La serva amorosa/Atto I
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ATTO PRIMO.
SCENA PRIMA.
Camera in casa di Ottavio.
Ottavio e Pantalone.
Ottavio. Qui, qui, signor Pantalone, in questa camera parleremo con libertà.
Pantalone. Son qua, dove che volè1.
Ottavio. Ehi, se venisse mia moglie, avvisatemi. (verso la porta)
Pantalone. Caro sior Ottavio, ve tolè una gran suggizion de sta vostra muggier.
Ottavio. Per vivere in pace, mi convien fare così. Che avete voi da comandarmi?
Pantalone. Mi vegno qua per un atto de compassion. Giersera ho visto el povero sior Florindo, vostro fio, a pianzer con tanto de lagreme, che el me cavava el cuor. Caro sior Ottavio, un putto de quella sorte, scazzarlo de casa, farlo penar in sta maniera! Mo perchè mai? Mo cossa mai alo fatto?
Ottavio. In casa non ci lasciava avere un’ora di bene. Sempre c’erano dei litigi, c’era il diavolo giorno e notte.
Pantalone. Mo, con chi criavelo?2
Ottavio. Con tutti; ma principalmente colla signora Beatrice mia consorte: non le ha mai voluto portar rispetto.
Pantalone. Sentì, sior Ottavio: cognosso appress’a poco l’indole de sior Florindo, e tutti dise ch’el xe un bon putto. Bisogna ch’el mal no vegna da elo.
Ottavio. Da chi dunque?
Pantalone. Ah! Ste maregne3... ghe ne xe poche che voggia ben ai fiastri.
Ottavio. Oh! la signora Beatrice è buona, che non si può fare di più. Basta saperla prendere pel suo buon verso, è una pasta di zucchero.
Pantalone. Bisogna che la s’abbia muà4 de temperamento, perchè me recordo che sior Fabrizio, bona memoria, so primo mario, che gierimo amici come fradei, el vegniva a sfogarse con mi, e el me diseva che la giera terribile, che no la lo lassava magnar un boccon in pase; e tutta Verona dise, che la l’ha fatto morir desperà.
Ottavio. Il signor Fabrizio era un uomo collerico. Me ne ricordo. Voleva contradire a tutto. La signora Beatrice, poverina, è un poco caldetta, un poco puntigliosetta; bisogna secondarla. Io non le contradico mai, la lascio fare, la lascio dire, e fra di noi non c’è mai una differenza.
Pantalone. In sta maniera, credo anca mi che no ghe sarà gnente che dir. Co5 fé tutto a so modo, la taserà. Ma intanto, per causa soa, sior Florindo xe cazzà fora de casa.
Ottavio. Suo danno. Le doveva portar rispetto.
Pantalone. E sior Lelio, fio de quell’altro so mario, el se la gode in sta casa, e el fa da paron6.
Ottavio. È un buon ragazzo. Di lui non mi posso dolere.
Pantalone. El xe un sempio, un allocco, un papagà7, pezo del vostro servitor Arlecchin. Basta: son un galantomo, no voggio far cattivi offizi per nissun. Solamente me sento mosso a pietà del povero sior Florindo, e me par impussibile che un omo della vostra sorte abbia sto cuor de veder a penar in sta maniera el so sangue.
Ottavio. In verità dispiace anche a me.
Pantalone. Mo perchè no lo feu tornar in casa?
Ottavio. Per ora non posso. La signora Beatrice è ancora contro di lui sdegnata. Si placherà a poco per volta, e spero che le cose si accomoderanno.
Pantalone. Ma almanco (compatime, sior Ottavio, se intro in ti fatti vostri: lo fazzo per el vostro decoro), almanco passeghe un mantenimento onesto e discreto. Cossa voleu ch’el fazza con sie scudi8 al mese?
Ottavio. Con due paoli al giorno, dice mia moglie che può vivere, e gliene deve avanzare.
Pantalone. I xe do da mantegnir: elo e la serva.
Ottavio. Che bisogno ha della serva? Corallina è nata ed allevata in casa mia; si è maritata, ed è rimasta vedova in casa mia; perchè ha voluto andare a star con lui? Oh, se sapeste quanto me ne dispiace! Corallina l’ho amata come una figliuola, ed ora ha lasciato me, per andare a star con lui.
Pantalone. Anca mi ho dito qualcossa su sto proposito; e lu anca el faria de manco; ma Corallina la dise cussì che la xe nata, se pol dir, insieme co sior Florindo, che i ha magnà el medesimo latte, che la ghe vol ben come se el fusse so fradello, e che la vol star con elo, se la credesse magnar pan e agio9.
Ottavio. Ecco quello che dice la signora Beatrice; tutt’e due si vogliono troppo bene; sempre chiacchieravano insieme; avevano sempre dei segreti, e dicevano male di mia consorte. Ho dovuto mandarlo via per disperazione.
Pantalone. E una serva sarà più amorosa de un padre? Sior Ottavio, tiolè in casa sto putto.
Ottavio. Lo prenderò.
Pantalone. Quando?
Ottavio. Parlerò con mia moglie, e si vedrà...
Pantalone. Tornerò qua doman. Intanto el m’ha dito ch’el gh’averia bisogno de un per de calze e de un per de scarpe. I sie scudi che gh’avè dà, el li ha magnai; el ve prega de un poco de bezzi.
Ottavio. Ma io...
Pantalone. Via; ghe neghereu anca questo? Un omo comodo de la vostra sorte, negherà un per de zecchini10 a so fio?
Ottavio. Glieli darò.
Pantalone. Demeli a mi, che ghei porterò.
Ottavio. Ora; anderò da mia moglie.
Pantalone. A cossa far?
Ottavio. Ella ha le chiavi di tutto. I due zecchini li domanderò a lei.
Pantalone. Bravo! Se un omo de garbo!
Ottavio. Oh, in verità mi trovo contento. Non penso a niente; ella fa tutto.
Pantalone. Oh, quanto che averessi fatto meggio a no ve maridar!
Ottavio. Obbligato. Averei fatto meglio! Sono stato sempre avvezzo ad essere accompagnato. Non poteva star senza moglie. È anche assai, che la signora Beatrice mi abbia preso. Potrebb’essere mia figliuola. E in verità, credetemi, mi vuol bene. Se vi potessi dir tutto... Ah, Pantalone mio, fareste meglio a maritarvi anche voi.
