Lettere del conte N. N. ad una falsa divota/Lettera seconda

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Lettera seconda

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LETTERA SECONDA

Io non lascio un momento di pensare a voi, la mia divotamente amabile Elisa; e stimo bene impiegata ogni fatica, quando questa debba servire al vostro spirituale vantaggio. Con che piacere ho io letta la tenerissima lettera, che avete fatta succedere immediatamente all’altra vostra, rispondendo alla mia, che ultimamente v’ho scritta! Ora io, povero secolaraccio, comincio a comprendere che consolazione e che soavitá provi un’anima, che abbia spirituale commerzio con un’altra. Io non so se sia forza della fantasia posta in troppo movimento dalla melifluitá delle vostre parole, o se pur sia cosa reale, come agevolmente m’induco a credere, egli mi sembra che cotesta vostra carta, ch’io ho tuttavia tra le mani, olezzi un non so che di gelsomini e di rose, come parmi d’aver letto che accadesse talvolta alle tombe d’alcuna di quelle benedette persone, alle quali voi desiderate ora di comparir somigliante. «Io ricordomi bene — voi mi scrivete — che nella mia fanciullezza io era fornita di qualche merito, fosse nelle grazie del corpo, fosse in quelle dello spirito; ma ora, bench’io sia nel fiore della mia etá femminile, non ho altro da potermi gloriare, se non della savia deliberazione, ch’io ho fatta, di tutta donarmi alla divozione». O amabile Elisa, che invidiabili sentimenti sono cotesti vostri! lo v’assicuro sulla coscienza mia, ch’io v’amo e vi stimo assai piú oggi ch’io non faceva ventisette anni fa. Ma io m’immagino che voi siate impaziente di sapere quel ch’io abbia fino a quest’ora o meditato o osservato sul proposito del nuovo tenor di vita, che voi avete intrapreso; ed eccomi, senza piú parole, disposto a soddisfarvi quanto meglio per me si possa. Lusingomi che l’assoluto ordine, che voi m’avete dato, di palesarvi i miei sentimenti sull’arte, che voi siete risoluta d’esercitare, scuserammi appo voi, se mi verrá detta alcuna cosa, che non sia del tutto degna della elevatezza dello spirito vostro. Dirovvi adunque che, prima d’ogni [p. 18 modifica]altra cosa, io ho meco stesso esaminato se quest’arte della divozione a voi convenga, ed ho subitamente risoluto che a voi non sarebbe potuto venire in capo pensiere alcuno, che fosse migliore di questo, lo ho detto tra me e me: — La volontá ed il costume degli uomini è talmente depravato a questi infelici giorni, e talmente sono i desidèri loro a questa misera carne rivolti ed inchinati, che, niun caso facendo delle qualitá dello spirito, solo all’esteriore appariscenza si lasciano trascinare; e non si tosto il sole nascente comincia a scuotere la rugiada e ad aprire le foglie della rosa, che comincia ad essere adulta, ch’essi l’abbandonano, non badando che la perfezion delle cose succede appunto in quel momento ch’esse trovatisi in procinto di scendere dalla contraria parte. La mia saggia Elisa è appunto nel caso. L’animo di lei ha acquistato tutte quelle forze, a cui la natura e l’educazione la potesser condurre; tutti gli obbietti, che la potevano distrarre da una prudente risoluzione, sonosi fortunatamente allontanati da lei. Il cielo l’ha dotata d’un grande talento, e i gran talenti sono naturalmente portati a rendersi singolari. Se la natura non le ha fatto di que’ pericolosi e caduchi doni, ch’ella suol fare anche alle piú plebee delle creature, ciò è stato perché la mia Elisa non fosse debitrice de’ propri meriti ad altri che a se medesima. Ella non potrebbe fare una molto vantaggiosa comparsa in questo mondacelo pieno di frivolitá e d’animalesche concupiscenze: ottima cosa è adunque ch’ella si faccia conoscere per mezzo della sua divozione, e ch’ella procuri di richiamare a sé per mezzo della sua singolare pietá gli occhi di quelle miserabili creature, che se n’erano divagati. — Poiché, dal riflettere sopra le vostre circostanze, io mi sono finalmente persuaso che questo appunto è il genere di vita, che ora a voi piú conviene, io ho pigliato a considerare in qual modo la divozione potesse piú adattarsi al carattere ed alla complession vostra. Ho adunque cercato se questa faccenda della divozione si possa dividere in varie classi, ed ho trovato che può comodamente dividersi in due. La prima, che alcuni troppo scrupolosi vogliono che sia la vera ed unica divozione, perché non sanno applicare prudentemente le cose alle diverse qualitá