La vita e le opinioni di Tristano Shandy/I. Storia di Yorick

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I. Storia di Yorick

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La vita e le opinioni di Tristano Shandy II. Il Naso grosso; Racconto di Slawkenbergius
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I.


STORIA DI YORICK.


Aguzza quì, Lettor, ben gli occhi al vero;
Che ’l velo è ora ben tanto sottile,
Certo, che ’l trapassar dentro è leggiero.
Dante, Purgatorio.


Yorick nominavasi il parroco, – ma devi notare, (come apparisce da notizie antichissime di famiglia scritte in pergamena, e ben conservate,) che tal nome era stato pronunziato appunto in quel modo per quasi.... io stetti per dire 900 anni: ma perchè riferendo una verità improbabile, sebbene di natura sua fuor di quistione, non vorrei perderci di fede, mi appagherò soltanto del dire, che quel nome era stato pronunziato appunto in quel modo per non so che spazio di tempo; nè tanto oserei dire per la metà dei cognomi del regno, che nell’andar degli anni hanno sostenuto tante vicende quante coloro cui appartenevano. Daremo questo all’orgoglio, o alla vergogna delle persone che li portavano? A dirla [p. 288 modifica]ta, io tenni conto dell’una e dell’altra causa, secondo che la tentazione operava. Ma egli è mal fatto: – un giorno verrà a mescolarci tutti così confusamente, che uomo non potrà levarsi a giurare, che l’avolo suo fece questo o quell’atto.

La famiglia di Yorick aveva riparato a questo male, prudentemente conservando a guisa di religione le memorie da me citate, le quali di più c’informano, che l’origine della famiglia fosse Danese, trapiantata in Inghilterra fino dai tempi di Horwendillus Re di Danimarca, e pare, che a quella corte un antenato donde M. Yorick discendeva dirittamente tenesse carica riguardevole; – solo aggiungono, che già da due secoli era stata abolita, come inutile affatto in quella e in ogni altra corte del mondo cristiano.

Spesso mi è passato per la mente, che la carica fosse quella di primo buffone del Re, – e lo Yorick nell’Hamlet del vostro Shakespeare, – che ha moltissimi drammi fondati nel vero, – era di certo lo stesso.

Io non ho tempo di svolgere la Storia Danese di Sasso Gramatico per saperne la verità, – ma se i miei hanno agio e facilità di procacciarsi quel libro, lo facciano di per se stessi. Ebbi però tempo ne’ miei viaggi di Danimarca, e tanto bastommi, di provare la verità di una osservazione fatta da tale, che dimorò lungamente in quella contrada, cioè, – che la natura non era nè troppo larga, nè troppo avara, nei presenti d’ingegno e di capacità agli abitanti di quel paese; – ma, simile a madre discreta, era modestamente liberale verso tutti, osservando tanta eguaglianza di misura nel dispensare i suoi favori, che a fin di conto gli uni non la cedevano agli altri. Tu [p. 289 modifica]rinverrai pochi esempi in quel regno di mente elevata, – ma in tutte le classi del popolo una dovizia di buono, semplice, e domestico intendimento, – e ciascuno n’ha la sua parte, – e questa parmi cosa ben dritta.

Ma con noi le cose procedono ben di altro passo, e in questa faccenda tocchiamo il fondo, e la cima: – o voi siete un genio, o scommetto cinquanta contro uno, che voi siete, o Signore, uno stupido al di là dei confini, e una zucca da sale; – non già che manchino al tutto i gradini di mezzo, – noi non siamo irregolari di tanto; – ma gli estremi sono frequentissimi, e condotti ad altissimo punto in quest’isola instabile, dove la natura nelle sue doti e disposizioni di simil sorta è bizzarra, e fantastica in modo, che la fortuna stessa non è più di lei stravagante nel lascito dei suoi beni.