Pantalone. Mi gh’ho una putta da maridar, e i pari che gh’ha giudizio, co i resta vedoi e che i gh’ha dei fioi, no i se ha da tornar a maridar.
SCENA II.
Beatrice e detti.
Beatrice. Eh, che non c’è bisogno d’ambasciata. (verso la porta)
Pantalone. Servitor umilissimo.
Beatrice. Serva sua. Oh guardate! Quel caro staffiere non voleva che io venissi, senza avvisarvi. (ad Ottavio)
Pantalone. El xe sta elo che ghe l’ha dito... (a Beatrice)
Ottavio. Ah? Non è egli vero11? Non ho io detto al servitore, se vien la padrona, lanciala venire? (a Pantalone)
Pantalone. Sior sì, quel che la vol. (El gh’ha una paura de so muggier, ch’el trema.) (da sè)
Beatrice. Il signor Pantalone è venuto a favorirci. Vuole restar servito della cioccolata?
Pantalone. Grazie in verità. Cioccolata no ghe ne bevo. Vago all’antiga. Ogni mattina bevo la mia garba.12
Beatrice. E il mio signor Ottavio prende la sua zuppa ogni mattina nel brodo grasso, con un torlo d’uovo, e si beve il suo vino di Cipro. Mi preme conservarmelo il mio vecchietto.
Ottavio. Oh cara signora Beatrice, che siate benedetta! Signor Pantalone, maritatevi.
Pantalone. Se fusse seguro de trovar una bona muggier come siora Beatrice, fursi, fursi anca lo faria.
Beatrice. Oh signor Pantalone, mi fa troppo onore.
Ottavio. Ah! Che dite? Che ve ne pare? Sarebbe degna d’un giovinetto? E pure la signora Beatrice è di me contenta: non è egli vero13? (a Beatrice)
Beatrice. Oh caro signor Ottavio, non vi cambierei con un re di corona.
Ottavio. Sentite, signor Pantalone? Queste sono espressioni, che fanno innamorare per forza.
Pantalone. Siora Beatrice, za che la xe una donna savia e prudente, e che la vol tanto ben a so mario, la fazza un’azion da par suo; la procura che torna in casa sior Florindo.
Beatrice. Tornar in casa Florindo? S’egli entra per una porta, io vado fuori per l’altra.
Ottavio. No, vita mia, non dubitate... (a Beatrice)
Pantalone. Mo cossa mai gh’alo fatto?
Beatrice. Mille impertinenze. Mille male creanze. Mi ha perduto cento volte il rispetto.
Ottavio. Sentite, non ve lo diceva io? (a Pantalone)
Beatrice. È un temerario, presontuoso, superbo. Ha tutti i malanni addosso.
Ottavio. Ah? (a Pantalone)
Pantalone. El xe zovene, el xe stà avvezzo a esser carezzà...
Beatrice. Che non ho io fatto con quell’asinaccio? L’ho trattato più che da madre. Gli ho fatto mille finezze. Non egli è vero? (ad Ottavio)
Ottavio. È verissimo. Anzi, quasi quasi, mi parevano un poco troppe.
Beatrice. Ed egli, ingrato, mi rese male per bene.
Pantalone. A sto mondo tutto se comoda. In che consiste i so mancamenti?
Beatrice. Ecco qui suo padre. Domandateli a lui.
Pantalone. Via, mettemo in chiaro tutte ste cosse, e vedemo se ghe xe caso de giustarla. Parlè, sior Ottavio, cossa alo fatto?
Ottavio. Io per dirvela, di certe cose procuro scordarmene per non inquietarmi. Ne ha fatte tante, che ho dovuto cacciarlo via.
Pantalone. El ghe n’ha fatte tante, ma co no ve le arecordè, bisogna che le sia liziere.
Beatrice. Sì, leggiere? Non vi ricordate, signor Ottavio, quando ha avuto ardire di strapazzarmi in presenza vostra?
Ottavio. Sì, è vero, me ne ricordo.
Pantalone. Bisogna veder...
Beatrice. Vi ricordate, quando voleva dare uno schiaffo a Lelio mio figlio? (ad Ottavio)
Ottavio. Aspettate... Forse allora quando Lelio gli ha dato quel pugno?
Beatrice. Eh, che non gliel’ha dato, no, il pugno. Lo minacciò solamente, ed egli ardì menargli uno schiaffo.
Ottavio. E pur mi pare che il pugno gliel’abbia dato nella testa.
Beatrice. Come volete voi sostenere che gliel’abbia dato, se siete vecchio, e senza gli occhiali non ci vedete?
Ottavio. È vero, signor Pantalone, ci vedo poco.
Beatrice. E quando mi ha detto che sono venuta in casa a mangiare il suo...
Ottavio. Uh! l’ho sentito.
Beatrice. E che ha rimproverato voi per un tal matrimonio?
Ottavio. Ah, briccone! Me ne ricordo.
Beatrice. Ah! che ne dite?
Ottavio. Sentite, signor Pantalone, le belle cose?
Beatrice. In casa non ce lo voglio più.
Ottavio. Ve l’ho detto, signor Pantalone, non si può.
Pantalone. Ma queste le xe cosse da gnente.
Beatrice. E poi quella bricconcella di Corallina protetta da lui... e tutti due d’accordo contro di me... Basta; è finita.
Pantalone. Corallina finalmente la xe una serva. La se pol far mandar via.
Beatrice. Quanto volete giuocare, che Florindo la sposa?
Ottavio. Non crederei... Corallina è una donna di giudizio.
Beatrice. Lasciatelo fare; se la vuole sposare, la sposi; peggio per lui; si soddisfaccia pure, ma fuori di questa casa.
Pantalone. Ma, cari siori, perchè no succeda sto desordene, xe ben torlo in casa.
Beatrice. In casa no certo. Lo torno a dire: dentro colui, fuori io.
Ottavio. Oh cara Beatrice mia, non dite così, che mi fate morire.
Beatrice. Se non vi volessi tanto bene, me ne sarei andata dieci volte.
Ottavio. Poverina! vi compatisco.
