La miseria di Napoli/Parte IV - Ancora dei Rimedii/Capitolo V. I Contadini

Da Wikisource.
Parte IV - Ancora dei Rimedii - Capitolo V. I Contadini

../Capitolo IV. Tentativi inglesi. - L'istruzione primaria ../Capitolo VI. La Cooperazione IncludiIntestazione 9 gennaio 2023 75% Da definire

Parte IV - Ancora dei Rimedii - Capitolo IV. Tentativi inglesi. - L'istruzione primaria Parte IV - Ancora dei Rimedii - Capitolo VI. La Cooperazione
[p. 236 modifica]

CAPITOLO QUINTO.

I Contadini.


Per bene eseguire le nuove leggi l’Inghilterra fu divisa in distretti urbani e distretti rurali: c’è una Commissione con dovere e con potere; e le clausole [p. 237 modifica]di queste leggi sommano a 343. I Commissarii o Ispettori hanno il potere di entrare in ogni luogo e a qualunque ora del giorno per esplorare tutti gli Stabilimenti pubblici e anche le case private, ove loro sembra che possa esistere qualche cosa o qualche usanza dannosa alla pubblica salute. Ove non c’è acqua sufficiente o di buona qualità in un distretto, possono obbligare le Autorità locali a provvederla. Altrettanto dicasi della fognatura e dello scolo. Dipendono dalla loro autorità tutte le case d’affitto, ed eglino chiusero tutti i bassi e le cantine, e nessun luogo sotterraneo può appigionarsi, nè altro che non abbia sette piedi in altezza e soprastìa di tre alla strada, che manchi di fognatura; di cesso e di luogo chiuso per le immondizie, di un caminetto con gola, con finestre di nove piedi quadrati: e chi affitta luoghi sotterranei altrimenti, è esposto alla multa di 20 scellini al giorno.

L’Ispettore deve visitare e approvare ogni lo cale prima di permetterne l’uso, obbligare il locandiere a registrarlo come tale, e quegli può visitarlo quando gli pare e piace, può costringere costui di dare ad ogni individuo tanti piedi cubici di spazio, e acqua sufficiente per bere e per lavarsi; d’imbiancare le mura e il soffitto due volte all’anno; di notificare il nome di tutti gl’inquilini; di far bucato ogni 15 giorni; di lavar le coperte e la roba di lana due volte all’anno.

I Commissarii locali hanno facoltà di costringere i Comuni a disegnare una mappa degli scoli e fognature, di multare chi costruisce case nuove anche [p. 238 modifica]private senza fognature e senza cesso, e specialmente negli Stabilimenti industriali; di far portar via tutti i rifiuti della città in luogo innocuo agli abitanti, utile all’agricoltura; d’impedire qualunque commercio malsano nei distretti popolati; di forzare i Comuni a provvedere sufficienti Ospedali, e altresì di provvedere provvisoriamente le medicine per gli ammalati. I mercati, i macelli, l’amministrazione del gas appartengono alla loro giurisdizione, ed eglino possono autorizzare i Comuni a contrarre prestiti per i lavori necessarii alla salute pubblica, dando in garanzia le tasse locali.

Tali leggi e quelle riferentisi al lavoro dei fanciulli e ai suoi limiti non trionfarono senza accanita opposizione delle classi industriali, dei così detti principi mercanti. Costoro si lagnano delle leggi regolatrici delle ore delle fattorie, e proibitrici del lavoro dei bimbi, e specialmente della ultimissima sull’Istruzione Pubblica, le quali autorizzano gl’Ispettori governativi a penetrare nei loro Stabilimenti dal granaio ai sotterranei, a esigere che troppe persone non lavorino nella stessa stanza, che le ruote e le altre parti del meccanismo siano protette in guisa da impedire disastri, che ci sia un medico pagato dal padrone dello Stabilimento, ec. ec. Essi accusano tale sistema di violazione della libertà individuale, d’infrazione della teoria del libero commercio.

