Le avventure di Saffo/Libro III/Capitolo VI

Da Wikisource.
Libro III - Capitolo VI. L'incontro avventuroso

../Capitolo V ../Capitolo VII IncludiIntestazione 3 giugno 2008 75% Romanzi

Libro III - Capitolo V Libro III - Capitolo VII


[p. 271 modifica]

CAPITOLO VI.


L’incontro avventuroso.


Veniva così strascinata la misera donzella quasi priva de’ sensi, se non in quanto il loro tristo officio la faceva agonizzare nelle angoscie. Que’ petti intrepidi nelle spaventevoli vicende del mare, erano commossi a pietà di lei, a cui l’estremo dolore aveva chiusi in parte gli occhi languenti e le fauci, dalle quali pareano uscire i gemiti mortali. Portata dentro dell’atrio, e quindi introdotta nelle stanze interiori, fu dall’affettuosa ancella e da’ nocchieri posta su di un morbido tappeto dove prostrata, apparivano in lei equivoci i segni della vita, e manifesti quelli della morte. Mentre ella così languiva, accorse Eutichio, e seco gli ospiti si adunarono, richiamati dalla nuova sparsa entro [p. 272 modifica]degli alberghi da’ servi in tumulto, che spirava Saffo. Eutichio anelante accompagnava un nuovo ospite ancor tenendolo per la mano, siccome allora, per la prima volta, giunto in quel placido soggiorno, divenuto in quel momento risonante di sospiri. Atterrito egli al così vederla giacere semiviva, chiamolla e richiamolla affannosamente, ordinando insieme, che i servi recassero volatili profumi, e fragranze simpatiche per destare il misero letargo degli abbattuti sensi. Oh te veramente sventurata donzella, che sei vicina a morte, perchè l’aura scossa da lingua crudele, portò alle tue orecchie, donde scese nel cuore, quella barbara nuova! È morto Faone. Piangete seco lei anime soggiogate dal tirannico imperio di amore, e voi che languite amando infelicemente non amati, e voi, a’ quali iniquissima parca tolse la miglior parte della vita, privandovi del prezioso oggetto de’ vostri pensieri, e voi che perdeste un cuore, ahi troppo [p. 273 modifica]amato! per una cagione, ancor più deplorabile della morte, la infedeltà, voi tutte anime nelle quali o albergano gli affanni amorosi, o ne rimane la memoria, piangete intorno di lei, imperocchè tanto è crudele il suo destino, ch’ella sia priva de’ sensi per immaginareFonte/commento: Pagina:Verri - Le avventure di Saffo e la Faoniade, Parigi, Molini, 1790.djvu/15 sciagure in quel momento, in cui gliFonte/commento: Pagina:Verri - Le avventure di Saffo e la Faoniade, Parigi, Molini, 1790.djvu/15 avrebbe inebriati con infinita dolcezza, se ritornassero agli officj loro! Apri le luci, o misera, più per quel che ti credi che per quel che sei, essendochè tu rivedrai la amata cagione delle tue pene, non già estinto, ma vivo, e più che mai splendido per freschissima bellezza, il naufrago Faone! Languì non breve spazio di tempo la sfortunata donzella, e tutti intorno di lei gemevano dolenti, ma però ignorando la vera cagione di così infelice letargo. Avvegnachè i due nocchieri, i quali avevano in prima vedute con maraviglia le di lei smanie, e quindi il torpore de’ sensi, non intendevano, perchè una straniera, [p. 274 modifica]a caso incontrata in quelle sponde remote, avesse tanta pietà del loro naufragio; onde, siccome animi rozzi e indisciplinati, ascrivevano così strano deliquio, piuttosto ad insania capricciosa, che a miglior cagione. Eutichio ignorava il colloquio de’ nocchieri; gli altri ignoravano le antecedenti avventure; a Rodope sola era nota la verità di tutti quegli avvenimenti, ma siccome fedele, li nascondeva nel silenzio. Mentre così ansiosi e taciti guardavano, se le riapparissero sul volto gli omai scancellati segni della vita, incominciò ella ad anelare con più frequente respiro, rimosse le membra illanguidite, e riaprì le pupille erranti nella vastità dell’aura; ma poi disgombrandosi il velo mortale, ella vide i circostanti come un sogno, e molto più sogno le parve, quando fra di quelli osservò Faone istesso, che a lato di Eutichio guardavala pietosamente. Ahi bella, ma crudele pietà! Conciossiachè non porgerà con[p. 275 modifica]forto all’affanno mortale, ma bensì nuovo veleno viepiù pernicioso al di lei cuore. Nondimeno ella, già avidamente sorbendo l’immedicabile tosco, tenea fissi gli occhi con alito sospeso, alle divine sembianze