La secchia rapita (1930)/Canto settimo

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Canto settimo

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Canto sesto Canto ottavo

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CANTO SETTIMO

ARGOMENTO

               Rotti i Petroni da la destra parte,
          sta in dubbio la vittoria ancor sospesa;
          fin che scende dal ciel Iride, e Marte
          fa ritirar da la crudel contesa.
          Giugne Renoppia, e la smarrita parte
          rinvigorisce; e giugne in sua difesa
          Gherardo, che dal fiume a l’altra sponda
          caccia i nemici e fa vermiglia l’onda.


1
     Il conte di Culagna era fuggito,
com’io narrai, di man di Salinguerra;
e quel fiero da l’impeto rapito,
pedoni e cavalier gittando a terra,
morto Rainero e Bruno avea ferito,
e mossa a un tempo a quella squadra guerra,
che Voluce in battaglia avea condotta,
e giá le prime file erano in rotta.
2
     Quando Voluce ode il rumore e vede
Salinguerra ch’i suoi rompe e fracassa,
salta in arcion, che combatteva a piede,
e l’asta prende e la visiera abbassa;
sprona il cavallo, e tosto intorno cede
ognuno, e gli fa piazza ovunque passa:
Salinguerra a rincontro i suoi precorre,
e minaccioso a la battaglia corre.

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3
     I magnanimi cor di sdegno ardenti
metton le lance a mezzo ’l corso in resta,
e vannosi a ferir, come due venti
o due folgori in mar quand’è tempesta.
Lampi e fiamme gittâr gli elmi lucenti;
mugghiò tremendo il campo e la foresta
a quel superbo incontro, e l’aste secche
volaro infrante in mille scheggie e stecche.
4
     Si fece il segno de la santa Croce
l’un campo e l’altro, e si fermò guardando
per meraviglia immoto, senza voce,
del periglio comun scordato; quando
l’uno e l’altro guerrier torse veloce
dispettoso la briglia, e tratto il brando,
fulminârsi a gli scudi ambi e a la testa
dritti e rovesci a furia di tempesta.
5
     Non stettero a parlar de’ casi loro,
come soleano far le genti antiche,
né se ’l lor padre fu spagnuolo o moro;
ma fecero trattar le man nemiche.
Le ricche sopraveste e i fregi d’oro,
i cimieri, gli scudi e le loriche
volan squarciati e triti in pezzi e ’n polve;
il vento gli disperge e gli dissolve.
6
     Tra mille colpi il conte di Miceno
colse in fronte il signor di Francolino,
che gli fece veder l’arco baleno,
la luna, il ciel stellato e ’l cristallino.
D’ira, di sdegno e di superbia pieno
sollevò Salinguerra il capo chino,
e a la vendetta giá movea repente,
quando rivolse gli occhi a la sua gente.

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7
     Sotto la scorta di sí chiaro duce
eran trascorsi i ferraresi tanto,
che dietro a lui, come a notturna luce,
sconvolto avean tutto il sinistro canto:
ma poi ch’a Salinguerra il buon Voluce
si fece incontro, essi allentar fra tanto
l’impeto loro; e videsi in figura
che trotto d’asinel passa e non dura.
8
     Manfredi, che cacciati i milanesi
rotti e dispersi avea per la campagna,
e in aiuto venia de’ cremonesi
contra quei di Toscana e di Romagna;
poi che conobbe a l’armi i ferraresi
ch’incalzavano i suoi de la montagna,
rivolto a lo squadron ch’intorno avea,
gli accennava col brando e gli dicea:
9
     — Vedete lá quella volubil gente,
che vaga ognor di principi novelli
or piega al papa e ne la vana mente
seco sognando va mitre e cappelli;
mirate com’è d’òr tutta lucente,
come d’armi pomposa e di gioielli:
andiamo, valorosi, urtiam fra loro,
che nostre fien le gemme e l’armi e l’oro.
10
     Cosí dice; e spronando il buon destriero,
la spada stringe e ’l forte scudo imbraccia,
e tra le squadre de’ nemici altero
con la man fulminando urta e si caccia.
Come al primo attizzar pronto e leggiero
corre stormo di bracchi a dar la caccia
al gregge vil, cosí da quegli arditi
i ferraresi allor furo assaliti.

