Melmoth o l'uomo errante/Volume III/Capitolo II

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Volume III - Capitolo II

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
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CAPITOLO II.


«Parlavano ancora, quando udirono picchiare alla porta leggermente, come la beneficenza picchia alla porta della calamità. Everardo si alzò per aprire. Fermate, gli disse Walberg con un’aria distratta; e non ci sono i servitori? Poscia rammemorandosi ad un tratto della sua nuova posizione, sorrise dolorosamente e fece segno al figlio di andare. Era il buon ecclesiastico, il quale entrò, e si assise in silenzio. Nessuno [p. 30 modifica]gli diretta la parola. Egli finalmente cominciò dal lamentarsi dell’aria fresca e piccante della mattina, e dell’effetto, che essa aveva fatto sugli occhi suoi, che si andava rasciugando; ma quindi non potendo più contenere la sua emozione, non la tenne più nascosta e sfogò intieramente il suo pianto. Le lagrime però non erano la sola cosa che era venuto ad offrire. Avendo inteso il progetto di Walberg e della sua famiglia, promise con voce tremante di secondarlo; quindi essendosi levato per partire; conciosiachè alcuni fedeli gli avessero confidata una somma per soccorrere gli indigenti, credette di non poterla meglio impiegare, e la diede nascostamente ad Everardo e partì.

«All’avvicinarsi del giorno tutta la famiglia si ritirò per riposare; ma dopo alcune ore si levò senza aver potuto dormire. Il rimanente di quella giornata e le tre seguenti furono impiegate nel picchiare per così dire a tutte le porte, onde trovare di che occuparsi; l’ecclesiastico li [p. 31 modifica]accompagnava dappertutto. Ma molte circostanze erano sfavorevoli alla famiglia di Walberg. I suoi membri erano forestieri, e ad eccezione della madre, che serviva d’interprete, parlavano poco la lingua del paese, che non avevano avuto il tempo di apprendere, e senza la quale era difficile offrirsi per dare delle lezioni. Oltre di che essi erano eretici, e ciò bastava per toglier loro ogni speranza in Siviglia. In qualche casa era riguardata come un grave inconveniente la bellezza delle figlie; in tal’altra la bellezza del figlio non formava una difficoltà meno insormontabile. Vi fu taluno, cui la rimembranza della loro passata ricchezza ispirò il vile e perfido desiderio di menar trionfo della loro attuale disgrazia. Ogni volta che rientravano in casa calcolavano di nuovo i loro deboli mezzi, rimpicciolivano sempre più le scarse porzioni del loro vitto, si sforzavano di sorridire fra di loro parlando dell’indomani, e ciascuno segretamente piangeva dipoi riflettendo sull’avvenire. Finalmente [p. 32 modifica]arrivò il giorno, in cui fu spesa l’ultima moneta, che avevano; consumato l’ultimo pasto; perduta l’ultima speranza; ed il buon ecclesiastico stesso si trovò costretto a dire di non aver altro da offrir loro, che le sue preghiere.

«Nel corso di quella serata se ne erano stati tutti assisi ed in silenzio pel giro di alquante ore, quando finalmente la vecchia madre di Walberg, la quale da parecchi mesi non aveva pronunziate, che delle monosillabe senza connessione, nè aveva posta alcuna attenzione a quanto era seguito in famiglia, ad un tratto volgendosi verso suo marito con quella fatale energia che annunzia gli ultimi sforzi della natura, e con quel momentaneo sfavillare, che precede l’estinzione del lume vitale, esclamò: oh! qui le cose non vanno molto bene! E perchè ei hanno forzato a venire dalla Germania? Avrebbero fatto meglio a lasciarci ivi morire. Ci hanno, credo, fatto venire per farsi scherno e beffe di noi. Ieri, aggiunse confondendo le date, ieri, mi hanno [p. 33 modifica]vestita di seta, e mi hanno fatto bere del vino; oggi non mi hanno dato, che questo tozzo di pane (e gettò il pane che aveva formato il suo pasto). Le cose qui non vanno molto bene. Voglio ritornare in Germania; lo voglio! Dicendo queste parole si alzò dalla sua seggiola con grande maraviglia de’ suoi, i quali compresi da orrore non osavano indirizzarle parola. Voglio ritornare in Alemagna soggiunse ella, e fece effettivamente due o tre passi per la camera. Tutti si tenevano lontani da lei in un rispettoso silenzio; ben presto le sue forze fisiche e morali sembrarono mancarle; traballò; la sua voce indebolita non fece che mormorare le parole seguenti: il cammino lo so.... se non facesse tanto buio.... non avrò molto da camminare.... sono vicinissima alla.... casa mia. A queste estreme parole cadde avanti ai piedi di Walberg. La famiglia riunita intorno a lei la sollevò... ella era priva di vita. Walberg con le sue proprie mani le scavò la fossa in un piccolo recinto, che era dietro la [p. 34 modifica]loro dimora, ed il cadavere vi fu collocato da Ines e dalle sue figlie. Everardo non era presente a quella lugubre cerimonia, essendo uscito per cercare del lavoro, ed il più giovane de’ figli teneva una lucerna e sorrideva contemplando quella scena, della quale comprender non poteva tutto l’orrore. Il vecchio padre di Walberg annoiato, per essere rimasto solo, ed ignorandone la causa, a forza di brancolare, e traballare arrivò alla fine al luogo fatale, e quando vide il figlio gettare la terra sul sepolcro della sua amata compagna, una debole rimembranza si offrì alla di lui memoria, e cadendo in terra esclamò riponete qui dentro anco me; la stessa fussa servirà per ambedue. Fu rialzato ricondotto dentro l’abitazione; ove l’aspetto di Everardo, apportatore di alcune provvisioni, fece loro obbliare la scena seguita e rimandare all’indomani il timore di mancare del necessario.