del nocchiero di Venere. Ma poi avendo ed egli ed Eutichio, e tutti di mano in mano profferite varie amichevoli esortazioni, ed accorrendo i servi, quel moto, quel tumulto, quelle voci confermarono il dubbioso testimonio degli occhi, onde cangiandosi la nebbia di morte in sereno contento, domandò Saffo palpitando; Vivi Faone? Ed egli a lei stendendo la mano per soccorrerla a rialzarsi, rispose; O pregiatissimo ingegno, io vivo per certo, ma non è maraviglia, se ancor vedendomi ne dubiti, perchè incredibile è la mia salvezza. Ma verrà forse altro tempo, in cui di me si ragioni, perchè ora è ben più giusto, che sieno tutti i nostri pensieri a te rivolti. Alle quali parole viepiù ella confortata, siccome [p. 276 modifica]pietosamente profferite da un amatissimo labbro, rispose: Nulla mi puoi fare di più grato, quanto il narrarmi per quale, io non dirò umana, ma divina avventura tu sei quì giunto, se fu verace la lingua di questi barbari messaggieri, i quali hanno funestate queste aure, gracchiando come corvi meste grida di orribile vicenda. E mentre così ella gemendo interrogava, indicò stendendo la mano i due nocchieri, i quali attoniti di rivedere Faone, e di tanti casi in un punto, non sapevano esprimersi con parole. Ma egli vedendoli, chiamò entrambi per nome, e disse: Or veramente incomincio a gustare il dono della vita inaspettatamente fattomi dalla benignità del cielo, poichè non sopravvivo solo agli infelici miei compagni, ma ne ritrovo in voi i migliori. E quindi abbracciandogli affettuosamente volle intendere da loro come fossero approdati a quel lido, come salvi, e se di altri eglino avessero notizia. Alle quali richieste [p. 277 modifica]mentre eglino soddisfacevano colle sincere risposte, Saffo ognor sentiva a’ di lui umanissimi atti serpeggiare nelle membra piacevole conforto di nuova vita, e però disse a lui: Omai è ritornato a’ miei sensi il consueto vigore, onde mi sarà di non ordinario diletto, se tu mi dirai, come qui arrivi così illeso dal profondo abisso delle acque, nelle quali il tuo legno fu miseramente sommerso. Eutichio pure, e gli altri tutti veggendo rifocillata la donzella, tanto per di lei amichevole trattenimento, quanto per affettuosa loro curiosità, sedendosi raccolti pregarono Faone di sodisfarla, ed egli incominciò: Come avvenisse il mio naufragio, e dove per contraria fortuna, o ve l’hanno detto, o dire ve lo potranno questi, che ne furono egualmente di me partecipi, e spettatori. Io a voi soltanto aggiungerò, quanto mi accadde dopo quel mortale momento, in cui disciolta la nave fui nell’acque sommerso. Le vesti molli, e il furor delle [p. 278 modifica]onde rendevano inefficace l’arte del nuoto, e già, dopo breve contrasto con le frementi spume, era sul punto di essere ingojato dagli insaziabili flutti. Or qui perdonar mi dovete, se vengo astretto, per dire il vero, a narrarvi la parziale benignità di quella Dea, al di cui propizio governo io sono da qualche tempo sommesso, come già ne è sparsa la fama per la Grecia. Era adunque io avvolto nelle impetuose acque sospirando invano il lido, quando mi apparve la ben cognita Dea, la quale io riconobbi nel vederla muovere i passi leggiadri sull’instabile tumulto delle acque, siccome nebbia leggiera; ma molto più al soave splendore degli occhi cerulei, ed alle delizie del placido sorriso in mezzo della spaventevol guerra dei venti e dell’onda. Io confortato dalla divina presenza mi sforzai di rivolgere l’affannato petto verso di lei, di cui già vedeva vicine le piante, che si appoggiavano alla estrema superficie del pelago; ed [p. 279 modifica]ella con volto sereno si reggeva sull’acque come alcione che si riposa dal lungo volo disceso dalle nubi a far preda de’ pesci. Quindi avveniva, che ora apparisse la Dea in alto sul cumulo delle acque, ed ora mi fosse ascosa entro i gorghi di quelle, ond’io viepiù anelante ogni qual volta la rivedevo, e disperato qualora sparisse, soffriva entro di me nuova barbara procella di timore e di speranza. Così avendomi quella Dea, per se stessa lusinghiera, alquanto deluso, forse perchè la seguente sua benignità mi fosse più grata, tolse alla fine uno de’ veli suoi, che avea disciolti il vento, ed a me che già periva chinandosi, me lo avvolse come fascia sotto il petto, e