Beatrice. Mi maraviglio di voi, signor Pantalone, che venghiate ad inquietarci.
Ottavio. Caro amico, vi prego, non ne parliamo più. (a Pantalone)
Pantalone. No so cossa dir; parlo per zelo d’onor, e da bon amigo. No volè? Pazienza. Almanco mandeghe sti do zecchini.
Ottavio. Oh sì, signora Beatrice, date due zecchini al signor Pantalone.
Beatrice. Per farne che?
Ottavio. Florindo ha bisogno di calze, di scarpe...
Beatrice. Eh, mi maraviglio di voi. Volete andare in rovina per vostro figlio? Sei scudi il mese sono anche troppi. L’entrate non rendono tanto. Vi sono da pagare gli aggravi, i debiti, i livelli. Non c’è denaro, non ce n’è. Faccia con quelli che gli si danno; ed ella, signor Pantalone, vada a impacciarsi ne’ fatti suoi, e non faccia il dottore in casa degli altri.
Pantalone. Basta cussì, patrona. In casa soa no ghe vegnirò più; no ghe darò più incomodo; ma ghe digo che la xe un’ingiustizia, una barbarità. Ghe son intra per amicizia, per compassion; ma za che la me tratta con tanta inciviltà, pol esser che ghe la fazza véder, che ghe la fazza portar14.
Beatrice. In che maniera?...
Pantalone. No digo altro, patrona; schiavo, sior Ottavio. Tegnive a cara la vostra zoggia. (parte)
Beatrice. Ah vecchio maladetto...
Ottavio. Zitto; non v’inquietate.
Beatrice. A me questo?
Ottavio. Per amor del cielo, non andate in collera.
Beatrice. Temerario!
Ottavio. Signora Beatrice...
Beatrice. Lasciatemi stare. Farmela vedere?
Ottavio. Via, se mi volete bene.
Beatrice. Andate via di qui.
Ottavio. Sono il vostro Ottavino.
Beatrice. Il diavolo che vi porti.
Ottavio. (Pazienza! È in collera; bisogna lasciarla stare). (si va accostando alla porta)
Beatrice. Me la pagherà.
Ottavio. Beatricina. (di lontano)
Beatrice. Chi sa cosa medita!
Ottavio. Sposina. (come sopra)
Beatrice. Se non mi lasciate stare... (adirata)
Ottavio. Zitto. Addio. (parte con un sospiro)
SCENA III.
Beatrice sola.
Pantalone è capace di sollevar mio marito. Egli è un buon pastricciano: fa tutto a modo mio, e non vorrei che me lo svolgessero, e me lo maneggiassero a loro modo. Florindo in casa non lo voglio: mi preme fare la fortuna di Lelio; e se muore il vecchio, che Florindo non ci sia e Lelio sì, posso sperare un testamento a lui favorevole. Pantalone si vuol impacciare ne’ fatti miei? Lo prevenirò15.
SCENA IV.
Lelio e la suddetta.
Lelio16. Signora, il signor padre mi manda a vedere, se siete più in collera. Cara signora madre, con chi l’avete?
Beatrice. L’ho con quell’impertinente di Pantalone de’ Bisognosi.
Lelio. Che vi ha egli fatto?
Beatrice. È venuto a parlare in favor di Florindo, e mi ha detto delle parole insolenti.
Lelio. Mi dispiace assaissimo.
Beatrice. Andate, figliuolo mio, andate a ritrovare quel vecchio. Ditegli che abbia giudizio; e se persiste, minacciatelo bruscamente.
Lelio. Cara signora madre, mi dispiace ch’io non potrò riscaldarmi troppo con questo signor Pantalone.
Beatrice. Perchè?
Lelio. Perchè ha una bella figliuola, che mi piace infinitamente.
Beatrice. Non mancano donne. Non v’impacciate con quella gente.
Lelio. Ha una grossa dote, suo padre è ricco, è figlia unica, e sarebbe per me il miglior negozio di questo mondo.
Beatrice. Pantalone mi ha provocata: io, provocata, confesso averlo ingiuriato: non vorrà per genero mio figliuolo.
Lelio. In quanto al signor Pantalone, m’impegno io colle mie parole, colle mie maniere obbligarlo; e poi, se la figlia mi vuol bene, sono a cavallo.
Beatrice. Con qual fondamento potete dire ch’ella vi voglia bene?
Lelio. Se non ne fossi sicuro, non parlerei.
Beatrice. Le avete parlato?
Lelio. Le ho parlato, ed ella ha parlato a me. Le ho detto, ed ella ha detto a me... etcetera.
Beatrice. Non vorrei che v’ingannaste. Voi, figliuolo mio, facilmente vi lusingate. Non sarebbe la prima volta che vi foste innamorato solo. Colle fanciulle avete poca fortuna, e mi avete posto altre volte malamente in impegno.
Lelio. Voglio raccontarvi tutta l’istoria, e vedrete, signora madre, se ho fondamento di dire quello ch’io dico. Sei giorni sono, passando per la Via Nuova, ho veduto una figurina, che per di dietro mi pareva qualche cosa di buono. Corro per passarle avanti, mi volto indietro, ed ella si copre il viso collo zendale. Dissi subito: questa è una che mi vuol dare la corda. Mi fermo: lascio che vada innanzi, e poi corro, corro, e torno a rivoltarmi, ed ella presto si copre. Io allora, accorgendomi d’esser preso di mira, mi fermai, e quando mi fu vicina, gettai un sospiro. Indovinate? Si è messa a ridere. Allora mi sono assicurato, che aveva qualche inclinazione per me. Le sono andato dietro bel bello dieci o dodici passi lontano, sempre esitando fra il sì ed il no; dicendo: mi vuol bene, o non mi vuol bene? Ma sì! Me ne sono poi assicurato. La serva si è rivoltata due volte a vedere s’io la seguitava; lo ha detto alla padrona, e tutte due ridevano per la consolazione. Io non sapeva chi fosse; finalmente, arrivata a casa, la serva aprì l’uscio. Mi accorsi chi era, accelerai il passo, e giunsi in tempo che mi serrarono l’uscio in faccia. Gran modestia! dissi fra medesimo. Ma l’amore non si può tenere nascosto. Corse subito alla finestra per riverirmi. La vidi, mi cavai il cappello, ed ella si pose a ridere così forte, che fece ridere ancora me. Si ritirò per allora; ma sette o otto volte il giorno passo di lì. La vedo una o due volte, e quando mi vede, sempre ride, e mi fa de’ gesti, e dimena il capo, e guardandomi, parla colla serva, e mi mostra alle sue vicine; in somma è innamorata morta de’ fatti miei.
