La villa medicea di Careggi/IV

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olendo parlare delle vicende di Careggi a tempo di Cosimo il Vecchio, svolgere gli avvenimenti che si prepararono in questa villa, accennare ai personaggi che qui per varie ragioni convenivano, sarebbe lo stesso che voler rifare un importantissimo e complicatissimo periodo della storia fiorentina. E questo non è il compito del presente scritto.

Cosimo fece più che altro di Careggi la residenza del privato cittadino, dello splendido signore che vuol vivere in mezzo alla famiglia, agli amici, alle persone più care.

E son questi per noi i ricordi più preziosi, perchè dinanzi alla mente nostra si presentano quelle grandi figure di artisti che nella magnificenza di casa Medici trovarono il modo di far brillar maggiormente lo splendore del loro ingegno. [p. 22 modifica]

Basterebbe rammentare tre genii meravigliosi che riempirono Firenze, l’Italia, il mondo della loro fama, che lasciarono un patrimonio ricchissimo di opere d’arte e che nella loro vita di artisti troviamo amici e spesso compagni di lavoro: Filippo di Brunellesco, Donato di Niccolò e Michelozzo Michelozzi. Scultori, architetti, orafi, cesellatori essi ebbero campo di mostrare le loro multiformi attitudini spesso per dato e fatto delle molte commissioni che furono date loro dai Medici.

Donatello si può dir che fosse debitore ai Medici della sua grandezza artistica, perchè per essi fece i suoi primi lavori e da loro ebbe quell’incoraggiamento che a lui nato da povera famiglia occorreva.

Michelozzo poi divenne l’artista favorito di Cosimo e più che altro l’amico fedele, affezionato che volle seguire perfino nell’esiglio colui verso il quale sentiva un affetto sincero, ed infinito.

Brunellesco, eresse S. Lorenzo, il tempio, il mausoleo Mediceo, che fu il primo saggio della meravigliosa potenza di quella famiglia: poi riordinò la Badia Fiesolana che Cosimo con grande sfarzo volle restaurare onde servisse di dimora ai Canonaci Lateranensi essendo egli amicissimo di D. Timoteo da Verona predicatore valente e uomo dottissimo. Al Brunellesco venne in animo di costruire un palazzo che fosse degno della potenza Medicea e fece il modello d’una grandiosa e ricchissima fabbrica da inalzarsi proprio di faccia alla basilica di S. Lorenzo, dove fu poi il convento di S. Giovanni Evangelista. E Cosimo fine ed intelligente amatore delle cose d’arte, ammirò assai l’opera di Brunellesco elogiandolo come si meritava; ma più astuto e più pratico uomo di mondo, capì che la [p. 23 modifica]costruzione d’un palazzo di tanta magnificenza che sarebbe riuscito il più suntuoso di quanti erano nella città, avrebbe avvalorato le accuse che gli si facevano già di voler essere il signore di Firenze. Perciò nelle sue conversazioni artistiche egli ebbe sempre grandi parole d’elogio per il modello del grande architetto di S. Maria del Fiore; ma non volle decidersi mai a porlo in opera e finì anzi per adottare il disegno d’un palazzo più modesto, per quanto artisticamente pregevole suggeritogli da Michelozzo.

Donatello lavorò moltissimo e più d’una volta per Cosimo de’ Medici e stanno tuttora a farne fede le porte, le decorazioni, i monumenti della Sagrestia Vecchia di S. Lorenzo, i due amboni della stessa chiesa, i medaglioni del palazzo Mediceo, la fontana di Castello, senza contare tanti altri lavori che sono andati pur troppi dispersi e che facevano fede all’altissimo concetto in cui Cosimo de’ Medici teneva l’ingegno meraviglioso dell’artista che iniziò nella storia dell’arte uno dei più splendidi periodi, ispirando i concetti elevatissimi allo studio accurato e intelligente del vero.

Michelozzo Michelozzi operò più di tutti per Cosimo e si può dir che ne fosse l’architetto favorito, certo perchè seppe interpetrare i gusti e i desiderj del mecenate e indovinarne quasi il pensiero. Basta enumerare le principali opere compiute dall’elegante e ingegnosissimo artista per farsi un adeguato concetto della ricchezza Medicea, dell’amore che in quella famiglia si nutrì per l’arte e per giustificare l’affermazione che in sole opere pubbliche Cosimo de’ Medici impiegò la cospicua somma di 500,000 fiorini d’oro.

Il convento di S. Marco, il Noviziato di S. Croce, S. Gi[p. 24 modifica]rolamo di Fiesole, il Bosco a’ Frati in Mugello, la Cappella di S. Miniato al Monte, furono da Michelozzo compiute col danaro de’ Medici; mentre per uso privalo di quella potente famiglia edificava il palagio di Via Larga, restaurava completamente le grandiose ville del Trebbio e di Cafaggiolo in Mugello, quella di Careggi, dove con ingegnoso artifizio condusse l’acqua per le fonti e quella di Fiesole ampliando una casa di minore importanza.

Nè questi furono i soli artisti che avessero dimestichezza coi Medici, perchè essi si valsero dei migliori che erano a Firenze in que’ tempi per decorare edifizj privati e pubblici. Fra gli altri ricorderemo il Ghiberti, il Verrocchio, Paolo Uccello, Luca Della Robbia, l’Angelico, Fra Filippo Lippi, Masaccio.

