La pupilla (intermezzo)/Parte I

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Parte I

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Personaggi Parte II
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PARTE PRIMA.

SCENA PRIMA1.

Rosalba sola.

Misera condizion del nostro sesso!

In ogni stato, in ogni età le donne
Sono sempre soggette, e sempre schiave.
Fin che siamo ragazze,
Del padre e della madre
La catena ci lega, e fino quando
Orfanelle restiamo,
Col laccio del tutor legate siamo.
Se passiam a marito,
Ecco un nodo più forte,

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Che non si scioglie più sino alla morte;

Ma nodo tal (per quello
Che sento a raccontar da tante e tante)
D’ogn’altro assai più duro e più pesante.
Se poi questo si scioglie, e vedovella
Resta l’afflitta donna,
In loco d’acquistar sua libertade,
In un laccio peggior, misera, cade:
Laccio che dal maligno
Mondo le2 vien tessuto;
Ognun guarda i suoi passi,
Ognun pesa i suoi detti, ed un veniale
Peccato in lei può divenir mortale.
Lo diceva mia madre,
Che vedova rimasta e giovinetta,
Spesse volte costretta
Di pianger si trovò, benchè innocente,
Per satirica lingua e maldicente 3.
Ma fra tanti malanni
Credo che sia il peggiore
Quello d’esser soggetta ad un tutore
Indiscreto, noioso,
Cattivo, fastidioso.
Questo, meschina 4, è il laccio mio crudele.
Ma saprò liberarmi
Da tanta soggezion col maritarmi.
Verrà quel dì, ma intanto
Ch’io mi trovo soletta, alle mie noie
Rimedierò col canto.
Cantar vuò quell’arietta:
  “Bella, se ti me lassi...”5
Ma no, ch’è troppo vecchia. È meglio questa:

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  “Come sul far del dì....”

Questa è vecchissima.
  “Mia cara paronzina 6....”
È troppo vile, oibò.
Affé, che l’ho trovata,
Io questa canterò
Sopra d’un augellin tutto amoroso,
Composta in venezian stile curioso:

“Quell’oselin desmestego7
     Che passarin gh’à nome,
     Oh se vedessi come
     L’ama la passarella;
     Sempre el se vede a quella
     D’intorno a svolazzar.
Cussì anca mi desidero,
     Passera abbandonada,
     D’esser accompagnada
     Da un passerin che sappia
     Cossa vol8 dir amar”. 9

SCENA II.

Triticone e detta.

Triticone. Rosalba, io già non dico,

Che il cantar sia indecente;
Pur talvolta è cagion di qualche male.
Per esempio talun passa per strada,
Sente a cantar, si ferma; esso dimanda
Chi abita quivi, e chi è colei che canta.
Gli risponde un vicino:
“Questa è una giovinetta

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Bizzarra, graziosetta ", e che so io;

Tosto in quel passaggiero entra il desio
Di vedervi e parlarvi, onde vedete,
Se il cantar fa più mal che non credete.
Rosalba. Permettete, signor, ch’io vi risponda
Col dovuto rispetto.
Supposto tutto quel che avete detto,
Se un giovin si fermasse,
Mi sentisse cantar, di me cercasse,
Mi volesse veder, parlarmi ancora,
Che mal sarebbe mai?
Triticone.   Zitto! che dite?
Che mal sarebbe mai? Tutto quel male
Che immaginar si può. Se voi sapeste
Cosa sono, figliuola,
I giovin d’oggidì! Altro non cercano.
Che ingannar le fanciulle.
Rosalba. Sì buona non sarei
Di lasciarmi ingannar.
Triticone.   Eh semplicetta,
È tanta l’arte loro e il loro ingegno,
Che donna già matura
Fuggir non sa il periglio.
Pensate voi che siete
Giovin di prima età senza consiglio.
Rosalba. Gli uomini dunque son tanto cattivi?
Triticone. Non tutti, figlia mia, ma per lo più
Il peggior mal sta nella gioventù.
Rosalba. E dovrò dunque sempre
Star ritirata in casa,
Non cantar, non parlar? Con questa vita,
Voi volete ch’io mora intisichita.
Triticone. Un poco di pazienza;
Io saprò consolarvi.
Rosalba.   In qual maniera?

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Triticone. Dirvela ancor non deggio.

Rosalba. Deh non mi tormentate;
Sapete che le donne son curiose;
Ditelo adesso dunque, se mi amate.
Triticone. (A un sì forte scongiuro io non resisto:
L’amo pur troppo!) Udite,
Vi voglio maritar.
Rosalba.   Ma come mai?
Se tanto mal degli uomini diceste?
Triticone. Dei giovani10 parlai, ma non dei vecchi.
Rosalba. Che? forse?...
Triticone.   Sì, mia cara;
Io voglio maritarvi,
Ed un vecchio prudente io voglio darvi.
Rosalba. Un vecchio? Un vecchio a me?
(Il mio signor tutor s’inganna affé).
Triticone.   Che gran fortuna
  Se vi toccasse
  Un vecchiarello
  Robusto e bello,
  Come son io!
  I giovani d’oggi,
  Credetemi, o figlia,
  Non serbano fede.
  Ben pazza è chi crede
  Al loro desio11.

