Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri/VI

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Della puerizia di Dante, e de' suoi primi studj

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V VII
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§. VI.

Della puerizia di Dante, e de’ suoi primi studj.

La prima età di Dante si rende assai memorabile a cagione di essersi in essa invaghito di colei, per cui uscì dalla volgare schiera1 dei rimatori del suo secolo. Io intendo parlare di Beatrice Portinari, dall’amor della quale come restasse tenacemente legato il nostro Dante, dietro il Boccaccio in tal forma lo raccontano quasi tutti gli scrittori della di lui vita. Era usanza vecchia in Firenze, che si solennizzassero con feste e conviti fra’ vicini e congiunti con i primi del mese di maggio, quasi per far mostra del giubbilo, che inspira il dolce aspetto della nuova ridente stagione2. Folco Portinari cittadino di molta reputazione, e dotato di ampie facoltà aveva radunato nella propria casa gli amici suoi, e fra questi Allighiero Allighieri3 per solennizzare il primo giorno di detto mese. Ad una tal festa vi fu condotto dal padre, Dante, benchè non avesse ancor terminato il nono anno dell’età sua; e [p. 64 modifica]questo sul finir del convito, essendosi con gli altri fanciulli suoi coetanei ritirato in disparte a trastullarsi, s’imbattè a prender dimestichezza con una piccola figliuola4 del detto Folco, la quale oltre ad esser bellissima, era «assai leggiadretta secondo l’usanza fanciullesca, e ne’ suoi atti gentile, e piacevole molto, con costumi, e con parole assai più gravi, e modeste, che il suo piccolo tempo non richiedeva»5. Il nome di questa fanciullina era Bice sincope di Beatrice così nominata di fatti dal Poeta nei suoi scritti; e, o fosse la conformità dei sentimenti, o quel simpatico genio, che senza nostro volere ci porta ad amar piuttosto l’una cosa, che l’altra; accadde che in quel momento restò di essa talmente innamorato Dante, che da indi innanzi si sentì strascinato a far tutto quello, che la nascente passione gli suggeriva6. Un tal racconto non è per altro a mio parere conforme a quanto di se medesimo ha lasciato scritto Dante, e forse il Boccaccio lo ha finto a suo capriccio per abbellire, secondo il suo costume, la verità sostanziale del fatto, di cui mi riserbo a parlare nel seguente paragrafo. Nella sua puerizia perdè Dante il genitore; nientedimeno essendo restato padrone di un comodo patrimonio7 ebbe campo, mercè l’attenta cura di coloro ai quali incumbeva il carico della sua educazione, di esercitarsi nelle arti liberali, e di apprendere gli elementi delle umane lettere. In Toscana mai si perdè affatto il sapere8, quantunque le infinite rivoluzioni, alle quali fu dopo la rovina dell’Impero Romano soggetto [p. 65 modifica]questo paese, avessero quivi, come altrove ricondotta l’ignoranza, e la barbarie dei secoli più remoti. Le invasioni dei barbari, e le continove guerre, che i piccoli signori, e le nascenti Repubbliche per difendersi dagli assalti dei prepotenti, o per allargare i confini del loro territorio si facevano scambievolmente, avevano reso gli uomini più atti al mestiero delle armi, che disposti a coltivare le scienze. Quando per altro venne al mondo il nostro Dante, già i Fiorentini avevano una maggior cognizione dei buoni studj di quello che fosse per lo passato; ed il loro volgare idioma andava prendendo piede, avendo incominciato a scrivere in esso non tanto i prosatori, quanto il Poeta ser Brunetto Latini Segretario della Repubblica Fiorentina, «gran filosofo, e sommo maestro di rettorica, tanto in bene saper dire, quanto in ben dittare»9. Aveva esso a’ suoi concittadini il primo insegnato non solo la maniera di esprimere con ornato di parole le proprie idee, ma di regolare ancora secondo i precetti della politica, gli affari della loro Repubblica10, e questo ebbe pure la gloria di ammaestrare Dante, che senza fallo di gran lunga lo avanzò nel possesso delle scienze le più sublimi, e nelle poetichè facoltà11. Era Brunetto del partito Guelfo, onde nel 1260. dopo la sconfitta di Montaperto, essendo restati superiori [p. 66 modifica]i Ghibellini, ed assoluti padroni del Governo di Firenze, con i suoi lasciò la Patria12, e se ne andò in Francia, ove attese a’ suoi studj13; bisogna per altro dire ch’egli ritornasse di lì a non molto, quando cioè le cose dei Guelfi presero, come si disse, migliore aspetto, acciocchè si possa avverare, che egli insegnasse a Dante; ed in effetto egli era Sindaco del Comune di Firenze con un Manetto di Benincasa nella lega fatta tra Firenze, Genova, e Lucca, a danno de’ Pisani, nel mese di ottobre del 1284.14, ed in Firenze morì l’anno 1294. Il progresso poi che Dante fece negli studj, è una forte riprova della cura, che di lui si prese Brunetto Latini15, al quale per quei tempi nulla mancava di ciò, che bisogna per formare un’allievo16. Non lasciò per altro dalla parte sua il nostro [p. 67 modifica]Dante di applicarsi alle umane lettere, e da se stesso imparò, come di sotto si farà osservare, i primi elementi della poesia. Nella sua giovinezza coltivà ancora le belle arti, e particolarmente il disegno17, onde fu molto amico di Giotto18 e di Oderisi da Gubbio, eccellente miniatore de’ suoi tempi19, ed emulo di Franco da Bologna20, e scriveva perfettamente, siccome ci fa fede Leonardo Aretino, il quale vedde delle sue lettere originali21. Non lasciò di applicare anco alla musica, e non sembra improbabile, che egli avesse per maestro quel Casella, del quale parla nella seconda cantica della Commedia22, e la di cui armoniosa voce lo soleva tanto dilettare, arrivando fino [p. 68 modifica]a porre in calma i tumulti delle sue passioni23. Che in un secolo, nel quale pochissimo si attendeva alla coltura dello spirito, Dante studiasse, oltre alle scienze, le arti ancora di semplice ornamento, fa ben comprendere che i grandi ingegni sormontano tutti gli ostacoli, e che nulla può impedirli dall’innalzarsi a quel segno di grandezza, al quale aspitano i loro desiderj.

