessario cui l’industria moderna costringe per molte ore del giorno i genitori operai — io devo ripetere che è argomento sul quale altri è chiamato a dar relazione e mi permetto solo di ricordare che a risolvere il grave problema parmi mezzo adattatissimo la Casa dei bambini, quale fu ideata ed attuata in Roma dalla dott. Montessori, e cioè: in ogni caseggiato d’affitto per le classi povere, un grande locale dove per tutto il giorno, nell’assenza forzata dei genitori, e sotto la guida di una o più maestre esperte nei metodi e fornite dei mezzi dell’antropologia pedagogica, si accolgano i bambini del caseggiato, si tolgano alla strada e agli incontri incerti e ai mali esempi, e, divertendoli, si curi la loro educazione. La Casa dei bambini è la sapiente e moderna sostituzione dell’asilo infantile, troppo accentratore, troppo confusionario, troppo lontano dalla famiglia3
D)
Accennato così di sfuggita (perchè, ripeto, non era còmpito nostro insistervi) a tre grandi categorie di cause sociali ed economiche della delinquenza dei minorenni, veniamo ora ad esaminare l’ultima categoria, quella che riassume più specialmente le cause famigliari, e che consiste nell’abbandono morale del bambino, nella trascuranza dei genitori verso di lui, o peggio nei mali esempi, nei cattivi trattamenti, nell’abuso dei mezzi di correzione, nelle sevizie.
Il tema sarebbe immenso, ed offrirebbe materia a numerose osservazioni d’indole psicologica.
Per tenerci alla brevità promessa, e per dare alle nostre parole, anziché l’apparenza di una facile declamazione contro un male da tutti conosciuto e lamentato, la rigida esattezza delle cifre, noi vogliamo considerare questo tema dal solo punto di vista dal quale la statistica ci permette di guardarlo. Noi lo esamineremo cioè sotto il punto di vista dei provvedi-
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tuti e provvedimenti per minorenni (Riv. di discipline carcerarie, 1.o gennaio 1910) che è lo schema di un volume che il Franchi stesso sta per pubblicare presso l’editore Sandron di Palermo. menti concernenti l’esercizio della patria potestà, e da questo angolo visuale credo potremo scorgere non solo alcune delle cause famigliari della delinquenza minorile, ma intravvedere anche qualcuno dei suoi più pronti e più imperiosi rimedii.
Come è noto, la Commissione per la statistica giudiziaria deliberava nella sessione del giugno 1901 che fosse provveduto allo spoglio delle notizie statistiche sulla patria potestà.
Queste notizie (per ragioni che è inutile addurre), non furono potute raccogliere che per gli anni 1900, 1901, 1902. Non abbiamo dati posteriori. E tali notizie riguardano i provvedimenti presi:
1.°) per richiamo dei minorenni nella casa paterna (articolo 221 Cod. civ.)
2.°) per allontanamento dalla casa paterna (articolo 222 e seg. Cod. civ.)
3.°) per collocamento dei minorenni in un istituto di educazione e di correzione (articoli 222 e 279 Cod. Civ.).
Riserbandoci di esaminare fra poco particolarmente queste notizie statistiche, osserviamo intanto che esse riassumono — se posso dir così — il movimento dell’indisciplinatezza più grave dei minorenni, e segnano, come un termometro, il grado di irregolarità famigliare, ossia della difficoltà nel còmpito educativo. È evidente, infatti, che quando l’autorità giudiziaria deve intervenire, o per ricondurre alla casa paterna un minorenne che se ne è allontanato, o per allontanarne il minorenne di cui il padre non riesce a frenare i traviamenti, o per collocarlo in un istituto di educazione o di correzione, segno è non solo — e forse non tanto — che il minorenne è sulla via di diventar delinquente; ma anche — e forse soprattutto — che nella famiglia vi è qualche cosa di irregolare, di guasto, la molla dell’educazione che non funziona. Che tale sia la verità lo provano alcune osservazioni che andrò spigolando dalle Relazioni dei Primi Presidenti di Corti d’appello e dei Presidenti di Tribunale, e che appunto perchè provengono da persone che hanno studiato sul vivo il fenomeno, sono di particolare interesse e di non dubbio valore4.
