La umanità del figliuolo di Dio/Ai valorosi campioni di Cristo e del Padolirone abitatori

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Ai valorosi campioni di Cristo e del Padolirone abitatori

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Ai valorosi campioni di Cristo e del Padolirone abitatori
La umanità del figliuolo di Dio Libro primo

[p. 3 modifica] A LI VALOROSI CAMPIONI DI CRISTO E DEL PADOLIRONE ABITATORI Da piú persone, secondo il mondo, a me benevole sono stato importunamente sollecitato di dovere a’ ricchi e poderosi uomini, si come a grossi pesci, gittar l’amo di questi miei semplicissimi ragionamenti per adescarne, oltra il favore, eziandio qualche cosetta de li dati a loro beni di fortuna. Io che, la Dio mercé, con meco mi godo di non aver terreno piú di quello si mi appiccia in andando sotto le piante, me ne sono liberamente riso; parendo egli a me non esser prodezza di fedel cavalliero di povertá il cosi voler fare, tuttoché se ne potesse non meno empier de ambiziosi perfumi la testa che del loro argento la borsa. E tanto piú che essi valorosi principi né piú né meno portano bisogno di questi miei cosi fatti componimenti perché ne possano esser fatti per lode immortali, che io di quelle facultá loro perché ne resca piú beato di quello mi sono. A voi, dunque, poveri di spirito e copiosi di divine grazie, mando quel tutto poco di pane da me fra questi nudi sassi per spazio di tre anni raccolto, non perché né a voi né a’ simili vostri come ad affamati sia egli da essere spezzato ed antiposto, i quali del vostro suavissimo i cari figliuoli, oggi mai dal latte distolti, nudricate, ma dignarete forse di almen gustarlo per levarne giudicio, se per innanzi da voi lo megliore si poterá sperare. Giá non per altro che per ubbedire quegli onorati maggiori miei, Basilio, Teofilo, Leonardo ed altri prudentissimi uomini, sonomi forse ad una tanta impresa con troppa baldanza rallentato; sedendomi pure ne la memoria quel loro spesse volte [p. 4 modifica] a me donato avviso, che, in ricompenso de’ miei piú freschi giorni si giovenilmente dattorno al ridiculoso Baldo gittati, via piú la penna che la zappa in questa solitudine, ove mi sto, affaticare debbia, si come quelli che molto bene isperimentato hanno le operazioni de le mani poco valere (secondo lo Apostolo) a la fabbrica de lo spirito. Il quale se d’altro diporto non si provvede che di tessere sportella, egli tantosto se ne vola colá donde a rivocarlo è piú che di Sansone fatica. In pagamento, adunque, del contratto debito, sonomi presso al fratello ritirato a le solitarie selve del promontorio di Minerva, ove ho per queste ruvide scorze d’abeti e querze discritto alcuni gesti e parlamenti del nostro Salvatore assai (come voi dite) sonnacchiosamente, non v’ intravegnendo il molto raro favore di quelle madonne del favoloso Parnasso, le quali oggidí sono ritrosette e schive di volere piú oltre, fuora de le strepitose cittá, nei luoghi selvaggi abitare. So ch’ogni, quantunque dotta, scrittura di tanto suggetto quanto è questa non puote in alcuna guisa piacere a li semplicissimi seguaci de la croce, se o piú o meno contiene in sé di quello hannoci lasciato in carte le quattro arche de lo Spirito santo, e vogliasi da l’autore di essa che sia creduta e letta per quella veritá che de l’aquila sui vanni al cielo si divinamente poggiando vola. Ma non mi pare disdica, però, se alcuno devoto Bernardo, come rari se ne trovano, mettasi a scegliere da la ordinata evangelica istoria o gesti o documenti del nostro Salvatore, formandone un nuovo ordine con devoto discorso di piú imaginate cose, tra per agevolarsi piú al dire, tra eziandio per maggior delettazione de gli uditori. Il che io (tuttoché di non molto devoto spirito sia) ho voluto per le dette cagioni non senza gran fatica osservare. Né mi parse oltre a ciò sconvenevole cosa, per maggior sicurezza e mia e di coloro che vorranno trarre de le nostre scorze qualche medolla de l’Evangelio, spargere su per le ripe di questo volume le latine postille cosi de l’uno come de l’altro Testamento. Ma ben mi doglio d’una, da me ora