quindi lo annodò agli omeri colle candide mani, e mi trasse dall’onda in alto fuori, subitamente per l’aere volando: Io, quantunque appeso alla mano divina, volsi giù gli occhi con orrore al flutto già lontano, mentre dalle mie vesti ancora grondava copio[p. 280 modifica]samente l’onda imbevuta. Così trascorsi qualche spazio nell’interminabil cielo, quando (oh capriccio veramente da bellissima Dea!) lasciò la fascia, io ricaddi, e udii dal basso, nuovamente luttando col pelago, sorridere fra le nubi la scherzevole protettrice, come suolsi da’ mortali, allorchè ne’ piacevoli trastulli cada alcuno senza offesa. E per verità non fu maligno quel di lei sorriso; perchè io vidi immantinente correre verso di me, tratta dalle colombe sulla superficie de’ flutti, amplissima conca del prezioso colore delle perle, sotto la quale era un asse di corallo, in cui si volgevano le ruote, io non saprei di qual materia, dovendovi bastare, che tanto io osservassi in momenti così pericolosi. Riconobbi, che era il cocchio della Dea, benchè giammai da me veduto, al certo indizio delle colombe a lei sacre, e però mi afferrai colle mani al lembo della conca, e dentro mi vi trassi e m’assisi, lasciando [p. 281 modifica]arbitri del mio destino i propizj augelli, siccome conscii della volontà irresistibile di lei. Quelle intanto lievemente radendo le acque, trassero sul mare il leggerissimo cocchio, a cui erano avvinte con sottilissimi veli cerulei, e d’oro contesti. Le ruote correvano senza immergersi come su di una solida massa, e dovunque passavano, cedevano le tempeste spianate dal loro rapido rivolgimento. Così fui tratto verso il lido di Cipro, sul quale disceso ritrovai ed i crini e le vesti così asciutte come innanzi del naufragio, e sparve il carro entro le nubi. Andai immantinente al tempio della Dea con special culto venerata in quell’isola, ed a me più che ad ogni altro adorabile, ringraziandola della salvezza così piacevolmente e benignamente compartitami; e quindi da un amico pietoso, antico ospite paterno, somministratimi i necessarj soccorsi, nuovamente mi affidai alle onde per seguitare l’opportuno viaggio, e quì [p. 282 modifica]or ora da Eutichio amico ed ospite mi vedete approdato. Ma io avrei gustato pienamente così maravigliosa benignità di Venere, e con purissimo diletto a voi che l’ascoltate cortesemente, narrandola nuovamente la gusterei, se non avessi ritrovata costei, pregiatissimo ornamento della nostra patria, in così misero languore. Ma però molto mi conforta l’animo nel vedere, che non senza maraviglia, e con segni di pietà tu ascolti le mie stranissime avventure. Così diceva egli, perocchè Saffo tutta assorta nella piacevole facondia dell’amata favella, ne accompagnava la narrazione con involontarj moti sul volto, or di timore or di commiserazione, or di gioja, secondo le varie circostanze del descritto avvenimento. In questa guisa bevve la misera, e più copiosamente che mai, la coppa avvelenata del suo fatale Amore, del quale avea sperato così fallacemente essere omai libera. Ma Venere non le aveva permessa una [p. 283 modifica]fugace calma, se non perchè viepiù crudele fosse la nuova tempesta, e nello stesso tempo ricolmandola di estreme sventure, si compiaceva di accumulare i favori al diletto garzone somministrandogli nuovi involontarj allettamenti. Avvegnachè non doveva egli giammai per celeste condanna, consolare quella misera con un solo veramente amoroso accento, e però la scaltra Dea avea immaginato, che narrasse casi degni di pietà a lui accaduti, i quali per loro medesimi strani e maravigliosi dilettavano in ascoltarli ciascheduno, ma da Saffo erano intesi con incredibile avidità per il concorso di due potentissime cause, la tenera compassione e l’ardente amore. Poichè ebbe finita la sua narrazione il naufrago avventuroso, Eutichio, e tutta l’adunanza ammirando non meno la di lui bellezza, che i casi divini, lo invitarono al riposo, siccome per avventura stanco da sì varie fortune. Saffo intanto a sè più che mai ritornata, lo seguiva [p. 284 modifica]co’ sguardi avidamente pietosi, mentre egli era condotto dall’ospite nelle interne abitazioni. Alla fine anch’ella fu nelle sue stanze guidata dall’ancella, e da Eutichio ritornato prestamente ad aver cura di lei.

