Manuale teorico-pratico per la coltivazione della vigna latina/Ai viticoltori

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Ai viticoltori

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AI VITICOLTORI




Gli antichi Romani, come asseriva l’economista De-Blasis, dotati di molta esperienza pratica in fatto di agricoltura, predilessero la coltivazione delle viti basse, e la diffusero non solo in Italia, ma in molti altri paesi conquistati, sicchè vi ritenne e vi ritiene tuttora il nome di Vigna latina.

Sventuratamente nelle nostre contrade, in tempi poco civili e rischiarati, venne trascurata una coltura tanto pregevole, e l’Italia, che nella coltivazione delle viti fu un tempo maestra della Francia, Spagna e Germania, per aver deviato dai buoni metodi, che ad altri aveva insegnato, discreditò i suoi vini, un tempo così famosi, e dovette cederne il primato agli stranieri.

Ma ciò da che nacque?

Perchè essi conservarono con lodevole costanza quei precetti, e perchè con civile virtù presso loro ferve sempre un movimento economico progressivo nella coltivazione delle viti e confezione del vino, essendo ovunque scuole, accademie, stabilimenti e congressi esclusivamente dedicati alle viti ed al vino. [p. 6 modifica]

E noi che abbiamo sempre in bocca il nostro cielo ed il nostro sole, che cosa facciamo?

Per un fanatico empirismo, che costituisce la negazione del razionale scientifico nell’agricoltura, teniamo in fertili ed ubertosi terreni le viti camuffate sotto un ombrello arboreo, a dispetto anche del Divino Poeta, che ci lasciò questi mirabilissimi versi:

E ciò lo facciamo con alberi simmetricamente disposti in terreni destinati alla coltivazione dei cereali, i quali sentono gli effetti di ciò che viene usurpato a lor danno dall’intrusa pianta, sia sulla forza vegetativa del suolo, sia sull’avvivatrice potenza dei raggi solari, senza contare non pochi danni che inevitabilmente quelle coltivazioni ricevono dalla stessa mano degli agricoltori, i quali nell’accedere alle viti non possono dispensarsi dal manomettere il campo ove sono coltivati i cereali.

Inoltre, coll’accoppiamento della vite ad un’altra pianta, noi mescoliamo le radici e confondiamo i rami di due piante diverse, con ispecial nocumento della prima, a cui vien meno l’alimento, la luce ed il sole, mezzi efficaci alla sua prosperità.

Che se attenendoci, non alla moda, come molti credono, ma agli ammaestramenti dei nostri antichi padri, ci porteremo in colline, ove quasi ovunque, ma specialmente in quelle del Sub-Appennino dell’Italia Centrale, costituite da terreni terziari emersi, vi predomina il principio calcare-argilloso-marnoso più o meno sparso di sassi, o ciottoli, potremo avere squisitissimi vini. [p. 7 modifica]

Con questo otterremo anche un considerevolissimo vantaggio economico, inquantochè in quei terreni, ordinariamente sterilissimi, riesce improficua la coltivazione dei cereali, non rendendo la spesa e la fatica che vi si impiega. Di più, la vigna ha il vantaggio di maturare sollecitamente l’uva, essendo provato che mentre quella elevata un piede da terra è matura, è ancor verde ed acerba quella posta un metro e mezzo più alta nella medesima vite. L’illustre prof. Ottavi citava a questo proposito un fatto luminosissimo, narrando nelle conferenze di Alessandria, come l’uva sulle viti basse del Monferrato maturi ai primi di settembre, quando invece quella posta sulle alte viti a Napoli non giunge a maturazione che alla metà di ottobre, non ostante la differenza che passa fra il calore del sole di Napoli e quello di Piemonte.

Finalmente la vigna dà il frutto dopo quattro anni, mentre per la coltura delle viti accoppiate agli alberi vi occorre lunghissimo tempo, per cui oltre a preferenza un pronto guiderdone alle fatiche, ed un compenso alle spese sostenute pel suo impianto.

Fermo in questa idea, volli studiare la coltivazione delle vigne. Mi provvidi di quanti trattati teorico-pratici sentii lodare a questo scopo pubblicati, li lessi tutti, e tutti più o meno mi parvero buoni; ma, me la perdonino gli altri, buonissimo fra tutti mi sembrarono i Ricordi di Nane Castaldo. Ivi però l’illustre autore cavaliere Giambattista nobile dottor Bellati, con le erudizioni copiose sulla materia, le estese spiegazioni e ragionamenti sui precetti dati, le diverse maniere che vi s’insegnano per coltivare le viti, e mille e mille altre belle e [p. 8 modifica]bellissime cose, ha reso alcun poco voluminoso lo scritto per la corta erudizione dell’uomo di campagna, il quale sovente non ha nè tempo nè volontà di preferire lo studio ai lavori campestri. E mi faccio ardito pronunciare questo giudizio, perchè mi sembra che lo stesso autore lo confessi quando di tratto in tratto vede la necessità di riepilogare le sue idee per dedurne dei brevi ricordi.

