Lettere inglesi/Lettera III

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Lettera III

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LETTERA III


VOi mi sfidate, amico, a dipingervi la mia nazione, per vedere se io sono così neutrale e filosofo in casa mia, come il sono in quella degli altri. Mi verrebbe un sospetto, che voi foste offeso della mia libertà nel giudicar gl’italiani, e che il vostro amor proprio questa volta v’avesse burlato facendo perdervi quell’indifferenza, che un buon [p. 168 modifica]filosofo deve avere per ogni cosa, quando cerca la verità. Saldo, mio caro, tenete fermo, vi prego, e se da me volete l’esempio, io ve l’offro in questa mia, e nel carattere, che vi presento della mia nazione1.

Egli è vero, che l’inglese da qualche tempo in qua è venuto alla moda, e abbiamo l’onore anche noi di servir d’esemplari all’Europa. I nostri vestiti, gli abbigliamenti, la letteratura per fino han trionfato della Francia nostra rivale un tempo, oggi nostra discepola, ed è questa nostra vittoria la più bella di tutte quelle, che abbiam riportate sopra di lei, nè le provincie conquistate tanto ne allettano, quanto d’aver renduto [p. 169 modifica]tributario del nostro il gusto dominatore di questa bella nemica. Montesquieu, e Voltaire sono stati i due ammiragli, o marescialli, che in questa rivalità han militato, e trionfato al nostro soldo, e sorto le nostre bandiere contro la loro patria deprimendola sempre nelle loro opere, ed esaltando la mia. Mi sou trovato a Parigi quando era pieno di questo entusiasmo inglese da loro inspirato ai loro compatrioti, nè potrei ben dirvi, se io più rideva, o compiangeva nel secreto dell’animo mio filosofico le follìe, che io vedeva intorno a me stesso, che, non so come, era divenuto una persona importante, e ricercata dalle dame, ed assemblee più brillanti, unicamente perchè avea l’onore d’essere inglese, quando era questo un disonore pochi anni prima a Parigi. Vedea le persone più amabili andar a gara per rapirmi, e beata quella, che mi dava la cena, quella che mi teneva in carrozza, o al passeggio delle Tuglierie. Gli uomini più brillanti si guardavano bene di venir al confronto, e se si trovavan con noi per necessità, bello era il vedergli stare attenti ai nostri modi, ai [p. 170 modifica]nostri cenni per ricopiargli, studiare il nostro andamento, prendere il nostro tuono, insomma farsi inglesi per essere alla moda. Chi non avea fatto un giro in Inghilterra era negletto, si divoravano i nostri libri, e se ne studiava la lingua, si traducevano, si stampavano tutti, anche i cattivi, e n’era sicuro lo spaccio e il guadagno, e tutti abbiuravan la patria per un fanatico inglesismo. Io vi confesso, che mi piaceva molto questa moda, perchè mi dava un vantaggio, e mi procurava delle fortune, ed anche in Italia l’ho trovata con gran piacere, dopo che la riceveste di Francia secondo il solito.

Ma non per questo non mi sono accecato a credere la mia nazione così perfetta, e degna d’essere il vero modello delle altre, come queste me lo volevano persuadere. Sicchè sono in istato di farvene il carattere senza prevenzione, e senza illusione. Sono stato grand’uomo qualche anno presso al pubblico, invaso, e ubbriaco dalla moda, ma con un amico, qual voi mi siete, parlerò in confidenza di me, e della mia nazione spogliandomi dell’eroismo imprestatomi sul [p. 171 modifica]teatro, e comparendovi nell’abito mio privato. Non v’è alcun eroe in presenza del suo cameriere, dice il proverbio, e non ve n’è, dico io, dinanzi a un amico. Vediamo, se dico il vero, e sol ricordatevi, che parlo in confidenza, e tra noi soli.

