Lu rebellamentu di Sichilia - Palermo (1882)/Note

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NOTE


1 Occorrono nel titolo del codice parecchie voci che, illustrate una volta, ci dispensano di tornarvi sopra, quando in seguito saranno ripetute.

  1. Quistu: il Perticari parlando de' siciliani, che hanno il chillu, il quillu, e l'istu, dice che forse all'istu i rustici aggiunsero l'h histu, e profferirono chistu, da cui venne quistu (Nota V al testo del Romano provenzale antico del conte di Abram).
  2. Esti per est. L'esti per è oggidì trovasi usato in molti paesi di Sicilia, specialmente nella provincia di Trapani.
  3. Sichilia ne' primi secoli della lingua alla lettera C si aggiungeva l'H, che nella pronunzia spesso non mutava il suono della parola: Sichilia per Sicilia; grechi per greci, sarachini per saraceni, auchidiri per uccidere ecc.
  4. Hordinau: l'H, che qui ridonda, trovasi in generale nelle parole derivanti dal latino: p. e. homu, haviri, hostili, humilitati, honuri ecc.
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  1. Effichi, e fici: le congiunzioni, i segnacasi, gli articoli con lettere raddoppiate o senza occorrono spesso unite alle voci che seguono.
  2. Alle parole Re Carlu la citazione dell'Amari fa seguire il P (primo) [Appendice alla Guerra del Vespro Pal. 1842, pag. 292]; ma dobbiamo notare che nel codice il titolo è in rosso, e finisce contro Re Carlu. Il P seguito da uno scorbio è in nero, e aggiunto da mano posteriore. Questa circostanza potrebbe servire di bussola per precisare l'epoca in cui il codice fu scritto, cioè poco dopo la guerra del vespro dal 1282 al 1289 prima della morte dell'Angioino. Assunto al trono il figlio, principe di Salerno col titolo di Carlo II, (1289) gli scrittori contemporanei cominciarono a dare al padre il titolo di Carlo I, per distinguerlo dal figlio. Or la cronaca, se fosse stata scritta regnando Carlo II, o dopo, cioè negli ultimi anni del secolo XIII, o, come dicono taluni, nei primi anni del secolo XIV, nel titolo di essa ed in tutto il contesto probabilmente non si sarebbe scritto il nome di Carlo senza l'aggiunta del I.
    Questa considerazione sarebbe rinforzata dai fatti della Cronaca che cominciano dall'anno 1279 e finiscono al 1282 quando Re Carlo fuggì di Sicilia, incalzato dalle armi aragonesi; nè v'ha un motto o un richiamo qualunque alle gravissime lotte sostenute dagli Angioini per quattro lustri dal 1282 al 1302 per riacquistare l'isola.

Pubblicando il presente codice abbiamo dovuto confrontarlo col codice Vaticano, colla Leggenda [p. 99 modifica]modenese, colla copia del Carrera e colle stampe del Gregorio, e del Di Giovanni. Nelle citazioni adopreremo i rispettivi connotati, cioè codice Spinelli, codice Vaticano, Leggenda Modenese, stampa del Gregorio, ovvero del Di Giovanni.

Alla stampa del nostro codice originale abbiamo accompagnato la pubblicazione fatta dal Di Giovanni, e per mostrarne le differenze, e per rendere più intelligibile il testo.

2 Nel ms. parecchie parole ora intiere ed ora in parte sono corrose dal tempo: noi le abbiamo supplito in carattere corsivo.

3 Le armi di Carlo minacciavano incessantemente l'imperatore greco, Michele Paleologo.

4 Di li migluri di fisica: intendi de' migliori medici. Giovanni da Procida ereditò dal padre coll'antica nobiltà del sangue la signoria di Procida e di altri feudi. Entrò giovanissimo in corte di Federico imperatore, e ci è chi crede, che gli fu affidata l'educazione del piccolo Manfredi. Ma dato agli studi, e specialmente alla medicina, non pregiava altro titolo che quello di medico: Domini imperatoris medicus. (Renzi, Il Sec. XIII e Giovanni da Procida — Napoli i860).