I filosofi ed i letterati si divisero cogli artisti i favori di Cosimo de’ Medici e per essi fondò quell’insigne accademia platonica che ragunò gl’ingegni più eletti, che ravvivò l’amore per gli studj filosofici e che istituì le feste platoniche le quali lasciarono tanta fama di se. Cosimo fece venire appositamente a Firenze un greco dottissimo, Giovanni Argiropulo che dopo la presa di Costantinopoli (1453) aveva dovuto abbandonare la patria oppressa dai turchi. A capo di quest’accademia, pose Cosimo un giovine di grandissimo talento, Marsilio Ficino, figlio di un medico. Cosimo l’aveva preso a proteggere fin da fanciullo e avendone conosciuta l’attitudine agli studj letterarj e filosofici, l’aveva fatto istruire, ottenendo in breve tempo risultati addirittura portentosi.

Marsilio abitò quasi sempre presso di Cosimo alla villa di Careggi e più tardi ebbe in dono dal suo mecenate la villetta della Fontanella prossima assai al palagio Mediceo, volendo [p. 25 modifica]Cosimo aver sempre modo d’intrattenersi con un uomo di tanto sapere.

Oltre Marsilio, oltre l’Argiropulo, Careggi che fu la vera sede della scuola platonica, ospitò per anni e anni altri insigni cultori di quelle discipline e primi fra tutti Agnolo Poliziano e Pico dei signori della Mirandola, giovani di vasta coltura che furono gli amici più cari e più affezionati di Lorenzo nipote di Cosimo, egli pure per desiderio dell’avo cultore delle lettere e della filosofia.

Cosimo aveva in particolar modo cercato di dare un’ampia e profonda istruzione alla famiglia, quasi presago di un avvenire che certo era più facile di raggiungere mediante quell’autorità e quel rispetto che il sapere ha sempre ispirati. Egli amava assai i suoi figli Piero e Giovanni che gli erano nati da Contessina de’ Bardi e quando con suo immenso dolore si vide rapito dalla morte Giovanni nel 1463 e dovette accorgersi che anche Piero ammalato di gotta non avrebbe a lungo vissuto, non ebbe altro conforto che quello di vedere vicino a se i nipoti Lorenzo e Giuliano e di saperli bene avviati nello studio e nella pratica d’ogni civile virtù.

Careggi non fu priva del suo signore che per un anno soltanto, dal 3 ottobre del 1433 al 1.º ottobre del 1434; l’anno dell’esiglio.

I sospetti d’ambizione di potere s’erano accumulati su di lui. Tanta magnificenza di fabbriche, tanta liberalità nel proteggere artisti e letterati, tanta larghezza nel soccorrere ed aiutare mercanti e banchieri, tanto amore di popolarità, parvero l’aurora del giorno in cui egli avrebbe tolta la libertà a Firenze, creandosene sovrano. [p. 26 modifica]

La Signoria si fece eco delle paurose voci che da ogni parte e quasi con timore si ripetevano e Bernardo Giugni gonfaloniere di giustizia, troncata ogni esitanza, il primo di settembre fece venire a Palazzo il Medici, gli lanciò in faccia l’accusa che pesava sopra di lui e lo fece chiuder nell’Alberghetto1 una piccola carcere posta nella torre di Palazzo Vecchio, località che metteva il prigioniero al sicuro da qualunque tentativo de’ suoi amici.

Lassù egli avrà pensato alla sua Careggi e chi sa con quale strazio dell’anima gli vennero in mente la moglie ed i figli che là se ne stavano paurosi e pieni d’ansia, quando seppe che dai più fieri suoi oppositori si chiedeva la sua morte.

Prevalsero consigli più miti e Cosimo dopo un mese di prigionia fu mandato in esigilo a Padova. Fu un esilio che rassomigliò ad un trionfo. Amici fidi e affezionati lo seguirono e lo confortarono, le città dov’egli si fermò l’accolsero come se egli fosse stato il vero rappresentante di Firenze e un anno dopo un nuovo trionfo l’attendeva nella sua città dove aveva prevalso il partito di richiamarlo.

Un anno dopo egli era Gonfaloniere di Giustizia e per trent’anni egli diresse e, si potrebbe dire anche, dominò, il governo della repubblica.

Già vecchio, malazzato, egli non perdette l’energia del carattere, l’attività portentosa e delle cose pubbliche come delle sue proprie sempre ebbe cura. Però negli ultimi tempi non si mosse quasi più da Careggi dove s’infermò.

Il figlio, i nipoti, gli amici fedeli, d’ogni premura, d’ogni affetto lo circondarono e da Firenze era un continuo andirivieni di persone d’ogni classe che venivano ad informarsi della salute del gran cittadino. [p. 27 modifica]Il primo d’agosto del 1464 alle 22 e mezza della sera, Cosimo, il fondatore della potenza Medicea chiudeva per sempre gli occhi alla luce.

Ebbe funerali degni d’un sovrano: fu seppellito in San Lorenzo, nella sagrestia che aveva fatta erigere e con tanta pompa adornare e sul suo sepolcro fu scritto Cosimo Pater Patriae.



Note

  1. [p. 81 modifica]È una piccola stanzetta a volta con pareti di pietrame a filaretto, posta cica alla metà della scala che dal ballatoio conduce alla sommità della torre ed è illuminata da una piccola finesira che guarda mezzogiorno.