Beatrice. Bel fondamento per dire che è innamorata di voi! Io credo più tosto...
SCENA V.
Un Servitore e detti.
Servitore. Signora, che cos’ha il padrone che piange e si dà dei pugni pel capo?
Beatrice. (Povera me! È disperato, perchè io sono in collera seco. E vecchio, la passione lo potrebbe far morire. Non ha fatto ancor testamento... Presto, presto...) (da sè; va per partire)
Lelio. Vi assicuro, signora, che mi vuol bene...
Beatrice. Sì, sì, pazzo, ne parleremo. (parte)
Servitore. (Dopo che il mio padrone si è rimaritato, ha perso affatto il giudizio). (da sè, parte)
Lelio. Se quel giorno ch’io l’incontrai per la strada, l’avessi conosciuta, la cosa era fatta. Con quattro parole di quelle che so dir io, con un testoncello alla serva, il negozio s’incamminava a dovere. Maledetti i zendali! Sono la mia disperazione: non si sa mai, se una donna sia bella o brutta. Le belle si coprono per modestia, le brutte per vergogna; le giovani per vezzo, e le vecchie per disperazione. (parte)
SCENA VI.
Camera in casa di Florindo.
Corallina terminando una calzetta.
Anche questa è fatta. Non aveva calzette da mutarmi: manco male che mi è rimasto questo poco di refe, donatomi dalla buona memoria della mia padrona. Dove sono andati quei tempi! Ma! Son nell’impegno, conviene starci, e non me ne pento. Povero signor Florindo! Gli voglio bene, come se fosse mio fratello. Ha succhiato del latte che ho succhiato io; lo ha allattato mia madre; siamo stati allevati insieme e poi son di buon cuore: quando prendo a voler bene ad una persona, mi disfarei, farei di tutto per aiutarla. Poverino! L’hanno cacciato di casa. E perchè? Per causa della matrigna. Già tutte le matrigne sogliono perseguitare i figliastri; ma questa poi, che ha un figlio grande e grosso come un asino, vorrebbe potere scorticar il figliastro per raddoppiar la pelle al figliuolo. Poverino! L’hanno cacciato di casa con sei scudi il mese. Dopo venti giorni, era ridotto che non si riconosceva più; lacero, sporco, malandato. Se non veniva io a star con lui, si dava affatto alla miseria, alla disperazione. Pazienza! Mi contento patire per non vederlo perire; e se congiurano contro di lui una matrigna avara, un padre pazzo, un fratello balordo, lo assiste17 una vedova onesta, una serva fedele18 e amorosa.
SCENA VII.
Florindo e detta.
Florindo. Ah Corallina! son disperato.
Corallina. Eh, fatevi animo. Che cosa sono queste disperazioni? Che è stato?
Florindo. Ho parlato al signor Pantalone, come voi mi avete consigliato.
Corallina. E non ha voluto ascoltarvi?
Florindo. Anzi mi ha compatito moltissimo, e si è impegnato di parlar a mio padre.
Corallina. E in casa non vi vorrà, me l’immagino.
Florindo. Per causa di mia matrigna. Ed io ho da soffrire così?
Corallina. Quietatevi, signor Florindo, ci troveremo rimedio. Queste non sono cose da accomodarsi così ad un tratto. Per ora io vi aveva detto, che col mezzo del signor Pantalone procuraste aver qualche soccorso di denaro, che ne avete tanto bisogno.
Florindo. E questo ancora me l’ha negato. Oh me infelice! Son disperato.
Corallina. Eh via, acchetatevi. Volete perdere anche la salute?
Florindo. Ma io non ho un soldo. Oggi non so come fare a pranzare.
Corallina. C’ingegneremo.
Florindo. Ho impegnato tutto; e voi ancora, povera donna, avete impegnato il meglio che avete; non so più come fare. Alla fine del mese ci sono ancora dieci giorni, e mi nega soccorso? E’ mi vuol veder disperato?...
Corallina. Zitto, zitto, badate a me. Stiamo allegri, non pensiamo a malinconie. Ehi, ho finito le calze.
Florindo. Corallina, voi mi fate pietà. Oggi non so come ci caveremo la fame.
Corallina. Come? Eh, non vi disperate. Ecco qui, ho terminate le calze; le venderò, e mangeremo. Non dubitate: mangeremo, staremo allegri. Sì, ci vuol altro che questo, a farmi perdere di coraggio. Forti, finchè son viva io, non dubitate di niente.
Florindo. Oh Dio! Corallina, l’amor vostro, la vostra bontà m’intenerisce a segno, che mi fate piangere.
Corallina. Oh, queste son debolezze.
Florindo. Vedervi priva di tutto per me! (piange)
Corallina. Ma se vi dico... che io... (singhiozzando) Oh via, stiamo allegri; queste calze mi sono riuscite un poco strette e corte, e poi sono troppo fine; per me non servono. Già le voleva vendere, le venderò. Un giorno poi mi pagherete di tutto.
Florindo. Voglia il cielo...
Corallina. Eh, non intendo donarvi niente, sapete? Tengo nota di tutto.
Florindo. Se muor mio padre...
Corallina. E voglio il salario sino ad un quattrino.
Florindo. Ma intanto, povera Corallina... (sospirando)
Corallina. Eh, intanto, intanto... Non sapete pagarmi con altro che con dei sospiri, dei lamenti e dei piagnistei. Voglio che stiate allegro, se volete che non me ne vada da voi; non voglio che mi facciate morir di malinconia. Lavorerò, venderò, impegnerò, m’ingegnerò. Ma allegramente, signor padroncino caro, non siamo morti. Chi sa! forti19, coraggio. Vado a vendere le calzette; compro qualche cosa di buono; torno a casa, e mangeremo in santa pace, alla barba di chi non vuole. Il maggior dispetto che possiate fare ai vostri nemici, è il soffrire con costanza, ridere con indifferenza, e far vedere che sapete e potete vivere senza di loro. (parte)
SCENA VIII.