5 Le lettere maiuscole e le minuscole sono adoperate senza regola: spesso ov'entrano le prime, sono usate le seconde, e viceversa: lu Imperaduri Intisi quista Imbasciata; altrove, misser Iohanni Cum quistu processu, e sinanco, re Ingraciamu (ringraziamo), costanti Nopuli (Costantinopoli) ecc.

6 Intandu per intantu. Sostituire il d alla lettera t è uso frequente in Sicilia: oggidì in alcuni paesi [p. 100 modifica] st'uso non è raro: tanto il Gregorio che il Di Giovanni scrivono intrandu, perchè così trovarono nella copia del Carrera.

7 & partiri di Intru di quilla cãmara. Nella copia del Gregorio è conservata la stessa dizione: il Di Giovanni, non sappiamo su quale base, la corregge nelle seguenti parole: e partiro dillà di quella cammara (nota 21).

8 Vidẽmi o midemmi vale medesimamente: il medemo corrotto dal medesmo.

9 Diuinjandu. Svenzari, viniari, diviniari, divingiari per vendicare.

10 Ni digiatj liberari: ci dobbiate, deggiate liberare, al quale significato non risponde la lezione del Gregorio: n’indi giati.

11 Il Carrera ha li bruti, il Gregorio libruti, che il Di Giovanni giustamente corresse in librusi, attaccati da lebbra, com'è nel testo originale.

12 Plazati, piacciati, non preguti, ti prego.

13 Papa Nicola III non potea dimenticare l'acre risposta di Re Carlo, quando gli chiese di unire in matrimonio ad uno de' nipoti di lui una sua nipote: Crede egli (il papa) perchè porta le calze rosse, che la sua famiglia sia degna d'imparentarsi colla nostra. Il suo potere, di cui è sì altero, finirà con lui. Questo pontefice di nazione romana mori nel 1280 (Ric. Malespina pag. 204).

14 Le parole: Cum socia cosa chi furono lette dal Carrera, e quindi dal Gregorio e dal Di Giovanni, cum sacra cosa chi. Il cum socia cosa non può essere confuso col cum sacra cosa. In fatti il codice [p. 101 modifica]Vaticano lo trasporta in cosichè, e la frase è ripetuta nel nostro codice altre volte vedi pag. 44, 64 e 87, sempre nel senso di conciossiachè, e corrisponde al cum sosia cosa chi degli antichi.

15 Villanamenti, nel significato del Dizionario del Tommaseo, vilmente, brutalmente, non già vigliaccamente, peggiorativo di vile, che muta il senso.

16 Prudu et arditu, prode ed animoso, non providu et arditu.

17 Putiro dee correggersi in putiraXiri sta per essere.

18 II testo porta fachiti, e fachiti si legge nella copia del Carrera e nella stampa gregoriana. II Di Giovanni lesse facili per forse (nota 36). Ma il Procida innanzi al papa non esitava a rispondere sul merito del re di Aragona; invece ne faceva il panegirico colle seguenti parole: Illu esti lu plui prudu Caualeri ki ogi sia In christianitati. Fachiti dunque significa: fate conto, ritenete che Pietro di Aragona sia il più savio uomo ecc.

19 La voce a coñitu del ms. fu convertita in inconnitu. Ma è chiaro, come avverte l'Amari, che debbasi leggere conitu, Corneto, città marittima vicino Viterbo. Senza questa intelligenza l'avverbio illocu (oggi ddocu, cioè quivi) non si riferirebbe a nessun luogo. Abbiamo riscontrato la copia del Carrera, e vi trovammo conservata la voce aconitu, che fu mutata la prima volta in quella d'inconnitu dal Gregorio e dal Di Giovanni, che ne seguì l'esempio.

20 Et divingirimu, non ndi vengirimu. Colla particella ndi ossia ci dovrebbe trovarsi la preposizione [p. 102 modifica]di innanzi al tucti, e così l'intera frase sarebbe ci vendicheremo bene di tutte nostre vergogne; ma il codice ha vendicheremo bene tutte ecc. Abbiamo già osservato (n. 9) le varie forme, onde trovasi scritta nel codice la parola vendicare.

21 Auirai per amichi li toi amichi, et tucti litoj nimichi hauirai per amichi, e non già avirai amichi di li toi amichi. Il di sembra assolutamente estraneo.