Il Presidente del Tribunale d’Alessandria, per esempio, osserva «che le cause per cui vennero emessi i provvedimenti pel ricovero dei minorenni, il più delle volte, anzichè dall’indole del minore, dipendono dalle condizioni dei genitori, i quali spesso vivono in tali condizioni irregolari, da rendere necessario il provvedimento». Il Primo Presidente della Corte d’appello di Napoli è convinto «che i provvedimenti pel ricovero dei minorenni sono nella maggior parte cagionati dal cattivo esempio dei genitori o di coloro che sono preposti alla tutela dei minorenni». Ed aggiunge che spesso «molti genitori nei quali la miseria o l’ignoranza fa tacere il sentimento più sacro, quello della educazione della prole, hanno la riprovevole idea di collocare i figli in case di correzione, per sottrarsi all’obbligo del loro mantenimento». Il Primo Presidente della Corte d’appello di Venezia espone l’idea che «le indagini naturalmente suggerite dalla domanda di collocamento dei minorenni in un istituto di correzione dovrebbero non solo accertare se il padre sia realmente ridotto nell’impossibilità di metter freno da sè ai traviamenti dei figli; ma dovrebbero soprattutto estendersi alla condotta del padre stesso per conoscere se, e per quanta parte, la mala riuscita dei figli possa attribuirsi a lui, ai cattivi esempi della famiglia».
E senza citare altre frasi e osservazioni analoghe, affermo che da tutti i rapporti dei magistrati traspare la convinzione «dello stretto legame — come si esprimeva un Primo Presidente — fra l’educazione della famiglia e la delinquenza giovanile» e la certezza che «infiniti altri casi, oltre quelli che vengono dinanzi all’autorità giudiziaria, rimangono ignoti: sicchè molti fanciulli crescono nei vizî e si abbrutiscono in una famiglia immorale». Questa immoralità famigliare è più frequente nei centri urbani (come noi osservammo più indietro) e lo dimostra il Presidente del Tribunale di Torino col fatto che di 492 domande di ricovero cui il Tribunale dovette provvedere nel triennio 1900-1902, soltanto 24 riflettevano persone appartenenti a famiglie agricole.
Insieme a queste constatazioni, molti Presidenti lamentano il ritardo con cui vengono eseguite le ordinanze di ricovero, il che — come ben s’intende — toglie ogni efficacia al provvedimento; e appunto per tutte queste ragioni si eleva dai rapporti dei magistrati un ammonimento e un consiglio a riordinare su più salde basi l’istituto della patria podestà, a dare più energica attuazione a certi provvedimenti, a meglio difendere l’infanzia dai pericoli che la minacciano nella stessa famiglia. Ed ecco il Procuratore generale della Corte d’appello di Roma encomiare le disposizioni di quel Procuratore del Re che aveva fatto invito ai Pretori di partecipare alla Società Pro Infantia tutti i casi di procedimenti per maltrattamenti dei bambini minori di anni 12, affinchè essa provvedesse per il loro allontanamento dalla casa paterna, e quando questo fosse avvenuto, si potesse emettere il decreto in base all’art. 221 (2.o cap. Cod. civ.). Ecco il Primo Presidente della Corte d’appello di Milano proporre che tutti i Comitati i quali oggi s’occupano della protezione dell’infanzia vedano le loro nobili iniziative consolidate «da un’opportuna legge che senza pregiudicare le singole autonomie, ne disciplinerebbe la sfera di azione sotto il controllo e la protezione diretta dell’Autorità», ed aggiungere: «sarebbe questa un’istituzione protettrice dell’infanzia quasi corrispondente a quella stabilita dalla nuova legislazione dell’Impero Germanico (art. 1 e 166 Cod. civ.) in virtù della quale legislazione venne istituito in ogni comune dell’Impero un Comitato, cui è demandato di denunciare ai Tribunali i mali trattamenti, o i fatti di abuso di patria potestà o di trascuranza nell’esercizio della medesima. Ecco il Primo Presidente della Corte d’appello di Napoli proporre l’istituzione di un Patronato mandamentale, la cui azione si dovrebbe svolgere in sussidio all’opera del Magistrato nel campo della patria potestà, o — ancor più efficacemente — l’istituzione dei censori mandamentali che dovrebbero avere una speciale sorveglianza sui minorenni e sui genitori, nel senso di constatare la trascuranza dei doveri famigliari e punirla. Ecco infine il Primo Presidente della Corte d’appello di Palermo esclamare: «Come cittadino e come magistrato, mi sia lecito far voti perchè si integri la legislazione che si riferisce all’istituto della correzione paterna, permettendo a speciali Istituti di tutela sociale dei minorenni di togliere ai genitori per un tempo determinato tutti o parte dei diritti derivanti dalla patria podestà, quando i fatti dimostrino una responsabilità da parte loro». E’ dunque la voce di tutti i competenti, è dunque un coro che s’innalza dalla magistratura, per riconoscere le colpe della famiglia, per affermare l’insufficienza della legge e la necessità di immediati rimedî. Valgono assai più, io credo, le osservazioni riferite, che non le aride cifre della statistica. Ad ogni modo, noi riportiamo dalla relazione del comm. Tami il seguente prospetto, riguardante i provvedimenti presi a norma degli articoli 221, 222 e seg. e 279 Cod. civ. Sono i dati più recenti finora raccolti.