Note

  1. Inferno Canto II. verso 105.
  2. Il Villani lib. 8. cap. 8. dice «che ogni anno per le calende di maggio quasi per tutta la Città si facean brigate, e compagnie di uomini e di donne, di sollazzi e balli». Ved. il Discorso di Domenico Manni sopra il costume di cantar Maggio, il qual costume ancora di presente si mantiene principalmente per la campagna ove più che nelle rumorose città durano le antiche usanze.
  3. Gli Allighieri non abitarono molto lontano da’ Portinari come si è detto, poichè questi avevano le loro case, dove è ora il Palazzo già dei Duchi Salviati, ora Ricciardi presso il canto dei Pazzi, nel qual Palazzo furono incorporate le dette case con quelle de’ Conti Guidi, poi de’ Cerchi, come si legge nella storia della BeataFonte/commento: Pagina:Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri.djvu/228 Umiliana de’ Cerchi, scritta dal dotto Francesco Cionacci cap. 3. della part. IV. pag. 385. e 407. edizione di Firenze del 1682. in 4.° anzi Folco suddetto era della cura di Santa Margherita come lo fu Dante, lo che impariamo dal di lui testamento il quale avremo luogo di citare più a basso, ed in cui è descritta con i suoi confini la casa di sua abitazione, e le altre di altri Portinari. Per questa parte adunque, sembra che resti confermato il racconto del Boccaccio.
  4. Il Boccaccio nella vita di Dante, ed altri, dicono che Beatrice aveva forse otto anni; ma Dante stesso nel principio della vita nuova, ci assicura che ella era sul principio del nono anno, ed egli alla fine dello stesso.
  5. Boccaccio loc. cit.
  6. Frase adoperata dallo stesso Dante nella sua vita nuova.
  7. Il Boccaccio scrive che Dante nacque «da assai lieta fortuna: lieta dico secondo la qualità del mondo, che allora correva» e lo conferma Leonardo Aretino.
  8. Vedasi quanto scrive sopra di ciò l’eruditissimo Lami nella parte I. del suo OdeporicoFonte/commento: Pagina:Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri.djvu/228 pag. 229. e seg. ed il dotto canonico Bandini nella Prefazione posta innanzi al tom. I. del suo Specimen literaturae Florentinae saeculi XV.
  9. Così lo chiama Giovanni Villani nel lib. VIII. cap. X. delle sue Storie. Egli era del Sesto di Porta del Duomo.
  10. Villani loc. cit. Tutti i nostri scrittori che parlano di Brunetto non sono parchi di lodi verso di lui, che per i suoi tempi fu certamente uomo di vaglia. Firenze per altro aveva avuto, ed aveva allora altri soggetti di qualche reputazione per il loro sapere, e sino nel 829. era Città di studio, come osserva il suddetto Bandini ove sopra, ritraendolo da un Capitolare di Lottario Imperatore e Re d’Italia pubblicato dal Muratori part. I. tom. II. rerum italicarum scriptorum, e di cui dal Muratori stesso si parla a quest’anno ne’ suoi Annali d’Italia, benchè confessi essere incerto il tempo in cui fu formato il suo Studio.
  11. Dante Cant. XV. dell’Inferno, vers. 82. e seg. ed altrove nel lib. 1. della sua Volgare Eloquenza Cap. XIII. lo riprende di aver male scritto nella lingua volgare, e certo che Dante conosceva bene quanto egli era superiore al maestro, non che agli altri scrittori del suo secolo.
  12. Messer Lapo de Castiglionchio nel suo Ragionamento pubblicato dal Mehus p. 114. e lo stesso Brunetto nella sua traduzione, e comento all’invenzione di Cicerone. Ved. Giovanni Villani lib. 3. cap. 81.
  13. Ved. Brunetto Latini loc. cit. Il Villani nelle Vite degli uomini illustri Fiorentini colle annotazioni del dottissimo Conte Giammaria Mazzucchelli pag. 66. e 67. M.r Falconet nella Storia della Reale Accademia delle iscrizioni e belle lettere di Parigi tom. VII. edizione in 4.° pag. 293. e seg.
  14. Ammirato il Giovane nelle Giunte alla Storia Fiorentina del Vecchio Ammirato tom. 1. pag. 164. Vedi il mio Elogio di lui nel vol. 1.° degli Elogi degli uomini illustri Toscani.
  15. Dante è stato rimproverato da alcuni e difeso da altri per aver collocato nell’Inferno (Canto XV.) il suo maestro Latini tra i peccatori i più sozzi; così per aver posto nell’Inferno Branca Doria, fu accusato dal Foglietta storico Genovese, cosa che dette luogo ad una difesa dell’accademico Ripurgato (Rosso de’ Martini) letta nell’Accademia della Crusca ne’ 19. agosto 1762. dal Custodito suo fratello per esser poco prima mancato di vita. Si dice poi nel Diario a 156. che il Foglietta di ciò era stato denunziato all’Accademia fino dal 1596. da Carlo Mancini detto lo Spiegato, come apparisce dal Diario dell’Inferrigno. Dante prevedde quest’accuse, e perciò finse di chiederne consiglio all’avo suo Cacciaguida, cittadino del cielo, e che Cacciaguida lo consigliasse a manifestar tutta la verità, senza riguardo, Paradiso Canto XVII.
  16. Benchè le opere di ser Brunetto Latini non sieno quasi più lette a motivo della lingua, in cui le scrisse, non ostante da esse appare che possedeva tutte quelle scientifiche cognizioni, le quali ne’ suoi tempi potevano aversi.
  17. Leonardo Bruno scrive che Dante «di sua mano egregiamente disegnava» ed egli stesso nella sua Vita Nuova accenna che si dilettava di questo esercizio.
  18. Benvenuto da Imola nel suo comento latino sopra l’XI. Canto del Purgatorio vers. 96. ed il Baldinucci nella vita di Giotto pag. 49. raccontano che egli dipinse alcune cose in Napoli col disegno di Dante.
  19. Dante nel Cant. XI. del Purgatorio vers. 80. lo chiama