Tutto questo mi fece dubitar sempre della discendenza di Yorick, e da quanto mi ricordo di lui, e da tutte le notizie che ho potute raccogliere, pare che non avesse nelle vene neppure una goccia di sangue danese; – forse in 900 anni era tutto svaporato; – ma non voglio filosoficarci un momento: – sia che può, il fatto era questo; in vece di quella flemma ed esatta regolarità di sensi ed umori, che ti saresti aspettato in uno della sua origine, era all’incontro una composizione tanto mobile e sublimata, – una creatura tanto eteroclita nelle sue declinazioni, – e aveva in sè tanta vita e capriccio, e gaïté de coeur, come se fosse il figlio d’un cielo ardentissimo. Con tanta vela il povero Yorick non portava un’oncia di zavorra; – non era pratico in nulla del mondo, e a ventisei anni sapeva guidare in esso il suo corso come un’ingenua fanciulla di tredici; [p. 290 modifica]talchè al primo mettersi in mare, immagina pure, che il vento fresco de’ suoi spiriti dieci volte al giorno lo facesse impigliare nelle sarte di alcun navilio: – e perchè navigando gli occorrevano più di sovente quei gravi e lenti all’andare, immagina pure, che con questi voleva la sventura che restassesi sempre intricato; e, se non m’inganno, in fondo dovevano avere un non so che di maligno, poichè Yorick per natura ripugnava invincibilmente alla gravità; – non dirò in certo modo alla gravità, – perchè, se bisognava, era Yorick, il più grave e il più serio di tutti i mortali, a giorni, e settimane intere, – ma era nemico alla di lei affettazione, e la guerreggiò apertamente, perchè copriva di mantello l’ignoranza, e la stoltezza, – e quante volte la incontrava per via, benchè difesa e protetta, di rado le usava mercede.

Forse ragionava strano, ma spesso dichiarava la gravità un pretto furfante, e pericoloso d’assai, – soggiugnea, – perchè scaltrito; e veracemente credeva, che ella avesse giuntate dei beni e del danaro più oneste persone in un anno, che i tagliaborse e i mariuoli non fecero in sette. Dicea, che l’indole aperta rivelata da un cuore allegro non facea male a nessuno, fuorchè a sè stessa, – mentre nella gravità vivea per anima il disegno, – e quindi l’inganno; – era una frode ben disposta a guadagnarsi nel mondo stima di senno, e di sapere oltre il merito, – e con buona pace di tutte le sue pretensioni non era migliore, ma sovente più trista, di ciò che l’ebbe definita non è gran tempo un bell’ingegno francese: «un misterioso portamento del corpo per velare i difetti della mente.» E dicea Yorick, con molta imprudenza, che quella definizione meritava di scriversi in lettere d’oro. [p. 291 modifica]

Ma era indipendente, e inesperto del mondo, e lasciavasi andare agli scherzi in qualunque argomento di discorso la prudenza avrebbe usato ritegno. Yorick non sentiva che una impressione, – e quella emergeva dalla natura del fatto, – e la traduceva in chiaro Inglese, senza perifrasi, e spesso senza risguardo alla persona, al tempo, o al luogo; – onde se rammentavano un atto meschino o codardo, non pensava un momento all’eroe, o al suo stato, o se potesse nuocergli appresso; – ma se l’atto era vile, senz’altro l’uomo era vile, – e così di séguito. E la sciagura voleva, che d’ordinario i suoi commenti finissero in un bon mot, o fossero via via ravvivati da qualche facezia, o festività di espressione, e questo cresceva l’indiscretezza di Yorick. Certo non le cercava, ma però non fuggiva le occasioni di dir quanto cadeva in acconcio, e senza rispetti; – così non n’ebbe in vita sua che troppi incitamenti a spandere il bell’umore, e le arguzie, e i motteggi, e le beffe, e non andò nulla perduto per mancanza di chi raccogliesse. Ora ne intenderete le conseguenze, e come Yorick avesse fine.

Coloro che danno e tolgono ad usura differiscono fra loro nella durata degl’interessi, quanto nella durata della memoria il beffatore e il beffato. E quì, secondo gli Scoliasti, il paragone cammina su tutte e quattro le gambe, che vuol dire una gamba o due di più, che non hanno alcuni dei migliori paragoni d’Omero; ed è, che l’uno piglia a prestito una somma, e l’altro suscita una risata a vostre spese, e più non ci pensano. Ma gl’interessi corrono tuttavia nell’uno, e nell’altro caso, – e i pagamenti, che se ne fanno periodici, o casuali, bastano a tener viva la memoria dell’affare, finchè l’ora trista non giunga, [p. 292 modifica]che il creditore sopravvenga improvviso a ciascuno, e, dimandando all’istante il capitale coll’usura sino a quel giorno, faccia sentir la gravezza del debito.