22 Lure cãlu auiri affari tantu di quilla parti dilla chi nõ pũra Iza. Procida per assicurare il Paleologo gli dicea, che ribellata una volta Sicilia, re Carlo avrebbe dovuto sostenere nell'Isola tanto travaglio, da non poter più pensare a Costantinopoli.

23 Apparichari armati et suldari (assoldare) caualeri, non suldati cavalieri, che non dà senso.

24 Ancora eu: deve aggiungersi: disse il Paleologo. (Di Giovanni nota 38). Eu è l'eo de' toscani, che scende dell'ego latino.

25 Non finsili, ma finsisi, cioè, si finse.

26 I baroni di Sicilia alla notizia della morte di papa Nicola quasi kj foru rumasi dilu factu, e discõdati. Uniformemente alla copia del Carrera il Gregorio ripete le stesse parole: il Di Giovanni alla parola discordati sostituisce discorati, scoraggiati. A noi sembra che il codice dica, che i baroni sospesero le pratiche (rimasero dal fatto) e si sciolsero dall'accordo preso.

27 Questo tratto del codice quanto è facile a leggersi, altrettanto è difficile ad interpretarsi. Il Gregorio dice a ragione: sensu carere videtur. Infatti è il paragrafo meno intelligibile di tutto il codice. Noi [p. 103 modifica]ci proveremo d'illustrarlo non senza le dovute riserve. Il Procida rimase corrucciato dal consiglio di messer Alaimo da Lentini, di sospendere il corso della congiura, finchè fosse noto l'animo del papa futuro, morto già Nicola III; ed esortava i baroni a continuare la grande impresa per quista raxuni, chi si lupapa chi si far̃a, sir̃a nostru amicu, accominzamu questioni, chi la ecclesia di ruma perduna tucti lipeccaturj: cioè se il papa futuro sarà amico, l'impresa sarà discussa, e trovata anche illegittima sarà tollerata, perchè la Chiesa non lascia senza perdono i peccatori. Se no, cioè se il papa si mostrasse nemico, e si avverassero i timori di messer Alaimo, allora l'impresa sarà sostenuta a dispetto di lui, imperocchè majur forza fu quilla di lu Inperaturj fidericu (nemico della Chiesa) chi quilla dilu Re cãlu (amico di essa).

28 et si vinissiuu fina kj vui vulissiuu. Anche qui la lettura è chiara, ma non è facile indovinare il significato delle parole.

29 Lu diri di misser iohãnj cum soi veri raxunj et chascunu curaju (non curatu) fu aplacatu (non applicatu) et cussi fu fũnitu, che i baroni mutassero consiglio; cioè il dire di Procida fu aplacatu e così fornitu, (fu pacato, calmo e così ben condotto) con soi veri raxiuni, et con ogni maniera d'incoraggiamentu (curaju), che tucti dissiru chi si diuissi continuare l'impresa. Curaju per coraggio, passaju per passaggio, ultraju per oltraggio, occorrono di frequente.

30 Per Sapiri la sua voluntati. Nel Gregorio e nel Di Giovanni mancano le parole: per sapiri.

31 Simunj cũsu di franza..... papa mãtinu tẽczu Il [p. 104 modifica]II Gregorio legge anche Cursu, il Di Giovanni al Cursu sostituisce turusu.

Papa Martino che occupava la sedia pontificia nel 1282, era stato prima canonico e tosoriere della Chiesa di S. Martino di Tours (Turones), e poi creato da papa Nicola III presbitero cardinale col titolo di S. Cecilia.

Nella serie dei papi col nome di Martino, questo è II, non già III, come due volte leggesi nel codice nostro e in quattro copie mss. del Malespini, nè IV come correggono il Gregorio, il Di Giovanni, e come ha pure l'Amari. Moreri osserva che l'equivoco di chiamarlo IV è nato da ciò, che i nomi di Marino II e III furono da taluni confusi con Martino II e III (Dict. hist. VI, 131). L'autorità de' nostri antichi codici vale a dimostrare come sin dalla loro epoca la serie de' papi col nome di Martino era incerta.