Senza dubbio queste leggi umanitarie sono moleste a questi principi mercanti, come fu odiosa l’abolizione della schiavitù ai tenutari di schiavi. Il grand’uomo di Stato americano, Cathoun, aveva messo [p. 239 modifica]l’assioma, che la libertà dei Bianchi fondasi sulla schiavitù dei Neri. E gl’Inglesi, se non in parole, chiarirono coi fatti che i bimbi operai e le donne sono le cariatidi della loro prosperità, della loro prepotenza e delle loro colossali fortune. Non neghiamo che queste leggi applicate rigorosamente produrranno temporanee crisi commerciali, trasferiranno molti milioni di sterline da una mano sola in molte mani.

Ma gl’Inglesi hanno ben ponderato tutte queste conseguenze prima di votar le leggi, e bisogna sempre tenere in mente che non è un partito politico piuttosto che un altro, da cui queste leggi emanano; abbiamo avuto in 11 anni tre elezioni generali, e in ogni Sessione il Parlamento le rinvigorisce e rinforza i poteri degli esecutori; nè ci vengano a dire che volendo far bene alle classi povere si riesce a danneggiarle.

Quando il Governo inglese chiude un basso o un sotterraneo, vede e provvede che ci sia una casa a non maggior prezzo, ove il povero inquilino possa ricoverarsi; quando costringe il contadino o l’operaio a non approfittare del lavoro del suo piccino, dimostrata l’impossibilità dei parenti di dargli cibo che costoro non guadagnano, o di vestirlo decentemente per la scuola, vi provvede vestendolo e mandandolo alle Scuole industriali. E per queste scuole la sola Londra, che l’anno passato spendeva 20,000 sterlini, oggi ne spende 28,000. E dappertutto esse vanno moltiplicandosi approvate dall’universale. A noi pare inutile che si cerchi di rimediare ai mali esistenti trattandoli empiricamente ad uno ad uno, inutile l’istruzione senza la salute, senza una certa agiatezza che la possa [p. 240 modifica]conservare; laonde un Governo, se non erro, dovrebbe stendere un inventario dell’avere e dei bisogni dei suoi sudditi, formarsi un concetto complessivo dei provvedimenti necessarii e porvi mano analiticamente.

Io opino che facendo l’inventario in Italia a uso Helberfeld e stabilendo una Direzione centrale di tutti i locali bisogni e dei rimedii, adattando, ben inteso, le leggi al proprio paese, si getterebbero le basi di un’Italia futura, prospera e benestante, di cui oggi non esiste l’ombra.

Ben sappiamo che agli affaristi tale, idea dispiacerà; che il ricchissimo sarà costretto lavorare alquanto, se il povero ha da lavorar meno e goder di più. Ma questo lavoro beneficherà il ricco quanto il povero e nella salute e nella moralità.

Credo non ci sia popolo longanime come l’italiano. Io scrivo dalla Provincia mantovana, donde emigrano pel Brasile più di duemila famiglie. Esse vendono ogni lor masserizia, lasciano ogni persona diletta, vanno via a proprie spese, senza certezza di lavoro, senza nemmeno la certezza di trovare l’imbarco a Genova! Anzi molte famiglie respinte ritornano.

I signori, che non hanno pensato di pagar loro un equo salario o di metterle almeno a parte dei proprii lauti guadagni applicando il sistema della mezzadrìa, attenendosi al principio della cointeressenza, si fanno cospicui sottoscrivendo qualche centinaio di lire per venire in soccorso degl’infelici. Eppure altre famiglie ed altre partono egualmente.

Ho parlato con alcune di queste, e ne ho anzi indotto due ad indugiare per qualche settimana: ma [p. 241 modifica]anch’esse, un muratore con quattro figli, un fabbricatore di paste con un bambino di un anno e la moglie incinta, se ne andarono con molti altri.

Hanno una sola risposta: «Peggio di così non potremo stare. Forse staremo meglio. In ogni caso i figli non possono rimproverarci di non avere tentato di migliorare la loro sorte.»

