La porta della gioia/Fedeltà

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Fedeltà

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La porta della gioia L'uncino

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FEDELTÀ

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Quando il domestico presentò al conte Silvio Altoviti l’atteso telegramma, questi lo aperse con trepidazione e gettandovi lo sguardo sospirò lungamente ad occhi chiusi dilatando il petto, come chi si libera da una grave ansietà e prova un improvviso senso di sollievo e di gioia.

Perchè quelle parole: «Verrò stasera nel luogo e all’ora che m’indicaste», egli le aspettava da più d’una settimana e le sognava da più di tre mesi, ossia da quando, conosciuta in un albergo di città termale la signora Fernanda Lucis, una giovane vedova non ancora consolata, s’era acceso d’un violento desiderio di lei e l’aveva corteggiata con una discrezione, una devozione e un fervore meritevoli di più rapida fortuna. Ma quantunque durante il primo mese della lora conoscenza, mentre sua moglie seguiva coscienziosamente la cura e s’occupava dei suoi amici e delle sue amiche, Silvio Altoviti si fosse dedicato quasi esclusivamente alla bella vedova passandole accanto tutte le sue ore di sfaccendato elegante, non era riuscito ad ottenere che una benevolenza un po’ ironica, la [p. 42 modifica]quale invece di disarmarlo lo aveva irritato e incitato sempre più.

In seguito, poichè essi abitavano città diverse, una vivace corrispondenza e qualche visita che Silvio con alcuni pretesti le aveva fatto in casa sua, erano riusciti a maggiormente avvicinarli, senza però che nulla ancora, o quasi nulla, nel contegno di Fernanda gli lasciasse sperare una vicina o lontana dedizione.

Soltanto una settimana innanzi, durante l’ultima sua visita, fattosi improvvisamente impaziente e aspro, egli le aveva imposto una specie di ultimatum, invitandola e trovarsi con lui otto giorni dopo a quell’ora stessa in una cittadina di mare nota ad entrambi, sotto pena di troncare per sempre qualunque loro rapporto e di non più rivedersi.

Ella era rimasta turbata e sgomentata da quella minaccia assai più che Silvio non s’attendesse, ed allora, per accrescerne l’effetto, egli aveva preso immediatamente congedo con un rigido saluto, lasciandola sola a meditare.

Il telegramma ricevuto da lui in quella mattina era evidentemente il risultato di quella meditazione durata una settimana, e sottintendeva una lunga perplessità, un avvicendarsi affannoso di ragionamenti favorevoli e contrari all’inclinazione del cuore e dimostrava finalmente la fatale preponderanza di questo e la sua suprema [p. 43 modifica]vittoria con le fredde e brevi parole d’assenso mandate l’ultimo giorno.

Silvio Altoviti si cacciò in tasca il telegramma e si chiese come mai avrebbe impiegato le lunghe ore che lo separavano dalla partenza, ossia dalle otto di sera. Egli aveva prudentemente annunziato tre giorni prima a sua moglie questo viaggio con relativa assenza di circa una settimana, mostrando la lettera di un amico che lo invitava a caccia nelle sue tenute; e quel piano strategico così incertamente preparato e così meravigliosamente riuscito gli dava una specie di ebbrezza, simile a quella che provano i giocatori a lungo sfortunati ad un improvviso colpo di fortuna.

Sentiva d’aver bisogno d’aria libera e di spazio, come per esalare meglio la sua felicità e di aver bisogno di moto per stancare e calmare la sua febbre di gioia. Gli pareva che non mai durante i trentotto anni della sua esistenza egli avesse provato una pienezza di vita così intensa, che non mai il certo e prossimo possesso di una donna gli fosse sembrato così divina cosa. E pensava con orgoglio e con tenerezza a quella Fernanda tanto altera la quale piegava al suo dominio la bella testa pallida che pareva intagliata nella pietra come quella di una Medusa e si cingeva di capelli neri attorti e aderenti come serpi. [p. 44 modifica]

Uscì di casa col passo leggero di chi si sente ai piedi e all’anima le ali e si diresse verso un viale deserto, senza nemmeno avvedersi che piovigginava, raccogliendosi sempre più nel suo fervido meditare e nel suo voluttuoso immaginare.