«Indarno cercarono però di sapere di quali mezzi avesse fatto uso Everardo per procurarsi ciò che aveva [p. 35 modifica]recato; egli si contentò di rispondere, esser dono di una persona caritatevole; ma esso era molto pallido e spossato di forze. Cessarono di forzarlo a parlare, si distribuirono le portate provvisioni e si separarono per andare a riposare.

«In tutto il tempo che durò il loro, fatale infortunio Ines istigava costantemente le figlie ad applicarsi al lavoro ed allo studio di quelle arti piacevoli, donde sperava ritrarre la sussistenza per la famiglia. Per quanto grandi fossero le privazioni e gli stenti della giornata, il loro esercizio nella musica non era mai stato negletto. Ma il giorno, che seguì l’interramento parve che Ines non potesse sopportare codesto suono; entrò nella camera delle figlie, le quali secondo il loro costume si rivolgevano verso di lei per riscuoterne de’ segni di approvazione; e con un sorriso forzato disse loro, che non credeva fosse necessario, che studiassero più a lungo in quella mattina. Le giovanette, che troppo bene compresero il significato delle parole della [p. 36 modifica]genitrice, abbandonarono i loro strumenti; ed accostumate a veder convertire tutti i mobili, uno presso l’altro, in mezzi di sussistenza precaria, si dissero fra loro, che le loro chitarre sarebbero vendute in quel giorno, ma si lusingarono con la speranza, ch’indomani avrebbero date delle lezioni su quelle delle loro scolare.

«Quel giorno fu uno de’ più terribili, ed in esso si manifestarono dei contrassegni di un intiero scoraggiamento in tutta la famiglia di Walberg. Egli avea sempre dimostrato il più grande rispetto a’ suoi genitori, specialmente a suo padre, che era di essi il più avanzato in età. In quel giorno però quando si trattò di dividere la loro meschina porzione, mangiando il vecchio con una straordinaria avidità, Walberg disse all’orecchio di sua moglie: Guardate con qual voracità mangia mio padre! come si nudrisce di buon cuore quando noi viviamo di privazioni! — E meglio che restiamo privi noi piuttosto che egli, risposegli Ines a bassa voce; ancor io ho mangiato ben poco in [p. 37 modifica]quest’oggi. — Mio padre! mio padre! grido Walberg all’orecchio del vecchio, voi, mangiate tranquillamente, intanto che mia moglie muore di fame. Dicendo queste parole tolse il pane di mano del padre, che sulle prime lasciò fare; quindi alzandosi con una forza spaventosa e convulsiva glielo ritolse, e si mise a fare una risata scherzevole e maliziosa, quasi fosse stato un bambino. In mezzo a questa scena si presenta Everardo, e che fate voi? esclama; contrastate per la vostra cena, intanto che io vi reco una provvisione sufficiente per dimani e diman l’altro? Di fatti getto del denaro sulla tavola; ma alle sorelle parve di rimarcare, lui esser più pallido delle giornate antecedenti. S’impossessarono nondimeno del tesoro senza dimandargli novelle della sua salute.

«Da non molto tempo erano rimasti senza domestici affatto; ed Everardo disparendo misteriosamente tutti i giorni, le sue sorelle erano obbligate sovente a fare le commissioni della casa. La bellezza della prima [p. 38 modifica](Giulia) era sì rimarchevele, che la madre aveva presa l’abitudine di sortire ella stessa, piuttosto che mandare la figlia ad aggirarsi sola per lestrade. In quella sera però essendo essa stata obbligata di rimanere in casa per un lavoro urgente aveva detto a Giulia di andare a prendere il necessario per l’indomani, e le imprestò il suo velo insegnandole la maniera di adattarselo alla Spagnuola, onde nascondere intieramente il suo volto. Giulia incaricossi tremando della data commissione, ed uscì; ma il di lei velo essendosi casualmente disordinato; un cavaliere vide le di lei fattezze e ne rimase incantato. L’umile vestire, e l’andar così sola a fare le sue faccende gli ispirarono una speranza, che si permise di esprimere. Giulia si allontanò rapidamente, presa da spavento e da indegnazione per l’insulto che aveva ricevuto. Non potè però a meno di fissare gli occhi con una avidità, di cui non sapeva rendersi ragione, sull’oro che brillava nelle mani del cavaliere. Le si affacciò alla mente il [p. 39 modifica]pensiero de’ suoi genitori ridotti alla miseria, la perdita delle sue proprie forze, i suoi talenti trascurati e renduti inutili; pensava altresì all’oro che aveva veduto e non sapeva rendersi conto di ciò che sentiva; ma rientrando in casa, quantunque fino a quel momento fosse stata sempre sommessa, dichiarò con un tuono inusitato, che ella avrebbe prescelto di morire di fame, che percorrer di nuovo sola le vie Siviglia.

