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Leoniero da Dertona/Atto terzo

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Atto terzo

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Atto secondo Atto quarto
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ATTO TERZO.

Cortile nel castello.


SCENA I.

AUBERTO, GHIELMO, UBALDO, BERENGARIO, altri Guerrieri, l'Oratore milanese.


Auberto.Sospirato a noi giungi, o di Milano
Illustre nuncio. In quali nove angosce
Gemiam, t’è noto.

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Oratore.                                   Al mio venir, da questi
Cavalieri narrata a me d’Arrigo
Fu la sciagura.
Auberto.                              Alla tua patria esposto
Hai, come della macchia ond’è lordo Enzo
Puri ha Dertona molti prodi?
Oratore.                                                  Leve
Placar l’universale ira non fummi
Del popol mio per le scoverte trame
D’Enzo con Barbarossa e dell’intero
Di Dertona senato. Di Dertona,
Che dianzi in polve, della polve uscía
Pel milanese braccio. A punir tanta
Ingratitudin, memorando esempio
Il popolo chiedea: venir chiedea,
La città sconoscente entro la polve
A ricorcar di novo. Ma più miti
Tosto gli animi feansi, il generoso
Oprar di voi, leali spirti, udendo;
E a voi che soli Dertonesi estima,
A voi mi manda il popol mio, l’antica
Sua fratellanza a confermar.
Auberto.                                                  Men grave
D’ogni danno, tel giuro, il timor m’era,
Che di pochi il delitto alle lombarde
Repubbliche fraterne in abbominio
Posto, e a’ nepoti, il nome nostro avesse.
Dimmi: or sovrasta al figlio mio la morte
Se la ròcca non s’apra. Arbitrio pieno
In me riposto ha la città. Se....
Oratore.                                                  Auberto!
Auberto.Che!
Oratore.     Dolce a me sarebbe altri ad un padre
Accenti dar, — ma cedere il castello
Più in voi non sta.
Auberto.                                   Chi ’l vieta a noi?
Oratore.                                                  L’onore.
Auberto.Oh figlio mio!

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Oratore.                              Compiuto è il tradimento
Del consol vostro: allo stranier si vende;
Certezza n’ebber gli alleati.
Auberto.                                                  Oh Arrigo!
Ahi, prepotente è di natura il grido!
Perdonate, o guerrieri. Alla rovina
Della patria darei fiumi di pianto:
Oh! che al figlio una lagrima almen doni!
Oratore.Quella lagrima sacra è quella, o Auberto,
Che ovunque in Lombardia sorge stendardo
Benedetto da Roma, al rïacquisto
De’ dritti nostri, ognuno omai, chi a figlio
Chi a padre, dona; ma una man l’asciuga,
E rota l’altra più assetato il brando:
E così sol trïonfar puossi. — Io il giorno
Che in Milan primo il padre mio l’ardita
Alzò voce di guerra, e il popol tutto,
In loco di tributi, al messaggero
Del nemico d’Italia e della Chiesa
Mostrò di ventimila aste la luce,
Io quel giorno ti vidi. Altri oratori
Degli alleati impallidian: tu, in mezzo
Alla piazza ti festi, e «Milan sola
Sostenitrice non sarà del dritto!»
Sclamasti. — E il padre mio dal consolare
Seggio scendendo t’abbracciava, e «guerra!»
Gridaste entrambo. E allor di guerra il grido
Da’ quattro lati di Milano alzossi.
Tal fu quel dì la città mia; e Dertona
L’imitò prima. E sole, in mezzo a cento
Dubbie o nemiche itale genti, l’ira
Sfidàr d’un re, che sir si vanta al mondo.
Tanta virtù non tornò vana: a gara
Di mezza Lombardia trarsi le insegne
Appo l’insegna sua vide Milano.
Cadde Dertona, ma risorse. Cadde
La città madre: — il peregrin cercava
Il loco ove fanciullo avea onorato