La grande maggioranza di questi emigrati componesi di contadini. Io credo fermamente che questa tragica e silenziosa partenza sia l’ultima pacifica protesta dell’uomo, che per secoli ha bagnalo il suolo de’ suoi sudori a fine di provvedere all’ozio e al lusso altrui; l’ultima protesta di chi semina, perchè altri raccolga.

I poveri illusi che vanno al Brasile, coloro ai quali l’Oceano non aperse pietosa tomba durante il disastroso viaggio, troveranno bensì terre da dissodare e legname da costruire case. Ma quando le terre saranno coltivate e le case erette, i sopravvissuti alle febbri e alle malattie prodotte dal cambiato clima e dalla mutata dieta si accorgeranno anche là di aver lavorato per altrui. E l’ingordo speculatore, l’ingaggiatore, tirerà fuori la nota delle spese d’alloggio, del mantenimento, delle medicine, delle sepolture, dimostrerà che i conti sono almeno pari, e che a lui restano la terra per seminare e le case per abitare.

E l’emigrato o ritornerà, o scriverà in patria, dissuadendo i concittadini dal seguire il suo esempio, consigliandoli di mettere a profitto la sua triste esperienza.

E se ciò accadde? succederà in Italia una [p. 242 modifica]rivoluzione tanto più tremenda, quanto che senza alternativa.

Pensi adunque il Governo riparatore a disseppellire quelle montagne di quesiti e risposte fatte durante l’inchiesta domandata dall’onorevole Bertani nel 72, e a riuscire a qualche pratica conclusione.

L’emigrazione bene organizzata come nel passato per gli Stati Uniti, i quali ora ne rovesciano da capo parte nel Canadà, e in parte ne rigurgitano in Europa, può essere un beneficio per i paesi poco popolati: ma per l’Italia, che ha vaste terre fertili e incolte, ricche miniere inesplorate, è una vera disgrazia; e un bene elaborato sistema d’immigrazione, ossia di passaggio di lavoranti dai luoghi, ove manca il lavoro, ai luoghi, ove mancano le braccia, parrebbe più sano consiglio.

Or ci giunge la notizia che la nuova Commissione d’inchiesta agraria è nominata, e speriamo che i Commissarii saranno armati di tali mezzi e di tanta autorità da potere svelare il vero stato del contadino, proponendo rimedii adattati alle regioni. A tal’uopo eglino debbono ascoltare in persona o col mezzo di rappresentanti fidati il contadino quanto il proprietario, imperocchè ogni regione ha i suoi proprii guai. Il Franchetti ci rivelò in gran parte i guai negli Abruzzi e nel Molise, nelle Calabrie e in Basilicata, e Napoleone Perelli, nel romanzetto intitolato: La Terra Promessa, colorisce quadretti terribili della bassa pianura milanese. Ed io conchiuderò questa parte del mio lavoro, pubblicando la seguente descrizione, fattami in lettera privata da un ingegnere che per modestia non vuol essere nominato, all’indirizzo di quanti gridano [p. 243 modifica]all’esagerazione e a motivi men che nobili in chi pigliasi l’assunto di lumeggiare il deplorabile stato del povero, ponendolo in antitesi a quello del ricco:

«Ho vissuto per alcun tempo in San Bartolommeo in Galdo, infelicissimo capoluogo di Circondario nella Provincia di Benevento, situato nella parte montuosa della Puglia.

I contadini abitano nel borgo (perchè malsana l’aria della campagna) in casupole o meglio catapecchie, generalmente col solo pianterreno, senza camino e senza cesso, disposte in ripidissime e mal selciale strade sulla china del monte, ove si arriva con pericolosa ascesa. La terra è eminentemente argillosa, e perciò appunto di più difficile e faticosa coltivazione.

Ma per la miseria dei contadini, per ignoranza e negligenza dei proprietarii la si lavora con un chiodo confitto nell’aratro tirato da muli, e più spesso con la sola zappa. La coltivazione è così imperfetta, che quel terreno rende quattro o cinque misure per una di semente, quantità di cereale incapace di rimunerare la fatica del contadino e satisfare l’ozio del proprietario.

