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La scozzese/Atto I

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Atto I

../Personaggi ../Atto II IncludiIntestazione 16 maggio 2021 100% Da definire

Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Fabrizio, Garzoni e Monsieur la Cloche.

Cloche. Datemi del caffè col latte. (va a sedere ad un tavolino)

Fabrizio. Servite monsieur la Cloche. (ai giovani)

Cloche. Avete ancora avuto i foglietti?

Fabrizio. Sì, signore. Vi servo subito. (va a prendere i fogli) Ecco la gazzetta d’Olanda, ecco quella d’Utrech. Questo è il Mercurio di Francia; e questo è il foglio di Londra. Avrete campo di divertirvi. (gli portano il caffè)

Cloche. Ma possibile, Fabrizio, che non si possa da voi sapere, chi sia quella forestiera che alberga qui da voi nell’appartamento terreno?

Fabrizio. Perdonatemi; perchè voler insistere in questa curiosità?

Cloche. Sono tre mesi che una straniera incognita alloggia nel vostro albergo. È giovane, è bella, è graziosa; e non si ha [p. 186 modifica] da avere curiosità di sapere chi è, donde viene, e a qual oggetto si tiene occulta?

Fabrizio. Che interesse ci avete voi? Qual ragione vi stimola a sapere i di lei segreti?

Cloche. Io non ci ho interesse veruno; ma son portato naturalmente a sapere tutte le novità; e quanto più ci trovo degli ostacoli, tanto più mi accendo di volontà di sapere. La sera, nelle conversazioni che io frequento, tutti da me aspettano qualche cosa di nuovo. Ho sentito di già parlare da qualcheduno di questa vostra ospite sconosciuta: si sa ch’io vengo tutti i giorni a prendere il caffè alla vostra bottega, ch’io frequento la tavola rotonda del vostro albergo, e sono in impegno di render conto di questa incognita. Se voi fate capitale di me, o mi avete a confidare chi ella è, o mi avete da facilitare l’introduzione, perchè possa rilevarlo io medesimo dal modo suo di parlare.

Fabrizio. Voi mi domandate due cose che da me non dipendono. Non posso dirvi chi ella è, perchè non lo so nemmen io; e non mi è permesso introdurvi, perch’ella non vuol nessuno.

Cloche. Come potete dire, non vuol nessuno, se io so di certo ch’ella parla, e tratta, e conversa con milord Murrai?

Fabrizio. Sì, è vero. Milord è venuto qualche volta a vederla; ma non l’ha mai voluto ricever sola; e non si è contentata della compagnia della sua cameriera, ma ha voluto che ci fosse presente mia moglie, o io, o alcun altro della mia famiglia.

Cloche. Ebbene, le parlerò anch’io in presenza vostra, e di vostra moglie, e di tutta la vostra famiglia.

Fabrizio. Orsù, signore, scusatemi: son un uomo d’onore, e mi dovreste conoscere bastantemente.

Cloche. Povero Fabrizio! voi fate due mestieri che vi dovrebbono far uomo ricco. Caffè e locanda sono due sorgenti felicissime di profitto; ma non sapete fare nè l’uno, nè l’altro. Chi è quel locandiere, che in un caso simile non sapesse trovar il pretesto per introdurre un galantuomo nelle camere di una forestiera? Chi è quel caffettiere, che non cercasse di coltivare [p. 187 modifica] gli avventori alla sua bottega, facilitando e procurando i mezzi per soddisfarli?

Fabrizio. Io sono un uomo da bene, un locandiere onesto, un caffettiere onorato. (riscaldandosi)

Cloche. Voi siete uno stravagante, (s’alza con isdegno) e alla vostra bottega non ci verrò più.

Fabrizio. Mi farete piacere.

Cloche. Farò tanto, che saprò chi è quella donna; e vi pentirete di non avermelo voi confidato.

Fabrizio. Fo il mio dovere, e non avrò occasion di pentirmene.

Cloche. Basta, basta, ci parleremo. Signor uomo da bene, signor caffettiere onorato, ci parleremo. (parte)

SCENA II.

Fabrizio, poi Milord Murrai.

Fabrizio. Sarebbe per me un acquisto la perdita di questo importuno. Un uomo ozioso, che va cercando di sapere i fatti degli altri, e inquieta il mondo colle sue seccature. Ecco milord Murrai: questi è un buon cavaliere.

Milord. Fabrizio, vi do il buon giorno.