Senonchè, mentre si fermava ad accendere una sigaretta, si sentì raggiungere da un celere passo che si fermò presso di lui e al tempo stesso la cameriera di sua moglie, una giovane dai capelli fulvi che si trovava da pochi mesi in casa sua, con gli occhi rossi di chi ha pianto e la faccia dura di chi medita una vendetta, gli rivolse la parola in tono basso e concitato:

— Mi scusi, signor conte, se la fermo così per istrada, ma devo parlarle di una cosa gravissima.

«Costei è impazzita o vuole un aumento di salario, — pensò subito Altoviti, e rispose seccato:

— Mi parlerai più tardi a casa e ti concederò tutto ciò che vorrai. Questo non è il momento nè il luogo di discutere.

E si mosse per andarsene, ma l’altra ostinata proseguì:

— Non si tratta del mio salario e a casa non ci posso più tornare perchè sono stata licenziata.

«Tanto meglio, — pensò Altoviti, e disse forte: [p. 45 modifica]

— Me ne dispiace, ma la signora può prendere e licenziare chi vuole. Ciò non mi riguarda.

— Sì, signor conte, — insistette la giovane con un mezzo sogghigno. — Ciò la riguarderà quando saprà perchè sua moglie mi scaccia così su due piedi come una ladra. Mi manda via perchè ho trovato e ho letto una lettera. Capisce? La lettera di un amante che le dà un appuntamento per questa sera. La contessa l’aveva dimenticata sotto il guanciale, aperta, e per caso io vi ho gettati gli occhi proprio nel momento in cui rientrava nella stanza per venire a cercarla. Mi ha fatto una scena spaventosa e per paura che io parlassi con lei mi ha pagato due mesi di salario e mi ha scacciata subito.

— Che cosa diceva quella lettera? — domandò Silvio Altoviti con la faccia alterata da una collera sorda, a mala pena trattenuta.

— La sola memoria. Diceva così: «Poichè vostro marito vi lascia libera questa sera, fingete, come abbiamo convenuto, di recarvi al teatro, e venite da me. Vi attenderò alle nove, impaziente come un uomo che sarà per la prima volta felice».

— Ed era firmata?

— Con un nome solo: Marco.

— Sta bene — concluse il padrone, reciso, mettendole in mano come congedo definitivo alcuni biglietti che trasse distrattamente dal portafogli. — Andatevene pure. [p. 46 modifica]

Silvio Altoviti si ritrovò solo in mezzo al viale deserto, e s’accorse allora che il colore dell’aria s’era oscurato di un tratto, come se una enorme nuvola nera vi incombesse. La nuvola nera era quel Marco, il quale aspettava ch’egli partisse con una impazienza eguale alla sua. Era Marco Sanna, un giovane ufficiale di cavalleria che frequentava il salotto di sua moglie nei giorni i cui ella riceveva, e, assai probabilmente anche nei giorni in cui ella non riceveva.

Costui era apparso sull’orizzonte due o tre mesi innanzi, ossia durante il tempo in cui egli, tutto occupato di Fernanda Lucis, aveva incominciato a considerare la moglie come una buona amica intelligente ed elegante, la quale rendeva piacevole la sua casa, senza troppo fargli sentire i legami ed i pesi del matrimonio. Nè dalla corte di Marco Sanna, o da quella di altri egli aveva mai tratto motivo di sospetti o di gelosie, troppo, per queste, acceso di un’altra e troppo, per quelli, sicuro della serena fedeltà di sua moglie.

Ora, benchè deluso nella propria fiducia e incollerito fieramente contro di lei, traeva però da una sua intima convinzione e dalle parole stesse della lettera rivelatrice la certezza che nulla d’irreparabile fosse ancora avvenuto, e si sentiva ben risoluto ad impedire con qualsiasi mezzo che Marco Sanna, l’insidiatore di sua [p. 47 modifica]moglie, si sentisse per mezzo del suo tradimento, in quella od in altre sere della sua vita, per la prima volta felice.

