La donna di testa debole/Lettera di dedica

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Lettera di dedica

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La donna di testa debole L'autore a chi legge
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A SUA ECCELLENZA

IL SIGNOR

ALESSANDRO NAPOLION

D’HERAUT

Sergente Generale al servizio della Serenissima

Repubblica di Venezia.


B
ELLA gloria per me, bell’onore per le opere mie, che fra la serie numerosa de’ miei protettori contisi un Eroe Militare del valore e del merito di V. E. Gli elogj che si fanno nelle dedicatorie sogliono essere talvolta sospetti di adulazione, ma io non ho altro di buono nelle mie lettere, semplicemente scritte, che la verità e la moderazione; sicuro che quanto ho detto finora di quelli ai quali sono le opere mie raccomandate, non mi può essere rimproverato di falso, ma piuttosto posso io rimproverar me medesimo di aver detto assai meno di quello che al sangue loro, alle loro virtù e ai meriti loro si conveniva. Questa mia confessione sincera disporrà l’animo di V. E. a leggere quest’ossequiosa mia lettera senza timore di ritrovarla caricata di lodi soverchiamente, e farà sì che il Mondo, dalla verità delle poche cose ch’io saprò dire, potrà molto più argomentare della vostra eccelsa Virtù. Con tanto miglior animo entro a parlar di Voi con moderazione, sapendo di certo che Voi amate più di meritare le lodi, che di conseguirle; e rispetto al Pubblico, avvezzo da lungo tempo a lodarvi, non è d’uopo ch’io mi affatichi a parlar di Voi, poichè le vostre gloriose azioni vi hanno bastantemente fatto conoscere. L’illustre grado con cui la Repubblica Serenissima ha coronato gl’infiniti meriti vostri, ve lo avete acquistato colla fedeltà, e col sangue, e colle fatiche, ed Ella, clementissima Madre de’ [p. 126 modifica]valorosi Figliuoli suoi, sparse ha sopra di voi le sue giustissime beneficenze. Nel secolo oltrepassato l’illustre Genitore vostro, il Colonnello Francesco Napolion d’Heraut, lasciò la Francia, ov era noto e per il sangue, e per il valore, ed al servizio della Repubblica morì gloriosamente in guerra, unitamente a Massimiliano ed Antonio, altri figliuoli suoi e fratelli vostri. Voi principiaste a servire in qualità di Alfiere nella Veneta Armata in guerra viva cogli Ottomani nell’età d’anni tredici, e tanto si rese il vostro coraggio ammirabile, che d’anni sedici foste promosso al grado di Capitano. Sette battaglie in quattr’anni vi hanno indi portato al grado di Colonnello, e in ogni azione, o terrestre o marittima, si è sempre contradistinto il vostro valore non solo, ma la vostra singolare prudenza. Prova di ciò validissima fu la Nave Veneta San Pio V, salvata dal vostro coraggio, dopo 13 ore di combattimento, e dalla vostra prudenza, a fronte di una sediziosa ribellione dell’equipaggio. In occasione di pace, e nei tempi delle Neutralità, furono a Voi appoggiate dal Principe Serenissimo illustri cariche militari in Italia, in Levante, nella Dalmazia, e sostenendo in ogni più malagevole incontro con egual merito le onorate vostre incombenze, foste poi decorato dello specioso titolo di Sergente Maggior di Battaglia. Quanto più le grazie e gli onori vi caricavano, tanto più si aumentava lo zelo vostro per il pubblico buon servizio, ed eccovi finalmente al grado eccelso di Generale. Io non ho fatto sinora che accennar di volo le vie gloriose che Voi calcaste per giugnere a meritarlo, il che vi onora assai più, che se l’aveste molto prima ottenuto, e Voi sarete sempre un bell’esempio a tutti coloro che servono per la gloria, e aspirano al premio molto più che al favore della fortuna. Permettami l’E. V., che trattenendomi dal continuare sul vasto argomento delle vostre lodi, dia luogo ad un pensiero che ora la mente mi suggerisce; dico io a me medesimo, che dirà il Mondo di me, che a un sì valoroso seguace di Marte ardisco offerire il bassissimo dono di una Commedia? Che han che fare cogli Eroi Militari di sì alto grado i teneri amoretti, le scioccherie degli uomini, la critica delle donne? Ad un uomo di sì gran mente, perchè offerire una Donna di testa [p. 127 modifica]debole? L’obbietto che ora mi faccio, me lo suppongo ancora più caricato da chi vuol torcere in mala parte gli altrui pensieri; però mi credo in debito di giustificarmi. Chi ha l’onor di conoscervi e di trattarvi, sa che in voi, unito al valore, fiorisce mirabilmente il sapere; che quanto siete poderoso e forte nelle occasioni di guerra, siete altrettanto gentile nelle conversazioni, e che nei vostri brievi riposi vi compiacete assaissimo della piacevole letteratura. La Commedia per alcuni è fatta per istruire, per altri è fatta per divertire, e quanto è più ridicola, tanto più acconcia è al divertimento di chi ha l’animo in gravi cure occupato. Quante volte, Signore, vi sarete Voi incontrato in Donne di testa debole, infatuate di falsi principj, dottoresse male a proposito? Quanti giovanotti avrete Voi conosciuto ignorantissimi, sciocchi, affettar di sapere, e voler decidere senza verun fondamento? La Commedia che ora vi supplico umilmente di leggere e di ricevere sotto la vostra umanissima protezione, è tanto piena di verità, che spero abbiate da compiacervene. Vedrete in essa un adulatore; e quanti non ne avrete Voi conosciuti? Vedrete un uomo sincero... Ah, di questi non ritroverete gli esempj così comuni, ma lo ritroverete in Voi stesso. So essere la sincerità il pregio vostro più favorito, pregio necessarissimo alle anime grandi com’è la vostra. Il tenero amore è una passione, che non l’ha risparmiata agli Eroi più famosi de’ secoli oltrepassati; rinonziare alle più belle speranze per impulso di una costante sincerità, è tal Virtù che renderà caro a’ vostri occhi il carattere di Don Fausto, e voi sareste capace di fare altrettanto.