32 Il Gregorio dice Scanzu, ma nel testo è Sconzu, il contrario di conzu, cunzari.

33 Cum socia cosa chi. (Vedi nota 14).

34 II Sipo fari del testo è mutato dal Gregorio in vi pó fari, e dal Di Giovanni in si profira.

35 Nel ms. occorre varie volte la voce fulluni, non filluni, da folle, fudduni, fuddiscu, uomo strano o bisbetico.

36 Le due frasi di questo paragrafo: cussi comu a nostru patriassi comu a nostru patri valgono come se si trattasse di nostro padre.

37 Vedi nota di sopra n. 35.

38 Qualuncata modu, qualunchiti modu, in qualsiasi modo, sono tuttavia nella voce viva del volgo. [p. 105 modifica] 39 Riprisirusi in briga fu mutato in riprisisi tutti in briga. La frase vale: si misero a contendere: è il principio della contesa, della quale profittarono i baroni e la rinfocolarono: li baruni intisiru in quilla briga, ed incalzaru la briga. II Di Giovanni nella prefazione al Codice Vaticano (pag. 14, Bologna 1870) dà eguale spiegazione: I congiurati si avvalsero del tumulto, soffiarono nella briga e la incalzarono...... La briga di S. Spirito non fu scoppio della congiura, ma la congiura si avvalse di quella rissa, e così fu fatta la sollevazione.

40 efforu ali armi li franchisch' cum li palermitani et li homini ar̃imuri dipetri edi ãmj gridandu moranu li franchiskj et Intraru, ĩt’ lachitati cum grandi rimuri (et foru prili plazi et quanti franchiskj trouauanu tucti li auchidianu Infra quistu rimuri) lu capitanu ecc.

Nella copia del Carrera, e quindi nella stampa del Gregorio ed in quella del Di Giovanni, mancano le parole che chiudiamo qui in parentesi, cioè: et foru prili plazi et quanti franchiskj trouauanu tucti li auchidianu Infra quistu rimuri. L'Amari considera la mancanza di queste parole come un'importantissima variante del codice Spinelli (Prima edizione del Vespro 1842. Appendice pag. 292).

Anzichè variante la chiamiamo omissione dell'amanuense, che tratto in errore dalla voce rimuri ripetuta due volte, omise le parole et foru pri li plazi et quanti franchiskj trouauanu, tucti li auchidianu ecc.

Giova avvertire che il Codice Vaticano e la Leggenda Modenese di data antichissima non sieguono la lezione del codice Spinelli, ma quella stessa che [p. 106 modifica]trovasi ripetuta nella copia del Carrera, dove, come si è detto, mancano le importanti parole, che descrivono la generale uccisione de' francesi avvenuta pri li plazi: e ciò fa sospettare, che tanto l'uno che l'altra non abbiano attinto alia fonte primigenia, vogliam dire al codice originate, ma ad altra copia più antica, malamente esemplata sul medesimo.

41 Tandu. II Gregorio legge la voce col r (tardu) e mette in nota: fortassis hic mendum irrepsit. II Di Giovanni non trova menda, e legge tandu, ma omette di darne il significato. Tandu o tannu in alcuni paesi sono tuttavia voci vive e parlate, e valgono: allora, in quel tempo: anche tannazzu o tandazzu valgono in tempo assai rimoto. La voce si trova nel Vocabolario siciliano latino del celebre Scobar (Venetiis 1519) tandu: tunc temporis, tunc, tum. Nella Cronica di Sicilia per epitome, pubblicata dal Di Giovanni (Bologna 1865) a pag. 209 leggesi: «La casa d'Aragona fu chiamata in Sicilia per lo aiustamento chi fici misseri Joanni di Procida contra re Carlu, tando re di Sicilia, e di Napoli».

La frase è riprodotta su per giù dal Codice Vaticano: lo capitano che vi era per lo Re Carlo, e nello stesso senso troviamo ripetuta tre volte la parola nel nostro codice come può vedersi nel presente volume, cioè a pag. 64. tandu li missinisi appiru grandi pagura; a pag. 73. tandu fichiru un capitanu, ed a pag. 92. tandu lu Re Carlu era ar̃iju (a Riggiu) di Calabria.