Notizie concernenti la persona del minorenne.
ANNI | Numero complessivo dei minorenni pei quali fu provveduto. | Sesso | Filiazione | Età | ||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Maschi | Femmine | Legittima | Naturale | Fino a 14 anni | da 14 a 18 | da 18 a 21 | ||
Richiamo del minorenne nella casa paterna. | ||||||||
1900 | 75 | 28 | 47 | 62 | 13 | 36 | 21 | 18 |
1901 | 63 | 28 | 35 | 48 | 15 | 25 | 25 | 13 |
1902 | 64 | 36 | 28 | 56 | 8 | 30 | 27 | 7 |
Media annuale | 67 | 30 | 37 | 55 | 12 | 30 | 24 | 13 |
Allontanamento del minorenne dalla casa paterna. | ||||||||
1900 | 95 | 34 | 61 | 84 | 11 | 79 | 10 | 6 |
1901 | 132 | 47 | 85 | 111 | 21 | 98 | 30 | 4 |
1902 | 118 | 47 | 71 | 97 | 21 | 82 | 29 | 7 |
Media annuale | 115 | 43 | 72 | 97 | 18 | 86 | 23 | 6 |
Collocamento del minorenne in un istituto di educazione o di correzione. | ||||||||
1900 | 2,022 | 1,552 | 470 | 1,887 | 135 | 1,246 | 680 | 96 |
1901 | 2,143 | 1,700 | 443 | 2,004 | 130 | 1,198 | 854 | 91 |
1902 | 2,173 | 1,702 | 471 | 2,036 | 137 | 1,269 | 797 | 107 |
Media annuale | 2,113 | 1,652 | 461 | 1,976 | 137 | 1,238 | 777 | 98 |
Ci basti far notare che la proporzione tra il numero dei minorenni di filiazione legittima e quello dei minorenni di filiazione naturale è, si può dire, eguale a quella tra i nati legittimi e quelli illegittimi od esposti in tutto il Regno, — il che riprova l’osservazione fatta al principio, non avere cioè l’illegittimità dei natali una visibile influenza sulla condotta dei minorenni.
Più interessante e più utile sarà il conoscere e il commentare i dati statistici che riguardano le privazioni o restrizioni della patria potestà a termini dell’art. 233 cod. civ. ( «.... se il genitore abusa della patria potestà, violandone o trascurandone i doveri...» ).
Privazioni o restrizioni della patria potestà ai termini dell’art. 233 Codice Civile.
ANNI | In totale | Provenienza della domanda | Esito della domanda | |||
---|---|---|---|---|---|---|
dalla madre | da altri parenti | dal Pub.Min. | accolta | rigettata | ||
1900 | 45 | 4 | 11 | 30 | 42 | 3 |
1901 | 36 | 1 | 9 | 26 | 35 | 1 |
1902 | 32 | — | 4 | 28 | 30 | 2 |
Media annuale | 38 | 2 | 8 | 28 | 36 | 2 |
Senza voler turbare questa soddisfazione, io mi permetto di credere che la cura dei rappresentanti del Pubblico Ministero avrebbe potuto essere maggiore, giacché io penso che una media di 38 provvedimenti di questo genere sia troppo misera in un paese di oltre 34 milioni di abitanti, dove i genitori che «abusano della patria potestà, violandone e trascurandone i doveri» sono certamente e pur troppo assai più. Non nego che il provvedimento grave e delicatissimo debba essere preso con tutte le garanzie, quando cioè vi siano circostanze e fatti indubbii che lo suffraghino: non mi nascondo che in provvedimenti di questo genere la prova sia oltremodo difficile: ma affermo che una maggiore oculatezza della magistratura, e soprattutto un più civile e coraggioso esercizio dei propri diritti da parte dei parenti, dovrebbe condurre a poter prendere con più frequenza un provvedimento necessario, che nelle cifre attuali può sembrare inadeguato al suo scopo e irrisorio. E che queste mie osservazioni non siano nè ingiuste, nè severe, lo prova per analogia e con dolorosa e impressionante eloquenza, la seguente statistica delle privazioni della patria potestà in seguito a condanna penale:
Privazioni della patria potestà in seguito a condanna penale.