Non vi offendo, Signore, se ardisco credervi capace di sentir le fiamme d’amore. I figliuoli di Marte non saranno in questo più forti del Padre loro; ma la vostra prudenza, unita alla vostra civile sincerità, non possono mai abbagliarvi alla vista di chi non merita. Parlo di quell’amore che conviene al grado vostro ed alla vostra Virtù, parlo dell’amor virtuoso, che distinguendo il merito ove risiede, sa fare giustizia ad altri, senza intacco del cuore che lo alimenta. Oh Dio! son tanto avvezzo sentirmi fare delle critiche e degli obbietti, che un altro me ne figuro. Dirà [p. 128 modifica]taluno: perchè divertasi un Uomo Grande col ridicolo di una Commedia, non basta ch’ei la trovi stampata e che si degni di leggerla? A che l’accompagni tu al Cavaliere colla tua lettera? Come ardisci di dedicargliela? Permettami anche per questa fiata V. E., che io risponda a coloro che così parlano. Primieramente le mie lettere non sono Dedicatorie, le mie Commedie non sono opere dedicate. Sono fatte pel pubblico, ed il pubblico le ha vedute. Ora facendole per via del torchio rivedere la luce, ricordandomi delle crisi che sulle scene han passato, non fo che raccomandarle ad una ad una alla protezione di tai Soggetti, che vagliano a difenderle non dalla critica onesta, ma dalla critica maliziosa. Questa Commedia è fortunatissima, toccandole in sorte un Protettore che farà tacere i malevoli a loro malgrado. Voi, Signore, li farete tacere, non con altro che col degnarvi di compatirla. Il giudizio vostro è troppo rispettabile, perchè si trovi chi voglia opporsi. Voi conservate il genio per le belle lettere ereditato da’ vostri maggiori, il di cui nome rispettato è tuttavia nella Francia, ove il Castello d’Heraut ha dato il nome alla vostra Famiglia, illustre per l’antichità, e per le cariche militari e civili in quel fioritissimo Regno sostenute. Napolion fu il nome di un vostro Progenitore, il di cui merito insigne fe passare alla discendenza lo stesso nome, come in Roma ai Scipioni, ai Cornelj e a tant’altri Eroi di quel tempo. Un altro motivo, non meno forte di questo, mi move a scrivere ai padroni ed amici miei simili ossequiosi fogli, cioè per dar loro qualche pubblica testimonianza del mio rispetto, e per corrispondere, a misura delle mie forze, alla benignità che mi usano. V. E. vent’anni sono mi onorò della sua protezione1; nè mai d’allora volle privarmene, anzi in modo particolare me l’ha aumentata coi più amabili segni di amorosa parzialità. Oh quanto far dovrei per corrispondere a sì larga fonte di grazie! Ma il mio scarso talento non mi somministra di [p. 129 modifica]più. So che le anime grandi si onorano col chieder loro le grazie. Una ne chiedo a V. E., che stimo quanto la vita, ed è la permissione ch’io possa in pubblico gloriarmi di essere quale ossequiosamente m’inchino

Di V. E.


Umiliss. Devotiss. Obbligatiss. Serv.
Carlo Goldoni.


  1. Questa lettera di dedica uscì la prima volta nell’aprile del 1757, nel t. I1 del Nuovo teatro comico di C. Goldoni, ed. Pitteri di Venezia.