La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XVIII

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Capitolo XVIII.

Della battaglia che ne seguì oltre il fiume, ove fu morto il Conte d’Artese.


Avanti che partire il Re aveva appuntato che i Tempieri farebbono l’antiguarda, ed il Conte d’Artese suo fratello menerebbe la seconda battaglia. [p. 86 modifica]Ma sì tosto che ’l Conte d’Artese ebbe passato il fiume insieme a tutta sua gente d’arme, e ch’e’ videro i Saracini fuggire loro davanti, essi piccano li cavalli delli speroni e cominciano a correr sopra li Saracini. Donde la valente Milizia dell’antiguardo ne levò parola di corruccio, ma il Conte d’ Artese non le osava rispondere o rattenersi per la paura di Messer Folcaldo del Melle che lo tenea per lo freno del suo cavallo, e che, sendo sordo, non udìa cosa che i Tempieri dicessono al Conte, ma gridava tuttavia a gola: or addosso, or addosso. Quando i Tempieri videro ciò, essi si pensaro essere onìti e diffamati se lasciavano andare il Conte d’Artese innanzi a loro, perchè tutti d’un accordo ferirono degli sproni tanto ch’e’ poterono, e perseguirono i Saracini fuggenti per mezzo la Città della Massora sino al campo posto verso Babilonia. Or quando finalmente ristettono e pensarono ritornare addietro, ecco li Turchi lanciar loro per a traverso le strette rughe della cittade gran forza di fromboli e di saettame, sicché là fu morto il Conte d’Artese e il Sire di Coucy che si nomava Raullo, e tanto d’altri Cavalieri sino al numero di trecento, ed i Tempieri, in così come il loro Gran Maestro mi disse, vi perdettono bene dugento ottanta de’ suoi1.

E i miei Cavalieri, Genti d’arme ed io vedemmo a man sinistra gran quantità di Turchi che s’armavano ancora, e incontanente corremmo sovr’essi. Ed in quella che li cacciavamo per mezzo loro oste, io scorsi un gran Saracino che montava [p. 87 modifica]sul suo cavallo, e gli teneva il freno un suo cavaliero: e intanto che il Saracino levò le mani alla sella per voler montare, io gli diedi della spada sotto le ditella tanto come potei metterla avanti, e lo freddai di quel colpo. Quando il Cavaliere vide il suo Sire morto, abbandonò egli signore e cavallo, e m’ispiò al ritornare, e mi venne colpire di sua lancia un sì gran colpo tra le spalle ch’elli mi gittò sul collo del mio cavallo, e mi tenne così pressato ch’io non poteva sguainar la spada che aveva cinta, ma mi bisognò tirare un’altra spada ch’io aveva alla sella del cavallo, donde bene mestieri me ne fu; e quando egli vide ch’io aveva la spada in pugno, elli ritirò di forza la lancia che io avea afferrata, e s’arretrò da me. Ora avvenne ch’io e i miei Cavalieri trovammo de’ Saracini fuora dell’oste, e ne vedemmo qua e là ben presso a sei mila che si erano gittati alla campagna e aveano abbandonati gli alloggiamenti: perchè quando essi ci ebber veduti cosi spartati, ci vennero correr sopra di gran randone, e là uccisono Messer Ugo di Tricciatello Signore d’Isconflano, il quale portava la bandiera della nostra compagnia: e parimente presono Messer Raullo di Guanone della detta nostra compagnia, lo quale essi avevano abbattuto a terra. E in quella che l’ammenavano i miei Cavalieri e me il conoscemmo, e lo andammo arditamente riscuotere e liberare dalle lor mani. Ed in ritornando di quello affronto li Turchi mi donarono di sì gran colpi che il mio cavallo s’agginocchiò del gran peso che gli toccò sentire, e [p. 88 modifica]me gittarono oltre per di sopra le orecchie sue. Di che tantosto mi raddrizzai mio scudo al collo e mia spada in pugno: ed allora si tirò verso me Monsignor Erardo di Esmerè, che Dio assolva, lo quale a somigliante essi avevano abbattuto a terra: e noi ci ritirammo insieme verso una magione, che colà presso era stata guasta per attendervi il Re che veniva, e trovar modo di ricovrare un cavallo. Ed in così che noi ne andavamo a quella magione, ecco qua una gran bandiera di Turchi, i quali venivano sovra noi correndo e passando oltre verso un’altra compagnia di nostre genti che colà presso reggea la puntaglia. Ed in passando essi mi gittano a terra di tal burina che lo scudo m’esce del collo, e mi calpestano per morto, donde guari nonne falliva. E quando furono passati, Messer Erardo mio compagnone mi venne a rilevar su, e cosi potemmo andare sino ai muri di quella magione disfatta. Ed a questi muri si resero a noi Messer Ugo di Iscossato, Messer Ferrante di Loppei, Messer Ranaldo di Menoncorto, ed altri più. E là ci vennero assalire li Turchi in maggior forza da tutte parti: e ne discese una parte d’essi dentro il casalone ove noi eravamo, e lungamente furono battagliando contra noi a la puntaglia e da presso. Allora i miei Cavalieri mi donaro a guardare un cavallo, ch’essi tenevano per paura ch’e’ si fuggisse, e si dettono a difendersi vigorosamente contra li Turchi, ed in tal maniera che grandemente lodati ne furo da alquanti produomini che li vedevano. Là fu ferito Messer Ugo di Iscossato di tre grandi piaghe [p. 89 modifica]nel viso ed altrove. Messer Raullo e Messer Ferrante a simigliante furono naverati alle spalle talmente che il sangue sortiva di loro piaghe tutto così che d’una botte sorte il vino. Messere Erardo d’Esmerè fu naverato per mezzo il viso d’una spada che gli trinciò tutto il naso tanto che gli cadeva sulla bocca. Adunque in quella distretta mi sovvenne di Monsignore San Jacopo, e gli dissi: Bel Sire San Jacopo, io ti supplico aiutami e mi soccorri a questo bisogno. E tantosto ch’io ebbi fatto mia preghiera Messer Erardo mi disse: Sire, se voi non pensaste ch’io il facessi per fuggirmi ed abbandonarvi, io v’andrei inchiedere Monsignore il Conte d’Angiò ch’io vedo là in quei campi. Ed io gli risposi: Messer Erardo, voi mi fareste grande onore e grande piacere se voi ci andaste chiedere aiuto per salvarci le vite, giacché la vostra è bene in grande avventura. E bene io ne dicea il vero perchè elli ne morì poco stante di quella nàvera. E tutti furono altresì d’opinione ch’elli ci andasse cercar soccorso. Allora gli lasciai andare il cavallo suo ch’io tenea per lo freno, ed egli ratto se ne corse al Conte d’Angiò richerendogli che ci venisse soccorrere nel periglio ove noi eravamo. E là ci ebbe un gran Sire con lui che ne lo voleva guardare, ma il buon Signore non ne volle niente credere, anzi girò il suo cavallo, ed accorse con alquanto delle sue genti piccando delli speroni. E quando li Saracini il videro venire essi ci lasciarono, ma come e’ vennero in effetto, scorsero li Saracini i quali tenevano Messer Raullo di Guanone e [p. 90 modifica]l’ammenavano tutto ferito, perchè incontanente mossero a ricovrarlo, ma lo riebbero in ben pietoso e miserevole punto.

  1. Il dì 8 Febbraio 1250.