Le avventure di Saffo/Libro II/Capitolo VII

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Libro II - Capitolo VII. L'Ospite Siciliano

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CAPITOLO VII.


L’ospite Siciliano.


Oh crudelissima sentenza di Amore! Costringe noi talvolta, per un tiranno capriccio, a seguire, con le più violente brame, un oggetto che nel medesimo tempo egli rivolge ad amare altrui. Questo era il destino della infelice Saffo, che il vento, quasi complice della tirannia del Nume persecutore, spinse, benchè uscita dal porto poco spazio di tempo dopo di Faone, in acque da lui remote. Imperocchè egli era stato costretto dal vento Libico a travíare dal proposto cammino verso la Sicilia, abbandonandosi alla tempesta, laddove Saffo trovò poche ore dopo il mare tranquillo e l’aura benigna, volendo pure il cielo in tante angosce non atterrirla cogli orrendi spettacoli delle tempeste. Ma crudele fu nella sua istessa cle[p. 173 modifica]menza, perchè con benigno aspetto teneva così la misera viepiù lontana da colui, per vedere il quale ella avrebbe intrepidamente tollerate quelle medesime tempeste, in faccia delle quali impallidisce anche il provetto nocchiero. Erano già trascorsi due giorni e due notti, che il legno scorrea con equabile viaggio sull’onda fremente e spumosa, quando all’aurora del terzo apparve remotissima spiaggia, la quale a poco a poco viepiù rischiarandosi verso la sera fu vista più distintamente al raggio obliquo del cadente Sole, e poi quindi all’aurora si manifestò vicina, onde con lieto applauso acclamarono i nocchieri tutti i Numi del pelago, che avevano scortato il legno, gridando Sicilia, Sicilia. E per verità non vi era d’uopo di straordinaria scienza della navigazione per distinguere quella sponda, avvegnachè già appariva la maestosa fronte dell’etna fumante, il di cui vapore rotolava al cielo in nembi vorticosi di opaco fumo da lungi visto ed am[p. 174 modifica]mirato. Saffo aveva sempre con ostinate pupille guardato a seconda della prora, affine di scoprire il tanto bramato lido, in cui ella sperava, non solo di rivedere il fuggitivo garzone, ma anche di acquistarlo cogli artificj delle amorose proteste. E quindi stanca dello sforzo, con cui tenea fisso lo sguardo, si pose a giacere sulla prora, senz’altro conforto che i suoi pensieri, a’ quali niuno altro oggetto potea paragonarsi, quanto l’instabile flutto, a cui affidava il suo destino. Ma finalmente si udiva il vicino muggito delle vampe dell’etna, e senza fatica discerneva l’occhio le caliginose pietre, che la di lui rauca gola vomitava quasi con minaccia al cielo. Rivolsero i Nocchieri la prora alle arene, che già sorgevano dalle acque raccolte in largo seno, piacevole ricovero de’ naviganti. Non più il vento, siccome nell’ampio mare, spingeva le vele gonfie: ma lo trattenevano i promontorj, che si stendevano dall’una e dall’altra parte del seno, entro del mare; e però [p. 175 modifica]lietamente impugnando i remi, spingevano con impeto concorde la nave al già prossimo lido, come augello acquatico, che dalla vastità dell’oceano, stanco del viaggio, s’abbassa radendo la liquida pianura, coll’alterno moto delle vaste ali spingendosi alle arene. Scesero così sulla felice spiaggia, con destro ministerio recando su di quella le inesperte donne, e quindi affidando alle ancore la nave, tutti si ricovrarono in una erbosa sponda, e ringraziavano gli Dei della propizia navigazione. Saffo pagò loro di poi la pattuita mercede, e si raccolse co’ suoi seguaci in un antro non remoto, che piacevolmente ornato di serpeggianti erbe invitava al riposo i passaggieri stanchi dal lungo tragitto. Lassa omai la donzella e per le scosse dell’onda marina, e per il turbamento de’ suoi pensieri, non già sedotta da un placido languore a dimenticar la vita nella soavità del sonno, ma oppressa dal letargo delle angoscie, abbandonò le membra alle erbe molli [p. 176 modifica]dell’antro, appoggiando al candido braccio il capo sonnacchioso, ed alla fine abbassò le da molte notti veglianti palpebre, e con essa non meno gustarono il dolce sonno Rodope, e Clito, fino allora desti non per le cure dell’animo proprio, ma per la pietà di quelle di lei.