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11
     Manfredi a Pasqualin di Pocointesta
tagliò d’un sottobecco il mento e ’l naso,
e fece rimaner con mezza testa
Piero Simon di Gasparin Pendaso.
Contra Manfredi con la lancia in resta
venia spronando il Mozzarel Tomaso;
quaud’ecco l’afferrò con un uncino
Archimede d’Orfeo Cavalierino.
12
     Correa l’inaveduto a tutta briglia,
senza badar s’alcun gli movea guerra:
e Archimede l’apposta e l’arronciglia,
e ’l fa cader d’arcion col culo in terra.
Per la coda il destrier Tomaso piglia
per ritenerlo; ed egli i piè diserra
con grazia tal, ch’in cambio di confetti
gli fa ingoiar dodici denti netti.
13
     Giannotto Pellicciar con un’accetta
spaccò la testa a Gabrio Calcagnino;
Obizo Angiari e Baldovin Falletta
uccisi fûr da Gemignan Porrino.
Con un colpo di mazza Anteo Pinzetta
ammaccò la visiera ad Acarino,
nato del seme altier di Giliolo,
e gli fece del naso un raviggiolo.
14
     Ma questo è un gioco a quel che fa Manfredi,
che tutta fracassata ha quella schiera.
Galasso Trotti ha morto e Gottifredi
Gualengui e Perondel di Boccanera;
e ’l Rosso Riminaldi ha messo a piedi
passato d’una punta a la gorgiera:
onde, d’ardire e d’ordinanza tolta,
la gente di Ferrara in fuga è volta.

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15
     Salinguerra, ch’i suoi vede fuggire
dal nemico valor che gli sbarraglia,
ferma la spada in atto di ferire,
e dice al conte: — Tua bontá mi vaglia,
sí che la gente mia possa seguire
tanto ch’io la rivolga a la battaglia;
ché s’io resto qui sol cinto da’ tuoi,
né tu meco pugnar con laude puoi. —
16
     Voluce rispondea: — Signor marchese,
è morto Orlando, e non è piú quel tempo,
ma per non vi parer poco cortese,
se volete fuggir, voi siete a tempo.
Seguite pur, ch’io non farò contese,
la gente vostra, e non perdete il tempo,
perché mi par che corra come un vento;
ma vo’ venir anch’io per complimento. —
17
     — Oh questo no, rispose Salinguerra,
io non partirò mai, s’ella non resta.—
E in questo dire un colpo gli diserra
a mezza lama al sommo de la testa.
Perdé le staffe e quasi andò per terra
il conte a quella nespola brumesta;
strinse le ciglia, e vide a un punto mille
lampade accese e folgori e faville.
18
     Allora Salinguerra il tempo piglia,
sprona il cavallo, e si dilegua ratto,
e lá dove Manfredi i suoi scompiglia,
d’ira avvampando e di furor s’è tratto:
grida, rampogna, e or questo e or quel ripiglia,
mena la spada a cerco, e a chi di piatto,
a chi coglie di taglio, a chi minaccia;
e non può far ch’alcun volga la faccia.