In totale | all’ergastolo | alla reclusione per un tempo maggiore di 5 anni | per reati contro il buon costume e l’ordine delle famiglie | per abusi dei mezzi di correzione o per maltrattamenti | |
---|---|---|---|---|---|
1900 . . . . | 136 | 48 | 62 | 18 | 8 |
1901 . . . . | 128 | 56 | 51 | 14 | 7 |
1902 . . . . | 72 | 32 | 17 | 15 | 8 |
Media annuale | 112 | 42 | 43 | 16 | 8 |
Come si rileva da questo Prospetto, i casi più frequenti di privazione della patria potestà si riscontrano per le condanne all’ergastolo, le quali — come è noto — importano obbligatoriamente questo effetto penale. Ve ne furono 45 in media all’anno, e se si considera che i condannati all’ergastolo sono circa un centinaio, la cifra appare normale, dato che soltanto una parte dei condannati all’ergastolo si trovano in condizioni tali di famiglia da dover subire anche questa restrizione della loro capacità giuridica.
Ma quando la privazione della patria potestà non è obbligatoria per legge, quando cioè è rimessa al criterio dei magistrati, allora noi ci troviamo di fronte ad una indulgenza che non esitiamo a chiamare scandalosa.
Infatti, come appare dal prospetto riprodotto, sono appena 43 (in media) i condannati a più di cinque anni di reclusione che vennero privati della patria potestà, di fronte a circa 2000 condannati alla reclusione per ugual tempo, — a molti dei quali, come osserva giustamente anche il Tami, potevasi — io direi dovevasi — infliggere la suddetta sanzione. Quella cifra troppo esigua di 43 su 2000, rivela una applicazione assolutamente insufficiente del provvedimento, e fa pensare che i magistrati abbiano troppa inutile indulgenza per i genitori e troppo poca pietà per la sorte dei figli.
Ma v’è di più e di peggio.
Dal nostro prospetto appare altresì che soltanto 16 privazioni della patria potestà furono pronunziate in media all’anno, come conseguenza di condanne penali per reati contro il buon costume e l’ordine delle famiglie. Ebbene: i condannati per questi reati furono circa 1800. Ed è semplicemente enorme che 16 genitori soli su 1800 condannati siano stati colpiti da quella privazione, quando si rifletta che l’indole dei reati contro il buon costume e l’ordine delle famiglie è tale da far non solo presumere, ma dimostrare a priori ed in via assoluta l’incapacità e l’indegnità ad esercitare i doveri della patria potestà.
Nè lo scandalo s’arresta qui: esso ha un’ultima e ancor più grave manifestazione.
Dal nostro Prospetto risulta che le privazioni della patria potestà in seguito a condanna penale per abuso dei mezzi di correzione o per maltrattamenti furono in media 8 all’anno.
Confrontiamo questa cifra di 8 col numero totale degli imputati giudicati per quel titolo di reato.
Ecco le cifre:
Imputati giudicati per abuso di mezzi di correzione e maltrattamenti.
