La fine di un Regno (1909)/Parte III/Documenti vol. II/XX

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Documenti vol. II - XIX Parte III - Proemio della seconda edizione

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Documento XX volume II, cap. XX.


Vita sociale di Aquila dal 1850 al 1860.1


Uno dei più cospicui ed antichi atenei del Regno, dopo l’università di Napoli era certamente il liceo di Aquila. Con diploma del 25 ottobre 1458 Ferdinando I d’Aragona concesse di potere erigere in essa città uno Studio Pubblico a norma di quelli di Bologna, Siena e Perugia.

[p. 139 modifica]Lo Studio aquilano ebbe varie fasi e anche gloriose nella storia della cultura abruzzese. Dal 1839 al 1860, salvo la breve interruzione del 1848, fu affidato ai gesuiti, che ebbero anche la direzione delle scuole universitarie, che il liceo di Aquila ottenne come quelli di Salerno, di Bari e di Catanzaro, anzi con maggiori cattedre che quelli non avessero.

Parecchie notabilità abruzzesi, in fatto di giurisprudenza e di medicina, furono alunni di quello studio. Basterà solo ricordare Salvatore Tommasi il grande medico e scienziato della medicina.

Gl’Inquisitori dell’Ordine Costantiniano furono in quegli anni: per l’Abruzzo Citeriore, il Barone don Panfilo de Riseis; per l’Abruzzo ulteriore 2°, l’Arcidiacono don Luigi Manieri, con don Ignazio Muzi economo; e nell’Abruzzo ulteriore 1°, il Cav. don Tommaso Castiglione.


Istituti di Beneficenza.


Gl’Istituti di pubblica beneficenza, riconosciuti dal Governo ed esistenti in Aquila, erano i seguenti:

1. Ospedale di S. Salvatore eretto in un locale edificato nel secolo XV da S. Giovanni da Capestrano.

2. Orfanotrofio maschile. Questi due erano amministrati dalla Commissione di beneficenza.

8. Conservatorio ed Orfanotrofio femminile della Misericordia.

4. Conservatorio della SS. Annunziata per le donne pericolanti e penitenti. Questi due erano amministrati dal Corpo dei Nobili Patrizi.

5. Piccolo lanificio, mantenuto con parte del cospicuo capitale di ducati cento mila, legato alla Provincia di Aquila nel 1823 con disposizione testamentaria da Antonio Benedetti. Questo piccolo istituto era annesso al cennato ospedale S. Salvatore, ma dipendeva dall’amministrazione provinciale.

6. Cassa di Risparmio, fondata a privata iniziativa con regolamento approvato da R. Decreto del 26 settembre 1859. Questo istituto dovette forse essere il primo nelle provincie del Napoletano.

Per la intera provincia era l’Ospizio degli inabili e fanciulli poveri, maschi e femmine, eretto nell’antica Badia dei Celestini in Sulmona: nella quale città di Sulmona era anche il ricco ospedale della Nunziata.


Pianoforti.


I pianoforti furono introdotti ben presto in Aquila. Fra le prime famiglie, che li ebbero, vanno ricordate Spaventa e Rivera. [p. 140 modifica]Quest'ultima ne possiede tuttavia uno di pregiato autore non più usato da gran tempo, perchè sostituito da altri moderni.

Negli ultimi anni del governo borbonico, i pianoforti erano comuni non solo alle famiglie della città, ma anche a quelle dei magistrati. E perchè bene si apprendesse la musica, il barone Francesco Antonini, nipote del ministro di Napoli a Parigi, Emidio Antonini, fece venire in Aquila il napoletano maestro Pasquale de Sanctis. La baronessa, che nasceva marchesa Spaventa, era abile suonatrice di piano e di arpa. Altro maestro di piano e compositore, marchegiano, di nome Domenico Michelangeli, fu chiamato dal vescovo Filippi, per ammaestrare alla musica i seminaristi.