Fabrizio. Milord, vi faccio umilissima riverenza.

Milord. Avete ancora veduta stamane la vostra ospite?

Fabrizio. Non signore. E ancor di buon’ora.

Milord. Si è veduta la di lei cameriera?

Fabrizio. Nemmeno.

Milord. Son bramoso di sapere, se ha riposato bene la scorsa notte.

Fabrizio. Scusate, Milord, l’ardire di un vostro umilissimo servitore: mostrate una gran premura per questa giovane.

Milord. Vi pare che non la meriti?

Fabrizio. Anzi mi par degnissima delle vostre attenzioni.

Milord. Io trovo in lei una bellezza che incanta, ed una virtù che sorprende.

Fabrizio. M’immagino che a quest’ora saprete la sua condizione. [p. 188 modifica]

Milord. No: ancora non ho potuto saper chi ella sia. Stava appunto presentemente per domandarvi, se vi è riuscito di penetrar qualche cosa.

Fabrizio. Io non so altro, se non ch’ella è scozzese, e che si chiama Lindana; per altro non so nemmeno se sia fanciulla, o vedova, o maritata.

Milord. Per quel che ho potuto raccogliere, ella non ha marito.

Fabrizio. E come mai una figlia nubile si trova sola in una città capitale, ed in un pubblico albergo?

Milord. Io ne sono all’oscuro al pari di voi. Vi confesso ch’io l’amo, e che se la sua condizione fosse eguale alla sua bellezza e alla sua virtù, non tarderei un momento ad offrirle la mano di sposo.

Fabrizio. Scusatemi; non siete voi impegnato con miledi Alton?

Milord. Sì, miledi Alton mi fu destinata in isposa dal mio genitore. Egli è morto. Ho scoperto in lei un carattere che mi dispiace: è altiera, vana, orgogliosa. S’io mi legassi con lei, pochissimo durerebbe la nostra unione. Gliel’ho detto liberamente, e può essere certa, che pria di legarmi seco, mi eleggerei di vivere come sono.

Fabrizio. Vi compatisco. Non vi è cosa peggiore al mondo d’un matrimonio discorde.

Milord. Ah! Lindana mi potrebbe render felice.

Fabrizio. All’aspetto, al costume, al modo suo di parlare mostra di esser nata bene.

Milord. Così credo ancor io.

Fabrizio. Aggiungete ch’ella è povera, e fa ogni sforzo per nascondere la sua povertà.

Milord. Somministratele quanto occorre. Supplirò io ad ogni cosa.

Fabrizio. Non vi è caso, signore: ella non vuol ricevere cosa alcuna senza il pagamento; e piuttosto si contenta patire.

Milord. Una simile delicatezza non appartiene che a un sangue nobile. No, non conviene farla arrossire; dissimuliamo per ora le sue indigenze.

Fabrizio. Veggo aprire la camera. [p. 189 modifica]

Milord. Il cuore mi si altera immediatamente.

Fabrizio. Esce la cameriera.

Milord. Lasciatemi solo con lei.

Fabrizio. Volentieri. (Se Lindana è tale, quale apparisce, il cielo non può lasciar di soccorrerla).

SCENA III.

Milord, poi Marianna che esce dalla camera e chiude l’uscio, tenendo in mano un ricamo.

Milord. Non avrò mai pace, s’io non arrivo a penetrare gli arcani di questa giovane virtuosa.

Marianna. Milord. (inchinandosi)

Milord. Buon giorno, Marianna. Che fa la vostra padrona?

Marianna. Sta bene.

Milord. Si può riverire?

Marianna. È troppo presto, signore. Non è ancora intieramente vestita. E poi sapete il di lei costume: non riceve visite senza una buona copia di testimoni.

Milord. Dove siete diretta presentemente?

Marianna. Dalla padrona di casa.

Milord. Avete qualche cosa di bello, mi pare.

Marianna. Sì, signore, è un ricamo.

Milord. È opera vostra?

Marianna. È opera della mia padrona.

Milord. Si può vedere?

Marianna. Perchè no? Ma non dite a lei d’averlo veduto.

Milord. Sdegna ella che si sappia che si diverte? Il ricamare è tale esercizio, che conviene alle persone di spirito.

Marianna. Non è per ciò; ma so io quel che dico. Non voglio ch’ella sappia, ch’io ve Lo abbia mostrato. Ecco qui: non è ben fatto questo ricamo?