Florindo, poi Arlecchino.
Florindo. Oh benedetta Corallina! Tu sei la mia unica consolazione. Il cielo a me ti ha dato per conforto alle mie disgrazie. Dove mai si è trovato una donna di miglior cuore? Ah padre barbaro! specchiati in questa donna dabbene, e vergognati che una serva abbia in verso del padrone quella pietà, che tu non hai in verso di un figlio.
Arlecchino. Oh de casa? (di dentro)
Florindo. Ecco il servo di mio padre. Che vorrà mai?
Arlecchino. Se pol vegnir? (di dentro)
Florindo. Sì, vieni.
Arlecchino. Servitor umilissimo. Corallina gh’ela?20
Florindo. Non c’è: che cosa vuoi?
Arlecchino. L’è un pezz che no la vedo. Gera vegnù a trovarla.
Florindo. Che fa mio padre?
Arlecchino. Poverin! poco fa el pianzeva.
Florindo. Piangeva? E perchè?
Arlecchino. Perchè so muier l’era in collera, e no la voleva farghe carezze.
Florindo. Ah vecchio rimbambito!
Arlecchino. Adess mo i è là in allegria: i ride, i se coccola21, i par do sposini de quindes’anni.
Florindo. Colei conosce il suo debole, e lo tiene al laccio.
Arlecchino. Era in camera, e i m’ha manda in t’un servizio.
Florindo. Buono! dove ti hanno mandato?
Arlecchino. I m’ha manda a cercar un beccavivo.
Florindo. Che è questo beccavivo?
Arlecchino. L’è el contrario del beccamorto.
Florindo. Io non ti capisco.
Arlecchino. El beccamorto vien a beccar quando l’omo22 è morto, e questo el vien a beccar quando l’omo l’è ancora vivo.
Florindo. Ma chi è costui?
Arlecchino. El nodaro.
Florindo. Come! Ti hanno mandato a cercar un notaro? Per farne che?
Arlecchino. Mi credo per beccar el patron.
Florindo. Vogliono forse fargli far testamento?
Arlecchino. Me par sta parola testamento averla sentida a dir.
Florindo. Da chi l’hai sentita dire?
Arlecchino. Dalla padrona.
Florindo. (Oh me infelice! Ella sedurrà mio padre a privarmi). (da sè) Dimmi, dimmi, che hai tu sentito?
Arlecchino. Mi veramente no so tutta l’infilzadura del discorso. Ma la patrona l’è vegnuda, che el patron pianzeva. Con quatter carezzine la l’ha fatt consolar. El dis el patron: Me fe irrabiar, son vecchio, morirò presto. La padrona no l’ho ben intesa, ma ho visto che la l’ha fatto ingaluzzar. I ha parlà a pian, pareva che i contendesse, e po tutt’in una volta, allegri e contenti, i m’ha dit che vada a chiamar el beccavivo, cioè el nodar.
Florindo. (Ho inteso. L’ha colto nel punto, e gli fa far testamento. Come mai posso io rimediar al disordine?) (da sè)
Arlecchino. Corallina vegnirala prest a casa?
Florindo. L’hai ritrovato il notaro?
Arlecchino. No l’ho trovà, ma ho lassà l’ordene, che col vien, i lo manda a beccar.
Florindo. E chi è il notaro che hai tu ricercato?
Arlecchino. L’è sior Agapito dai etecetera.
Florindo. Dove mai sarà Corallina?
Arlecchino. Dov’èla Corallina? Gh’ho da dar un non so che.
Florindo. Che cosa le vuoi tu dare?
Arlecchino. Una cossa...
Florindo. Via, che cosa?
Arlecchino. Me vergogno.
Florindo. Eh, dimmela.
Arlecchino. Un salame.
Florindo. L’avrai rubato a mio padre.
Arlecchino. Tutti becca, becco anca mi.
Florindo. Ed io peno, ed io non ho il bisogno per vivere.
Arlecchino. Se la comanda... (gli offre il salame)
Florindo. Sei un briccone; non si ruba.
Arlecchino. Mi, per dirla, no l’ho manc23 robà.
Florindo. Dunque, come l’hai avuto?
Arlecchino. Sior Lelio ghe n’ha beccà una sporta, e quest el me l’ha dà, perchè gh’ho fatto lume a beccar.
Florindo. Quello sciocco, quell’indegno rovina il mio patrimonio. Ah, se sapessi dove rinvenir Corallina!
Arlecchino. Anca mi la vorria veder. Ghe vôi ben, e ho ancora in te la testa de far un sproposito.
Florindo. Che sproposito?
Arlecchino. De sposarla.
Florindo. Animalaccio! goffo! ignorante! Felice te, se avessi una tal fortuna! Tu non sei degno. Corallina merita un partito migliore. Io la conosco, so quanto vale il suo spirito, il suo bel cuore, la sua bontà. Vattene, sciocco, che non sei degno d’averla. (parte)
Arlecchino. Ho inteso. El la vol per lu; ma la discorreremo. No digh miga de volerla menar via; la starà con lu: tra servitor e padron no ghe sarà gnente che dir. (parte)
SCENA IX.
Camera in casa di Pantalone.
Corallina e Brighella.
Brighella. Oh siora Corallina! Che bon vento?
Corallina. La signora Rosaura vostra padrona è in casa?
Brighella. La gh’è. Cossa desidereu dalla mia padrona?
Corallina. Ho un paio di calze da vendere; vorrei vedere s’ella le volesse comprare.
Brighella. Volentiera, ghe lo dirò: come vala col vostro patron?
Corallina. Eh, così, così.
Brighella. M’imagino che venderì ste calze per bisogno de magnar.
Corallina. Oh, pensate voi! Per grazia del cielo, sto con un padrone che non mi lascia mancare il mio bisogno. Le vendo, perchè non mi stanno bene, e perchè il mio padrone me ne ha regalate un paio di seta.
Brighella. Un per de seda el ve n’ha regalà? Stento a crederlo.
Corallina. Eccole qui. Se non fosse vergogna, ve le mostrerei.
Brighella. Le sarà vecchie, reppezzade fin da quando viveva so siora madre.