de’ loro suggetti, si [p. 19 modifica]può definire una pietá ed un culto di Dio esercitato con ardore e con sinceritá. Se questo ardore avesse ad esser ardore di mente piuttosto che di cuore, e questa sinceritá avesse ad esser sinceritá di parole piuttosto che d’animo, io ardirei di proporvi che voi v’applicaste a questa prima classe di divozione. Ma, come questo non è, e d’altra parte troppe cose e troppi incomodi ci vogliono per riuscirci plausibilmente, io non istinto che questa sorta di divozione sia ben adatta alla delicatezza della vostra natura e al fervore del vostro temperamento. Basta che voi vi compiacciate di esaminare meco per un momento i caratteri, perché ne siate immediatamente convinta. I caratteri principali, per li quali questi rigorosi vogliono che si distingua una persona divota di questa prima classe, sono l’umiltá, la sinceritá e la caritá, senza le quali virtú dicono essi non poter darsi veruna divozione. Se il mio umore piuttosto gaio, ch’io voglio lasciar comparire anche nel mio stile, mel permettesse, io vorrei a marcia forza di logica dimostrarvi che questi caratteri non possono assolutamente accoppiarsi in voi colla divozione. Bisognerebbe, incomparabile Elisa, che voi aveste troppa povertá di spirito, perché non aveste a conoscere la singolaritá del vostro inerito, massimamente quando avrete fatto maggiori progressi nell’arte che avete presa ad esercitare; e crederebbe capace di troppa viltá cotesto vostro generoso animo colui, che vi negasse d’aver un giusto sentimento di compiacenza nel vedervi distinta per li meriti o per le virtú vostre da noi altre mondane creature. Inoltre non mostrereste voi d’esser ingrata a quel supremo Donatore, che vi ha preferita a tante altre coll’ornarvi di tante doti dello spirito e della carne, non facendo festosa mostra de’ ricchissimi presenti, ch’egli vi ha fatto? Io credo certo che, se altri mi regalasse o una tabacchiera o un oriolo, e che io non li mosti assi dipoi a veruno, io credo certo che il donatore avrebbe ragione di dolersi di me e di chiamarmi villano. S’egli adunque v’ha fatta nascere dotata di spirito, e se vi ha voluta distinguere dagli altri uomini colla grandezza e colla nobiltá della vostra famiglia, perché non dovrete voi darvi vanto di una tanta distinzione? Forse che cotesto vostro spirito è puramente ideale, [p. 20 modifica]e forse che la nobiltá è un sogno, che non abbia altro fondamento fuorché nella opinione degli uomini? Quanto poi alla sinceritá, oh, si che starebbono fresche le povere divote, s’elle avessero a fare e a dire ogni lor cosa schiettamente e sinceramente! dappoiché per la natura del loro stato debbono essere quasi bersaglio all’invidia, alla malignitá, alle insidie ed alle persecuzioni di noi altri peccatori, che le circondiamo, per coglier loro cagione addosso continovamente. A noi non è lecito di pregiudicar gravemente a’nostri interessi o a quelli della nostra famiglia; e questi non andrebbono il piú delle volte in fondo, se alle povere divote non fosse anco lecito di sostenerli con qualche prudente simulazione o dissimulazione? Io voglio ben credere che le belle labbra della mia spirituale Elisa resisterebbono a non dir bugie; ma io stimo quasi impossibile che una divota femmina possa resistere a non farne. Io credo bene che la vostra gentile e scrupolosa animasi asterrebbe dall’ingannare direttamente; ma come si può, senza mancare notabilmente alla prudenza, come si può in certi frangenti non prestare occasione o non lasciar cadere in errore il nostro amato prossimo? Come si potrebbe vivere senza un poco di simulazione? Bisogna pur confessare che un poco di restrizion mentale è uno de’ maggiori comodi dell’umana vita, spezialmente per una divota, a cui non è tanto lecito quanto a’ peccatori il dir bugie. E non per altro cred’io che tanti dottori le abbiano cosí fortemente difese e sostenute, se non per lasciare un meschino asilo a qualche anima pia, che si trovasse impacciata tra l’interesse e la divozione. Aggiugnete ancora un’altra riflessione, la quale riguarda principalmente il vostro carattere di divota. Questa sinceritá sarebbe in contraddizione coll’umiltá, di cui v’ho parlato sopra. Imperciocché non verremmo noi a mascherare ed a mentir noi medesimi, col celare i nostri meriti e col procurare ili non lasciarci comparire al di fuori quali noi siamo al di dentro? Io, per me, sono anzi d’opinione che fosse lecito servirsi di questa dissimulazione solamente quando si desse