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La fatica

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Giuseppe Gioachino Belli

1834 Indice:Sonetti romaneschi III.djvu sonetti letteratura La fatica Intestazione 18 febbraio 2025 75% Da definire

Papa Sisto La stampijja der zantàro
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834

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LA FATICA.

     Nun te senti a ssonà cche st’angonia[1]
Da l’abbati cór furmin’a ttre ppizzi:[2]
“Fijji, trovate a ffaticà, ppe’ vvia[3]
Che ll’ozzio è ’r padre de tutti li vizzi.„

     Lòro[4] penzino a ssé: ppe’ pparte mia,
Io l’aringrazzio de sti bboni uffizzi.
Io er giorno accatto,[5] e ppo’ a la vemmaria
Pe’ ddormì, a Rroma, sce so’ bboni ospizzi.[6]

     Jeri anzi un prete ch’è ssempr’imbriaco,[7]
Me fesce:[8] “Ar manco,[9] fijjo mio, lavora
Pe’ ammazzà er tempo.„ Ma io me ne c....

     E jj’arispose:[10] “Sor don Fabbio Spónga,[11]
Ammazzatelo voi, perch’io finora
Vojjo la vita che mme pari[12] lónga.„

9 aprile 1834.

Note

  1. Agonia. “Non ti senti che a ripetere questo mal suono„ ecc.
  2. Fulmine a tre pizzi: il cappello triangolare de’ preti.
  3. Poichè.
  4. Eglino.
  5. Accattare, per semplicemente “questuare.„
  6. Ci sono buoni ospizi. V’è quella fondato dalla matrona romana S. Galla, della famiglia degli Odescalchi, il nome della qual santa difficilmente giungerà a farsi assumere da alcun’altra matrona. Galla qui equivalendo a “civetta, pettegola.„
  7. Ubbriaco.
  8. Mi disse.
  9. Almeno.
  10. Gli risposi.
  11. Spónga (spugna): colui che succia assai vino; ubbriacone.
  12. Mi paia.