SCENA III.

Giacinto e detti.

Giacinto. Oh per amor del Cielo,

Perdonate l’ardire!
Triticone. Come sarebbe a dire?

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Chi è lei? Cosa comanda in casa mia?

Giacinto. Dirò la verità. Io da un balcone
Fui chiamato per nome; e mi fu detto
Ch’entrassi in questa porta.
Entrai, non vidi alcun, qui m’avanzai12,
Ove trovar chi mi chiamò pensai.
(Ecco l’idolo mio!)
Rosalba.   (Che bel sembiante!)
Triticone. Voi vi siete ingannatole certamente
Qui nessun vi chiamò.
Giacinto.   Dunque ritorno,
E all’innocente error chieggo perdono.
(Potessi almen dir a colei chi sono).
Rosalba. (Più ch’io guardo quel volto, ei più mi piace).
Triticone. Signor, andate in pace.
Ma ditemi di grazia,
Che cos’è quell’imbroglio?
Giacinto. La canna con cui soglio
La gente astrologar.
Triticone.   Voi siete astrologo?
Giacinto. Sì signor, per servirla.
Triticone. Che è lo stesso che dire un vagabondo,
Che ruba13 li denari e gabba il mondo.
Giacinto. Se voi mi conosceste,
Non direste così.
Triticone.   Non siete astrologo?
Giacinto. Lo son, ma non di quelli da dozzina.
Son uno che indovina
Il presente, il passato ed il futuro.
Non già con senso oscuro,
Ambiguo, amfibologico, imbrogliato.
Ma in un modo assai schietto e non usato.
Triticone. Vera o falsa che sia,

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È sempre un’illusion l’astrologia.

Rosalba. (Oh che voglia mi sento
Di farmi astrologar!)
Giacinto.   Io mi contento,
Se lasciarvi servir da me degnate,
Che se non dico il ver, non mi paghiate.
E datemi la prova:
Se il passato indovino, io so che allora
Dell’avvenir mi crederete ancora.
Rosalba. (Ha proprio un volto amabile.
È grazioso e gentil 14; egli è adorabile).
Triticone. Orsù, voglio provarvi.
Giacinto. Tiriamoci in disparte.
Triticone. Sì, sì, non istà ben che la ragazza
Della mia gioventù senta gli errori.
Rosalba, ritiratevi.
Rosalba. V’obbedisco, signor, ma ricordatevi,
Che dopo voglio anch’io
Farmi certo predire il destin mio. (si ritira
Giacinto. Mostratemi la mano. Ella è imbrogliata.
Triticone. Come sarebbe a dir?
Giacinto.   Tutto vi spiego.
Triticone. Ma parlatemi chiaro, io ve ne priego.
Giacinto. Comincio dal passato.
Triticone.   Bene, bene;
Dite pur, che v’ascolto.
Giacinto. (Potessi astrologar quel vago volto!)

     Nell’età giovine
          Cupido e Venere
          Vi dominò;
     Ed una femmina
          Di spirto nobile
          V’incatenò.

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Triticone. Basta, basta così. (Se più s’avanza,

Ei scoprirà di peggio).
Il passato in narrar siete eccellente;
Dite pure il presente.
Giacinto.
  Sul vostro crin si spargono,
  Da un vago volto amabile
  Siete ferito ancor.
Triticone. Pur troppo è ver, pur troppo
Grand’astrologo siete in fede mia;
Deh proseguite pur l’astrologia.
Giacinto.   Ma questa femmina
  Di cuor volubile
  Vi burlerà.
  Perch’ella è giovine,
  Con queste ceneri
  Non si confà.
Triticone. (Quest’è quel che mi pesa,
Ma saprò ben con arti buone e belle
Vincer gl’influssi delle avverse stelle).
Un gran concetto io formo
Della vostra virtù.
Rosalba.   Che diavoi fate? (toma
Non è finita ancor questa faccenda?
Avvertite, signor, che voglio anch’io...
Triticone. Sì, sì, ma ancor per poco
Ritiratevi in grazia.
Giacinto. (Oh che volto gentil!)
Rosalba.   (Che bella grazia!) (si ritira
Triticone. Voi, signor indovino,
Del passato e presente
M’indovinaste affé tutto a puntino;
Ma perchè del futuro
Non vorrei s’avverasse il vostro detto,
Mi ritrovo costretto

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Supplicarvi di cosa che alla fine