Milord. Perfettamente: ella mostra anche in ciò il suo talento. A che serve questo lavoro?

Marianna. Non lo vedete? Per un paio di scarpe. [p. 190 modifica]

Milord. Per lei, m’immagino.

Marianna. Eh! no, signore. Non hanno da servire per lei. (sospirando)

Milord. Per voi dunque.

Marianna. Peggio.

Milord. Ma per chi?

Marianna. Per tutte e due.

Milord. Non capisco.

Marianna. Permettetemi che io vi faccia una confidenza. Tiriamoci in qua per amor del cielo, che non mi sentisse. Mi manda dalla padrona di casa, perchè mi trovi da vendere questo ricamo; perchè (in segretezza) è ridotta a tale, ch’è costretta a vivere col travaglio delle sue mani.

Milord. Oimè! voi mi colpite nell’anima. Perchè non si degna di confidarsi meco?

Marianna. Oh! morirebbe piuttosto.

Milord. Tenete: datele questa borsa.

Marianna. Non è possibile: non la riceverebbe a verun patto.

Milord. E voi avete cuore di ricusarla?

Marianna. Ci lascio gli occhi sopra; ma non la posso ricevere.

Milord. E pure sarete costretta a patir con lei.

Marianna. Pur troppo.

Milord. E siete voi pure sì virtuosa?

Marianna. Amo tanto la mia padrona, che sfuggo ogni occasione di disgustarla.

Milord. Siete veramente ammirabile.

Marianna. È il buon esempio, signore, che mi fa essere qualche cosa di buono.

Milord. Facciamo così. Vendete a me quel ricamo.

Marianna. Volentieri. Basta che non lo diciate.

Milord. Non vi è pericolo. Eccovi per esso quattro ghinee.

Marianna. Quattro ghinee? Bastano bene quattro scellini.

Milord. Così poco?

Marianna. È il maggior prezzo che si può sperare.

Milord. Non potreste voi dire d’aver avuto la fortuna di venderle per quattro ghinee? [p. 191 modifica]

Marianna. Eh! la mia padrona non è sì sciocca.

Milord. Tenetevi il rimanente per voi.

Marianna. Ah! non posso farlo. (sospirando)

Milord. Non è necessario ch’ella lo sappia.

Marianna. Credetemi, se avessi questo danaro in tasca, mi troverei sì confusa, che la padrona se ne accorgerebbe senz’altro.

Milord. (Io non ho più trovato una padrona sì amabile ed una serva sì accostumata).

Marianna. (È una gran tentazione; ma convien resistere).

Milord. Tenete; datemi il resto di una ghinea.

Marianna. Il resto di una ghinea? Sono dei mesi che io non veggio la stampa delle monete.

Milord. Tenete la ghinea: mi darete il resto.

Marianna. Ma se non mi trovo...

Milord. Tenete, dico. La virtù, quando eccede, diventa vizio. (un poco alterato)

Marianna. Via, via, non andate in collera. La cambierò, e vi darò il restante. (prende la ghinea)

Milord. Non siate così rigorosa. (si pone in tasca il ricamo)

Marianna. Io non lo sarei veramente; ma la padrona mi obbliga, ed io non la vorrei disgustare.

Milord. Possibile ch’ella non voglia cercar la via di uscire di tali angustie?

Marianna. Io credo ch’ella lo farebbe, se fosse in caso di farlo.

Milord. Sa pure, ch’io ho della stima e dell’amore per lei.

Marianna. È vero; e so ch’ella ancora ha della stima per voi. Ma parevami che vi amasse più da principio, quando vi spacciaste per il cavaliere Sternold. Dopo che le confidaste di essere milord Murrai, la veggio inquietissima, e non vi nomina che sospirando.

Milord. Sì, allora quando mi scopersi per quel che sono, la vidi impallidire e tremare. Giudicai ch’ella in me condannasse la mia finzione; ma credo di avermi giustificato abbastanza. Una incognita, in un pubblico albergo, io non sapea se meritasse la mia confidenza. Ho voluto tenermi nascosto, finchè ho [p. 192 modifica] rivelato il carattere. Quando ho conosciuto la sua virtù, mi sono manifestato, e le ho domandato perdono.

Marianna. Eppure, non si è mai più da quella volta rasserenata, lo dubito che qualche ragion più forte la tenga oppressa.

Milord. Non saprei. Voi che le siete ognora dappresso, potreste qualche cosa indicarmi. Ma non vi è speranza di poter da voi saper nulla. Non avete mai voluto confidarmi chi ella è; e so che voi lo sapete.