taciuta, openione d’alcuni attempati fanciulli, i quali si fattamente hannomi tenuto dagli [p. 5 modifica] altri singulare, che fino a qui non ebbi uomo accomodato al quale si rimettesseno coteste mie vigilie ad essere o da limato suo giudicio castigate oppure, si come poco gradevoli e molto rincrescevoli, in tutto riprovate. So molti saputi uomini andare con piedi e mani in quella tal sentenzia: che scrivere il volgare idioma direttamente non si puossa in fuori che toscano; ed io, che in ciò assai meno intelligente de gli altri sono, volontieri da loro intendarei da qual autore e in qual scola il cosi favellare s’impara e se per avventura ho egli da farmi, per piú agevolezza di lingua e canna, scorciare i denti come per lo ebraico leggesi di san Gerolamo aver fatto. Ma nel vero, se la diversitá de le intricatissime openioni al senso pienamente mi raccoglio, una idra di mille, non che sette, capi parmi sentire che seco discordanti vannosi mordendo, e chi me ne dice una e chi me ne dice un’altra. Sia dunque la cosa come si voglia, vadano piú tosto queste mie rime con biasmo d’ impolita lingua per bocca d’aflfettatissimi professori de la toscana che con lascivo suggetto nel core de’ semplicissimi portatori de la croce; appagandomi di piú aggradire la sinceritá d’un devotissimo Bernardo che ’l cosi lungo sospirare del facondissimo Petrarca. Tengasi essi l’uno de li duoi Giovanni col suo Decamerone , ché l’altro teneremo noi col suo Vangelo. Sará chi dica il mio giudicio essere stato povero di consiglio, avendosi egli posto a trattare un si profundissimo suggetto non pure in idioma volgare posponendosi lo latino, ma con ottava rima lasciandosi la terza piú a quello pertinente. Rispondo ch’altro suono eroico uscito è giá di quella santa ed onorata scola de’ canonici regolari di Laterano, perché mi dovessi cosi licenziosamente porre a simile impresa e forse reportarne via piú di scorno che di loda. Ma considerando al tempo d’oggi gli umani ingegni, eziandio dottissimi, non senza gravitá di stilo essersi ne li volgari componimenti cosi d’ottava come di ogni altra rima esercitati, per avviso di chi sa piú di me, ho voluto con ottave stanze passarmi il tempo in contemplare su per queste ripe la somma benignitá di Dio verso di noi: [p. 6 modifica] parendo egli a me piú convenire a l’eroica maiestade questa ottava rima che l’altre tutte, quantunque molte carte in cosi fatta manera di rimare siano state per lo passato infelicissimamente da piú autori scritte; ma poscia in questi nostri moderni tempi sonosi desti, come si vede, alcuni veramente fortunati ingegni, li quali, non meno per favore di loro fatiche e continoati studi di dotte carte che per natura e divine grazie, hanno restituito al suo candore il quasi giá spento lume di queste ottave rime. De le quali oggidí quell’onorato e non mai lodato abbastanza messer Lodovigo Ariosto da Ferrara s’ha tolto il primiero onore e, d’alto nome carco, è gito al cielo per levare l’acquistata mercede de le sue lunghissime vigilie, ove non per altra cosa che per sottoporre la cagione d’ogni mala oziositá si esercitava, sapendo molto bene che gli uomini a profitto comune in questo mondo nascono. Fortunato vecchio! che in cosi grave, acconcio e ben limato stile cagioni ha porto a la molle giovenezza di ritrarsi oggi mai da’ giochi, putte ed altre infinite mal fatte cose a l’onoratissimo studio de le lettere, a la grandezza de l’arme e finalmente ad ogni atto generoso di cortesia. Le quali tutte cose ponno essere chiamate le fide scorte al salire piú in alto e ritrovare il nostro principale oggetto e, riconosciutolo, ad altro non fermar piú oltre il pensiero che morire nel Signore e dispensatore d’eterni beni. [p. 7 modifica]

GIAMBATTISTA FOLENGO
Voglion non so qua’ saggi che ’l Vangelo
non mai debbiasi esporre al volgo in carte
con stil volgar, però ch’a lui giá il velo
del tempo ascose la piú santa parte.
Rispondo che, morendo, il re del cielo
squarciollo d’alto a basso acciò che sparte
sian or sue grazie al nobil, al plebeo,
tartaro, indo, latin, greco, afro, ebreo.

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