Prima dirovvi, ch’è diffìcile fare il carattere dell’inglese, che propriamente non ha carattere uguale, e universale per una perpetua contraddizione di sè con se stesso, e per una differenza notabile tra uomo e uomo, anzi tra lo stesso uomo in varj tempi. Ma forse questo può essere appunto il suo carattere, se n’ha alcuno, cioè il dar negli estremi. Il genio più generale e dominante è la taciturnità; la serietà, e la solidità, e quindi la fermezza, l’intrepidità, la fedeltà, la prudenza, ed altre doti di questo genere. Ma quando una passione ci prende diamo in tutto l’estremo contrario. L’amore decide di tutto il nostro essere se ci soggioga, e ci fa perdere o la ragione o la vita. Siamo sobri sino alla frugalità, o ubbriachi sino alla brutalità, o fedeli alle mogli, anzi veri amici, o lor tiranni e carnefici furiosi, [p. 172 modifica]economi nel commercio, e attenti alla famiglia, profusi e prodighi quando spendiamo a segno di ridurci alla mendicità, fanatici per la patria, o violatori di tutte le sue leggi, e venduti al danaro, e alla seduzione apertamente, entusiasti per una religione, o sprezzatoti di tutte, attaccatissimi all’amor della vita, onde tanti van lontano in esiglio volontario per curarsi, e vivere qualche giorno di più, o pronti, a darci un colpo di pistola ben aggiustato per una emicrania. L’ozio, e la vita sedentaria è a noi carissima, e andiamo alle estremità del mondo continuamente. Odiamo la monarchia, e facciamo assidua corte al re servendolo a tavola ginocchioni. Vogliamo forestieri tra noi e li trattiamo come nemici. Noi siamo aspri, e un po’ feroci, le nostre donne timide e dolci. E così dite di cento contraddizioni, che son tra noi, e troppo a lungo andrei numerandole. Volete voi il nostro ritratto? Leggete i nostri libri, ove noi stessi ci dipingiamo, andate al nostro teatro, ove rappresentiamo noi stessi. Quella è l’immagine di tutti noi la più somigliante, e vale a [p. 173 modifica]dire gran pregi e gran difetti. Niente è mediocre. Leggete massimamente i nostri romanzi inglesi, dei quali provvediamo tutta l’Europa, vi troverete questo contrasto di oppostissime qualità. Avventure sublimi e stravaganti, gran pensieri e frivoli bisticci, passioni eccelse e discorsi insipidi, scene di tenerissimo cuore e di furor sanguinario, grandi bellezze infine, e grandi mostruosità. Il nostro carattere produce questi romanzi, e questi poi rinforzano il nostro carattere. Quindi è che han tanta voga tra noi, e tutte le case, l’età, i sessi avidamente gli leggono, e principalmente nell’ozio della nostra vita solitaria e di campagna, ove sì volentieri viviamo piacendone di star soli, nodrendo colla meditazione l’umor nero, e fuggendo gli uomini, che noi non possiamo soffrire, perchè appunto somigliano a noi.