D’istinto, quasi attratto da una necessità di viglianza, egli s’avviava verso casa, riflettendo, e giunto a quell’ultima parte della sua meditazione, ossia al proposito di sventare a qualunque costo la trama dell’insidiatore e dell’infedele, egli si fermò, colpito da un’improvvisa paura e ristette assorto, con le mani sprofondate nelle tasche, il capo basso, lo sguardo a terra.

Impedire il minacciato tradimento di sua moglie significava rimanere quella sera e le seguenti presso di lei, custode vigile, legale spauracchio di quella virtù vacillante, e rimanere quella sera presso di lei significava perdere per sempre la promessa amante, Fernanda Lucis.

Il dilemma era al tempo stesso comico e crudele, come ne crea spesso l’ironia beffarda del caso, e Silvio ne sogghignava ora con un’amarezza feroce che gli torcea la bocca e il cuore. Doveva rinunziare all’amore di Fernanda, oppure rinunziare alla fedeltà di sua moglie. Occorreva risolversi per l’una o per l’altra di queste rinunzie, prontamente, senza indugiare.

Cercò nelle sottigliezze più scaltre della propria intelligenza un mezzo qualsiasi, semplice o complicato, onesto o disonesto, ma pratico e [p. 48 modifica]sicuro che gli permettesse di conservarsi entrambi questi beni quasi egualmente oggi necessari alla sua vita: l’amore dell’amante e la fedeltà della moglie, ma non trovò nel proprio cervello nemmeno l’ombra di un espediente che non fosse grottesco o malfido.

Silvio Altoviti rincasò all’ora di colazione, e sedendo a tavola con la faccia più indifferente che la sua inquietudine gli permettesse, osservava sua moglie con uno sguardo nuovo, come una persona diversa dal consueto e ancora sconosciuta.

Ma la sua vivacità di donna graziosa, grassottella e bionda come una bambola, i suoi gesti spigliati, il suo ridere frequente, erano quelli di ogni giorno, e non svelavano la vigile agitazione di una donna che medita per la prima volta di tradire suo marito.

— Sai, — ella informò, al caffè, — ho licenziato stamane la mia cameriera. Mi era venuta in uggia con quei suoi capelli rossi.

— Solo per questo l’hai licenziata? — egli chiese con un sorriso leggermente sarcastico.

— Ah, no! — ella rise gaiamente, — la rimproverai perchè mi ruppe uno specchio, e invece di chiedermi scusa mi diede una rispostaccia insolente. Ce n’era abbastanza, mi pare, per cacciarla sui due piedi.

— Ma certo, — approvò Silvio distratto, [p. 49 modifica]mentre irosamente pensava: — Come sa mentire, come sa dissimulare bene!»

E gli parve così incredibile che sua moglie s’accingesse ad ingannarlo con tanta sicura tranquillità, che incominciò a sospettare di menzogna la denunziatrice. Non era possibile che la ragazza cacciata avesse voluto vendicarsi inventando un’accusa falsa? Allora buttò là con aria indifferente un tentativo d’indagine.

— Del resto lo sapevo. Essa è venuta a salutarmi prima di andarsene.

Guardò sua moglie mentre pronunciava quelle parole, e l’improvviso guizzo ch’ebbero le sue spalle, il respiro ch’essa trattenne un attimo coi denti, il falso, stentato sorriso col quale ella domandò: — E che t’ha detto? — lo avvertirono sufficientemente che la denunziatrice era stata sincera. Tuttavia il volto di lei rimase impassibile, mentre egli le rispondeva:

— Mi chiese un certificato di buona condotta. Risposi che ciò non mi riguardava.

E s’alzò, si ritirò nel suo studio a meditare. Gli sembrava più inverosimile che non esistesse una via per uscire onorevolmente da quella intricata situazione. La sua naturale, egoistica prepotenza di maschio lo induceva a volere per sè stesso la libertà di ottenere Fernanda e di tradire sua moglie, vietando però a questa di tradire lui con un altro, chiunque fosse. Le due [p. 50 modifica]infedeltà poste sulla bilancia dei valori morali gli parevano ben diversamente gravi ed offensive. La sua, una deliziosa avventura appena situata oltre i confini della legalità, quasi un piacevole diritto. Quella della moglie una colpa vergognosa, un indegno sopruso a suo danno.