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19
     Voluce in tanto si risente, e gira
il guardo, e vede il principe lontano.
Tosto dietro gli sprona; e, poi che mira
chiusa la strada e che s’affanna in vano,
urta fremendo di disdegno e d’ira
tra i ferraresi anch’ei col brando in mano,
e fa volar al ciel membra tagliate
e piastre rotte e pezze insanguinate.
20
     Tagliò una spalla a Tebaldel Romeo,
e a Buonaguida Fiaschi un braccio netto;
la gamba manca a Niccolin Bonleo
troncò dove finía lo stivaletto;
e mastro Daniel di Bendideo
pieno d’astrologia la lingua e ’l petto,
uccise d’una punta; ond’ei s’avvide
che del presumer nostro il ciel si ride.
21
     Voluce fe’ quel dí prove mirande,
e uccise di sua man trenta marchesi,
però che i marchesati in quelle bande
si vendevano allor pochi tornesi;
anzi vi fu chi per mostrarsi grande
si fe’ investir d’incogniti paesi
da un tal signor, che per cavarne frutto
i titoli vendea per un presciutto.
22
     Come nube di storni, a cui la caccia
lo sparvier dava dianzi o lo smeriglio,
se l’audace terzuol per lunga traccia
le sovraggiugne col falcato artiglio,
raddoppia il volo, e quinci e quindi spaccia
le campagne del ciel, vòlta in scompiglio;
or s’infolta, or s’allarga, or si distende
in lunga riga, e i venti e l’aria fende:

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23
     tal la gente del Po, che pria fuggiva
da la tempesta di Manfredi irato,
poiché Voluce anch’ei le soprarriva
e ’n lei doppia il terror freddo e gelato,
con disordine tal fuggendo arriva
tra il popol di Fiorenza a destra armato,
che seco lo trasporta e lo sbarraglia
e lo fa seco uscir de la battaglia.
24
     Segue Manfredi, e d’armi e di bandiere
resta coperto il pian dovunque passa;
fende Voluce or queste or quelle schiere,
e memorabil segno entro vi lassa:
Pippo de’ Pazzi e Cecco Pucci ei fere,
Beco Stradini e Pier di Casabassa.
Seco è il Duara, e per foreste e boschi
fuggon dispersi i ferraresi e i toschi.
25
     Ma non fuggon cosí giá i perugini,
né la cavalleria del Malatesta;
anzi, come fu noto ai pellegrini
fregi il Duara e a la pomposa vesta,
l’arroncigliâr con piú di cento uncini
ne le braccia, ne’ fianchi e ne la testa.
— Fate pian, grida Bosio, aiuto, aiuto;
non stracciate, ché ’l saio è di veluto;
26
     fermate i raffi, ch’io mi do per vinto;
non tirate, canaglia maledetta:
che malann’aggia il temerario istinto,
perugini, ch’avete, e tanta fretta. —
Cosí dicendo, fu subito cinto,
e fatto prigionier da la cornetta
del capitan Paulucci; indi legato
sopra un roncino a Crespellan menato.

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2712
     La prigionia del duca lor commosse
a furore e vendetta i cremonesi;
spinsero innanzi, e rinforzar le posse
e s’uniron con loro i frignanesi.
Ma il perugino audace il piè non mosse,
e stettero in battaglia i riminesi,
dal valor proprio e da l’esempio degno
de’ capitani lor tenuti a segno.
28
     Il capitan Paulucci a Perdigone,
fratel di Bosio, che ’l destrier gli uccise,
tirò d’una balestra da bolzone,
e con due coste rotte in terra il mise.
Indi ammazzò col brando Ercol Pandone,
che se l’ebbe per male in strane guise;
perch’era vecchio in guerra e buon soldato
e nissuno mai piú l’avea ammazzato.
29
     Aveva in tanto Alessio di Pazzano
il buon Omero Tortora assalito,
istorico famoso e capitano
che le ninfe d’Isauro avean nudrito;
quando d’una zagaglia sopra mano
fu dal signor di Rimini ferito,
e ’l ferro al vivo penetrò di sorte,
che ’l trasse de l’arcion vicino a morte.
30
     E giá per ispogliarlo era smontato,
quando ei si volge e ’n su ’l morir gli dice:
— O tu che godi or del mio acerbo fato,
sappi che morirai via piú infelice:
vicina è la tua sorte, e ’l tuo peccato
giá prepara per te la mano ultrice,
dove meno la temi, e, quel ch’importa,
teco la fama tua fia spenta e morta. —