Corallina. O vecchie, o nuove, compatitemi, in questo voi non ci dovete entrare.
Brighella. Cara siora Corallina, ve domando scusa; ho sempre fatto stima della vostra persona. Savì, che quando eri putta, aveva qualche speranza sora dei fatti vostri. Ve sè maridada, i vostri padroni i v’ha volesto maridar in casa; m’ho stretto in te le spalle, e non ho parlà. Quand sì restada vedua, s’ha torna a sveiar in mi el desiderio de prima, e no saria stà lontan da proponerve le segonde nozze, se un certo riguardo no me avesse desconseià.
Corallina. Messer Brighella, voi mi fate un discorso curioso. Pare ch’io sia venuta a pregarvi che mi sposiate. Son vedova, ma non son vecchia. Non son bella, ma credetemi, che se ne volessi, ne troverei.
Brighella. Son persuaso; e mi alla bona v’ho dito el me sentimento. Tra el numero de quelli che ve vorria, ghe son anca mi; e fursi, nissun ha più premura de vu, de quella che provo mi. Ma basta... no digo altro.
Corallina. Via: che riguardo avreste, se fossimo in caso di far da vero?
Brighella. È superfluo parlargliene. De mi no ghe pensè.
Corallina. Non occorre dir così. Voi qua dentro non ci vedete.
Brighella. Parleria, ma se parlo, ve rescalderè.
Corallina. Non credo che mi conosciate per una donna irragionevole. Se parlerete, vi risponderò.
Brighella. Orsù, mi son un omo che parla schietto. Ve stimo, ve voio ben, ve brameria per muier; ma quel star vu sola con un patron zovene, no la xe cossa che me piasa, no la xe cossa che para bon.
Corallina. Veramente anch’io ci sto mal volentieri. Ma il signor Ottavio me lo ha raccomandato, e per contentare il vecchio, mi sagrifico ancora per qualche tempo.
Brighella. Come per contentar el vecchio, s’el l’ha cazzà fora de casa colle brutte?
Corallina. Eh giusto! Siete male informato. Sono d’accordo. È una finzione per mortificar la matrigna. Anzi adesso vorrebbero che il signor Florindo tornasse in casa, ma egli per puntiglio non ci vuol tornare.
Brighella. El mondo no la discorre cussì; ma in ogni maniera, Corallina cara, vu fe una cattiva figura a star con quel zovene in casa, sola.
Corallina. Chi conosce quel giovine, non può pensar male. È innocente come una colomba. Le donne non le può vedere.
Brighella. Brava! Nol pol veder le donne! E tutto el zorno el sta alla finestra a occhiar la mia padrona.
Corallina. Dite davvero?
Brighella. Me l’ha confidà la serva.
Corallina. Io credo ch’egli stia alla finestra per tutt’altro; ma pure, che cosa ne dice la vostra padrona?
Brighella. Anca ela par che la gh’abbia gusto. Nol ghe despiase.
Corallina. Sa il cielo quanti ne avrà la signora Rosaura degl’innamorati.
Brighella. Oh, no la xe de quelle che fazza l’amor. Anzi me son maraveià, co ho sentido che la parla de sior Florindo con qualche passion.
Corallina. Il signor Pantalone la vorrà maritar bene.
Brighella. Certo che a quel spiantà nol ghe la daria.
Corallina. Perchè spiantato? Il mio padrone è di una casa ricca e civile; e non gli manca niente, e mi maraviglio di voi.
Brighella. Via, via, patrona, no la vaga in collera. Sempre più se cognosse, che gh’è un pochettin de attacco.
Corallina. Sono una donna onorata.
Brighella. Così credo.
Corallina. Via, o avvisate la signora Rosaura, o me ne vado.
Brighella. Subito; la vado a avvisar. No ve n’abbiè per mal, siora Corallina; parlo perchè ve voggio ben.
Corallina. Portate rispetto al mio padrone.
Brighella. Non occorr’altro, no parlo più. (Ghe scommetteria l’osso del collo, che se no i l’ha fatta, i la vorrà far). (da sè, parte)
SCENA X.
Corallina, poi Rosaura.
Corallina. Questo sarebbe un buon negozio per il mio padrone; ma come posso mai figurarmelo? Nello stato in cui si trova, chi può fidarsi di prenderlo? Procuro di tenerlo in riputazione; ma il mondo parla, e le cose si sanno.
Rosaura. Chi mi vuole?
Corallina. Serva umilissima.
Rosaura. Riverisco quella giovane.
Corallina. Sono venuta a vedere, se a caso le piacesse un paio di calze fine di filo.
Rosaura. Non mi abbisognano, ma tuttavia, se saranno di mio genio, le comprerò.
Corallina. In verità sono buone; e se tali non fossero, non gliele offrirei. (le dà ad osservare le calze)
Rosaura. Quanto ne volete?
Corallina. Il filo costa dieci paoli. Veda quel che può meritar la fattura: mi rimetto in lei.
Rosaura. Io non me ne intendo molto. Vi contentate che le faccia vedere?
Corallina. Anzi mi fa piacere.
Rosaura. Brighella. (chiama)
SCENA XI.
Brighella e dette.
Brighella. Signora.
Rosaura. Andate qui dalla sposa. Ditele che mi faccia il piacere di osservar bene questo paio di calze, e dica ella che cosa possono valere.
Brighella. La servo subito. Per mi le stimeria...
Corallina. Via, quanto?
Brighella. Diese zecchini.
Rosaura. Uh che sproposito!
Brighella. No considero le calze; stimo el merito de quelle man che le ha fatte. (parte)
Corallina. Brighella è un uomo burlevole.
Rosaura. Di voi me ne ha parlato sempre bene. Sedete. (siede Rosaura)
Corallina. Oh illustrissima...
Rosaura. Sedete, senza cirimonie.
Corallina. Per obbedirla. (siede)
Rosaura. Voi siete la serva del signor Florindo.
Corallina. Sì, signora, di quella pasta di zucchero. Le giuro da donna onorata, che una creatura simile non credo al mondo si sia mai data.
Rosaura. In che consiste la sua bontà?