Oh sonno felicissimo ristoro così desiderato, e che altro non sei se non passaggiera morte senza agoníe! ben tu dimostri quanto sia piena di affanni questa vita infelice, in cui vegliamo, perocchè si stimano fortunate quelle ore, nelle quali se ne trattiene il corso nel tuo grato obblío, quasi fosse questa peregrinazione così piena di stenti, che sia necessario a proseguirla un frequente riposo. Dormì adunque Saffo, seppure è sonno l’oppressivo ingombro delle angosce, e quindi riacquistando la primiera tirannia i di lei pensieri, riaprì gli occhi alla luce, e il cuore al torrente degli affanni. Or ben colui potrà comprendere quanto io dico, il quale abbia sofferte le miserabili torture [p. 177 modifica]del cuore, o per la morte dell’amico o per la infedeltà dell’amante, ed egli sarà testimonio, che il più crudele momento de’ giorni è lo risvegliarsi, essendochè rinasce più violento il nuovo pensiero per breve tempo immerso nella passaggiera dimenticanza. Volse adunque la misera fuggitiva i primi sguardi nello spazio dell’antro, e quindi fuori gli spinse nel vasto pelago, trascorrendolo con dubbiose pupille, e immantinente consapevole de’ suoi mali si alzò smaniosa, e disse a i seguaci destandoli; Sù sù fedeli a che si tarda? Trovate giumenti per trasportare gli arredi, e disponetevi a percorrere meco ogni più remoto lato di questa isola, perchè finch’io non ritrovi il barbaro fuggitivo, non vi sarà speco, selva, deserto, rupe, in cui non ardisca d’inoltrarmi con animo intrepido quanto sventurato. E mentre così dicea, non tralasciava di rivolgere le pupille ansiose al mare. Appariva nelle remote es[p. 178 modifica]tremità, dove il cielo s’incurva nell’ampiezza delle acque, qualche dubbioso segno di nave lontana, a cui viepiù intente ella fissò le avidissime luci. Ma per meglio soddisfarle si rivolse ad un vicino promontorio, e quantunque scosceso pure con ardimento convenevole solo agli amorosi delirj, si trasse arrampicandosi in cima di quello, donde, anelante non meno per la sofferta fatica, che per l’interna smania, potea dominare il vasto pelago; come alpestre nibbio nella altissima vetta del caucaso nevoso. Intanto Rodope si trattenne nell’antro, incapace di seguirla, a custodire gli arredi, e Clito andò in traccia de’ giumenti. Scoteva il vento le vicine selve, e l’onda fremendo si stendeva sulle arene, e quindi si ritirava lasciandovi nuova alga, e l’aura insieme disordinava i crini e le vesti della fanciulla in alto esposta: ma pure ella scacciando sempre colle mani i capelli o il velo, ogni qual volta le ingombrassero [p. 179 modifica]gli occhi, fissamente li tenea rivolti al lontano oggetto. Poichè stette alquanto in quella attitudine, crebbe agli occhi il remoto legno, di cui già si distingueva la bianca vela illuminata dagli obliqui raggi del Sole, e dopo qualche spazio di tempo apparivano anche i viandanti, però come ombre confuse, ma poi anco visibili e nel numero e nel colore delle vesti, e negli atti non meno. Si alzò sospesa nella estremità delle piante la fanciulla, quasi non bastasse l’altezza della rocca, e guardava fissamente chi da quel legno scendesse sul lido. Vide non essere un viandante straniero, ma qualche cittadino di alcuna prossima città dell’isola, il quale sopra di un’agile nave spinta da esperti remiganti avea per suo diporto trascorso qualche stadio di mare. Di che ne vedeva chiarissima congettura, osservando che erano tutti discesi, senza trarre dal legno vettovaglia alcuna. Nondimeno, siccome le era opportuna ogni ospitalità, e molto più perchè desiderosa delle [p. 180 modifica]nuove di Faone, si diresse a quella parte. Quegli intanto, che era sceso sulle arene, proseguiva lentamente il suo cammino lungo il lido del risonante mare, mostrando negli atti suoi la serenità de’ pensieri. Ma poichè sollevando a caso gli occhi dalle arene, su cui imprimeva le orme guardandole a capo chino, vide nella cima di quel dirupo la fanciulla, che dubbiosa qual fosse la meno scoscesa via, era disposta a discenderne, affrettò verso di lei il passo egualmente spinto dalla curiosità, che dalla compassione. Quella intanto tratta dal pendío a corsa involontaria, scendeva dalla pendice, e l’impeto della propria rapidità non meno che l’aura agitava le sue vesti e i crini; e questi, ormai giunto