Erano quindi frequenti i concerti musicali nelle private famiglie; e le signorine si educavano nell’apprendere la chitarra francese e l’arpa, benchè la vita di società fosse molto ristretta.

E a rammentare le soirées danzanti, che annualmente dava il presidente della Gran Corte Civile, detta oggi Corte d’appello, Michele Zampaglione, il 12 gennaio, pel genetliaco di re Ferdinando II. In tali trattenimenti s’intrecciavano le danze co’ concerti, ai quali prendevano parte signore e signorine aquilane. V’intervenivano le principali autorità, la numerosa magistratura, l’ufficialità e le migliori classi cittadine in uniformi e in decorazioni, perchè solennità di Corte.


Carrozze.


Le carrozze di privati signori, esistenti in Aquila, erano in buon numero, e non minore certamente di quello di Chieti. Tutte si vedevano in gala principalmente il 28 agosto di ogni anno nella gran piazza di Collemaggio, alla mostra delle reliquie di uno de’ Patroni della città, S. Pietro Celestino. In tale funzione era solito accorrere numeroso pubblico non solo dalla città, ma anche da fuori.

I migliori attacchi della città in ogni circostanza eran quelli delle famiglie Rivera, Picalfieri, Spaventa e Mignanelli. Per lo innanzi forse superava tutti coi suoi equipaggi il duca di Paganica, ma essendosi la famiglia di costui trasferita a Napoli, e tornando solo nei mesi estivi nella sua villa in Paganica, negli ultimi dieci anni del governo borbonico non si vedeva più prendere parte ooi suoi equipaggi nelle passeggiate aquilane.


Pinacoteche private.


L’Abruzzo era la sola regione ove esistevano private pinacoteche. Quasi tutte le antiche famiglie aquilane aveano grandiosi palazzi, con ampie sale decorate di pregevoli dipinti, generalmente ammirati [p. 141 modifica]dai visitatori. Di codeste raccolte di quadri meritavano principalmente da notarsi quelle delle case Alferi-Ossorio-Branconio, Rivera, Quinzi e Ciambella. Più interessante e copiosa la galleria De Torres-Dragonetti.

Alle raccolte di oggetti d’arte aggiungevansi nelle antiche famiglia aquilane, raccolte di pergamene e altri documenti riguardanti la storia della città. Il comm. Rivera ne ha molti in sua casa e li va continuamente pubblicando, dal 1889 nel Bollettino della Società Abruzzese di Storia Patria, della quale è benemerito presidente.


Gentilezza aquilana.


“Aquila gentilissima città, più sabina che napoletana, avea frequenti contatti con Roma„. Giustissima riflessione di Raffaele de Cesare. Sarebbe da aggiungere che per tali contatti una gran parte degli abitanti della provincia svolgevano la propria attività e con ottimo successo in provincia di Roma, i cui sudditi per l’indole pigra, e il falso indirizzo del governo pontificio, erano addormentati nell’ozio. Molti di codesti intraprenditori dell’Abruzzo aquilano si stabilivano in Roma a continuare i loro negozi, altri tornavano co’ fatti guadagni. Gli osti e i “bottari„ erano generalmente aquilani, e così il personale delle cucine e scuderie patrizie.

A questi si aggiungevano quelli che dai paesi più freddi della provincia andavano come braccianti a lavorare nella campagna romana nella stagione invernale; e alcuni di essi vi tentavano la fortuna con secondarie imprese, e miglioravano la loro condizione di semplici lavoratori.

Di questi continui contatti con Roma rimane prova evidentissima nel linguaggio molto somigliante al romano, che si avverte non solo nella città di Aquila ma in molti paesi, quali, per citarne alcuni, Pizzoli, Barete Montereale nel circondario di Aquila; Tagliacozzo, Carsoli, Magliano nel circondario di Avezzano; Posta, Borbona, Leonessa, Amatrice, Accumoli nel circondario di Cittaducale.