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31
     Qui chiuse i lumi Alessio; e ’l Malatesta
frenò la mano; e ritirando il passo:
— Col mal augurio tuo, disse, ti resta,
e va’ giú a profetar con Satanasso:
l’armi e la ricca tua serica vesta,
portale teco pur, ch’io le ti lasso
con questi annunzi tuoi sciaurati e rii,
o poeta o stregon che tu ti sii. —
32
     E in questo dire in su ’l destrier salito
a la pugna volgea senza soggiorno,
dal magnanimo cor tratto a l’invito
del suon de l’armi che fremea d’intorno:
quando il tergo de’ suoi vide assalito
dal feroce Roldan che fea ritorno
da la campagna, e seco avea Ramberto
di sangue e di sudor tutto coperto.
33
     Onde contra il furor de le balestre
che scoccava ne’ suoi la gente alpina,
subito strinse l’ordinanza equestre,
e si ritrasse a un’osteria vicina:
e il capitan Paulucci a la pedestre,
sudando e ansando e con la man mancina
dimenando il cappel per farsi vento,
ritrasse anch’egli i suoi, ma con piú stento:
34
     ché Betto e Vico e Peppe e Ciancio e Lello
e Tile e Mariotto e Cecco e Bino
e’l Miccia d’Erculan Montesperello
vi restâr morti e Cittolo Oradino;
e prigioni, Binciucco Signorello
e Mede di Pippon Montomelino;
e Fulvio Gelomia cadde di sella,
primo cultor de la natia favella.

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35
     Vi s’abbatté il dottor da Palestrina,
e fu storpiato anch’ei per mala sorte:
e fu d’un colpo d’una chiaverina
tratto un occhio di testa a Braccioforte;
a Braccioforte, a cui quella mattina
cinta la propria spada avea la Morte,
e ’l fiero Pluto per altrui spavento
messa gli avea l’orrida barba al mento.
36
     Ma intanto che la palma ancor sospesa
pende, e l’un campo e l’altro è omai disfatto,
due politici fanno in ciel contesa
e vengono a l’ingiurie al primo tratto.
Mercurio de’ Petroni ha la difesa,
favorisce i potteschi Alcide matto:
Giove sta in mezzo, e con real decoro
raffrena l’ire e le discordie loro.
37
     Ne’ gangheri del ciel ferma ogni stella,
cessa di variar gl’influssi e l’ore;
cade nel mar tranquillo ogni procella,
rischiara l’aria insolito splendore.
Da l’alto seggio allor cosí favella
de la sesta lanterna il gran motore:
— Non affrettate, o dèi, degli odii il tempo
ch’ancor verrá per voi troppo per tempo.
38
     Vedete lá, dove d’alpestri monti
risonar fanno il cavernoso dorso
la Turrita col Serchio e fra due ponti
vanno ambo in fretta a mescolare il corso;
due popoli fra questi arditi e pronti
in fiera pugna si daran di morso,
e si faran co’ denti e con le mani
conoscer che son veri graffignani.

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39
     O quante scorze di castagni incisi
d’intorno copriran tutta la terra!
quanti capi dal busto fian divisi
in cosí cruda e sanguinosa guerra!
Caronte lasso in trasportar gli uccisi,
ch’a passar Stige scenderan sotterra,
bestemmierá la maledetta sorte
che gli diè in guardia il passo de la morte.
40
     Quinci in aiuto a’ suoi correre armato
vedrassi al monte il forte modanese;
quindi ai passi, ch’in pace avrá occupato,
opporsi l’astutissimo lucchese.
Entrar potrete allor ne lo steccato
tu Mercurio e tu Alcide a le contese,
e provar se piú vaglia in quella parte
l’accortezza o il vigor, la forza o l’arte.
41
     Un Alfonso e un Luigi Estensi a pena
d’un pel segnata mostreran la guancia,
ch’a piú di mille insanguinar l’arena
faranno or con la spada or con la lancia.
Le squadre intere volteran la schiena
dinanzi a i nuovi paladin di Francia:
e Castiglion fra le percosse mura
sotto si cacherá de la paura;
42
     pregando il conte Biglia in ginocchione
che venga a far cessar quella tempesta,
spiegando di Filippo il gonfalone
con una spagnolissima protesta.
Quivi potrete allor con piú ragione
cacciarvi gli occhi e rompervi la testa:
cessate intanto; e la pazzia mortale
resti fra quei che fan lá giú del male. —