Questa povera gente suda tutto l’anno, sia tempo buono o cattivo, e deve partire ogni mattina dalla propria casa, dove ha potuto dormire, Dio sa come!, fare spesso un lungo tragitto, zappare tutto il giorno, ritornarci; ed ancora non è terminata la via crucis, perchè bisogna provvedersi dell’acqua. Non vi sono pozzi di acqua potabile; vi è la fontana, cioè un’ironia di fontana. Giacchè fontana non si può chiamare se esausta nell’estate se nell’inverno essa spiccia acqua torbida. Or il Municipio perchè non [p. 244 modifica]provvede l’acqua? — sarebbe non difficile condurre copiosa acqua mediante un tubo; ma il Municipio sta in mano dei Signori, e i Signori hanno altro da pensare che all’acqua per la povera gente; eglino possiedono le loro brave cisterne, che riempiono d’inverno. La povera gente paghi il macinato e il dazio consumo e triboli per aver l’acqua.

Orbene, l’inverno bisogna che questa si rassegni all’acqua torbida per bevere e cucinare; nell’estate poi c’è il cisternone del Comune. Il quale pero si apre in date ore, onde possiamo figurarci la folla ed il tempo, acciocchè ciascuno ne attinga, e possiamo figurarci quanto devono esser gradite sì fatte noie dopo aver lavorato tutto il giorno! Negli anni di siccità l’acqua del cisternone finisce. Ed allora? — Il condotto porta contemporaneamente l’acqua alla fontana pubblica ed alla fontana del Barone. D’estate viene sempre un filo d’acqua. Pero il Barone ha elaborata in modo la pendenza del canale, che quando l’acqua scarseggia fluisca tutta da lui. Con tutto ciò non vuolsi credere, che la povera gente vada a pretendere per forza l’acqua del Barone. Oibò! essa è troppo rispettosa. Invece veggonsi in questo caso quelle infelici donne appressare il labbro alla cannella della fontana, oppure cacciarvi il dito dentro, e ritirarlo, e fare uscire così un poco di acqua, che viene richiamata da quel poco di vuoto ottenuto, e durare ore ed ore a questo supplizio per empire una conca; o tutt’al più avviene che si versi un meno sottile filo d’acqua, quando i servi del Barone hanno l’avvertenza di chiudere i rubinetti, e non mandano l’acqua, come spesso fanno, [p. 245 modifica]ad annaffiare i proprii orti! o altrimenti quelle debbono adattarsi a lunghissimi tragitti per trovarne di bevi bile. — Avutala, bisogna cucinare qualche cosa; e questo qualche cosa consiste in foglie di rapa, di cui si fa grande uso in queste Provincie e le chiamano broccoletti di rapa, che condiscono col sale e qualche volta con un poco di olio e di aglio soffritto. Della qual cosa e di pane e fagioli componesi generalmente il loro cibo. È materia di lusso il raro piatto di maccheroni condìto con solo pomidoro.

Dopo tante fatiche per mangiare così male, eglino si coricano in camere affumicate e luride, stipati e spesso nella indispensabile compagnia del mulo e del maiale. Io non so davvero che cosa stia a fare al mondo certa gente. Forse per patire? o per nutrire chi vive di ozio? Che attrattive può avere così la vita? Eppure sono buoni, docili, e non si lamentano. Si lasciano scorticare, e baciano la mano dello scorticatore. E come sono scorticati!

Difatti, prima del 1860 questa gente prendeva ad affitto i poderi dei Galantuomini, pagando una quantità stabilita di cereali all’epoca della raccolta; e quando andava a lavorare ad opera era rimunerata con due carlini, che corrisponderebbero a 17 soldi (senza alcuna somministrazione di cibo ). Venne il 1860; il prezzo del denaro decrebbe per equiparare a quello dell’estero; o in altri termini i generi rincararono; inoltre, tasse sempre più gravose s’imposero sui proprietarii e sul popolo.