Quindi la frase del testo: lu Capitanu ch'era tandu pri lu Re Carlu vuol dire: «il capitano di quel tempo per lo re Carlo, al servizio di re Carlo». [p. 107 modifica]

42 Steri, palazzo, idem ac hospitium sive palatium, dice il Gregorio. Federico si crede esser nato in uno Steri di Palermo in faccia alia madre Chiesa (Cronaca s. cit. p. 207). Steri si legge nella cronaca pubblicata dal Gregorio in continuazione alla Genealogia di Rogero di fra Simone. Steri ovvero Osteri fu chiamato per lungo tempo il palazzo de' Chiaramontani, oggi tribunale di Giustizia. Il Di Giovanni nota che steri è vocabolo d'origine greca, donde si trassero osteri, mostero, monastero. (Nota 55).

43 Ci piace riportare la storia del fatto di S. Spirito col fac simile del nostro Codice, colle parole della copia edita dal Gregorio, e col corrispondente brano del Codice Vaticano, della Leggenda Modenese, della Cronaca Catalana, e finalmente della Storia del Vespro del ch. Michele Amari. Veggasi l'Appendice in fine del presente volume.

44 La strage de' francesi fu ripetuta in tutta Sicilia: fichiru lu simiglanti pri tucta sichilia, eccettuato solamente il paese di Sperlinga: forse per la natura del forte castello fabbricato sulla viva rupe, a difesa di quella piccola terra, ove si rifugiò il presidio francese, e che non venne espugnato se non dopo lunga resistenza.

Quod Siculis placuit, sola Sperlinga negavit.

La città di Messina seguì l'esempio degli altri comuni dell'Isola, non già immantinenti avutane notizia, ma dopo qualche tempo, a cagione del molto numero dei francesi, che la tennero in sospeso. [p. 108 modifica]Addimurau un certu tempu. Invece di addimurau il Di Giovanni scrive adimandau, come prima aveano scritto il Carrera ed il Gregorio.

45 Si volea ricuperare Sicilia o per pace, se per avventura fosse stato possibile, ovvero per conquista di guerra: pri pachi si essiri sipo et si nõ si aquesti pri guẽra: parole ripetute esattamente nella copia del Carrera e nella stampa del Gregorio. L'aquesti fu mutato in acqueti nella lezione del Di Giovanni.

46 Il testo porta rocca amaduri, che val lo stesso che Rocca Amaturi del Gregorio, Rocca Amatoris dell'Amico nel suo Dizionario topografico Siculo. Il Codice Vaticano lesse Rocca majora, e Rocca maiore la Leggenda. In questa Rocca da Carlo fu mandato il suo primogenito per guarire della grave infermità, di cui era affetto, ed alla Chiesa annessa, in memoria del fatto, fu concesso un assegno annuale di tre marche di argento: Ecclesiae B. Mariae Virginis de Rocca Amatoris etc. Cf. Minieri Riccio, Dominazione Angioina. Napoli 1876, pag. 8.

47 Il testo, ripetuto dal Carrera e dal Gregorio porta: vidonassiru latẽra, ma pare vi manchi l'avverbio negativo non, che fu supplito dal Di Giovanni. Il legato spedito dal papa era il cardinale Gerardo da Parma, il quale in nome del papa minacciava la scomunica se non donassiru la terra et portassiru lichauj alu Re, nel qual senso l'avverbio negativo è necessario.

48 Antiquitati dila sancta eccl'ia, non autoritati, come scrive il Gregorio.

[p. 109 modifica]49 Instãcta (in stracta) speciali e temporali. II Gregorio lesse instrata, in seguito fu letto iustizia. Stracta vale via, strada (Vocabolario dello Scobar pag. C, col. V) nel qual senso la lezione riesce chiara. Carlo era re per l'autorità della Chiesa, e quindi i ribelli sono minacciati di scomunica: sono anche minacciati dall'autorità regia in via speciale e temporale: la frase è tuttora nella lingua parlata; p. e. io vi sfido in via giudiziaria.

50 Leggi alu paysi, non a lu so paysi.

51 Dimandu, non donandu: la voce donandu ricorre qualche linea più sotto: dunandu sicundu esti vsanza.

52 Si no, non già si zo, ma il no probabilmente è un errore dellamanuense, che lo scrisse invece di zo. Col zo, (ciò) la lezione corre piana: se ciò (la proposta) piace loro la facciano: se no, si difendano ove il possano.