Il quadro, che vi presento, mi par che non sia tinto dell’amor nazionale, e più di buon grado ve l’offro. Udrete i nostri inglesi dispregiar tutte le nazioni, e stimare la propria solamente, ma credetemi pure, che in cuor loro senton lo stesso, benchè [p. 174 modifica]non osino confessarlo. E questa io penso, che la ragion sia dei vedersene tanti fuor d’Inghilterra, e per tutta l’Europa non solo viaggiatori, ma fissati per molti anni; cioè la noja, in che vien loro la patria, quando ne hanno provato tutti i difetti, e gl’incomodi sopraddetti. Ma qui troverete un’altra strana contraddizione, che portano seco anche fuor di paese, ed è quella bizzarra usanza del vivere insieme tra inglesi in mezzo alle altre nazioni, come se uscissero d’Inghilterra non per vivere con gli altri popoli affin di conoscergli e d’istruirsi, ma per godere la compagnia degl’inglesi. Onde vien poi, che tanti nostri giovani tornano a casa dopo aver fatto il giro di Francia, d’Italia, di Germania istrutti a maraviglia delle vicende, degli amori, de’ caratteri de’ loro compatrioti, e niente della leggi, de’ costumi, delle arti degli altri popoli. Il maggior profitto, che traggono dai lor viaggi è il portar seco qualche quadro, o qualche statua, che pagaron dieci volte più che non valeva, l’avere un catalogo dei nomi, e dei pregi delle virtuose, alle quali lasciarono dei bei [p. 175 modifica]regali, saper storpiare qualche arietta di musica, e ricordarsi per sempre di qualche tavoliere, ove lasciarono qualche somma di zecchini, e qualche amicizia, ove lasciarono il resto. Fuor di ciò vissero sempre cogl’inglesi, e voi li vedete sempre insieme, e in compagnia persino di letto, e di tavola per assicurarsi bene di niente apprendere dagli altri popoli, che disprezzano, e metton tra loro in ridicolo, ma vanno a cercare nulla di meno con lunghi viaggj e spese esorbitanti. Che se alcuno vuol pur distinguersi, come ha fatto il signor Stevens2, che dopo aver fatto in Venezia la figura, che ben sapete, pochi anni sono è divenuto a Londra autore, ed ha stampato i suoi viaggi, allora vedesi più che mai quanto poco impieghin di tempo e di diligenza nelle osservazioni e negli oggetti importanti di un viaggiatore. Io n’ho conosciuto uno di tali [p. 176 modifica] il quale impegnato in una amicizia pagava ogni mattina un de’ vostri ciceroni, che andasse a veder per lui le rarità delle pitture, dei palazzi, delle chiese, e con gli occhj di questo esaminò molte città d’Italia, e con la critica di questo, e col suo stile fece un libro da stampare in Inphilterra, nè vedeste mai persona più contenta di quel che fosse suo padre, benedicendo il denaro, che suo figlio avea speso sì bene. Eppur seguono, e seguiran sempre gl’inglesi ad uscir della patria, e a mandar fuora i lor figli, benchè sappiano tutto questo; finchè non venga qualche imposizione a proibire questo abuso, che fa uscire tanto denaro, ed entrar tanti vizj nel regno. Ma questo è il nostro destino, il fare de’ bei progetti, e non concluder mai nulla. Voi nondimeno avete grande idea del nostro governo, e della costituzione inglese tanto esaltata ai dì nostri, e venuta anch’essa alla moda con tutti i nostri gran pregi. Eppur vi sarebbe da esaminare, e da divertirsi. Ma non entriamo in politica, che troppo annoia in un tempo, in cui tutti ne son maestri. [p. 177 modifica]

Piuttosto vi divertirà il conoscere la nostra solidità di pensare, che anch’essa ha gran credito presso voi e i francesi; vero è, che non siam sì leggeri e sì frivoli come questi, nè sì creduli e sempiici come gl’italiani. Ma quante volte ho dovuto filosofare anche su questo al veder quanto poco ci vuole a girar queste teste sì salde, e sì forti! E’ troppo fresca la trista avventura del Bing, che in sì poco tempo ho veduto dai nostri impetuosamente esaltare come un grand’uomo, con più impeto giustiziare come un malfattore, e subito dopo compiangere come un cittadino tradito, vergognarsi, e pentirsi. Questi son giucchi della fortuna, alla quale è lecito tutto. Ma credereste voi, che l’inglese spregiudicato ed incredulo si lasci talora trasportar dagli astrologhi, dagl’indovini, e corra dietro ai miracoli, come un fanciulla? Sapete pur quanta gente corse in folla per vedere un morto resuscitato, cui vantavasi di ravvivare un pazzo fanatico, che pretendeva d’averne altri resuscitati per una sua virtù soprumana confidatagli dal cielo. Era seguito per tutto da migliaja di [p. 178 modifica]curiosi, e di questi molti erano persuasi, e credo, che avrebbe tratta seco l’intera nazione, se il magistrato prudentemente non prendeva il partito di obbligarlo a fare il miracolo pubblicamente e in ora e in luogo prefisso, e coll’assistenza dei giudici3, onde convinto giuridicamente dell’impostura da quel cadavero, che sordo fu sempre alle sue sovrane ordinazioni, colui ne venne punito, e la nazione disingannata. Se ciò non era, avreste veduto le convulsioni in Londra, e le guarigioni miracolose, che han fatto presso di noi tanto tempo ridicoli i parigini per la tomba di s. Paris. Ma non sapete forse ciò che ho veduto con gli occhj miei, e appena lo potei credere a me stesso; gran parte della città di Londra trasportata alla campagna, e sotto le tende poco tempo fa, perchè un impostore4 avea minacciato [p. 179 modifica]un tremuoto simile a quel di Lisbona, e n’avea per luugo tempo intimata l’ora, il giorno, e le circostanze. E non era già il solo popolaccio, che fosse fuggito, ma sotto a quelle tende si videro delle teste illustri e gravi, che si raccomandavano l’anima non ben sicure, che la terra non avesse ad aprirsi sotto a’ lor piedi. Ridete pure, che ne avete ragione, e concludere meco, che l’Inghilterra ha i difetti dell’altre nazioni, e che gl’inglesi somiglian gli altri uomini, e solamente se ne distinguono con la stravaganza maggiore, e con più grandi eccessi.

