Meditazioni sulla economia politica con annotazioni/XIII

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Del valore del denaro, e influenza che ha sull'industria

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Del valore del denaro, e influenza che ha sull'industria
XII XIV
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§. XIII.

Del valore del danaro e influenza che ha sulla industria.


A
Bbiamo osservato, come il prezzo delle merci è in ragione diretta de’ compratori, e inversa de’ venditori. Osserviamo presentemente, come debba misurarsi il prezzo del denaro. Se il Commercio altro non è che la permutazione d’una

[p. 89 modifica]cosa con l’altra; e se l’abbondanza delle ricerche, e la scarsezza delle offerte formano il prezzo, ne verrà in conseguenza che il prezzo della merce universale sarà in ragione inversa de’ compratori, e diretta de’ venditori; conseguenza che scaturisce immediatamente dai principj e dalle definizioni che si son date, onde quanto più compratori vi saranno di ogni merce particolare, tanto meno avrà prezzo il denaro; e quanto più venditori si troveranno di merci particolari, tanto più il denaro sarà apprezzato. L’abbondanza adunque della merce universale esclude direttamente l’abbondanza di tutte le merci particolari; e quanto è da temersi la penuria delle merci particolari in uno Stato, altrettanto lo è la troppa abbondanza della merce universale.

La troppa abbondanza della merce universale non si misurerà dalla quantità nè assoluta, nè circolante di essa; ma bensì allora soltanto che il numero de’ compratori avrà a fare con uno scarso numero di venditori potrà dirsi, che siavi questa nociva abbondanza. Egli è in natura, che i venditori si moltiplicano a misura che i compratori crescono in numero. Da ciò ne [p. 90 modifica]segue che in questa esuberanza di merce universale diverrà sensibile allora quando entri tutta in grossi sfoghi nello Stato, e non dia tempo gradatamente all’industria di accorrere e moltiplicare i venditori. Il denaro che insensibilmente si va accrescendo in uno Stato, è come la rugiada che rinvigorisce e rianima tutta la vegetazione; egli è un torrente impetuoso che schianta, intorbida, insterilisce, se entra nello Stato ammassato in tesori.

Si è osservato sin dal principio che non potrebbe darsi un commercio vivo, ed esteso, se non si fosse inventata la merce universale, e che il commercio avesse dovuto consistere in permutazione di cose consumabili. Uno Stato adunque, in cui scarseggi talmente la moneta, che ne manchi per l’interna circolazione, dovrà accostarsi alla vita selvaggia, e restringendo i contratti al puro bisogno, a misura che la merce universale è poco diffusa, ne accaderà, che fra uomo e uomo la contrattazione si riduca e restringa al minor grado, e proporzionatamente si diminuirà la riproduzione annua, e la nazione povera, isolata, e languente ripiegherà verso gli antichi suoi principj, allontanandosi dallo stato della coltura.

[p. 91 modifica]Per la ragione medesima quella nazione, in cui l’instancabile industria, e un florido Commercio gradatamente fanno accrescere la quantità della merce universale, questa sarà un nuovo sprone all’industria, accrescerà il numero de’ contratti, diventerà sempre più rapida la interna circolazione, farà conoscer nuovi comodi della vita, e nuovi agj, raffinerà le arti, le manifatture, inventerà i metodi per renderle più perfette, e fabbricarle con maggiore celerità, tutto spirerà coltura, fortuna, e vita.

Perciò conviene distinguere due casi assai diversi. L’accrescimento della massa del denaro farà questi benefici effetti, se una nazione lo acquisterà per il moto della industria; che se l’acquisterà tranquillamente, o per miniere abbondanti, o per opinioni che sforzi le altre nazioni a tributarle la merce universale, questa, in vece di animare l’industria, addormenterà gli uomini in un profondo letargo. La ricchezza entrando nello Stato per questa strada, caderà nelle mani di pochi, e quelli pochi rigurgitanti di denaro si abbandoneranno a un eccessivo lusso, e disdegnando le produzioni nazionali imperfette e grossolane, attesa l’universale povertà, si getteranno a [p. 92 modifica]consumare e dissipare in manifatture e prodotti esteri la loro ricchezza. Questa fatale ricchezza sarà per quel popolo un lampo, che dall’alto balenerà sul capo della moltitudine, e la renderà sempre più rannicchiata ed avvilita: la merce universale passerà alle nazioni estere attive, senza che le mani del popolo la tocchino, e l’unica picciolissima parte, che potrà averne la nazione, sarà ne’ salarj, che riceveranno alcuni Cittadini inerti. La pompa d’alcuni pochi contrastando colla universale miseria sarà lo spettacolo che offrirà dovunque il denaro accresciuto senza una nazionale industria.

È vero che considerando immobili le due quantità, merce universale, e merci particolari, quanto più s’accresce la quantità da una parte, tanto più deve di quella cedersene in cambio dell’altra; cioè, quanto più accresce la quantità del denaro, tanto più dovrebbe diventar cara ogni cosa, se le cose vendibili e il denaro restassero immobili. L’averne dimenticato il moto fu cagione, che taluno scrittore, altronde esatto pensatore, abbia equivocato. Quanto più vendite fa il venditore, tanto si contenta di profittare meno per ogni vendita, e [p. 93 modifica]quanto più denaro circola in uno Stato, tanto s’accrescono in conseguenza le vendite. Da ciò ne deriva, che il prezzo delle merci particolari col denaro acquistato per il moto della riproduzione annua non s’innalzerà, ma anzi si ridurrà al minimo grado possibile. Regola generale: dovunque è in fiore il commercio, ivi son minimi i vantaggi del commerciante, presa ogni merce separatamente; e dovunque torpisce l’industria, grandiosi sono i guadagni del commerciante.