Se non potrà destare un nobile sentimento di orgoglio in quel chiaro scrittore la predilezione che sente per lui un oscuro ed inesperto viticoltore quale io mi ritengo, voglio però lusingarmi che dal suo animo generoso troverò indulgenza e perdono, se parlando delle vigne latine colle modificazioni introdottevi dalla scienza e dall’esperienza, non solo prendo senza riguardo come miei i suoi precetti e le sue idee, ma perfino ne usurpo il dettato.

Ed altra scusa non trovo al mio ardire che, avendovi ravvisata tanta chiarezza e laconismo di linguaggio, non avrei potuto trovar parole più adatte per vestire con altrettanta chiarezza quelle istesse idee e quegli stessi precetti.

Con la presente pubblicazione io non intendo fare che un breve e facile Manuale teorico-pratico per la coltivazione delle vigne, avente ciascuna un unico tipo per un’unica disposizione e sistemazione, adatte alle nostre colline, ed a quelle alle quali possono convenire per omogeneità di terreno, giacitura e clima.

Il Manuale ho cercato di adattarlo alla portata di tutte le intelligenze, usando semplici aforismi in luogo di lunghe argomentazioni, riconoscendo per esperienza che non sono gli accademici ed i cattedratici, i quali possono [p. 9 modifica]facilmente riuscire a promuovere innovazioni in campagna, ma solo coloro che sorvegliano i propri possedimenti, o incaricati da altri, attendono a quelle faccende.

Quindi non può darsi a costoro un libro che richieda lungo studio per apprendere quelle regole e precetti che debbono mettere poi in pratica.

Essi vogliono regole e pochi ragionamenti, o meglio un piccolo manuale, e non un volume.

Il sistema di coltivazione che vi propongo, è il razionale semplice, il quale consiste nel tenere le viti basse sostenute da canne e raccomandate ad un filo di ferro, e per i terreni molto sterili e scoscesi, a ceppaia, rette da un semplice palo, o dal proprio stelo quando fossero adulte.

Prima però che incominci, già sento ripetere: — A che pro far tutto questo se del vino ne abbiamo tanto che siamo costretti venderlo a prezzo vilissimo?

Ma, di grazia, quale è il vino che avete? Sì, ne avrete del vino, ed anche molto, ma confezionato con uve molteplici, non costituenti un tipo unico, senza gusto aggradevole, e sopratutto acerbo per mancanza di maturazione, per cui è difficile che si conservi oltre un anno.

E pretendereste forse far del commercio con questa specie di vini?

Ma voi stessi, o proprietari, per l’uso della vostra famiglia, non ne fate forse a parte una piccola quantità con le migliori uve che avete?

E con tutto questo, non riconoscete che il vino che vendete è di tale qualità che non trova consumatori che nelle osterie frequentate unicamente da braccianti ed operai? [p. 10 modifica]

Fate adunque le vigne in collina, in isterili ed adatti terreni libere dall’ombra di altre piante, confortate dai raggi del sole e dal riflesso benefico del suolo, se volete che le uve si maturino presto scegliendo le migliori qualità, con un unico tipo, e vedrete che nascerà subito, anche in voi, come altrove, il desiderio, anzi la necessità di confezionare con buone regole e precetti vini sceltissimi, da poter vincere la concorrenza di quelli di altri paesi, e che potrete porre in commercio, raddoppiando e triplicando ancora il prodotto dei vostri terreni.


Pergola (Marche), 26 ottobre 1876.

ASCANIO GINEVRI BLASI.



NOTA. — Mentre si redigeva il presente Manuale, fu dato all’autore esaminare nel Fanfulla i dati statistici della produzione del vino, dal medesimo dedotti dalla Relazione ufficiale del Ministero. La produzione media del vino del quinquennio ascende ad ettolitri 27,136,534. Le provincie che ne danno più sono: Palermo, Alessandria, Firenze, Trapani, Teramo, Torino, Bari, Catania e Venezia. Quelle che ne danno meno sono: Grosseto, Sondrio, Belluno. Se ne coltiva in Italia ettari 1,870,109. Si ha quindi la media per ettari di ettolitri 14,51. Per rapporto alla quantità della produzione, l’Italia sta al disotto della Francia, Austria-Ungheria e Spagna, e sta dietro ed anche a grandissima distanza nel rapporto del prodotto medio per ettari.

È male che il Ministero non abbia tenuto conto distinto del modo diverso in cui in Italia si coltivano le viti, poiché, come in genere si comprende, si sarebbe provato anche, con l’eloquente linguaggio delle cifre, che là dove fu conservato l'uso inveterato di tener basse le viti, come in Sicilia e nelle provincie meridionali, e dove con ammirabile attività è stato recentemente adottato un tal sistema, come in Piemonte, si ha il massimo prodotto, mentre negletto e vile è il raccolto, e pessima in generale è la qualità del vino ove si tiene la vite accoppiata ad altra pianta.