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43
     Cosí disse: e chiamando Iride bella,
ch’al sole avea l’umida chioma stesa,
— Vola, le impone, o mia diletta ancella,
e di’ a Marte che ceda a la contesa
fin ch’arrivi Gherardo e sua sorella,
a cui si dee l’onor di quest’impresa. —
Iride non risponde, e i venti fende,
e giú dal ciel ne la battaglia scende.
44
     Vede Marte da lunge, e drizza l’ale
dov’ei combatte, e l’ambasciata esprime:
indi si parte, e fuor de la mortale
feccia ritorna al puro aer sublime.
Marte, che scorge la tenzone eguale,
ritira il piè da l’ordinanze prime
e ne la retroguardia intanto passa;
e ’l Potta incontro ai romagnoli lassa.
45
     Il Potta avea assaliti i faentini
e fracassata la lor gente equestre,
ché gli scudi dipinti e gli elmi fini
non ressero al colpir de le balestre.
Giacoccio Naldi e Pier de’ Fantolini
rimasero feriti e a la pedestre:
e a Mengo Foschi e al cavalier Giulita
il Potta di sua man tolse la vita.
46
     Uccise Bastian de’ Fornardesi,
che sapea tutto a mente il Calepino,
e dal vóto ch’avea d’ir ad Ascesi
lo sciolse e di vestirsi di bertino.
Indi per fianco urtò fra gl’imolesi,
e s’affrontò col cavalier Vaino,
ch’ucciso avea Pallamidon fornaio,
che mangiava la torta col cucchiaio.

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47
     Il cavalier, che stava in su l’aviso,
d’arena che tenea dentro un sacchetto
gli empie gli occhi e la bocca a l’improviso;
poi strinse il brando e gli assaggiò l’elmetto.
— Ah! disse il Potta allor forbendo il viso,
tu me la pagherai, romagnoletto. —
E in questo dir menando con la spada
colpi a la cieca, si fe’ dar la strada.
48
     Ma poi che Marte il suo favor ritenne
e tornò di quadrato indietro il passo;
e che Perinto in quella parte venne
guidato dal furor di Satanasso;
il modanese stuol piú non sostenne
l’impeto ostil, dal faticar giá lasso,
e rallentate l’ordinanze e l’ire,
cominciò a ritirarsi, indi a fuggire.
49
     Il Potta pien di rabbia e disperato
gridava con la bocca e con le mani;
ma non potea fermar da nessun lato
lo scompiglio e ’l terror de’ Gemignani:
e da l’impeto loro alfin portato
costretto fu d’abbandonar que’ piani,
benché tre volte e quattro in volto fiero
spignesse tra i nemici il gran destriero.
50
     Correndo in tanto, e traversando il lito,
senz’elmo, e molle e polveroso tutto,
il conte di Culagna era fuggito,
e giunto a la cittá piena di lutto,
narrato avea fra il popolo smarrito,
che ’l re prigione e ’l campo era distrutto;
onde i vecchi e le donne al fiero aviso
fuggian chi qua chi lá pallidi in viso.

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51
     Corsero gli anzían tutti a consiglio
per consultar ciò che s’avesse a fare;
molti volean nel subito periglio
fuggirsi e la cittade abbandonare;
altri dicean ch’era da dar di piglio
a tutto quel che si potea portare,
e salir su la torre allora allora,
e chi non vi capia stesse di fuora.
52
     Surse a rincontro un Bigo Manfredino
che sedea appresso a Carlo Fiordibelli,
e disse: — Senza pane e senza vino
che vogliamo cacar lá su, fratelli?
questi sono consigli da un quattrino,
che non gli sosterrian cento puntelli:
però i’ vorrei, se ’l mio parer v’aggrada,
cavar un pozzo in capo d’ogni strada,
53
     e ricoprirlo sí, ch’in arrivando
cadessero i nemici in giú a fracasso. —
Guarnier Carnuti allor rispose: — E quando
sará finita l’opra, e chiuso il passo?
Non è meglio che star quivi indugiando,
condur lo stabbio ch’abbiam pronto a basso
ch’ingombra la metá de la cittade,
e con esso serrar tutte le strade? —
54
     Ugo Machella a quel parlar sorrise
e disse rivoltato a que’ prudenti:
— Se chiudiamo le strade in queste guise,
dov’entreranno poi le nostre genti?
Prendiamo l’armi: il Ciel sovente arrise
a le piú audaci e risolute menti. —
Qui s’alzâr tutti, e gridâr senza tema:
— A la fé che l’è vera; andema, andema. —