alla estrema falda, allargò le braccia verso di lei credendola fuggitiva o smaniosa, e la raccolse dicendole affettuosamente; Che mai ti conturba infelice, e come quì vieni? Perchè sola? Pensò ancora che fosse naufragata in quello stesso scoglio, ma vedendo le [p. 181 modifica]di lei vesti asciutte, e considerando il breve tempo, che egli aveva lasciato quel lido, e la tranquillità del mare, conobbe inverisimile un tal pensiero. Ma Saffo trattenuta nell’impeto della discesa, ringraziandolo cortesemente di così onesto uffizio, alquanto vereconda si ritirava ricomponendo il disordine delle vesti. Si guardarono entrambi taciti e pensierosi, l’una considerando il venerabile, e insieme piacevole aspetto di lui, che era tra’ confini della virilità e della vecchiezza, e l’altro quello di lei. Avendola ritrovata sola ed errante in giovanile età, restava in dubbio, se lodevoli fossero i di lei costumi, nient’altro potendo per allora scoprire, se non che fosse straniera dal greco accento, già da lui considerato, nelle brevi parole ch’ella avea profferite. Ma Saffo gli narrò come allora approdasse, come fosse spinta dalla curiosità ad ascender la rupe, e come avesse nell’antro vicino servi ed arredi, dicendo che per domestici negozj veniva in Sici[p. 182 modifica]lia; ed in quel punto ritornò Clito anelante promettendo che fra poco sarebbero venuti destrieri e giumenti. Intanto si andarono trattenendo la donzella e l’incognito collocutore, il quale esaminando i di lei modi onesti, e la nobilità del ragionamento, la pregò, se pure tale inchiesta non turbasse l’ordine dell’intrapreso viaggio, di rifocillarsi alquanto nel vicino suo albergo, e glie lo mostrò non lungi dal mare sul pendío del verdeggiante colle ripieno di pampini fruttiferi e di operosi agricoltori. Ed ella accettando così convenevole offerta si avviò con lui all’indicato soggiorno insieme ragionando sempre per quella breve strada, e con moderata curiosità l’un dell’altro indagando la fortuna ed i pensieri. Arrivarono così alle soglie di quegli alberghi non vasti, ma ben costrutti, l’atrio anteriore de’ quali era sostenuto da colonne di candido marmo di Paros, sul cui fregio era incisa questa sentenza: »Tranquillità e salute». Le stanze interiori erano [p. 183 modifica]ben ornate, e alcune dipinte offrivano allo sguardo le celebri avventure di Ercole e di Teseo, persecutori delle ingiustizie, ed altre la strage gloriosa di Troja e gli errori dell’astuto Ulisse. Alle quali immagini fissò lo sguardo attentamente la fanciulla, e poi indicando or l’una, or l’altra figura, che più le destasse maraviglia o diletto, ne ragionava coll’ospite; il quale, sodisfatto dello straordinario di lei senso per l’eroiche azioni, e per l’artificio delle dipinte immagini, secondava il grato trattenimento. Ma nel tempo che fra di loro esaminando quelle pareti lungamente confabulavano, osservò l’ospite, che la fanciulla aveva nella destra un anello, che a lui non era sconosciuto, per quanto travedeva nell’atto che Saffo indicava col dito or l’una immagine or l’altra, onde egli così dopo molte considerazioni proruppe finalmente: Gratissima ospite, se mai non ti sembra importuna la mia curiosità, bramerei di vedere questo tuo anello, il quale mi sembra, se [p. 184 modifica]non erro, una tessera di ospitalità. Appunto rispose ella; questa è la tessera ospitale di nostra famiglia, e così dicendo glie la porse; ed egli guardandola disse con lieta maraviglia: Ecco le insegne di Scamandronimo di Mitilene, al quale i miei sono congiunti per antica ospitalità, ecco la sfinge a me ben cognita!... Deh narrami come hai tale insegna, e qual vincolo ti lega al mio fedele amico, perocchè molto tu devi essere a lui congiunta o per affetto o per consanguinità, quando ti ha fatta partecipe di questo segno. Ti salvi il cielo, o gratissima ospite che non solo per gli tuoi pregj, i quali in breve tempo hai manifestati, ma eziandio per le sacre leggi di antica ospitalità, faustissimo è il tuo arrivo, e piacevole sarà per me, che quì dimori lungamente. Turbossi alquanto ella vedendosi scoperta, nè si affidava ancora di palesare le sue vicende per timore che non fossero biasimate. Ma l’ospite vedendo ch’ella titubava; Io incomincerò, disse, a [p. 185 modifica]compiere i doveri ospitali palesandoti il mio