un caso che una divota avesse qualche difetto, acciocché, scoprendosi al di fuori, non venisse a pregiudicare al decoro dell’arte sua; e che in quel cambio dovesse usare tutta [p. 21 modifica]la piú rigida sinceritá e schiettezza possibile, per isciorinare, dirò cosí, e mettere al chiaro giorno tutte quante le sue prerogative, acciocché queste servir possano ad edificare il prossimo sviato e ad accrescer gloria alla divozione. Io mi fermerò poco a mostrarvi quanto possa accordar colla divozione il terzo di que’ caratteri, ch’io vi ho annoverati di sopra, cioè la caritá. Permettetemi nondimeno ch’io vi riporti qui prima un passo d’uno autore, ch’io ho letto a questi giorni passati. Io so che non è molto approvato il far delle lunghe citazioni da’ legislatori dello stile epistolare; ma lusingomi che si possa perdonare qualche licenza a un genere di lettere come le mie, che possono meritare il titolo di edificanti. Piglierommi ancora un’altra libertá, cioè di palesarvi che l’autore, ch’ora sono per citarvi, è un eretico; perché, essendo voi appena iniziata ne’ misteri della divozione, spero che peranco non ispiriterete della paura leggendo un simile vocabolo. L’autore dice adunque cosí: «Ciò che rende piú insoffribili i divoti di professione si è una cert’asprezza di costumi, per cui sono insensibili all’umanitá, un cert’orgoglio eccessivo, che fa loro guardare con occhio di pietá tutto il resto del mondo. Se nella loro elevazione eglino degnano di chinarsi a qualche atto di bontá, il fanno eglino con tanta soverchieria, essi compiangono gli altri con modi tanto crudeli, la loro giustizia è tanto rigorosa, la loro caritá è cosí dura, il loro zelo è tanto amaro, il loro disprezzo tanto si rassomiglia all’odio, che la stessa insensibilitá della gente di mondo è meno barbara della loro compassione. L’amor di Dio serve loro di scusa per non amare nessuno, ed egli non s’amano neppur tra di loro. Avete voi veduto giammai tra i divoti una vera amicizia? Ma quanto piú eglino si staccan dagli uomini, tanto piú pretendon da questi, e si potrebbe dire che non si alzano a Dio per altro, fuorché per esercitare la loro autoritá sulla terra». Questo miserabile eretico, Elisa mia, non sa quel che si dica: egli scambia per asprezza di costumi quel nobile zelo, con cui una divota non dee saper perdonare il menomo fallo al suo prossimo peccatore, e per orgoglio il generoso sentimento de’ propri meriti paragonati coll’altrui meschinitá. Infine egli pretende che i divoti [p. 22 modifica]debbano avere quella tenerezza e caritá per li mondani, che, come ho detto da principio, alcuni troppo rigidi e scrupolosi vogliono che sia uno de’ caratteri di quella loro supposta vera ed unica divozione. Vedete di grazia le belle massime! Se queste massime fossero vere, credete voi che potessero entrare in capo anche ad un tizzone d’inferno qual è un eretico? Farmi giá di vedervi tutta smaniarne arder di sdegno contro a questa razza di maestri di spirito, che presumono di riformare il mondo e di ridurlo alla vita spirituale, senz’aver prima trovato un soave nodo col quale congiunger si possa il nostro comodo e il nostro interesse colla pietá e colla divozione. Ma chetatevi, madre Elisa mia dolcissima, e non istate piú ad affannar per la collera cotesto bel petto, che, se ben mi ricordo, voi avevate molti anni sono. Non dubitate, ch’io son presto a darvi nel venturo ordinario certe tenere lezioncine di divozione, ch’io non credo che desse mai frate ad altra giovane contemplativa. Io ho osservato in tutti questi giorni il fiore de’ divoti e delle divote di questa grande cittá, e vi so dire ch’io ho imparati i migliori segreti, che ci possati essere, perché con pochissima vostra spesa v’acquistiate nel mondo il glorioso nome di divota. Raccontandomi intanto alle vostre fervorose preghiere, acciocché mi cresca sempre maggior forza di adoperarmi a vostro vantaggio; e pregovi di mandarmi, di tanto in tanto, ma quanto piú ristrettamente potrete, un catalogo delle vostre opere meritorie, che andrete ogni giorno facendo, acciocché io il serbi tra le mie memorie. Chi sa che una volta non abbia poi a vedere la luce, per edificazione del prossimo e per maggior gloria vostra? Sappiate tener conto di cotesta vostra preziosa vita, andate adagio per non affaticarvi, mangiate cose sane e dilicate per non caricarvi lo stomaco, e parlate quanto piú potete con dimessa voce, acciocché non vi si stanchino troppo i polmoni.

Il vostro conte.