Altro pregio della provincia aquilana e principalmente del capoluogo era quello della cultura elementare, la quale si è mantenuta tuttavia superiore a quella delle altre provincie del Napoletano. Dall’ultima statistica degli analfabeti d’Italia risulta che la provincia di Aquila ne ha meno, non solo delle provincie meridionali, all’infuori di Napoli, ma meno anche delle provincie di Perugia, Arezzo, Forlì, e di alcune delle Marche.


Intendenti.


In Aquila iniziò la carriera amministrativa nel 1844 come segretario generale (oggi detto Consiglier delegato) il poi rimasto [p. 142 modifica]famoso Luigi dei Baroni Ajossa, (come si firmava); e in marzo 1845 fu elevato al grado di Intendente. Egli non potea accontentare la parte eletta della città, memore della splendida vita di alcuni Intendenti predecessori di nobile nascita, quali furono il principe Capece Zurlo, il principe di Giardinelli, il conte Gaetani dei duchi di Laurenzana. L’Aiossa parti da Aquila, bandita appena la Costituzione del 1848, e nel passaggio per Sulmona fu fatto segno ai più bassi insulti popolari, poichè si giunse persino a gettargli il fango sul viso. Fu sostituito nel periodo costituzionale da Mariano d’Ayala, il quale, dopo i fatti del 15 maggio, fu rimosso di ufficio e parti il 24 giugno di quell’anno 1848.

Gli fu dato per successore in linea dì transizione Michele Bevilacqua, il quale in una circolare del 22 luglio per la rinnovazione dei conciliatori diceva duver cadere la scelta “su i migliori cittadini devoti alla patria ed al governo costituzionale„.

Intanto le repressioni incominciavano; e al Bevilacqua fu dato per successore nel 1849 Nicolò Dommarco, il quale, secondo si raccontava dalle male lingue del tempo, aveva così scarsa cultura, che ignorava affatto il francese e lo imparò in Aquila dal maestro Antonio Sabatucci.

Il Dommarco era un buon reazionario, ma non eccessivo. Lasciava credere a Ferdinando II che egli con la sua inconcussa autorità, manteneva in freno gli Abruzzi; e non risparmiò il buon vescovo Filippi, venuto in Aquila in aprile 1853, e al quale impedì soccorrere con semplici raccomandazioni i sacerdoti ingiustamente perseguitati dalla polizia governativa. Egli aveva un segretario, che si chiamava Cornacchia; e un birro soprannominato Giombini, che ancora si ricorda con paura in Aquila, come si ricorda a Chieti il caporal Piccioni. Il Doinmarco restò fino all’agosto 1859, in cui fu sostituito da Nicola de Giorgio di Lanciano.


Feste religiose.


In Aquila si faceano annuali feste clamorose, ma meno di Chieti. Pur nel 1855 se ne videro tre notevolissime. Una in maggio nel gran tempio di S. Bernardino, per la risoluzione del domma della immacolata Concezione, avvenuta sul finire del precedente anno. Una nella chiesa dei Gesuiti il 21 giugno in onore di San Luigi Gonzaga, col concorso pecuniario della numerosa studentesca. Una in San Giuseppe nella domenica dopo l’ottava del Corpus Domini, con processione, in cui intervennero l’intendente, il sindaco allora Giuseppe Pietropaoli e altre autorità. In tali feste furono grandiosi concerti musicali diretti dal maestro Francesco Masciangeli di Lanciano, morto nel 1906.

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Istituti e Seminari.