Il lettore conosce nell’intimo la umana natura, (a me non piace dubitarne,) e però gli basti che il mio eroe non potè seguitar quella corsa senza un lieve saggio di questi ricordi. E’ s’era avviluppato sbadatamente in una gran rete di siffatti debituzzi, che dispregiava soverchio, – nè valeva nulla il consiglio d’un amico suo dolce chiamato Eugenio, – e stimava, che non avendoli contratti per malignanza, ma invece per onestà d’intenzione, e per mera allegria di spiriti, naturalmente verrebbero tutti cancellati.

Eugenio pensava di no, – e dicevagli spesso, che un giorno o l’altro sarebbe certamente chiamato ai conti; e sovente aggiugnea, col mestissimo accento di chi teme una sventura, – sino all’ultimo picciolo. – E Yorick al solito non curando sempre rispondeva: – oibò! – E se la questione si ventilava ne’ campi alla fine rispondea con un salto, o uno scambietto: – ma se in un canto del socievole camino al reo facevano barricata una tavola, e due seggioloni a bracciuoli, tanto che non potesse fuggirsi d’un tratto, Eugenio continuava la sua lezione intorno alla discretezza in parole siffatte, ma un po’ meglio acconciate.

― Credimi, Yorick mio, che la tua malaccorta piacevolezza o presto o tardi ti legherà in tanti nodi, che poi non varrà il senno a strigartene. In questi casi ho veduto sovente, che la persona derisa si considera sotto l’aspetto della persona ingiuriata con tutti i diritti che da quella situazione le spettano; – e se tu pure la vedi in quello aspetto, – e noveri gli [p. 293 modifica]amici, la famiglia, i congiunti, gli alleati, – e passi in rivista le molte reclute, che vanno alle sue bandiere pel sentimento del comune pericolo, non è calcolo esagerato a dire, che per ogni dieci motti ti sei guadagnato cento nemici, – e finchè non sei giunto a tale da sollevarti d’intorno alle orecchie uno sciame di vespe le quali mezzo ti pungano a morte, non andrai mai persuaso.

Dio mi guardi dal sospettare, che l’uomo da me stimato si muova alli scherzi per dispetto, o malignità d’intenzione; – so, e credo sinceramente, che sieno onesti, e detti a modo di sollazzo. Ma poni mente, amor mio, che gli stolti non possono distinguere, e i furfanti non vogliono: e tu non sai quanto importi provocar gli uni, o prendersi giuoco degli altri; e qualunque volta si uniscano a difesa scambievole, abbi per fede, amico mio, che ti guerreggieranno in maniera da fartene il cuore malato, e con pericolo ancora di vita.

La vendetta da qualche angolo segreto spargerà di te novelle d’infamia, – nè ripareranno l’innocenza del cuore, la integrità del costume; – le tue sostanze verranno a mancare, – e malignando sui mezzi che un dì ti procuravano, la tua riputazione darà sangue da tutte le parti; – la tua fede sarà posta in dubbio, – smentite le opere, – dimenticato l’ingegno, – e la dottrina tenuta a vile. A chiudere l’ultima scena della tragedia, la crudeltà, e la codardia, scellerati gemelli condotti a prezzo dalla malizia, e incitati nelle tenebre, prenderanno insieme la mira a tutte le tue debolezze, ed errori, – e gli ottimi di noi, amor mio, vi stanno soggetti; – e credimi, credimi, o Yorick, allorquando per lusingare un privato appetito si deliberi il sacrificio d’una creatura innocente, ed [p. 294 modifica]inerme, è facile di raccogliere stecchi per ogni macchia dove ella ha traviato, onde accendere un fuoco, – e bruciarvela sopra. ―

Yorick intese il vaticinio dei suoi destini, e nell’atto con una lacrima furtiva, accompagnata da uno sguardo di promessa, dispose per l’avvenire di correre più misuratamente l’arringo. Ahi troppo tardi! Innanzi del presagio erasi collegata una forte alleanza dei suoi nemici, e l’assalto, giusta la predizione d’Eugenio, fu dato in un tratto, e con sì poca mercè dalla parte degli alleati, – e con sì poco sospetto in Yorick di quanto gli tramassero, – che quando quell’ingenuo avvisava ricevere il premio ai suoi meriti, omai l’avevano scosso alla radice; – cadde, e in quella guisa, che molti valentemente erano caduti prima di lui.