53 Lu Camerlingu di lu legatu. Nella stampa del Gregorio manca di lu legatu. Il legato Gerardo, come narra la Cronaca, avea spedito a Carlo un Camerlingo. Costui di ritorno in Messina recò la risposta del re; dunque sta bene il testo, che rende chiaro il fatto.

54 Manjari lunu allautru. Nel Codice si trova il verbo mangiare, e si trova nella Leggenda Modenese: manca nella copia del Carrera, ed il Gregorio la supplì nella sua stampa. Gli storici narrano che alle superbe proposte dell'Angioino, la città proruppe in un grido generale d'indegnazione: prima morire che cedere a tali patti. Ma la frase del testo è più energica: prima mangiarci l'un l'altro, anzichè cedere a Carlo.

[p. 110 modifica]55 Riquersi da requirere, (richiedere). Fu richiesto al comune di Messina, che i cittadini tra quaranta giorni spedissero rappresentanti al papa per udirne la sentenza. Il Gregorio e il Di Giovanni lessero riquessi.

56 Tandu ficiru un capitanu; cioè allora fecero (V. sopra nota 41).

57 Il Di Giovanni ritiene come erronea la parola Sicilia, e vi sostituisce Messina, (nota 75). Ma leggendo il testo si trova che dal re d'Aragona in Catalogna andò il Procida ambasciatore di Sicilia con misser Guglielmo ambasciatore di Messina, e con due sindaci dell'Isola. Il protagonista era il Procida, che parlava non a nome di Messina, ma di Sicilia. Allura siliuau lu Imbaxaturj di sichilia (Giovanni da Procida) eli alti, cioè messer Guglielmo e i due Sindaci.

La Cronaca Catalana narra il fatto colle seguenti parole che rischiarano quelle del nostro codice: Mentre re Pietro era in Alcoyell, giunsero al porto due barche armate, e se domandate cui erano e qual gente, io ve dirò che essi erano Siciliani di Palermo, e venevano quattro cavalieri e quattro cittadini per commissione di tutta la comunità di Sicilia: ed erano molto savii uomini (cap. LIV).

58 Insuccaru di vidanda. Nel vivo linguaggio dei Siciliani succarari ed assuccarari importa stringere e assottigliare. Sugnu assuccaratu, cioè vivo stretto e limitato. In succaru di vidanda sta quindi in strettezza di viveri, o come si dice nella Leggenda Modenese: in distretta di vidanda.

[p. 111 modifica]59 Il testo porta: Re d'Aragona mandau curreri per l'isula di Sicilia, chi si re Carlu vinissi inver Palermu. La copia del Carrera è uniforme al testo, ma il Gregorio crede che dopo il chi manchi il verbo, forse il timia, dice il Di Giovanni.

60 Spagni, spagnari (aver paura) è usato tuttora in varie parti di Sicilia, p. e. in Catania, Acireale ecc. In siciliano abbiamo anche appagnari in senso di rimpaurire, ma è usato più per l'ombrare delle bestie che per l'impaurire degli uomini.

61 Autoritati, virilitati: pare vi manchi un et per distinguere l'autorità della Chiesa dalla sua vigoria, virilitati.

62 Dapnu per danno.

63 I conti di Monforte e di Brenna seguivano re Carlo, consiglieri ed armigeri ad un tempo.

64 Nel testo è detto: Si liuau lucõti di edissi. L'amanuense omise la parola che dovea seguire dopo il di. Nel ms. del Carrera dopo il di fu lasciato uno spazio vuoto; il Gregorio lo riempi colla parola Bretagna, secondo la lezione del Malaspini, o conte di Brenna diremmo noi, imperocchè, come poc'anzi fu cennato, i conti di Monforte e di Brenna seguivano Carlo. Il primo si levau per maravigliarisi contro l'ardimento dell'Aragonese: il secondo prese la parola per consigliare di scrivergli, che avea fatto grandi fauzia et tradimentu.

65 Carlu pri lagracia dideu. I titoli di re Carlo sono noti: merita tuttavia di essere rischiarato quello di Fulcalorio e quello di principe di Capua sino a Piedimonte.

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