Il seminario di Aquila fu meglio ordinato dal vescovo Filippi nel 1853. Fu prescritto che nella istruzione letteraria, la prima classe dovesse essere esclusivamente di italiano, e s’introdusse la grammatica del Mucci, allora in voce di buona novità. Il desiderio del vescovo Filippi di ampliare il seminario diè causa a una notevole questione. Fra l’episcopio e il seminario esistevano alcune antiche case e due piccole chiese appartenenti a una confraternita di Nobili, sotto il titolo delle Pietà. Priore di questa confraternita era il cavalier Cesare Rivera, persona stimabilissima, che essendo da molti anni consigliere d’Intendenza, quando l’impiego solea darsi alle migliori capacità della provincia (non essendovi traslocazioni), seguiti i fatti del 15 maggio a Napoli e sperimentatesi in Aquila alcune aggressioni della truppa sull’inerme popolo e la esonerazione del d’Ayala, in luglio di quell’anno 1848 avea chiesto il ritiro, per non assistere alle repressioni politiche che inevitabilmente sarebbero avvenute. Il Rivera era inoltre persona colta, e lasciò nome di buon poeta latino. Per sostenere i diritti della confraternita e per conservare alcuni pregevoli dipinti a fresco del secolo XV, esistenti nell’antica chiesa abbandonata, che secondo il disegno del vescovo dovea demolirsi, egli si oppose energicamente alle avanzate richieste. La questione, durata varii anni, s’inasprì tanto, anche pe’ rapporti del Rivera, che fu indotto a incaricarsene direttamente il re Ferdinando II. Questo volle salvare capra e cavoli; e con rescritto del 16 settembre 1858 ordinò che si assegnasse alla confraternita altra chiesa, e fossero ceduti al vescovo tutti i chiesti fabbricati sacri e profani, mercè un offerto annuo canone per questi ultimi. Alcuni dei pregiati freschi dell’antica chiesa da demolirsi, per la insistenza già addimostrata dal Rivera, furono felicemente staccati, ma ora non si conosce che ne sia avvenuto. S’incominciò la ideata fabbrica, ma non fu portata a compimento dal Filippi pei seguiti cambiamenti politici; e solo al finir del secolo XIX poterono vedersi ultimati quei lavori, già ideati poco dopo la metà del secolo stesso.


Teatri.


In Aquila fin dal 1616 fu destinato adatto locale per un teatro stabile, che poi nel 1643 fu meglio ridotto per impegno del principe di Gallicano Colonna, il quale in essa città piacevasi di passare annualmente qualche stagione. Questo teatro poi anche riformato [p. 144 modifica]esiste tuttavia col nome di teatro S. Salvatore. La città di Aquila fu quindi la prima delle provincie napoletane che ebbe teatro stabile e regolare.

Di poi nei locali della Intendenza, a sollecitazione dell’intendente Guarini dei duchi di Poggiardo, si edificò altro teatro col nome di Sala Olimpica, che fu aperto al pubblico il 80 maggio 1830. Questo teatro, ricco di colonne ed ornamenti in cristallo, formava l’ammirazione dei visitatori. Nel 1858 fu fatto demolire dall’intendente Dommarco, per non apportarvi alcuni urgenti restauri della spesa di circa duemila ducati.

Nel 1854 fu dall’amministrazione municipale deliberato di edificare l’attuale teatro comunale, che, completato dopo varii anni, fu aperto al pubblico nel 1873. Di questo teatro avrebbe avuto la prima idea il Dommarco, che aveva una figliuola molto appassionata della musica.


Venuta del Conte di Siracusa in Abruzzo.


Un fatto va rammentato nella storia aquilana in riguardo a don Leopoldo, conte di Siracusa, che al duca di Paganica fece una visita alla sua villa presso Aquila, ove il duca recavasi annualmente nei mesi estivi. Questa visita fu definitivamente disposta nel 1857. Il duca fin dal giugno di quell’anno incominciò tutto a ordinare per ricevere l’augusto ospite.

Nella città di Aquila, prossima alla borgata di Paganica, saputasi la risoluzione del principe, si decise d’invitarlo, quando fosse giunto, a passare qualche giorno in detta città. Quindi si disposero feste con luminarie, macchina pirotecnica, e soprattutto un grandioso ballo.