Non è per voi disonorata e vile,
E a me giovar potria, più se un tesoro
Mi donaste ripien di gemme ed oro.
Giacinto. Comandatemi pur, ch’io vi prometto
Obbedienza e fede.
Triticone. Ed io prometto a voi buona mercede.
Quella figlia che meco
Ritrovaste, signore, è mia pupilla;
Io sono il suo tutor, ma il suo sembiante
D’essa mi rese sviscerato amante;
Sempre temei, ed or più che mai temo,
Ch’ella alle nevi mie non si riscaldi.
Giacinto. Ma che far vi poss’io?
Triticone.   Molto potete.
Fingendo astrologarla,
Mostrate di predir che il suo destino
La vuole per suo ben moglie d’un vecchio;
Che un giovine potrebbe
Esser la sua rovina, e cose tali,
Sicchè avendo desio di maritarsi,
La giovine di me possa invogliarsi.
Giacinto. Lasciate fare a me, state sicuro,
Persuaderla saprò, io ve lo giuro.
Triticone. Caro fratello, intanto
Ch’io vo15 a prender per voi un regalone,
Fate, ma come va, l’operazione.
Rosalba, uscite pure, io mi contento
Che quest’uomo da bene
Vi dica la ventura,
E state pur sicura,
Che tutti i detti suoi son verità;
Badate a lui, che non v’ingannerà. (si ritira
Rosalba. Ecco pronta la mano. (Oh me felice!)

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Giacinto. Bella, poichè la sorte

Seconda il desir mio,
Permettetemi ormai ch’a voi palese
Faccia il mio nome e il grado mio discopra
Astrologo non son, ma cavaliere:
Io Giacinto m’appello, ed in fortune
E in nobiltade alcun non mi sorpassa;
V’amo, v’adoro e vi desio per sposa.
Se mi siete pietosa,
Sarete fortunata, ed io felice;
Non temete il tutor; fuor d’ogni intrico
Io levarvi saprò, so quel che dico.
Rosalba. Signor, mi sorprendete....
Giacinto. Non v’è tempo da perdere:
Triticone ritorna,
Dite pur se aggradite l’amor mio.
Rosalba. Gradisco l’amor vostro, e v’amo anch’io.
Ma Triticon....
Giacinto.   Tacete.
Leggete questo foglio,
Fate quel ch’ei vi dice, e non temete.
Triticone. Ebben, Rosalba mia, siete contenta?
Rosalba. Sì signor, contentissima.
Triticone. Vi ha detto cose buone l’indovino?
Rosalba. Non mi potea predir miglior destino.
Triticone. (Il negozio va bene,
L’astrologo eccellente
Certo che all’amor mio la persuase).
Amico.
Giacinto.   Mio signor.
Triticone.   Quest’è una doppia;
Se pagato non siete,
Della mia protezion sempre godrete.
Giacinto. Pagato, pagatissimo.
Servitor mio padron, servo umilissimo.

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Triticone. a tre Che bella scienza l’astrologia!
Rosalba. In essa spero la pace mia,
Giacinto. E il mio contento tutto trovar.
Triticone.   Signor astrologo,

  Vi son tenuto.
Rosalba.   Che siate pure
  Il ben venuto.
Giacinto.   Voi siete, signore,
  Signora, voi siete
  Padroni di me.
Triticone.   Oh che uomo cortese!
Rosalba.   Che grazia! Che brio!
Giacinto.   Bell’idolo mio,
  Languisco per te.

Triticone. a tre Oh che contento!
Rosalba. Che gioia ch’io sento!
Giacinto. Mi giubila il cor! 16
Giacinto.   Signor Triticone,

  Gli fo riverenza.
Triticone.   (Che giovin garbato!)
Rosalba.   (Che bella presenza!)
Giacinto.   E voi, mia signora,
  Serbate in memoria,
  Che per vostra gloria
  Voi scieglier dovete....
Triticone.   Un vecchio....
Giacinto.   Sicuro.
Rosalba.   (Voi solo, vel giuro.)

Triticone. a tre Felice già sono.
Più dubbio non v'è.
Rosalba.
Giacinto.


Fine della Prima Parte.


Note

  1. Conserviamo per comodità dei lettori questa divisione in scene che si trova soltanto nell’ed. Zatta.
  2. Così nell’ed. Zatta. Nelle precedenti edizioni è stampato gli.
  3. Questa che si lagna è Zanetta Casanova: v. Nota storica.
  4. Nelle edd. Tevernin, Savioli e Zatta c’è il punto esclamativo.
  5. È dialetto veneziano. Soltanto nell’ed. Zatta si legge: se tu mi lasci.
  6. Così nelle edd. Valvasense e Bettanin. Nelle altre: paroncina.
  7. Uccellino domestico: v. Boerio.
  8. Zatta: vuol.
  9. Segue nelle edd. Valvasense, Bettanin, Moucke: Quell’oselin etc.
  10. Così l’ed. Zstta; in tutte le oltre: gioveni.
  11. Segue nelle stampe più antiche: Che gran ecc.
  12. Nelle più antiche edizioni è stampato: viddi, avvanzai ecc.
  13. Nelle stampe del Settecento: rubba.
  14. Ed. Valvasense: È grazioso, è gentil.
  15. Nelle edd. Tevernin e Bettanin: vuò.
  16. Ed. Valvasente: Mi giubila il core nel sen.