ANNI | Totale | Prosciolti | CONDANNATI | |||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|
in totale | alla reclusione | alla detenzione | ||||||
fino a 6 mesi | da 6 mesi a 3 anni | oltre i 3 anni | fino a 6 mesi | da 6 mesi a 5 anni | ||||
1891 | 480 | 208 | 272 | 82 | 83 | 1 | 103 | 3 |
1892 | 587 | 294 | 293 | 93 | 94 | 4 | 96 | 6 |
1893 | 537 | 230 | 307 | 115 | 112 | 2 | 75 | 3 |
1894 | 598 | 969 | 329 | 120 | 110 | 6 | 87 | 6 |
1895 | 777 | 333 | 444 | 168 | 171 | 9 | 91 | 5 |
1896 | 704 | 344 | 460 | 152 | 198 | 5 | 101 | 4 |
1897 | 796 | 330 | 466 | 143 | 201 | 9 | 101 | 2 |
1898 | 875 | 362 | 513 | 186 | 185 | 11 | 130 | 1 |
1899 | 994 | 436 | 548 | 164 | 249 | 7 | 125 | 3 |
1900 | 1649 | 440 | 609 | 219 | 262 | 11 | 112 | 5 |
Questo Prospetto (fino dall’anno 1897) è tolto dal Rapporto pubblicato negli Annali di Statistica (Atti della Commissione per la Statistica giudiziaria e notarile) 1902. I dati degli anni successivi, che sono gli ultimi raccolti, mi furono cortesemente comunicati dal cav. Aschieri.
Mentre dunque nell’anno 1900, i condannati per abuso di mezzi di correzione e maltrattamenti furono 609, le privazioni della patria potestà in seguito a condanne per questo reato non furono che 8. Noi ci asteniamo da qualunque commento, perchè non sapremmo frenare la meraviglia e lo sdegno.
E osserviamo soltanto che il numero delle condanne per abuso di mezzi di correzione e per maltrattamenti aumenta con un crescendo spaventoso. Da 272 che erano nel 1891, sono a poco a poco salite (e salite sempre regolarmente d’anno in anno il che dimostra che il fenomeno doloroso non è purtroppo un’accidentalità, ma una regola dell’epoca nostra) fino alla cifra di 609 nel 1900: vale a dire che in dieci anni sono più che raddoppiate. E — cosa ancora più grave — sono soprattutto cresciute le condanne più gravi, vale a dire i reati non solo sono aumentati di numero, ma sono aumentati di gravità. Mentre infatti le condanne alla detenzione fino a 6 mesi si mantengono quasi stazionarie intorno alla cifra di circa 100 all’anno, e le condanne alla detenzione oltre i 6 mesi, si aggirano sempre (salvo un’eccezione nell’anno 1897) intorno alla cifra esigua di 3 o 5 all’anno, — le condanne alla reclusione non solo aumentano, ma triplicano nel periodo di 10 anni. Infatti, le condanne alla reclusione fino a 6 mesi, sono salite da 82 nel 1891 a 219 nel 1900; le condanne da 6 mesi a 3 anni, sono salite da 83 a 262, e le condanne, oltre i 3 anni, che erano appena 1 nel 1891, 4 nel 1892, e 2 nel 1893, sono salite a 11 nel 1900.
Di fronte a questi fatti la conclusione appare limpida.
Noi abbiamo dimostrato che sono aumentati, che sono raddoppiati in un breve periodo di tempo, i delitti che dai genitori si commettono verso i figli.
Noi abbiamo riferito opinioni non sospette di magistrati, i quali riconoscono che, per molti segni, il male rivelato in una sola sua parte dalla statistica è ancora più grande e più esteso di quello che le cifre possano fai conoscere.
Noi crediamo perfettamente inutile d’aggiungere a questi fatti e a queste opinioni altre ricerche e altre opinioni di cui sono pieni i libri di sociologia e di psicologia criminale che s’occupano del doloroso argomento.
E malgrado questa piaga che s’estende, noi abbiamo dovuto constatare che la magistratura è fiacca nel prendere dei provvedimenti per la restrizione o la privazione della patria potestà, ed è altresì fiacca o impotente in molti casi a far eseguire le ordinanze di ricovero del minorenne, che furono pronunciate.
Sembrerà quindi logico che le conclusioni che noi ci permettiamo di sottoporre al giudizio della Commissione siano queste: 1.a È necessario che la decadenza o la restrizione della patria potestà siano pronunciate con maggior frequenza, per salvare un maggior numero di minorenni dall’autorità e dall’influenza di genitori indegni. Tale voto con cui si chiede una più grande severità nella repressione, noi lo esprimiamo con serena coscienza, pur avendo in genere poca fiducia nell’efficacia di ogni rimedio che tenda a reprimere, anziché a prevenire. Ma, dai fatti e dalle cifre raccolte, ci sembra avere constatato una così paurosa rilassatezza nella magistratura per ciò che concerne le misure contro chi indegnamente esercita la patria potestà, da autorizzarci a invocare una più sollecita e ferma e severa applicazione della facoltà che la legge accorda ai giudici. Essere giustamente severi significa essere profondamente pietosi, perchè soltanto impedendo al colpevole di nuocere, si può dire d’aver pensato veramente a salvare la vittima. 2a È necessario migliorare, trasformare tutto l’istituto della tutela, che deve appunto sostituire la patria potestà.