E perchè questo avesse un carattere tutto cittadino, non si accettò il profferto salone della Intendenza, ma si scelse un palazzo privato, corredandolo dei migliori mobili, che oltre alla contribuzione pecuniaria, i cittadini si offrirono d’improntare; e in ciò si distinsero le famiglie De Torres e Rivera.

Giunse il conte di Siracusa a Paganica, accompagnato dal noto archeologo Giuseppe Fiorelli, suo segretario particolare. Ebbe visita dall’intendente Dommarco, che gli fece invito di passare qualche giorno in Aquila al palazzo della Intendenza. Una deputazione di cittadini aquilani andò ad invitarlo alla già disposta soirée. Accettò con riconoscenza e da quel giorno non si pensò che a preparare la festa.

Ma ad un tratto si apprese che il ballo non avrebbe avuto più luogo, per rifiuto del conte, il quale solo a mostrarsi cortese verso [p. 145 modifica]i cittadini, che tanto gentilmente lo aveano invitato, consenti di assistere all’incendio della girandola. Questa fu ordinata per una serata di settembre nella piazza maggiore; a il conte e il Fiorelli la videro dal palazzo vescovile. Compito lo spettacolo, se ne tornarono in carrozza a Paganica.

Molto si parlò di questo fatto, senza potere apprendere la ragione del cambiato divisamento. Si buccinò e si commentò che fosse stato sollecitato dall’intendente, per vedute politiche. Certo che nulla potette sapersi con certezza e lo spiacevole avvenimento rimase sempre un mistero.


Fatti avvenuti in Aquila nel cambiamento di governo.


Bandita la Costituzione del 1860, al menzionato intendente De Giorgio fu sostituito in Aquila, dopo qualche mese di vacanza nel- l’impiego, Federico Papa, che giunse in residenza quando i moti insurrezionali trionfavano in Sicilia, e incominciavano nel continente. Può dirsi quindi che fosse stato inviato a liquidare il governo borbonico. Egli la sera stessa del 7 settembre ebbe per telegrafo l’annunzio dell’ingresso di Garibaldi a Napoli.

Nel mattino seguente, giorno di festa della Natività di Maria, e anniversario della rivolta aquilana del 1841, l’intendente Papa convocò varii cittadini, particolarmente quelli tornati dalle prigioni e dall’esilio per causa politica, Nel convegno si risolse di dichiarar decaduto il governo dei Borboni e di proclamare il governo provvisorio. In conseguenza fu eletto un Triumvirato, composto dallo stesso intendente Federico Papa, Fabio Cannella e Angelo Pellegrini.2

Verso le ore 11 a. m. sulla grande loggia di pietra del palazzo della Intendenza si affacciano i Triumviri, innanzi alla Guardia Nazionale, già schierata nella piazza e al popolo accorso. Si legge l’atto, col quale era stato eletto il triumvirato e si conchiude col grido di Viva l’Italia una, Viva Vittorio Emanuele, Viva Giuseppe Garibaldi.

Di poi i Triumviri con sciarpa tricolore ad armacollo, preceduti da due valletti con bandiere costituzionali, fanno un giro pel corso della città, situati secondo l’ordine della elezione, cioè il Papa nel mezzo, il Cannella a destra, il Pellegrini a sinistra. Continuamente ricevono saluti dal popolo, sino al loro ritorno nel palazzo della Intendenza.

Nella sera fu generale illuminazione nella città e concerto musicale.


Note

  1. Queste notizie e ricordi furono a me forniti dalla marchesa Antonietta Antonini, vedova del senatore marchese Antonio Cappelli, nonchè dall’avvocato Vincenzo Camerini, dallo stesso signor Orazio d’Angelo, e più copiosamente dal comm. Giuseppe dei duchi Rivera, presidente della Società Abruzzese di storia patria. Manifesto a queste gentili e colte persone tutta la mia riconoscenza. Le notizie sono curiose, alcune Caratteristiche e qualcuna interessante.
  2. Secondo le informazioni del dottor D’Angelo, il Triumvirato sarebbe stato elette dal Consiglio comunale.