La perfezione delle macchine e degl’istrumenti è ridotta presso una nazione arricchita coll’industria a un segno tale, che l’operajo travaglierà in un giorno quella manifattura, che in uno Stato meno industrioso si farebbe in più giorni; e queste sono le risorse che ha un paese arricchito coll’industria; risorse, delle quali manca uno Stato spontaneamente arricchito dalla terra, non coll’accrescimento dell’annua riproduzione frutto dell’industria, ma col fatal dono della merce universale; perchè il primo avrà cresciuto il numero de’ venditori col crescere la ricchezza; il secondo avrà cresciuto il numero de’ compratori, i quali avranno avuto ricorso ai venditori esteri, [p. 94 modifica]come si è detto, incautamente trascurando i nazionali le ricchezze fisiche a fronte di quelle che sono ricchezze di convenzione.

Si osservi, che la ricchezza d’una nazione non si misura tanto per l’assoluta quantità de’ beni che possede, quanto per la proporzione che passa fra di essa e le nazioni che l’attorniano, e commerciano con lei. La ricchezza acquistata adunque colle miniere farà la metà meno effetto nella ricchezza nazionale, di quello che farebbe una egual somma venuta per il Commercio, essendo che quest’ultima sarebbe una quantità accresciuta alla nazione, e diminuita ad un altro Stato, lo che importa doppia quantità nella proporzione fra gli due Stati.

Annotazioni.

Abbiamo osservato. In fatti cominciando dal §. IV. in seguito: poi nel X. e nell’XI. s’è dall’Autore stabilito come principio inconcusso, che il prezzo delle merci è in ragione diretta de’ Compratori, e inversa de’ Venditori, e che però l’abbondanza si assicura, allorchè si diminuiscono i primi, e si accrescono i secondi. Ora in questo §. dice: Egli è in natura, che i Venditori si moltiplicano a misura che i Compratori crescono in [p. 95 modifica]numero: dunque diminuendosi i Compratori si diminuiranno anche i Venditori; dunque o vi sarà contraddizione in termini, oppure per tali ragioni il prezzo starà sempre in equilibrio; o provenirà da altre cagioni, e non da coteste unicamente, come si sforza l’Autore di farci credere.

Ci può esser moneta senza Compratori; ma non ci saranno mai Compratori senza moneta: nè ci saranno Venditori, se non ci sarà roba da vendere. Dunque la quantità assoluta della moneta costituirà il maggiore, o minore prezzo de’ generi: dunque la maggiore abbondanza di moneta produrrà maggiori ricerche di generi, e per conseguenza quanto il pregio dell’oro, e dell’argento si diminuirà da una parte, altrettanto s’alzerà il prezzo de’ generi suddetti dall’altra. Questa è stata una verità conosciuta in tutti i tempi; ma la semplicità, con cui è stata esposta, non fu di genio di questo Autore. Paragonato questo principio con tutto il ragionamento fatto in questo paragrafo, si ritroverà, che i principj non si accordano nè fra di essi, nè fra le conseguenze. È necessario aver presente questa osservazione per le cose che verranno dopo.

Si è osservato ec. Questo però non è vero: Quanto più è abbondante il denaro, e quanto è maggiore il moto di esso in una Nazione, tanto più vendite fa il venditore, tanto si contenta di approfittar meno per ogni vendita, onde il prezzo delle merci si ridurrà al minimo grado possibile? [p. 96 modifica]Dunque dovrà dirsi, che dove il prezzo de’ generi è al minimo grado possibile, ivi sarà maggior copia di denaro, o maggiore circolazione: e che in Polonia, in Ungheria ec. ci sarà più denaro, e più commercio, che in Inghilterra, e in Ollanda. Il Globo terraqueo non è un Mercato, dove da una parte siano immobilmente schierati i Venditori, e dall’altra i Compratori, come sembra aver ideato l’Autore. Una riflessione sola sopra la successione de’ contratti, delle cose contrattabili, de’ Contraenti, che a vicenda ora sono Compratori, ed ora Venditori, de’ luoghi, de’ tempi, de’ modi, delle distanze, basta per far conoscere l’equivoco. Se vi avesse però l’Autore aggiunto un pensiere sopra la cosa che si vende, avrebbe veduto, che per calcolare bene, e ridursi alla sua equazione, conveniva dimostrare, che in proporzione dell’abbondanza e circolazione del denaro cresce la massa totale de’ Generi, e delle Merci; e poi ancora che nell’abbondanza del denaro e circolazione di esso, accrescendosi la Popolazione, debba ne’ Venditori aumentarsi il bisogno, e la stima del denaro, e diminuirsi poi, allorchè questi Venditori diventano Compratori, il che era impossibile di dimostrarsi. Dunque ec.