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De' nostri santi le reliquie; e quale
De’ magnifici templi era spogliato,
Quale in rovine, e di parecchi indicio
Nullo più v’era, o indicio erano appena
Alcune lignee croci. A quelle croci,
Ed a quell’arse e diroccate mura
S’adunarono intorno, e il seminato
Sale da Federigo in novi templi
Trasformàr più superbi e in nove torri
Gli esuli Milanesi: — e or quelle torri
Guarda da lunge Federigo, e trema! —
E giunti a tal, mentre alla lega è ignoto
Pur di viltà un esempio, e profetata
Dal romano Alessandro è la vittoria,
Dertona.... Auberto, il detto mio indovini,
Compir nol posso.
Auberto.                                   Che?
Oratore.                                             Primiera dianzi
Nel glorioso arringo, or quell’esempio
Daria Dertona?
Auberto.                         Ecco rasciutto il ciglio.
Tuoi detti intendo, o pro' guerriero: aiuti
Dal milanese campo a noi verranno.
Oratore.Fra brevi giorni.
Auberto.                              Ad aspettarli invitto
Sarà il castel.
Oratore.Fra lor fortezze prima
Oggi i Lombardi questa pregian. Caso
Saría funesto il cedere.
Auberto.                                             Ancor temi?
Tal diffidanza muove in te il paterno
Gemito? — Or ben, tutti m’udite. Un giuro,
O compagni, solenne a tutti impongo:
Se di Milan contro alla mente, io patti
Mostri accettar dall’inimico mai,
S’a tal fiacchezza indurmi un solo istante
Sembri del figlio la pietà, ciascuno
Di voi su me scagliar giuri il suo brando.

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Ghielmo.Io che fratel ti sono, e cui ben nota
Tutta l’altezza è del tuo core, io primo,
Se in te appaia viltà, svenarti giuro.
Guerrieri.Tutti giuriam.
Oratore.                         Magnanimi! Qual forte
Commovimento in me destate! Offeso,
Deh, non v’abbian miei detti.
Auberto.                                                  Entro mie stanze
Gradir ti piaccia alcun ristor.
Oratore.                                                  Ritorno
A te, Auberto, farò; pria ad Enzo i passi
Lascia ch’io mova, e per Milan gl’intimi
Di guerra il bando.
Auberto.                                   Il sacro ufficio adempi;
E se il timor dell’armi vostre in Enzo
Può, alle minacce tue mesci d’Arrigo
Il nome. Ei tema orribili vendette
Se immolarlo s’attenta.
Oratore.                                             Auberto, poni
La mano tua su questo core; ei balza
Di maraviglia e d’amistà ripieno.1


SCENA II.

UBALDO e BERENGARIO.


Berengar.Ubaldo.
Ubaldo.               Berengario.
Berengar.                                   A terra affiggi
Smarrito il guardo?
Ubaldo.                                   Oh amico mio! quel vecchio
Come da noi diverso! Al proprio figlio
Ei pria rinuncia che alla patria, e noi,
Noi della patria all’oppressore avvinti!
Berengar.Tardo è il pentirsi.
Ubaldo.                                   Tardo? Ah, no! d’eroi
Noi pur siam prole.