Marianna. Perchè volete ch’io tradisca la mia padrona?

Milord. Chiamate voi tradimento svelare la sua condizione ad un uomo che può fare la sua fortuna? Io stimo peggio il tacere; poichè, s’è degna di me, voi potete darmi il coraggio per dichiararmi; se non merita le mie nozze, la mia amicizia la pregiudica, e non le fa onore.

Marianna. Voi parlate sì bene, che quasi quasi mi credo in necessità di confidarvi il segreto.

Milord. Via, fatelo, che ne resterete contenta.

Marianna. Se mi potessi fidare che non parlaste...

Milord. Io non credo di meritar da voi questo torto.

Marianna. Avete ragione. Faccio torto a voi, e alla padrona medesima, che per una rigorosa virtù vuol ridursi a morir di fame. Sappiate dunque, ch’ella è di una delle più illustri famiglie di Scozia. Suo padre è stato capitalmente bandito da tutto il Regno. Sua madre è morta dal dolore. Hanno confiscato tutti i suoi beni, ed ella per disperazione si è meco sola imbarcata, ed è qua venuta, non con animo di trattenersi, ma di proseguire il cammino. Non so poi, se la mancanza di danaro, o la vostra amicizia, le abbia fatto cangiar pensiere. So che siamo qui da tre mesi, che il primo si è passato assai bene, ed il restante malissimo.

Milord. Si può sapere il nome della famiglia?

Marianna. Vi dirò ancor questo; ma per amor del cielo!...

Milord. Non dubitate ch’io parli.

Marianna. Si tratta di tutto; si tratta della sua vita medesima.

Milord. Voi mi offendete. [p. 193 modifica]

Marianna. Oh cieli! la padrona mi chiama.

Milord. Non mi lasciate in quest’orribile dubbietà.

Marianna. Vengo, vengo, (verso la porta) Lindana è un nome supposto. Ella è figlia dello sventurato Sterlingh...

Milord. Come.

Marianna. Sì. del Conte Sterlingh... Vengo, vengo... compatitemi. Vi raccomando la segretezza. (parte)

SCENA IV.

Milord solo.

Ahimè! qual fulmine mi ha colpito? Ora comprendo il turbamento cagionato nel di lei animo dal mio nome. Nome per lei fatale, degno dell’odio suo, degno del suo abborrimento. Ma io non sono il reo delle sue sventure. Fu il padre mio l’inimico della sua casa; fu egli persecutor della sua famiglia. Mio padre è morto... Ma oimè! una figlia sensibile, un’orfana desolata non può aver pace col sangue de’ suoi nemici; e chi può essere lo scopo di sue vendette, s’io non lo sono? Sì. Lindana mi odia: l’idolo mio mi vuol morto. Veggio riaprir la porta della sua camera: non ho coraggio di presentarmi... nello stato in cui mi ha messo questa scoperta... Prendiamo tempo. L’amore mi porgerà, può essere, qualche consiglio. (parte)

SCENA IV.

Lindana e Marianna.

Lindana. No, non ti posso credere. Milordi... Dov’è egli andato? Milord?... Ah! Marianna, tu hai parlato seco lui lungamente.

Marianna. Signora, acchetatevi sulla mia parola

Lindana. Va a vedere se c’è Milord. Voglio parlare con essolui.

Marianna. E lo volete ricevere senza i soliti testimoni?

Lindana. Siamo in una pubblica sala. Cercalo immediatamente.

Marianna. (Prego il cielo che non ci sia). (va e torna) [p. 194 modifica]

Lindana. Marianna mi ama. È giovane di buon costume; ma l’amore medesimo potrebbe spingerla a palesarmi; e se Milord sa chi sono, o cieli! siamo entrambe perdute.

Marianna. Non c’è più, signora.

Lindana. È partito?

Marianna. Sull’onor mio, è partito.

Lindana. Perchè partire senza vedermi?

Marianna. Perchè gli ho detto ch’eravate spogliata.

Lindana. Altre volte si è trattenuto; non gli è rincresciuto aspettare.

Marianna. Questa volta avrà avuto maggior premura.

Lindana. Marianna, tu hai ragionato lungamente con essolui.

Marianna. Lungamente? Non mi pare, signora.

Lindana. Pare a me. Ti ho veduta. Quai discorsi si sono fatti?