«Ines nel mettersi a letto intese un piccol gemito, che sembrava uscire della camera, ove Everardo dormiva con suo fratello Maurizio, essendo stata obbligata la madre a vendere uno de’ due letti ed anco una porzione delle coperture del secondo. I gemiti andavan crescendo, ma Ines non osava risvegliare Walberg, che dormiva di un sonno profondo, sola consolazione degl’infelici. Ad un tratto vede aprirsi le cortine del letto, e comparirsi davanti un fanciullo tutto ricoperto di sangue, che gridava. Questo sangue è di Everardo! Esso muore! Madre, madre mia! levatevi [p. 40 modifica]e salvate la vita di Everardo! Da principio ad Ines pareva di sognare, ma ben tosto riconoscendo esser questa la voce di Maurizio, quello, cui senza saperne render ragione, portava maggiore affetto, discese dal letto e si portò alla camera di Everardo. In mezzo al suo terrore ed alle sue angosce ebbe ciò non ostante bastante presenza di spirito per camminare con passo leggiero, per timore di risvegliare il suo sposo. Entrata nella camera le si offrì il più terribile spettacolo. Everardo era disteso sul letto, dal quale per effetto dello spasimo aveva rimosse le poche coperte, che rimanevano, ed il raggio della luna cadendo sulle di lui membra alabastrine, lo facevano rassembrare una statua di marmo. Teneva le braccia posate al disopra del capo e dalle loro vene aperte colavano due rivi di sangue. I suoi biondi e ricciuti capelli ne erano intristi; di color violaceo aveva ricoperte le labbra, ed i gemiti si facean sentire sempre più flebili ed affannosi. Cotesto commovente spettacolo bandì da Ines ogni altro [p. 41 modifica]pensiero, e si mise a chiamare ad alta voce Walberg; questi mezzo desto accorse, ed Ines non potè, che con un gesto accennargli l’oggetto, in cui voleva che fissasse l’attenzione. L’infelice padre corse in fretta a chiamare un medico. Indarno picchiò a diverse porte, perchè non aveva denaro da dare. Finalmente un chirurgo barbiere (poichè a Siviglia queste due professioni sono riunite) acconsentì a seguirlo. La distanza non era grande, e si trovò ben presto al letto del giovanetto infermo. I genitori osservavano spaventati i languidi sguardi, che Everardo volgeva verso il chirurgo quando gli si avvicinò; questi sguardi indicavano, che fra essi vi era della intelligenza. Diffatti allorchè il sangue fu stagnato, il chirurgo ed il paziente si scambiarono qualche parola a voce bassa. Everardo ponendosi sulle labbra la livida e fredda mano gli disse: rammentatevi del nostro trattato! Quando il chirurgo si dispose per partire, Walberg gli dimandò la spiegazione di queste parole. Walberg era Alemanno e [p. 42 modifica]vivace; il chirurgo Spagnuolo e freddo. Ve lo dirò dimani, signore, gli rispose; intanto siate certo, che curerò gratuitamente vostro figlio, e vi rispondo della sua guarigione. Voi siete eretici agli occhi nostri, ma questo giovanetto basterebbe per canonizzare una famiglia intiera. Dicendo queste parole partì.

L’indomani ritornò a visitare Everardo, e così proseguì finchè esso non fu intieramente ristabilito, ricusando sempre la più piccola rimunerazione. Alla fine il padre, cui la miseria avea renduto diffidente e sospettoso si pose alla porta ad ascoltare, e scoperse l’orribile segreto; non ne fece parola neppure alla moglie, ma da quell’istante la sua tristezza divenne sempre più profonda, e cessò intieramente di parlare colla famiglia del loro stato infelice e de’ mezzi di ripararvi.

«Everardo era perfettamente ristabilito. Si riunirono secondo il consueto per tener consiglio su’ mezzi di sussistenza per la prima volta dell’assenza del padre di famiglia, ed a [p. 43 modifica]ciascuna parola, che dicevano si rivolgevano dalla parte, ove era egli solito di stare, ma esso non v’era. Alla fine comparve, ma non prese alcuna parte alla loro conversazione; si appoggiò mestamente contro la parete, ed intanto che Everardo e Giulia ad ogni frase, che pronunziavano, rivolgevano gli sguardi supplichevoli verso di lui, egli si voltava da un’altra parte. Ines fingeva di lavorare, ma la sua mano tremante non era capace di tener l’ago: fece segno ai figli di non fare attenzione alla condotta del padre. Essi abbassarono la voce e si accostarono maggiormente per poter favellare.