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Berengar.                                   Oh, di Corrado mai
Vista la figlia non avessi! A lei
Vincolata ho la fede; e il fier Corrado
Sol della figlia allor la man m’assente,
Ch’io le porte apra del castello. — Orrendo
Arcano ti svelai; tu mi dispregi,
Tu....
Ubaldo.          Nel mio sen pria non leggevi il truce
Contra Arrigo rancor? la bassa invidia
Che mi rodea?
Berengar.                              Che intendo? A lui perdoni
L’usurparsi del popolo ogni plauso
L’oro suo profondendo, e sì a’ più degni
Sovrastar sempre?
Ubaldo.                                   Ah! mio questo linguaggio
Berengario, ben fu; ma dalle labbra
Sincer, no, non usciva. Or vergognando
Tel confess’io: tribuno esser io ambia,
Indi io fremeva contra Arrigo, e iniquo,
E bassamente astuto io mel fingea.
Ma secreto dall’ima coscïenza
Un grido mi s’alzava: «Arrigo è giusto;
Ogn’opra sua l’attesta.» E appena ei cadde
In poter de’ malvagi, invidia ancora,
Ma delle sue virtù punsemi, e forte
Meco arrossii d’aver.... chi odiato?... il primo
Della patria campion.
Berengar.                                   Che più mi resta,
Se il fratel d’armi m’abbandona? Oh! detto
Non t’avess’io....
Ubaldo.                              Nel maggior uopo, o amico,
Io abbandonarti? Ah mi sconosci! io sono,
Che l’odio mio contra gli Auberti in core
Ti scagliai; tu dappria ne inorridivi.
Al retto tuo sentir prevalse a stento
L’empio dir mio. Reo quindi io son, se ascolto
A Corrado prestavi. In altri tempi
A sua vile proposta in suon di sdegno

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Risposto avresti.
Berengar.                              Adelaide amo!
Ubaldo.                                                  E Auberto
Il figlio suo non ama? Immensamente
L’ama, eppure il sacrifica. E noi, mentre
Del padre tuo e del mio tutti i compagni
Eroi son, traditori sarem noi?
Deh, pur dianzi ti vidi al giuramento
Dal vecchio Auberto imposto, arder di santo
Entusiasmo. L’occhio tuo parea.
Dire: «Anch’io son magnanimo, anch’io pongo
Sovra ogni affetto la virtù!»
Berengar.                                                  Me, Ubaldo,
Possentemente, è ver, me commovea
L’alta ferocia di quel buon vegliardo.
Così il mio estinto genitor parlato
Ah! certo, avria.
Ubaldo.Quel santo entusïasmo
Vidi; e fermai l’animo mio d’aprirti,
Di racquistar tua piena stima. In prodi
Cavalieri allignar pon basse voglie,
Ma non a lungo. Uopo d’alterna stima
Hanno anzi tutto, e della propria.
Berengar.                                                  Io pure
Scorgo in Enzo un tiranno; ma la destra
Gli demmo, e il tradirem?
Ubaldo.                                        No: sol chi inganna
Tradisce, nè ingannarlo io ti propongo.
Io nobilmente l’amistà disdirgli
Voglio.
Berengar.           Che? fermo hai dunque!...
Ubaldo.                                                  Sì! campione
È della patria e della Chiesa Arrigo:
D’altre cause campion non sarà Ubaldo!
Berengar.Nè Berengario!
Ubaldo.                         Oh gioia!
Berengar.                                        Oh mia Adelaide!
D’un vil la man, no, non avrai; più degna

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Porgerla a te vogl’io. Breve stagione
Nemico fommi al padre tuo, sua colpa;
Ma il dì della vittoria io cercherollo
Sol per essergli scudo, e alla tremante
Figlia restituirlo. Allor tu premio
Non di viltà, ma di virtù sarai
Al fedel cavaliero.— E s’ella in odio
L’amor volgesse, e ad altro imen?...Che dico?
Fuggi, infernal pensiero.— Un solo istante,
Ubaldo, non lasciarmi. Un pronto messo
Sia disinganno al console e a Corrado;
E s’io mai vacillassi....
Ubaldo.                                             Oh di qual foco
Ardii
Berengar.          Di quel che in me raccese Auberto;
A ciò valgono, a ciò, gl’incliti esempi!
Odi; s’io vacillassi.... un giuramento,
Come Auberto, chiegg’io: svenami!
Ubaldo.                                                            Il giuro!2


SCENA III.

AUBERTO e GHIELMO.