Corallina. In tutto. Egli non grida mai. Sia ben fatto, non sia ben fatto, egli si contenta di tutto. Non ha un vizio immaginabile: non giuoca, non va all’osteria, non pratica con gioventù. Eh! le dico che è un portento. Se ce n’è un altro, mi contento che mi taglino il naso. Felice quella donna, a cui toccherà un tal marito!
Rosaura. Vuol prender moglie?
Corallina. Converrà ch’ei la prenda per forza. È figlio unico, suo padre è vecchio e ricco; la casa non s’ha da estinguere.
Rosaura. È ricco dunque suo padre?
Corallina. Capperi! Il signor Ottavio Panzoni?24
Rosaura. Ma perchè ha cacciato il suo figliuolo fuori di casa?
Corallina. Oh, non si può dire ch’ei l’abbia cacciato. Il giovine vorrebbe ammogliarsi; la matrigna vorrebbe esser sola. Dice egli: Se sto in casa, non faccio niente. M’intende, illutrissima signora? Alle volte si fissano dei puntigli, e si fanno delle risoluzioni; per altro? Corbezzoli! il signor Fiorindo è l’occhio dritto di suo padre.
Rosaura. Eppure mi vien detto che il signor Ottavio gli passi pochissimo pel suo mantenimento.
Corallina. Sì, signora, è vero, lo fa apposta perchè torni in casa.
Rosaura. E perchè non ci torna? Se è tanto buono, come dite voi, dovrebbe rassegnarsi al voler di suo padre.
Corallina. Ah! lo farebbe, ma...
Rosaura. Vi sarà qualche imbroglio.
Corallina. Non v’è imbroglio, se vogliamo. E un non so che, che lo trattiene... Ma finalmente... basta, per ora non posso dir d’avvantaggio.
Rosaura. E che sì che l’indovino?
Corallina. Niuno meglio di lei lo potrebbe indovinare.
Rosaura. Sta volentieri in questa casa25; non è egli vero?
Corallina. Oh! brava. Quelle finestre sono la sua delizia.
Rosaura. No, no, le finestre; le camere.
Corallina. Le camere? Ho timore che non ce’intendiamo, signora.
Rosaura. Venite qua: già nessuno ci sente, (si accostano) È innamorato?
Corallina. Sì; ma, zitto!
Rosaura. E sta qui per godere la sua libertà.
Corallina. Ci sta per il comodo.
Rosaura. Già me ne sono accorta.
Corallina. Voleva dirglielo, e non ha coraggio.
Rosaura. Dirlo a me?
Corallina. Sì, signora, e non passerà molto, che forse glielo dirà.
Rosaura. Ma voi mi dite cose, che non sono da dire. Se fa all’amore con voi, come c’entro io?
Corallina. Con me? Oh pensi lei! Con me? (si scosta un poco)
Rosaura. Con chi dunque?
Corallina. Ma non dice... che se n’è accorta?
Rosaura. Di che?
Corallina. Oh! non vorrei aver parlato per tutto l’oro del mondo.
Rosaura. Ma spiegatevi.
Corallina. Cara signora Rosaura, mi faccia la finezza di dispensarmi.
Rosaura. Ora mi ponete in maggiore curiosità.
Corallina. Sia maledetto la mia ignoranza.
Rosaura. Che mi dite voi delle finestre?
Corallina. Dico delle finestre di casa.
Rosaura. Il signor Florindo sta alla finestra?
Corallina. Non lo vede tutto il giorno?
Rosaura. E per qual motivo ci sta?
Corallina. Oh, è meglio ch’io me ne vada. Or ora mi crepa il gozzo26.
Rosaura. Cara Corallina, non mi lasciate con questa curiosità. Sentite, se dubitate ch’io parli, non vi è pericolo.
Corallina. Ma se il padrone sa che ho parlato, meschina di me!
Rosaura. Se è tanto buono, non griderà.
Corallina. Non griderà, è27 vero. Ma si vergognerà, poverino! Se sapeste come è fatto! pare una ragazza allevata in ritiro. Oh che buone viscere! che costumi! che bella semplicità! Beata quella, a cui toccherà questa gioja!
Rosaura. In verità, lo voleva dire ch’era un giovine savio e buono. Lo vedeva sempre in casa, sempre modesto. Sempre lì...
Corallina. Sempre lì a quelle finestre. (con un poco di caricatura)
Rosaura. Sì, è vero.
Corallina. Specchiandosi, consolandosi...
Rosaura. In che?
Corallina. Eh furba, furba!
Rosaura. Eh via!
Corallina. Sia maledetto! Mi avete fatto cascare.
Rosaura. Oh! fate così, per farmi dire. (vergognandosi)
Corallina. Grande oscurità veramente! Non si vede chiaro che sta ad adorarvi, che non batte occhio, che muore lì, muore?
Rosaura. Io vi parlo schietto. Ho sempre creduto ch’ei facesse all’amore con voi.
Corallina. Sì; se facesse all’amore con me, starebbe a prendere il fresco! Prima, egli è un giovine di prudenza, stima l’onore della sua casa, e non si abbasserebbe a pigliare una serva. E poi, ve lo dico liberamente, è innamorato morto di voi.
Rosaura. Io rimango sorpresa. Non mi ha mai dato un segno di avere della premura per me.
Corallina. È timido. Non si arrischia.
Rosaura. E che pretende dai fatti miei?
Corallina. Far quello per cui è uscito di casa di suo padre. Maritarsi, e tirar avanti la casa.
Rosaura. E sua matrigna?
Corallina. Il signor Ottavio è vecchio, e mezzo insensato. Quando il figlio sarà maritato, la signora Beatrice o se n’anderà di casa, o rinuncierà il maneggio.
Rosaura. Se ciò fosse, converrebbe ch’ei ne parlasse a mio padre.
Corallina. Ha principiato a dirgli qualche cosa questa mattina.
Rosaura. Gli ha parlato di me?
Corallina. Non gli ha parlato precisamente di voi, perchè così di balzo non dovea nemmen farlo; ma sentite con che bella politica si è introdotto. Sa che il signor Pantalone è amico del signor Ottavio. Ha fìnto aver bisogno di danari, e lo ha pregato interporsi per fargliene aver da suo padre. Naturalmente gli porterà la risposta, ed egli con quell’occasione gl’introdurrà il discorso a proposito, e forse forse concluderanno.