Eutichio intanto considerando questi avvenimenti si compiaceva della benignità di fortuna che avea ne’ suoi alberghi, per così straordinaria avventura, condotto Faone. Sperava indurlo alle sospirate nozze, attesa la esperimentata loro amicizia, e confidando insieme ne’ pregj distinti che adornavano la fanciulla così ingiustamente da lui trascurata. Ma egli ignorava, che la rigorosa Dea guidasse così infelice destino. Perciò i suoi officj furono diretti dalla benigna intenzione ad inarrivabil meta; onde più facilmente avrebbe un arido stelo infranta una rocca, su di cui spesso freme il turbine, anzichè le parole di Eutichio potessero penetrare nel cuore del garzone già conquistato da sembianze più fe[p. 285 modifica]lici. E quindi mostravasi egli non soltanto indifferente, ma contrario al proposto imeneo. Effetto lagrimevole dell’ira divina, che quanto dilettavano Saffo le vaghissime forme del garzone, altrettanto egli fosse nauseato da una fastidiosa avversione per le di lei sembianze, quantunque se non belle, per certo non dispiacevoli e freschissime. Pur egli, siccome di onesti e cortesi diporti, nascondeva sì fatta contrarietà, e altronde avendo in pregio le doti del di lei intelletto, si studiava di encomiarla per queste, ogni qual volta vi fosse occasione di sociale colloquio. Non lasciava però Eutichio di combattere colle ripulse, implorando i diritti ospitali, l’antica amicizia paterna, mostrando la convenienza dell’imeneo per la fama già sparsa de’ versi della fanciulla, e finalmente gli mostrò quelli per lui medesimo ultimamente composti. Ma la più delicata armonía d’ogni poetico lamento, forse potrà sollevare le pene amorose [p. 286 modifica]dell’afflitto poeta, non mai però eccitare senso alcuno di corrispondenza in un animo preoccupato o indifferente, molto più contro il decreto dell’arbitra d’ogni affetto. Così molesta alfine divenne la instancabile insistenza di Eutichio nel suo onesto proponimento, che Faone fu costretto il giorno seguente all’aurora fuggire dalla Sicilia, lasciando all’ospite la seguente lettera.

FAONE AD EUTICHIO

Salute.

Tanta è l’umanità de’ tuoi offizj, e tanti sono gli allettamenti che si trovano nel tuo soggiorno, che non può alcuno da te accommiatarsi senza gravissima tristezza. E però io ho determinato di lasciarti in questo scritto un testimonio della ereditaria amicizia, il quale esprimendoti a voce nello spiacevole momento del congedo me lo avrebbero fatto ripieno di amarezza. Sono costretto a dirti [p. 287 modifica]addio, nè so per quanto, perchè ritorno alla patria, per dar le fede a Cleonice. Che se in questo argomento vi fu tra di noi disputazione alcuna, io a te la perdono, perchè ne fu cagione la tua ospitalità, e tu devi a me perdonarla, perchè derivò dall’ingenua mia fede. Del rimanente ti prego di salutare la ingegnosa Saffo, a cui senza fatica troverai volontarj sposi, siccome fornita di ogni pregio. Mentre tu leggi questo, io solco il mare, e però prega gli Dei, che il tuo amico giunga salvo in Mitilene, come io li prego, che ti mantengano lieto. Addio.