Auberto.Fratel, pietoso testimon tu solo
Di quest’affanno sii. Quanto mi costa
Imperterrita altrui mostrar la fronte
Mentre il mio figlio uccido!
Ghielmo.                                             Ancor di lui
Non disperar: valente pegno è troppo:
Vivo i felloni il serberan. Nè lenta
Si riedería Eloisa, ove ogni speme
Enzo tronca le avesse.
Auberto.                                             Chi? Eloisa?
Figlia è di Leonier!
Ghielmo.                                        Dell’infelice
Nuora sul labbro tuo sì amaro il nome?

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Auberto.All’alba mi lasciò; nè breve istante
A consolarmi si raddusse.
Ghielmo.                                             Spesso,
O fratel, t’udii pur degli antichi odii
Lamentar l’ingiustizia, origin prima
Al comun depravarsi. E in questo giorno
Tu fele al generoso emulo serbi?
Nè ad ammirarlo ti commove il pronto
Suo antepor la repubblica, ove scerre
Dovea tra questa e il figlio? Udito hai pure
Da color che presenti erano i forti
Detti al figlio parlati. A noi possente
Oggi sostegno fassi.
Auberto.                                   Al figlio suo
Nemico?— Sì.— Sostegno a noi?— lo ignoro.
Sostegno a noi mal fassi uom che novelle
Discordie arreca; uom che, gli Auberti padri
Sapendo esser del popolo, avversario
Sè inesorabil degli Auberti vanta.
Oh! in vece sua, ripatrïando, avessi
La libertà del popol mio in periglio
E del popolo un solo eroe trovato,
E Leonier stato egli fosse! In braccio,
Tel giuro, a lui sarei volato; e mia
Stata sarebbe la sua insegna; e all’ombre
Degli avi miei baciandolo avrei detto:
«Come voi, di giustizia è cavaliero!»
Ghielmo.Nè men di te magnanimo fia il prode.
Auberto.Che? Non fu udito di Guidel con ira
Rigettar la proposta, e dir che un tetto
Auberto e lui capir non può, se il tetto
Della tomba non sia?
Ghielmo.                                        Plácati.
Auberto.                                                  Ghielmo,
Oh! ben appar che da diverse nozze
La madre nostra ci diè vita. Gli avi
Miei con dispregio e me Leonier noma;
Il popolo a spregiarmi ei trarre agogna.

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Ghielmo. Allorchè l’oprar tuo meglio ei conosca....
Auberto.Taci. — A me non venir, bene avvisossi:
Ch’io giammai nol rivegga!
Ghielmo.                                                  — Qual tumulto!


SCENA IV.

BERENGARIO e detti.


Auberto.L’assalto è forse.
Berengar. No: è di popol turba
Da Guidello condotta. Indi abbassati
Vennero i ponti.


SCENA V.

GUIDELLO, LEONIERO, Cittadini, Guerrieri e detti.


Auberto.                                   Benvenuti, o amici,
Sia che a schierarvi fra nostr’arme, sia
Che a sacro asilo entro al castel moviate.
Guidello.Indissolubil fratellanza d’arme
Ed asilo cerchiamo. A tradimento
Furo investito le mie case; e il pronto
Accorrere del popol me a gran pena
Dal tirannico piglio e questo illustre
Ospite mio sottrasse.
Molte voci.                                        È Leoniero!
Leoniero.3È desso! Quella chioma, oh come gli anni
Incanutir!
Auberto.                    Poichè a me tu.... — Che dico! —
Tu dunque, Leoniero.... — Inopinato
Così ei mi giunge, che....
Leoniero.                                             Il previdi; e nulla
Fuor che di fato irresistibil forza
Qui potea trascinarmi. Al mio cospetto
Gelido orror l’ossa t’invade, Auberto!
E fremo io pur.
Auberto.                              Ribrezzo al rivederci