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55
     Ma i bottegai correndo in fretta ai passi
che feano la cittá poco sicura,
con travi e pali e terra e sterpi e sassi
tosto alzaron trinciere, argini e mura;
sbarrâr le strade, e gli affumati chiassi,
e i portici d’antica architettura,
e dinanzi a le sbarre in quelle strette
cominciaro a votar le canalette.
56
     Quando armata apparir fu vista intanto
Renoppia al suon de la novella fiera,
e correre a la porta, e seco a canto
condurre il fior de la virginea schiera,
diede agli uomini ardir, riprese il pianto
del sesso femminil con faccia altera;
e rimirando giú per la via dritta,
non vide alcun fuggir da la sconfitta.
57
     Stette sospesa, e addimandò del conte;
ma il conte avea giá preso altro sentiero:
onde deliberò di gire al ponte
sovra il Panáro a investigar del vero.
Quivi arrivò che ’l sol da l’orizonte
giá poco era lontan nel lito ibero,
e mirò in vista dolorosa e bruna
spettacolo di morte e di fortuna.
58
     Ne la parte piú cupa e piú profonda
notavano pedoni e cavalieri;
tutta di sangue uman torbida l’onda
volgea confusi e misti armi e destrieri.
I Gemignani a la sinistra sponda
fuggian cacciati da i Petroni fieri;
stavan Tognone e Periteo lor sopra
e mettea l’uno e l’altro il ferro in opra.

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59
     Per man di Periteo giaceano morti
Guron Bertani e Baldassar Guirino,
Giacopo Sadoleti e Antonio Porti,
e ferito Antenor di Scalabrino.
Ma il superbo Tognone e i suoi consorti
le schiere di Stufinone e Ravarino
avean distrutte; e a gran fatica s’era
salvato Gherardin su la riviera.
60
     L’altro fratel ferito e prigioniero,
cedeva l’armi al vincitor feroce:
ma su gli archi del ponte un cavaliero
fulminando col ferro e con la voce,
cacciava i Gemignani; e a quell’altiero
s’opponea solo il Potta in su la foce
del ponte, e di fermar cercava in parte
l’ordinanze de’ suoi giá rotte e sparte.
61
     Giugne Renoppia, e dove rotta vede
da la ripa fuggir l’amica gente,
volge con l’arco teso in fretta il piede;
e di lampi d’onor nel viso ardente:
— O infamia, grida, ch’ogni infamia eccede!
Tornate, e dite a la cittá dolente
che moriron le figlie e le sorelle,
dove fuggiste voi, popolo imbelle.
62
     Noi morirem qui sole e gloriose,
gite voi a salvar l’indegna vita:
non resteran vostre ignominie ascose;
né la fama con noi fia seppellita. —
Seco Renoppia avea le bellicose
donne di Pompeian, schiera fiorita
ch’in Modana arrestò tema d’oltraggio,
e cento de le sue di piú coraggio;