E in questo campo, senza fermarci a ricordare i deplorati difetti attuali di tale istituto, ci limitiamo a ripetere la proposta già fatta dall’avv. Bruno Franchi, e cioè che si istituisca, secondo la grande tradizione romanista perfezionata dal diritto tedesco vigente, il giudice pupillare, in luogo delle tante persone, ciascuna delle quali scarica sull’altra i provvedimenti necessarii alla salvaguardia del minorenne, sicchè nessuno fa niente o tutti fanno tardi. 3.a E’ necessario, a complemento dell’istituto della tutela, per integrare e organizzare efficacemente la difesa dei minorenni, creare, sotto una forma che noi non precisiamo, dei Comitati di vigilanza che in ogni Comune abbiano la sorveglianza dei fanciulli abbandonati o maltrattati o trascurati o viziosi o oziosi (candidati tutti alla delinquenza) e che per mezzo di inchieste possano fornire alle autorità competenti o alle società Pro Infantia le informazioni e i modi per procedere con immediata efficacia. Tale voto lo vedemmo già espresso nelle Relazioni di alcuni Primi Presidenti di Corti d’appello: lo leggemmo in molti libri: lo sappiamo applicato — più o meno — in altri paesi. Si tratta di aiutare la legge a poter compiere il suo dovere, quando la famiglia non vuole o non può compiere il suo.
Noi non intendiamo entrare qui nella disputa fra le due tesi contrarie, se cioè il fanciullo appartenga alla famiglia o allo Stato, e quali limiti debbano avere rispettivamente il potere dell’uno e il potere dell’altra. Noi riconosciamo — da un lato — che nel nostro paese v’è ancora una certa ripugnanza a quel sistema pubblico di denuncia che pure è così utilmente applicato altrove da ogni cittadino, per indicare alle autorità non solo, i casi gravi di maltrattamenti e di sevizie compiuti dai genitori verso i figli, ma anche ogni forma di negligenza familiare pericolosa per il bambino. E noi riconosciamo, d’altro lato, che non si potrebbe fondare un sistema preventivo di cura della criminalità giovanile, fondandosi sul rischio di denunce più o meno spassionate e sincere. Ma appunto per questo, chiediamo una organizzazione che offra tutte le garanzie per la ricerca e la conseguente tutela dei minorenni in pericolo morale. L’intervento dei poteri pubblici, in questo modo, è giustificato e legittimo – come sorveglianza dell’esercizio della patria potestà, — perchè serve a mettere in moto la troppo tarda e pesante macchina della legge, la quale da sola, coi suoi attuali organi amministrativi e giudiziarii, si è dimostrata insufficiente a far fronte al male che lamentiamo.
La legge altro non è se non la coscienza di quelli che non ne hanno: e noi chiediamo appunto che con istituzioni adeguate si svegli e si obblighi a far alacre e viva questa coscienza legislativa per proteggere i minorenni, cui manca l’appoggio e la guida della coscienza dei genitori.
Noi per i primi sappiamo che le nostre conclusioni non riguardano e non provvedono che a una minima parte dell’immenso problema: ma come abbiamo già detto, il nostro còmpito era ristretto allo studio delle cause famigliari della delinquenza dei minorenni e ad esso ci siamo attenuti.
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- ↑ (1) Vedavi il volume del DUPRAT, Le criminalité dans l’adolescence. Paris, Alcan, 1909. A Parigi, dove il numero delle nascite illegittime è un quarto di quelle legittime, i cinque sesti dei prevenuti sono figli legittimi.
- ↑ (2) ALBANEL: Le crĩme dans la famille, pag. 15.
- ↑ (1) Vedasi il volume della MONTESSORI sul Metodo dell’antropologia pedagogica (Città di Castello, Lapi, ed. 1909) — e si consulti in proposito anche BRUNO FRANCHI, Le direttive di un piano di organizzazione degli Isti-
- ↑ (1) Vedasi la relazione del comm. Tami (Annali di statistica 1904)