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Destan molto di sangue empie memorie;
Ma cancellarle, ah si! da lungo io bramo.
E allor prova ne diei che nuora accolsi
La figlia tua. Non te sì generoso
Desio pungea! Te strascinar del fato
Qui potea solo irresistibil forza!
Appo di te niun merto è che la patria,
Che d’amar pur ti vanti, ami io sì forte,
Che sangue e figlio e tutto a lei posponga.
Leoniero.E alla mia patria non pospongo io un figlio?
Se tal dritto valesse, io rinfacciarti
Accoglimento inospital potria,
A cavalieri ignoto, allor che ad essi,
Non per viltà, ma per virtù e sciagura,
Un nemico ricovra.
Auberto.                                        Inospitale
Accoglimento farti, il ciel n’attesto,
Non intendo, o guerrier; l’odio tuo fero
Gl’intenti miei calunnia. E se amarezza
In me apparia, quindi traea dal tuo
Recente ingiurïarmi.
Leoniero.                                   Io?...
Auberto.                                             Tu. Nè in chiuse
Pareti già. Stamane il nome mio
Al popolo dinanzi hai vilipeso:
Il nome mio che con onor Guidello
A te membrava, e t’offería il mio ospizio.
Leoniero.Le mutue stragi io ricordai; la fama
Di prode tua mai non contesi.
Auberto.                                                  E il puote
Mortale al mondo?
Leoniero.                                   E non sol or, ma il giorno
Che te inseguía sventura, e me felice
Acclamava Dertona, io d’onoranza,
Dertona il sa, scarso non t’era.
Auberto.                                                  E aggiugni
Di beneficii, non ne arrosso; sculti
Nell’anima li porto. Il tuo nemico,

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Da vili denigrato, iva qual reo
Dalla patria proscritto. E tu, cui lieto
Far potea sua caduta, indegnamente
Cader nol sofferisti. In mezzo al campo
Gettasti il guanto con tai detti: «Mènte
Chi di trame coll’oste Auberto accusa!»
E i vili smascherasti, e il tuo nemico
Illeso riponesti entro sue torri.
Oh, grande, sì, tu fosti allor! Ma grande
Vieppiù stato saresti, ove respinto
Non m’avessi dal seno. Ambizïoni
Molte mi divoravan, ma la prima
D’Auberto ambizïone era, l’amico
Di Leoniero divenire. Il sangue
Recente ancor de’ nostri amati scusa
Fu al tuo rifiuto, e sangue altro chiedea.
Ma il versavi; o non basta? I miei maggiori
Fratelli chi disteso ha nella tomba? —
E quando Arrigo amò Eloisa, e primo
Enzo a propor la colleganza venne
Entro mie stanze, le fraterne tombe
Gli mostrai forse? — Al nuzïal convito
Vòto alla destra mia stavasi un seggio.
Chi d’onorare intendev’io? — In quel seggio
Mi figurava Leoniero.
Leoniero.                                        Oh Auberto!
Guidello.4Non vergognar: la destra all’emol tuo
Porger volevi. Ah, sconosciuti sempre
L’uno all’altro viveste! Egli d’Arrigo,
D’Arrigo è il padre!
Leoniero.                                        E ahi! del tiranno io ’l sono!
Auberto.Come non le virtù, nostre le colpe
Non son degli avi, nè de’ figli. — Il volto
Perchè ritorci?. Ecco: io la man ti stendo.
Leoniero.5Auberto! Auberto! il figlio tuo è mio figlio!
Lui dal cor benedico!

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Ghielmo.(Conduce a Leoniero due figliolini.)
Leoniero.                                             Ma chi sono
Questi fanciulli? — Io te ravviso: il prode
Ghielmo tu sei.
Ghielmo.                                   Le tue ginocchia i figli
D’Arrigo abbraccian.
Leoniero.                                        D’Eloisa i figli!
Oh, suggel siate d’amicizia eterna
Infra le due rivali schiatte!6


SCENA VI.

ELOISA e detti.