Marianna. Mi ha domandato se state bene, se avete dormito bene, e cose simili.

Lindana. Ti ha egli domandato chi sono?

Marianna. Oh! questa poi è la solita interrogazione. Da che lo conosco, me l’averà chiesto trecento volte,

Lindana. E tu che cosa hai risposto?

Marianna. Che non lo so nemmen io; ch’è poco tempo ch’io sto con voi; che vi conosco per quella che mi dà il salario...

Lindana. Ah! Marianna, tu mi rimproveri col miglior artifizio del mondo. Non ti do il salario; non ti do che scarso alimento. Soffrimi fin che puoi, non mi abbandonare.

Marianna. Io abbandonarvi? Non dubitate, signora mia. Non lo farò mai. Sarei disposta, se lo permetteste, andar piuttosto a domandar la elemosina, e per voi, e per me.

Lindana. Tutte le persone afflitte di questo mondo hanno qualche speranza: io non ne ho alcuna.

Marianna. Compatitemi, signora, e correggetemi s’io dico male. Che difficoltà avete voi a confidarvi a Milord, ch’è un cavaliere sì amabile e di sì buon cuore.

Lindana. Ah! taci, per carità. Pensa a tutt’altro: questa sarebbe l’ultima mia disperazione.

Marianna. Egli ha per voi della stima; egli ha per voi dell’amore. [p. 195 modifica]

Lindana. Lo sai veramente, ch’egli mi ami?

Marianna. Lo so di certo.

Lindana. Te l’ha egli detto?

Marianna. Qualche cosa mi ha detto.

Lindana. Vedi, ingrata! Lo vedi se posso crederti? Tu hai ragionato di me lungamente con essolui, e me lo volevi nascondere. Ciò mi mette in maggior sospetto. Tremo che tu gli abbia svelato l’esser mio, le mie contingenze.

Marianna. No certo, signora. Assicuratevi che non l’ho fatto; ma se fatto l’avessi, scusatemi, sarebbe egli sì gran delitto?

Lindana. Ah! sarebbe lo stesso che volermi perduta, sagrificata. Marianna, tu sei sul punto di rovinarmi, se non l’hai fatto a quest’ora. Ah sì, per maggiormente impegnarti a sì premuroso silenzio, odi le conseguenze che ne verrebbero dalla tua imprudenza.

Marianna. (Io principio a tremar davvero).

Lindana. Tu sai le disgrazie della mia famiglia.

Marianna. Le so pur troppo.

Lindana. Sai tu l’origine che le ha prodotte?

Marianna. Intesi dire da voi medesima, che il vostro genitore sia stato esiliato per sospetto di ribellione; ma non mi diceste più di così.

Lindana. Sì, fu il povero padre mio condannato per un sospetto suscitato da un’antichissima inimicizia fra la famiglia nostra e quella di milord Murrai. Nacque l’astio fra le due case fin da quel tempo, in cui si trattò l’unione dei due regni sotto un solo governo; e furono allora di sentimento diverso, e mantennero sempre fra loro un implacabile odio. Milord Murrai, padre di quello che mi ama e non mi conosce, mandato dal Parlamento in Iscozia, colse la congiuntura di alcuni torbidi di quel regno, e gli riuscì di far comparire mio padre il protettore de’ malcontenti. Si salvò il mio genitor colla fuga. Sono sei anni ch’egli si rifugiò nell’America; e dopo che mancò di vita l’addolorata mia genitrice, più non ebbi di esso novella alcuna. Spogliata dal fisco de’ nostri beni, perduta la cara madre, la [p. 196 modifica] disperazione m’indusse ad abbandonare la patria con animo di passare nell’Indie, e colla traccia di qualche lettera che conservo ancora, tentar la sorte di rinvenire mio padre. Giunta in Londra colla speranza di ritrovare l’imbarco, fummo a quest’albergo condotte. Felice albergo per la cortese accoglienza del buon Fabrizio e dell’amorosa di lui consorte; felicissimo un tempo per l’adorabile conversazione del più amabile cavaliere del mondo. Ma oimè! albergo ora di tristezza e di pena, da che ho rilevato in Milord il sangue de’ miei nemici, l’origine de’ miei disastri, l’oggetto dell’odio e della vendetta del padre mio, se ancor vive. Milord istesso, che ha per me dell’amore, convertirebbe in isdegno (conoscendomi) la sua passione: ereditata l’avversione dal padre contro il nome e contro il sangue che io vanto, chi sa fin dove lo trasporterebbe lo sdegno? Ma se altro male non mi avvenisse, vedermi odiata dalla persona ch’io amo, sarebbe l’ultimo de’ miei affanni. Ah! sì, dovrei vergognarmi di un tale affetto; ma l’ho concepito con innocenza, e non ho bastante virtù per discacciarlo dal seno. Dipende dalla segretezza dell’esser mio qualche giorno di vita che ancor mi resta. Vedi ora qual interesse mi sproni a raccomandarti il silenzio: vedi qual dovere ti astringe a non tradire, a non perdere la tua sventurata padrona. Soffri per poco ancora; soffri fin che incerta mi tengono le mie discordi risoluzioni. Aspetto il miglior consiglio dal cielo. Se io non lo merito, se io non l’ottengo, la morte solleverà me dagli affanni: e tu sarai dalle mie miserie e da sì trista condizione liberata.