Ma con vostra pace da questo fondo medesimo nasce un merito anche distinto, perchè l’inglese virtuoso, l’inglese letterato, in somma l’inglese rivolto al bene è capace di cose grandi più che l’altre nazioni. Parliam delle lettere come cosa più amena. E’ vero, che Milton è tutto inglese, cioè estremo nelle mostruosità, e nelle sublimità del suo poema; così pure è Scakespear, così molti, e se non fosse bestemmia nominerei anche Newton non solo per l’Apocalisse da lui interpretata, ma per altre cose ancora. [p. 180 modifica]Stiamo però in poesia. Abbiamo dei Quarles5 e dei Withers, ve lo confesso, ma sapete voi, che io non conosco il più perfetto tra tutti gli antichi, e i moderni poeti di Pope? Trovo de’ difetti in Orazio, in Omero, in Virgilio, in Voltaire, nel Tasso, e nell’Ariosto, e non ne trovo in Pope. Lo metto sopra tutti, dopo che quest’uomo ha saputo abbellire, e dar forza alle più alte insieme e più necessarie massime della morale dell’uomo, temperando mirabilmente la più bella poesia colla filosofia più pregiata. Egli ha renduto l’uomo migliore coi versi, che son lo stromento con che tanti lo rendon cattivo. Egli ha fatto servire la poesia alla virtù, all’umanità, al ben pubblico. Son pur pochi i poeti, che uniscano tante qualità, e nessuno che le abbia tutte, e in tutti i generi di cantare. Qual poema più grazioso del riccio rapito, qual più [p. 181 modifica]salso della Dunciade6? Eppur questo è il meno. Non sarebb’egli un bel caso, che il vincitore de’ greci e de’ latini dovesse trovarsi nei Britanni divisi dal mondo? Dite pure, che son pregiudicato e nazionale, io mi rimetto. Addio.