    «L’onor d’Agobbio, e l’onor di quell’arte,
    «Che alluminare è chiamata in Parisi.

    Ved. il Baldinucci nelle Vite de’ Pittori sec. 1. pag. 55.

  20. Costui fu scolare del mentovato Oderisi (Dante Purgatorio Canto XI. vers. 84.) ma superò il maestro, onde da Benedetto XI. fu chiamato a Roma per lavorare ne’ libri del Vaticano. Vedi il Vasari parte 1. delle Vite de’ Pittori pag. 41. edizione di Bologna 1648. in 4.°
  21. Il citato Leonardo dice che «fu ancora (Dante) scrittore perfetto, ed era la lettera sua magra e lunga, e molto corretta, secondo io ho veduto in alcune epistole di sua propria mano scritte». Di ciò fu veramente debitore allo stesso Brunetto Latini, il quale aveva ancora una buona mano di scrivere; cosa molto confacente ad un uomo della sua professione. Vedi il tom. IX. della Storia letteraria d’Italia pag. 453. La forma poi del carattere di Dante si può avere da un codice segnato E. del pubblico archivio Armanni di Gubbio, in fine del quale vi è un Sonetto di esso, che credessi scritto di suo pugno. Ved. Francesco Maria Raffaelli nella sua operetta intorno a Busone da Gubbio cap. 5. § 5.
  22. Cant. II. vers. 88. e seg.
  23. Dante loc. cit. vers. 106. e seg. prega Casella a voler cantare per ristorarlo dalla fatica dell’affannoso viaggio, adducendo per motivo, che in vita con l’armonia del suo canto gli

    «solea quetar tutte sue voglie.