Marianna. (Oh misera! oh disgraziata ch’io sono! oh cosa ho fatto! oh povera la mia padrona!) (si asciuga gli occhi)

Lindana. Marianna, tu piangi, tu arrossisci, tu tremi? Ah! cieli; mi avresti per avventura tradita?

Marianna. Oh! no, signora. Il racconto delle vostre disavventure mi fa piangere e mi fa tremare.

Lindana. Sia tutto ciò che al ciel piace. Hai tu portato il ricamo alla padrona di quest’albergo?

Marianna. Dirò... Sì, signora. (Non so quel che mi dica). [p. 197 modifica]

Lindana. Ti ha ella dato il solito prezzo?

Marianna. Me l’ha dato... cioè, non me l’ha dato, ma me lo darà.

Lindana. L’ha dato, o non l’ha dato? Mi pare che ti confondi.

Marianna. Tutto effetto, signora, della parte ch’io prendo nelle vostre disgrazie.

Lindana. Sai pure in qual estremo bisogno ci ritroviamo. Perchè non pregarla di pagarti subito sì picciola somma?

Marianna. Per non farle sapere che voi siete in tale necessità.

Lindana. Ma non si è fra di noi concertato, che tu dicessi essere cosa tua, e che ti preme il danaro per ispenderlo in cosa di tua occorrenza?

Marianna. È vero.

Lindana. Gliel’hai tu detto?

Marianna. Mi pare di sì.

Lindana. Ti pare? Che modo è questo? Ti pare?

Marianna. Anzi gliel’ho detto certissimo. (Propriamente le bugie non le so ben dire).

Lindana. Va dunque, va nuovamente a pregarla. Io non ho coraggio di farmi provveder da Fabrizio, se non gli pago il conto de’ due giorni passati.

Marianna. Ma egli lo fa assai volentieri; vi prega anzi di ricevere...

Lindana. No, no; fra le mie sventure non ho altra consolazione, che quella di poter nascondere le mie miserie. Se si sapesse l’estrema mia povertà, cadrei facilmente in dispregio delle persone; e chi sa qual giudizio e quai disegni si formerebbero sopra di me.

Marianna. (Oh lingua! oh linguaccia! che cosa hai fatto?)

Lindana. Va, cara, sollecita a farmi questo piacere. Ti aspetto nelle mie camere.

Marianna. Vado subito. (Povera me! io non so in che mondo mi sia). (parte) [p. 198 modifica]

SCENA VI.

Lindana sola.

Ah! non vorrei colla mia condotta meritarmi l’ira del cielo. Ma doveva io rimanere nella mia patria, sola, abbandonata da tutti, in odio ai parenti, ai nemici, ai concittadini? Perchè (mi rimprovera il cuore), perchè non sollecitare il viaggio dell’Indie? Perchè non dirigere tutti i pensieri alla speranza e ai mezzi di rintracciare il padre? Sì, è vero, doveva farlo. Ma i disagi provati nel primo viaggio mi mettono in apprensione per intraprenderne uno più lungo e più faticoso. Espormi un’altra volta al mare; assoggettarmi ad un clima incognito, e pericoloso forse alla mia salute? Ah! Lindana, non ci aduliamo: diciam piuttosto, abbandonare Milord? Oh cieli! Milord mio nemico? Ah! chi ha mai veduto sopra la terra una donna di me più misera, più sfortunata? Numi, aiuto, consiglio, pietà: pietà del mio povero cuore. (entra nella sua camera)

Fine dell’Atto Primo.