Ma Yorick combattè per un tempo con tutto il valore possibile, – finchè sopraffatto dal numero, e in ultimo affranto dalle calamità della guerra, ma più ancora dalla maniera codarda onde facevasi, gittò la spada, e in vista fece animo sino agli estremi, ma credono tutti che l’uccidesse il cordoglio. E quanto segue piegava Eugenio alla medesima opinione.

Poche ore avanti che Yorick esalasse l’anima, Eugenio entrò nella stanza per vederlo l’ultima volta, e dargli l’ultimo addio. Nel tirar le cortine gli domandò come stesse; – e Yorick guardandolo in faccia gli strinse la mano, – e ringraziandolo dei molti segni di amore a lui dimostrati aggiunse, che, se il fato li faceva incontrare nell’avvenire, lo avrebbe più e più sempre ringraziato; e disse, che di lì a brevi ore sarebbesi involato in eterno ai suoi nemici. ― Spero di no, – rispondeva Eugenio col più tenero accento di voce, che uomo parlasse giammai, e le la[p. 295 modifica]crime gli scendevano giù per le guance, – spero di no, Yorick mio. ― Yorick rispondeva elevando lo sguardo, e premendogli gentilmente la mano, – e nulla più: – ma questo dirompeva il cuore di Eugenio. ― Su via, Yorick, – riprese quest’ultimo asciugandosi gli occhi, e facendosi cuore, – confortati, amor mio, nè li spiriti e la fortezza ti abbandonino al maggior uopo; – chi sa mai quanto possano operare per te i rimedi, e la potenza di Dio? ― Yorick si pose una mano sul cuore, e crollò un tal poco la testa. ― Per la parte mia, – continuava Eugenio, e piangeva amaramente in mezzo alla parola, – per la parte mia non so come da te dividermi, e di buon grado lusingherei le mie speranze, – seguitava rallegrando la voce, – che di te avanzerà tanto da farne un vescovo, e io vivrò tanto da vederlo. ― Io ti prego, – favellò Yorick, levandosi alla meglio di capo il berretto da notte colla manca, perchè la destra avea sempre stretta da quella d’Eugenio, – io ti prego a guardarmi un poco la testa. ― Non vi scerno cosa che l’offenda, – rispondeva l’amico suo. ― Ahimè! io vo’ che tu sappi adunque, – riprese Yorick, – ch’ella è sì mal concia e sformata dai colpi che i miei nemici le dettero così villanamente all’oscuro, che potrei dire con Sancio Panza: – «se mi riavessi, e dal cielo mi cadessero sul capo le mitre spesse come la gragnuola, neppure una gli potria convenire.» ―

L’ultimo fiato di Yorick a queste parole pendeva pronto a fuggirsi dalle sue labbra tremanti, – ma tuttavia le profferse in un suono, che sapea di maniera cervantica; – e mentre parlava, Eugenio vide accendersi per un momento in quegli occhi una striscia di fuoco lambente, scarsa immagine di quelle vampe di spirito, che solevano, a quanto disse Shakespeare dell’antenato suo, eccitar la gioia del convito. [p. 296 modifica]

Eugenio si convinse, che il cuor dell’amico fosse spezzato; – gli strinse la mano, – e poi adagio adagio uscì della camera, e piangeva all’andarsene. Yorick seguitò cogli occhi Eugenio sino alla porta, – quindi li chiuse, e mai più non li riaperse.

Ei riposa sepolto in un angolo del suo camposanto sotto una semplice pietra di marmo, che l’amico Eugenio con licenza dei curatori gli poneva sulla fossa con queste tre parole d’iscrizione, che servono a un tempo d’epitaffio, e d’elegia:

AHI POVERO YORICK!

Dieci volte al giorno lo spirito di Yorick si consola a sentir leggere la sua funeraria iscrizione con tanta varietà di lamentevoli accenti, che per lui dinotano stima, e pietà universale; – e perchè un sentiero attraversa il camposanto, da quel lato appunto dove è la sua fossa, non passa di lì viandante che non si fermi, e non vi getti uno sguardo, e non sospiri partendosi;

AHI POVERO YORICK


― 18291

Note

  1. Dall’Indicatore Livornese, N.º 12.