Si rammaricava, ora, che la propria ripugnanza per ogni violenza d’atti o di linguaggio gli avesse poco prima impedito di esporle chiaramente quanto sapeva, per l’avvelenato piacere di vederla smarrirsi e impallidire cercando vane difese. Forse ciò gli avrebbe consentito di recarsi dopo al proprio convegno d’amore essendosi così assicurato con la paura la fedeltà di lei. Ma era un’arma a doppio taglio, poichè ella poteva invece giocare d’astuzia o ribellarsi alla provocazione e giungere egualmente, durante la sua assenza, allo scopo.

Intanto non lo abbandonava il pensiero, fattosi anche più tormentoso, di Fernanda, e il timore di perderla dopo tante fatiche e tanto desiderio, poche ore prima di possederla, gli dava un’ira furibonda e una sorda disperazione. Quella non era certo la donna a cui fosse possibile chiedere una dilazione il giorno in cui prometteva di concedersi, e il non trovarsi allo stabilito convegno quella sera stessa equivaleva con assoluta certezza a non rivederla mai più.

Alcuni particolari della sua fisionomia o [p. 51 modifica]della sua persona che più lo avevano attirato: un piccolo guizzo nervoso che si ripeteva spesso all’angolo sinistro della sua bocca, la linea snella della sua caviglia, o la sottigliezza dei suoi polsi, lo turbavano a tratti con la lucidità visiva.

Silvio Altoviti aveva già consumato in questo inutile dibattito alcune ore e innumerevoli sigarette, quando udì picchiare all’uscio e subito dopo sua moglie lo avvertiva col più dolce dei suoi sorrisi:

— Sai, Silvio, le tue valigie sono preparate, e questa sera farò sollecitare il pranzo per poterti accompagnare alla stazione.

«Ah! — sogghignò Silvio fra sè, — ella ha dunque una gran voglia di vedermi partire, non solo, ma per assicurarsi ch’io me ne vada davvero e mi cacci in un diretto che non si fermerà prima di due ore, ha perfino stabilito d’accompagnarmi alla stazione».

E immediatamente, per un violento bisogno di contraddizione e per la maligna gioia di sconcertare tutti i suoi colpevoli piani con una sola, parola, egli le sollevò in faccia due occhi calmi e rispose con voce blanda:

— No, cara. Non t’incomodare perchè non parto più.

— E per quale ragione?— ella interrogò frenando uno scatto nervoso. [p. 52 modifica]

— Perchè, — inventò il marito con prontezza, — è morto improvvisamente uno stretto parente dell’amico mio, ed egli mi ha telegrafato avvertendomi che rimanda le cacce a tempo più propizio.

Ella si strinse nelle spalle ed uscì in silenzio, lasciando suo marito solo.

Silvio rimase così a pensare che in quel momento stesso egli aveva rinunziato all’amore di Fernanda per conservarsi la fedeltà di sua moglie.

Ed era fremente di collera contro di lei e contro sè stesso, già pentito della sua fulminea decisione, già pronto, se fosse stato possibile, a ritirare quelle sue parole ed a partire. Ma questa perplessità gli sembrò così puerile, gli apparve come un segno di debolezza così compassionevole che egli volle troncare ogni incertezza e risolversi ad un gesto doloroso ma definitivo.

Allora la stessa sciocca menzogna trovata poco prima per sua moglie gli suggerrì il pretesto da addurre all’amica, e senza illudersi di ottenerne mai il perdono, sapendosi ben degno e meritevole di tutto il suo odio e di tutto il suo disprezzo, per un semplice atto di cortesia che la trattenesse dall’intraprendere un inutile viaggio, egli tracciò per Fernanda questo telegramma: «Mortomi improvvisamente congiunto [p. 53 modifica]strettissimo. Impossibile partire. Chiedovi umilmente perdono».

Quindi lo mandò senza indugio, poichè immaginando lo sferzante giudizio che di lui avrebbe tratto Fernanda, sentiva nuovamente i suoi spiriti vacillare.