Rosaura. Sarà diffìcile che mio padre l’accordi, s’egli non torna in casa.
Corallina. E sarà diffìcile ch’ei torni in casa, se non ha qualche sicurezza di essere consolato.
Rosaura. Come si potrebbe condurre questa faccenda?
Corallina. In quanto a questo poi, de’ ripieghi non ne mancano. Qui batte il punto, signora Rosaura; in confidenza: vi aggrada il signor Florindo? Lo prendereste per marito? (s’accosta)
Rosaura. Se le cose camminassero con buon ordine... per dirla... non mi dispiace.
Corallina. Non occorr’altro. Facciamo così. Sentite s’io parlo bene. Convien procurare...
SCENA XII.
Brighella e dette.
Brighella. Son qua colla risposta.
Rosaura. Che cosa ha detto?
Brighella. La le ha stimade vintiquattro paoli.
Rosaura. Bene: ventiquattro paoli vi darò. Siete contenta? (a Corallina)
Corallina. Contentissima.
Rosaura. Torniamo al nostro discorso. Andate, non occorr’altro. (a Brighella)
Brighella. El padron la domanda. (a Rosaura)
Rosaura. Mio padre? Non vorrei... Che cosa vuole?
Brighella. El la cerca, e ghe preme parlarghe.
Rosaura. Bisogna ch’io vada. Corallina, ci rivedremo. Tornate oggi, quando non c’è mio padre.
Corallina. Si signora, ritornerò.
Rosaura. Vi pagherò le calze.
Corallina. Come comanda. (freddamente)
Brighella. Signora padrona, la perdoni. La ghe le paga subito le calze.
Rosaura. Se vi preme... (a Corallina)
Corallina. Eh, non importa. (come sopra)
Brighella. La ’l dise per modestia. Ma chi sa che no la ghe n’abbia bisogno? (a Rosaura)
Corallina. Che credete? Ch’io abbia da comprarmi il pane con questi danari? Mi maraviglio di voi. In casa del mio padrone non manca niente.
Rosaura. Tenete. Gli aveva nella borsa, e non ci aveva pensato. Eccovi un zecchino e quattro paoli.
Corallina. Non ci erano queste premure; li prendo per obbedirla.
Rosaura. A rivederci. Oggi discorreremo. (Florindo mi è sempre piaciuto; e costei ha finito d’innamorarmi). (da sè, parte)
SCENA XIII.
Brighella e Corallina.
Brighella. Cara siora Corallina, mi parlo per ben, e vu andè in collera.
Corallina. Avete un gran cattivo concetto di me e del mio padrone; e vi assicuro che c’è per voi da parte una borsetta, con sei zecchini ruspi di padella.
Brighella. Per che rason?
Corallina. Se nasce un certo non so che.
Brighella. Cossa, cara vu?
Corallina. Avete da sapere che il mio padrone...
Brighella. Son qua. I me chiama. Se parleremo.
Corallina. Venite da me, che vi dirò tutto.
Brighella. Non occorr’altro. A revéderse. (Vardè quando i dis: i denari i è dove no se crede). (da sè, parte)
SCENA XIV.
Corallina sola.
Così, a caso, mi è riuscito piantare una bella macchina. Se la cosa va bene, spero far la fortuna del mio padrone. Egli è di buona nascita, è figlio di padre ricco, è di buoni costumi, onde non può essere che un buon partito per la signora Rosaura. Resta a superare la disgrazia che egli ha con suo padre, per causa della matrigna. E questo è quello che mi fa lavorar col cervello. S’io potessi arrivare a parlare col signor Ottavio, forse forse mi comprometterei assaissimo. Egli mi voleva gran bene e mi ascoltava, prima che si pigliasse codesto diavolo in casa. Basta, chi sa? Intanto vo tenendo il signor Florindo in riputazione, e per ciò fare, mi sforzo di dire qualche bugia. Ne diciamo tante per far del male; non saprei: mi farò lecito dirne quattro per far del bene. Oh, se mi riesce il colpo, la signora Beatrice vuol restar brutta! Niuno vorrà credere ch’io ami tanto il signor Florindo, e lo ami senza interesse; poichè le donne sono presso degli uomini in mal concetto. Ma io farò vedere che anche noi sappiamo essere amorose e disinteressate, e che il mio cuore è duna pasta sì dolce, che chi ne assaggia una volta, non se ne scorda mai più. (parte)
Fine dell’Atto Primo.
Note
- ↑ Ed. Peperini: dove volè.
- ↑ Con chi gridava? [nota originale]
- ↑ Matrigne. [nota originale]
- ↑ Che si sia cangiata. [nota originale]
- ↑ Quando.
- ↑ Da padrone. [nota originale]
- ↑ Pappagallo.
- ↑ Sei scudi corrispondono a lire venete 48, ossia a lire italiane 26.20.
- ↑ Aglio. [nota originale]
- ↑ Due zecchini, o scudi d’oro, corrispondono a lire venete 44, ossia a lire italiane 24.02: v. vol. II, 465, note 2 e 4.
- ↑ Paper. Non è vero?
- ↑ Malvagia brusca. [nota originale]
- ↑ C. s.
- ↑ Frase alquanto bizzarra, con cui si spiega di voler una cosa a dispetto di chi non vorrebbe. [nota originale]
- ↑ Pap.: preverrò.
- ↑ Così nell’ed. Paper.: «Signora madre, il signor padre mi manda... Beatr. Ed io ti mando con lui. Lel. Infinitissime grazie. Mi manda a vedere, se siete più ecc.».
- ↑ Paper. aggiunge: e lo consola una donna di cuore, una vedova ecc.
- ↑ Pap. aggiunge: paziente.
- ↑ Pap.: Chi sa! Lungi i timori, forti lì ecc.
- ↑ C’è? [nota originale]
- ↑ Si accarezzano. [nota originale]
- ↑ Pap.: co l’omo.
- ↑ Nemmeno. [nota originale]
- ↑ Pap. aggiunge: Averà quattro o cinquemila scudi d’entrata.
- ↑ Pap. aggiunge: qui dirimpetto.
- ↑ Pap. aggiunge: e butto fuora.
- ↑ Pap.: egli è.