Le donne di casa Savoia/VIII. Beata Margherita
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Beata Margherita
Marchesa di Monferrato
e Monaca Domenicana
1388-1464.
VIII.
BEATA MARGHERITA
n. 1388 — m. 1464
. . . . il dolor ci educa al cielo; |
E appena giovinetta, essa manifestò ai suoi il desiderio di farsi monaca, desiderio a cui essi avrebbero forse annuito, se non che la pace conclusa allora tra Savoia e Monferrato, richiedendo ancora un vincolo di sangue, essa dovè, per obbedienza al capo della famiglia, rinunziare alla sua aspirazione, e sposarsi a Teodoro Paleologo, Marchese di quella regione.
Fu una ben triste realtà per la giovine, che aveva sognata fin’allora una vita di pace e di oblio, tutta assorta nella contemplazione del cielo, quella di vedersi invece, così, fissata alla terra, ed obbligata a parteciparne le amarezze, i dolori, i disinganni! Pure ella seppe rassegnarvisi serena.
Il matrimonio avvenne nel 1402, e Margherita, come era stata ottima e sommessa figlia, dimostrossi subito moglie esemplare, ben comprendendo, e dimostrandolo ampiamente, che si può ben servire e glorificare Iddio facendo il proprio dovere nel mondo, e che anzi, talora, i contrasti e i dolori a cui la creatura umana è così esposta, ne rendono il compito più difficile, e più meritorio l’adempirlo.
Nel 1411, seguì in Genova suo marito, stato colà invitato da quella Repubblica, alla Direzione delle Armi; ed ivi essa conobbe S. Vincenzo Ferrero, che la esortò a perseverare nella sua vita, sicchè la giovine principessa era un modello di affezione coniugale, di pietà e di devozione.
Il Marchese di Monferrato morì ancor giovine nel 1418, lasciando alla moglie il governo del suo feudo, ma essa vi rinunziò, e siccome non aveva figli, fece voto allora a Dio della sua vita, e continuando a seguire con ardore le prediche e gli insegnamenti di S. Vincenzo, conduceva vita ascetica e di sacrifizio, spendendo tutte le sue rendite in opere di carità.
E poiché le si facevano proposte di matrimonio, ed insistenti, da parte di Filippo Maria Visconti Duca di Milano, e Papa Martino V, alle di lei ripulse, si offriva di svincolarla da ogni voto profferito, supponendo in ciò la causa dei suoi ripetuti rifiuti, essa dichiarò che il suo voto oramai doveva essere eterno, e rinunziando pure a qualunque successione potesse toccarle anche da parte di sua madre, si vestì monaca nel convento delle terziarie di S. Domenico in Alba. E quel convento, in breve, essa ampiò ed abbellì a proprie spese, ottenendo in favore del medesimo certi edifizi che con esso confinavano.
Ma tutto ciò era niente per l’ardore che la spingeva a fare, per il bisogno che provava di estrinsecare, su quella via, tutto il suo zelo e tutta la sua attività! Allora chiese al Papa Eugenio IV il permesso di poter trasformare in monastero il suo palazzo avito; ed il Pontefice acconsentendo, essa si pose subito all’opera, e non fu paga fino che non lo vide compiuto. Margherita dedicò il nuovo convento a S. Maria Maddalena, destinando che vi fosse seguita la regola di Sant’Agostino; e appena terminato e benedetto, nel 1445, essa stessa vi si trasferì, abbracciando la nuova regola, con tutte le monache che l’avevano accolta nel convento di S. Domenico.
La pietà e la religione di Margherita di Savoia, non consistevano in quella sterile vita di preghiera e di meditazione, quale l’aveva forse sognata, giovinetta ignara, al primo affacciarsi alla vita, e che per qualcuno potrebbe anche essere un bello e buono egoismo; non era quel vegetare rinchiusa fra quattro mura, lontana dai rumori e dai dolori del mondo, dimentica di tutto e di tutti: non erano la sola mortificazione dei sensi e della carne, che non reca conforto ad alcuno; no, la carità e la religione di questa donna erano ben più grandi e sublimi. Dacché essa aveva conosciuta la società con le sue lotte, le sue miserie, Margherita erasi fatto un alto concetto di quelle due virtù: e gli infelici di ogni genere, gli ammalati, gli infermi, formavano il soggetto di ogni suo pensiero e di ogni sua cura. E perciò, chiesta ed avuta la direzione dell’ospedale di Santa Maria degli Angioli, quivi sopra tutto brillarono le sue serafiche virtù. Spoglia di ogni egoismo, di ogni alterigia, di ogni debolezza, essa presiedeva a tutto, aveva cura di tutto, e tutto essa stessa, all’occorrenza, sbrigava, come la più umile delle sue consorelle.
Non più giovane, nè robusta, si vedeva questa santa principessa vegliare in persona, la notte, gli ammalati più gravi, curarli con mirabile zelo, consolarli, servirli nei più umili loro bisogni, esortarli alla pazienza nei loro patimenti, fasciarne amorosamente le piaghe!
Quante, quante donne, nate come lei in sì alta posizione, ed anche in più umili assai, sarebbero capaci di uguale abnegazione?
Quando suo cugino Amedeo VIII fu eletto Papa, essa, umile sempre, ebbe con lui un lungo e vivace carteggio, del quale il soggetto principale era per lei di esortarlo a porre al più presto fine allo scisma, rinunziando alla tiara. E pare che finalmente ottenesse il suo intento, tanto Amedeo la stimava e l’aveva in venerazione.
E allorché si accorse che la grave età non poteva più permetterle un aiuto efficace nell’ospedale, essa con dolore rinunziò alla direzione, e ritornò alle sue prime affezioni, riconducendosi nel convento delle terziarie, e sottoponendosi alla clausura più rigorosa, che non interrompeva se non per ascoltare ed esaudire chi ricorreva alla sua inesauribile beneficenza.
Dopo quarant’anni di una vita umile, penitente, piena di opere buone, morì quivi il 24 Novembre 1464, lasciando tal fama e tali esempi delle sue virtù, che nel 1676 il Papa Clemente X concedeva la celebrazione della Messa e dell’Uffizio a tutto l’ordine dei PP. Predicatori ad onore di lei, e nel 1720 Benedetto XIII ingiungeva di celebrarne la festa a tutto il clero degli Stati di Casa Savoia.