nome, e però sappi che io sono Eutichio di Colco, dopo molte vicende di tumultuosa vita, alla fine ricoverato in questa felice solitudine, a prolungare le reliquie della vita colla tranquillità di grati silenzj. Io conobbi Scamandronimo in Mitilene, viaggiammo insieme per negoziazioni, e nella nostra florida età fummo coronati ne’ giuochi olimpici. Anzi non è questa omai rugosa fronte priva degli onori di qualche fronda di alloro marziale, conciossiachè pugnammo co i barbari bramosi di togliere alla Grecia quella libertà, ch’essi non godevano, e questa destra, che ora ti porgo ospitale ed amica, non fu sempre così oziosa e così mite. Ma il tempo cangia i pensieri non meno che i sembianti. E mentre così ragionava, Saffo era trattenuta dall’aprir l’animo, quantunque egli precedesse coll’affettuoso esempio; di che avvedendosi Eutichio, siccome quegli che per esperienza e per raziocinio era dotato di non ordina[p. 186 modifica]rio conoscimento degli animi; Io facilmente, disse, ti perdono, o fanciulla, questa tua spiacevole ed ingiusta diffidenza, per la quale così rimani perplessa, che la patria non solo nascondi, ma la tua condizione, ed anco il nome, perchè non conosci la fedeltà del mio cuore. Ho compassione di tutte le vicissitudini degli umani affetti, il disordine de’ quali bene spesso ha tratte in lagrimevoli sventure anche le menti più saggie. Ma se tu rimarrai in questo sospettoso silenzio fino a che il Sole scenda nel mare, allora potrò asserire, che non hai scusa ragionevole di così gran torto. Perchè qualunque fosse la cagione, per la quale tu erri e nelle acque e ne i lidi, me la potresti rivelare senza pentirtene giammai; che anzi se v’è conforto alcuno, ch’io ti possa porgere, tu in me ritrovi un altro genitore. Dalle quali parole penetrato il di lei cuore, si aperse alla fiducia, onde rispose vivacemente: In me tu vedi Saffo di Scamandronimo figlia; E in me tu ve[p. 187 modifica]di, rispose con gioja estrema l’ospite, un tuo amico: e in così dire la abbracciò con affettuoso decoro. Sogliono gli animi timidi e giovanili mostrarsi da prima cauti per verecondia, ma poi sgorgano in apertissimi colloquj quando abbiano dischiusa la fonte del cuore; quindi Saffo incominciò, come ruscello arido ne’ giorni estivi, a spiegare gli arcani dell’animo, ma poi crebbe la di lei facondia, siccome un ampia vena di nascoste acque che sgorga dal monte, in cui siasi aperta larga fessura da improvviso terremoto. E mentre ella a lui distesamente narrava la seguíta avventura, egli avveduto non meno che pietoso, la invitava a proseguire l’ingenuo racconto, accompagnandolo con tenere esclamazioni, nè mai biasimando circostanza alcuna, o mostrandone maraviglia, avendo nell’animo la benigna intenzione di sanare così misera infermità colla medicina di consiglj affettuosi. E però quand’ella ebbe terminato, non senza molti sospiri e la[p. 188 modifica]grime frequenti, il tristo suo caso; Io ti ringrazio assai, le disse Eutichio, di avermi alla fine conosciuto meritevole di conoscere intieramente l’animo tuo, ed ho pietà, più che non pensi, di quelle pene che lo affliggono. Perchè nella trascorsa mia vita, se ebbi valoroso il braccio, ebbi il cuore sommesso, e se vuoi ch’io lo dica, anzi codardo negli amorosi cimenti, ne’ quali non ho egualmente riportate vittorie, siccome guerra più d’ogni altra pericolosa, ed in cui soccombono anche i prodi. Solo mi spiace il dolore, che la tua assenza reca al buon Scamandronimo, la di cui vecchiezza tu hai resa così trista certamente colla fuga, che se di te non ottiene qualche nuova, dovrà soccombere all’amarezza della sua angoscia. Forse ora il misero già ti compiange o pascolo de’ pesci nel profondo mare, o cibo delle fiere nelle oscure selve, o disperata e naufraga ne’ scogli deserti, o caduta negli abissi di spopolati e sterili monti, o di qualche altra infe[p. 189 modifica]licissima morte estinta. Però concedi ch’egli sappia, ch’io stesso, per benignità del cielo, ti ho ricoverata. Del rimanente vivi pure tranquilla, e quì rimani quanto vuoi, perchè soltanto quel giorno mi sarà spiacevole, in cui partirai. Mentre così ragionavano, un servo avvisò, che era preparata la mensa, alla quale invitandola Eutichio con amichevole giocondità, facendo lei precedere, seguitolla nelle stanze vicine.