Eloisa.                                                  Oh vista
Ben augurata! In dolce amplesso il padre
E Auberto e i figli miei!
Auberto.                                                  D’Arrigo il fato,
Eloisa, palesami.
Eloisa.                                   Oh potessi
Di vostra pace al giubbilo me tutta
Abbandonar!
Auberto.                         Sul tuo sembiante l’orme
Dello spavento leggo ed alcun raggio
Di speme pur.
Eloisa.                         Sì, uditemi. Più assai
Ch’io sperar non osava, ottenni. A fianco
Dello sposo mi stava entro la torre
Quand’Enzo a sè mi richiamò. Tua fuga
Egli, o padre, mi disse: ed il suo orgoglio
Giacea, come da fulmine fiaccato.
«Misero me! (sciamava) or chi mi strappa
Dal precipizio? Inimistà paterna
Tale abbominio è al nome mio, che a gara
Deserterà le mie bandiere il volgo.
Vanne al padre (soggiunse); a lui palesi
Fà i miei terrori. Digli ch’io assalirlo

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Volli, non per offenderlo, coll’armi,
Ma per placarlo indi co’ preghi, e tutta
Di me, d’Arrigo, di Dertona in lui
La salute ripor.»
Leoniero.                              Ver parlería?
Eloisa.Sì, padre. Nella piena ei del dolore
Effondea il cor. Da consiglieri iniqui
Sè travïato appella. — «Io del senato
Ludibrio fui, dic’ei, d’empio senato
Che a sue voglie tiranniche stromento
Mia stolta audacia fea; suoi lacci aborro,
Nè per me sciorli posso.» — «Il puoi, gli dissi;
La libertà dona ad Arrigo, i dritti
Riconosci d’ognuno, al rio senato
Stràppati e a’ suoi delitti, e a sterminarlo
Co’ buoni ti congiungi.»
Leoniero.                                             E che rispose?
Eloisa.Che i vigili occhi del senato un passo
Mover non lasceriangli; che di scampo
S’havvi sentiero, ei nol ravvisa, e d’uopo
Gli è il paterno consiglio.
Leoniero.                                             Oh re del cielo!
Tanto prodigio opralo avresti? — Auberto,
Guidel, tutti stupite. Ahi, tal prodigio
Fè in voi non trova! No; perverso mai
Sì ratta ammenda non compì. Vil arte
Per deludermi è questa.
Eloisa.                                             Auberto, amici,
Deh, il genitor persuadete.... Oh Arrigo....
Perduto egli è! perduto si! — Al dimesso
Parlar succeder fece Enzo improvvise
Furibonde minacce. — A consigliarmi
Il padre venga! (ei sì sclamava), o a lui
Di lunghe orrende stragi debitrice
Dertona andrà; guai, nel mio altero petto.
Se disperazïon vibri sue fiamme!
Non più consigli chiederò: vendette,
Pria ch’Enzo cada, atroci udrà la terra!»—

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Misera me! non ondeggiar!
Guidello.                                                  Rimorso
Velenerebbe, o Leonier, tuoi giorni,
Se questa prova rigettando....
Leoniero.                                                  Auberto,
Guidello.... ahi troppo la mia mente scerne
Ne’ detti d’Enzo insidia vil; ma legge
La mente vostra esser mi debbe.
Guidello.                                                  Ah tutto,
Maggior delitto ad impedir, si tenti!
Tutti.Sì, sì!
Auberto.          Ostaggio sol chieggasi.
Leoniero.                                             Fia pago
Il comun voto.
Auberto.                         Oh gioia! o Leoniero!
Possa io del figlio a te dover la vita!



Note

  1. Parte, e tutti l’accompagnano, eccettuati i seguenti.
  2. Veggono venire alcuno a partono.
  3. Guardando Auberto.
  4. A Leoniero.
  5. Lo abbraccia.
  6. Alzando i due fanciulli fra le braccia.