Sembrerebbe che per questi due fatti la mercede del contadino avrebbe dovuto crescere. [p. 246 modifica]

Eppur no. L’affitto fu pagato con una maggiore quantità di grano, la mercede giornaliera rimase di 17 soldi. E tutto cotesto perchè? Perchè il ricco non voleva diminuire la propria rendita, e doveva rifarsi delle tasse aumentate, diminuendo la mercede del contadino; chè perseverare nei 17 soldi suona diminuzione di mercede, considerando che tutti i generi crebbero del doppio nel prezzo.

Per fermo, nessun miglior modo della testa china del povero, ignorante e senza spirito, per con servare la propria rendita; tanto più che così si evita qualunque fastidio, qualunque pensiero. Fastidii e pensieri necessarii, quando si fosse voluto provvedere invece allo sviluppo dell’agricoltura, al benessere proprio e contemporaneamente a quello dei contadini. Ma questa non è stata la via seguita, perchè le terre di San Bartolommeo rendono sempre quattro misure per una di semente; ad onta di tutte le fatiche e dei sudori e dei sacrificii di quei poveri e buoni contadini, veramente buoni nel senso più commiserabile della parola.

Ma tutto questo sarebbe un nonnulla. A San Bartolommeo non ci sono letteralmente strade rotabili, nè mercati di generi. Quindi il grano non si vende nel luogo, ma a Foggia, e per trasportarvelo ci vogliono robusti e numerosi muli. Pochi proprietarii ne posseggono, ed eglino soltanto possono fare tutto il commercio. Per cui si costituisce da se naturalmente un monopolio,che costringe il povero contadino, il quale debba vendere porzione del suo grano, a mettersi alla discrezione dei proprietarii, arbitri del prezzo.

E ciò se l’annata è buona; ma quando riesca [p. 247 modifica]avversa, il contadino cade davvero in piena balìa dei proprietarii, che si trasformano in usurai e prestano una porzione del loro grano per riceverne il doppio alla futura raccolta. E mentre con una mano prestano da giudei, con l’altra fanno l’elemosina con isfarzosa ed avvilente e avara ostentazione. Soleva il Barone del paese nell’inverno, ogni settimana, distribuire due centesimi ad ogni povero che si recasse a questuare alla sua porta!!

Tanti travagli, e l’aria malsana e l’acqua cattiva sono fomiti di febbri, e le febbri di fatto prostrano cotesta popolazione e la annichilano, giacchè nelle malattie la miseria si raddoppia. C’è un ospedale; ma quale schifezza!

Non ci va mai nessuno, ne fuggirebbero anche i cani, perchè peggiore di un canile. Non ci son letti, c’è solo paglia per terra. Ella, Signora, parla giustamente degl’Incurabili, ma dovrebbe vedere l’Ospedale di San Bartolommeo in Galdo! Vi ha un medico pagato dal Comune, esclusivamente per curare i poveri, mi pare con 200 lire l’anno.

Ma non fa altro che ordinare chinino, ed il chinino costa caro e non si può comprare da chi vive così male; epperò le febbri li estenuano e li avviliscono sempre più, finchè la Madonna opera il miracolo di guarirli o di mandarli all’altro mondo; che è meglio per loro; perchè se guariscono, rimangono sempre più soggetti a prendere altre febbri, nonchè agl’ingorghi di milza, e vivono malaticci e deboli. Eppure eglino formano una popolazione di una certa intelligenza e di buonissima indole che meriterebbe [p. 248 modifica]di viver meglio, e lo meriterebbe certo più dell’infingardo lazzarone di Napoli.

Non vi succede mai un furto. Questa gente vive di abnegazione.

Da poco morì il Barone di un paese vicino, Baselice. Questi fin dopo il 1860 godette del diritto di jambage, esercitandolo su alcune belle spose di quei villici. A tanto giunge la loro rassegnazione!

Quando leggevo i Misteri del Popolo di Sue, allorchè l’Autore parla del Medio Evo, mi pareva di stare a San Bartolommeo. Quella pittura non è esagerata, perchè ne vediamo ancora disgraziatamente un originale che le rassomiglia, se non in tutto, in molte parti.»