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63
     e fra queste Celinda e Semidea,
di Manfredi sorelle e sue dilette:
e l’una e l’altra l’asta e l’arco avea
e la faretra al fianco e le saette.
Renoppia, che dal ponte i suoi vedea
tutti fuggir, la cocca a l’occhio mette,
e drizza il ferro a la scoperta faccia
di Perinto, ch’a’ suoi dava la caccia.
64
     E se non che Minerva il colpo torse
dal segno ove ’l drizzò la bella mano,
il fortissimo eroe periva forse:
ma non uscí però lo strale invano;
ch’ai destrier, ch’a quel punto in alto sorse
d’un salto e si levò tutto dal piano,
andò a ferir nel mezzo de la fronte,
onde col suo signor cadde su ’l ponte.
65
     Perinto dal destrier ratto si scioglie:
ma lui non mira piú la donna altera;
che declina dal ponte, e si raccoglie
dove fuggiano i suoi da la riviera.
Quivi a Tognon, che l’onorate spoglie
avea tratte a Engheram da la Panciera,
prende la mira, e fa passar lo strale
dove giunto a la spalla era il bracciale.
66
     Ferito il cavalier si ritraea:
quand’un altro quadrel gli sopraggiunge,
che da l’arco gli vien di Semidea,
e in una gamba amaramente il punge.
Strinse l’asta Celinda, e giú scendea
lá, dove Periteo poco era lunge:
quand’ecco col caval cader ne l’onda
rotolando il mirò da l’alta sponda.

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67
     Avventâr le compagne a l’improviso
cento strali in un punto al cavaliero.
L’armi difeser lui; ma cadde ucciso
ai colpi di tant’archi il buon destriero.
La sembianza real, l’altero viso,
la ricca sopravesta, e ’l gran cimiero
trasse gli occhi cosí tutti in lui solo,
che meglio era vestir di romagnolo.
68
     Qual Telessilla giá dal muro d’Argo
cacciò il campo spartan vittorioso;
tal fe’ Renoppia dal sanguigno margo
ritrarre il piede al vincitor fastoso.
Come uscito di sonno o di letargo,
da quell’atto confuso e vergognoso,
il campo che fuggia voltò la fronte,
e fermò le bandiere a piè del ponte.
69
     Indi allargati in su la destra mano
correano a gara a custodir la riva;
quando s’udí un rumor poco lontano,
che ’l ciel di gridi e di spavento empiva.
Era questi Gherardo il capitano,
ch’in soccorso de’ suoi ratto veniva.
Al giugner suo mutâr faccia le carte,
e ripresero cor Dionisio e Marte.
70
     Gherardo in arrivando a destra invia
Bertoldo con due schiere; ed egli, dove
vede il Potta pugnar, prende la via:
passa su ’l ponte e fa l’usate prove.
Perinto a piedi e sol gli s’opponía:
ma come vide tante genti nuove
che correano del ponte a la difesa,
ritrasse il piede e abbandonò l’impresa.

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71
     Gherardo sbarra il ponte, e ’n guardia il lassa
a Giberto che quivi era con lui:
e torna indietro, e su la riva passa
lá dove combattean ne l’acqua i sui.
Vede stanco il caval, subito abbassa,
ne fa un altro venir, ché n’avea dui;
né può soffrir di scender da la sponda,
ch’a precipizio giú salta ne l’onda.
72
     Il signor di Faenza era in battaglia
col capitan Brindon Boccabadati;
e Matteo Fredi e Gemignan Roncaglia
e Beltramo Baroccio avea ammazzati.
Gherardo con la mazza apre e sbarraglia
faentini, imolesi e cesenati,
quei di Ravenna e quei de la Cattolica,
e fa strage di ferro e di maiolica.
73
     Al capitan Fracassa in su l’elmetto
menò d’un colpo esterminato e fiero,
che tramortito ne l’ondoso letto
cadendo di Brindon fu prigioniero.
Quindi si volse, e con feroce aspetto
nel petronico stuol spinse il destriero;
e di Pánago al conte e a Boniforte
signor di Castiglion diede la morte.
74
     Si ritira il nemico a l’altra riva,
che ’l disvantaggio suo vede e comprende
e poi ch’a l’erta in fermo sito arriva,
l’ordinanze restrigne, e si difende.
Ma giá la notte d’oriente usciva,
e fra l’orror de le sue fosche bende
le lampade del ciel tutte accendea,
e giú in terra a’ mortali il dí chiudea.