P. S. Mi par sentirmi dire, che vorreste qualche notizia della letteratura inglese, e de’ nostri libri moderni, de’ quali non ho parlato, come dovea nella mia lettera. Ma appunto perchè son moderni, ne ho taciuto, essendo difficile farne un buon giudicio sull’opinione altrui, non avendo io tempo, nè voglia da legger tanto, e sospettando anche un poco, che noi pure abbiam la nostra decadenza. Ma per onor della nazione nol dico. Si fanno delle magnifiche edizioni, come son quelle delle ruine di Palmira, quelle della famosa Balbeck, si trattano degl’illustri argomenti oltre i filosofici delle transazioni, e i teologici de’ nostri preti, e i [p. 182 modifica]politici de’ nostri Demosteni a due soldi il foglio, come gli chiamerebbe Voltaire, che inondano da mane a sera tutta Londra sulla guerra, sul commercio, sulla marina, sulle imposizioni, e contro la corte e contro il parlamento e contro ogni cosa. Qualche corto libro si è veduto in questi anni, come il vero sistema della gran Brettagna del Sig. Rosthletwair famoso autore del dizionario del commercio, la descrizione degli stabilimenti europei nell’America d’ignoto autore, i costumi inglesi in quattro tomi del dottor Brown a voi noto, le opere di Milord Bolingbroke ereditate dal Sig. Mallet, che han fatto da prima gran rumore, e per dirvi un bell’argomento e titolo, ma non più, la storia della marina d’Inghilterra del dottore Hill, le memorie della corte d’Augusto del dottore Blackwel, bel titolo anch’esso, le orazioni di Demostene del sig. Francis, di cui abbiamo una traduzione d’Orazio assai buona, ec. Vorreste voi conoscere i nostri poeti? Dimenticatevi le memorie, e i tempi d’Augusto. I poeti eccellenti son rari assai. Richardson, Glover, Withead [p. 183 modifica]vedono il nostro teatro, ma non fanno tutti insieme un Addisson, un Congreve. Il ministro Hume dà speranza di qualche riuscimento. Un buon poema dei Sig. Dyer sopra le mandre delle pecore m’è piaciuto. Uno del Sig. Glinn sopra il giudizio finale ha ottenuto il premio dell’università di Cambridge. Eppur mi dicono, che sia buono. Ma la nostra vera opulenza, il nostro lusso è di giornali letterari d’ogni sorta, d’ogni mole, d’ogni gusto, d’ogni stagione. Contentatevi del catalogo, in cui pongo que’ che mi vengono a caso, e come mi vengono i lor titoli a mente. Il mondo di Adam fitz Adam; the herald, l’Araldo; the connoisseur, monitor moderno; il terler, o sia il ciarliere copie di Steele, e d’Addisson; il rambler, l’adventurer, il test, e il contest. Lascio il giornal britannico del dotrcr Maty; il couvent-garden-s di Fiedling ec. ec. ec. Alcuni d’essi sono morali, e istruiscono la nostra gioventù nel bel vivere, come nel bel sapere. Uno di loro, il mondo, vi fa conoscere la nostra gioventù, e il buon gusto della sua educazione, che si divide, dic’egli tra il [p. 184 modifica]teatro, e i profanatori (che i francesi dicono bagnieurs, e in Italia non sono): due accademie, nella prima i giovani cavalieri,e le giovani dame imparano i rudimenti della scienza da un Etheridge, da un Wicherley, da un Congreve, e da un Wanbrugh, che van poi nella seconda a perfezionare sotto un Necdem, un Haywod, un Haddock, e un Roberts7. Questi in verità sono i maestri più accreditati e frequentati, onde potete congetturare qualsia la nostra letteratura più alla moda. Addio.

  1. Gl’inglesi sono in possesso di censurare liberamente la patria, e se stessi ancora, ma sanno, che ciò loro fa onore, e per questo il fanno. Vedi le opere de’ più celebri, e leggi anche solo i pubblici fogli, e i mercurj di questo tempo. Il libro stampato in Londra, non è molto, col titolo dell’esame de’ costumi, e delle massime del secol presenteè una satira contra gl’inglesi, e se ne son fatte in poco tempo quattro edizioni.
  2. Miscellaneous Remarks Made on the Spot in a Late Seven Years tour through France, Italy, Germany and Holland Sec. 8. Londra 1756.
  3. Vedi Voltaire Histoire generale ec.
  4. Un soldato delle guardie, che fu posto in prigione, e punito l’anno 1748. Vedi gli opuscoli anonimi di milord Chesterfield.
  5. Due poeti infelici nominati da Pope, come il furono da Virgilio Mevio, e Bavo
  6. Poema intitolato Dunciade dalla jparcla dunce, che in inglese vale uno stolido.
  7. Case di libertinaggio, ove vanno dopo il teatro.