Misteri di polizia/XII. Gli Ospiti illustri. Figurine a punta di penna

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XII. Gli Ospiti illustri. Figurine a punta di penna

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XII. Gli Ospiti illustri. Figurine a punta di penna
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CAPITOLO XII.

Gli ospiti illustri.

Figurine a punta di penna.

Se dovessimo tenere dietro a tutti gli appunti presi dai bracchi che la Polizia segreta sguinzagliava dietro alle persone illustri che soggiornarono più o meno lungamente in Firenze dal 1814 al 1848, non uno, ma parecchi capitoli dovremmo consacrare a siffatto argomento. Ci dispensiamo volentieri di farlo anche perchè parecchie figure qui trascurate appena disegnate, ci si presenteranno nella continuazione di questo lavoro, ove più d’una delle stesse troverà una separata illustrazione.

Per ora limitiamoci a riprodurne a punta di penna qualcuna.

L’arrivo a Firenze, nel 1816, di lord Brougham, il famoso giureconsulto ed uomo di Stato inglese, è preanunziato alla presidenza del Buon Governo dalla seguente nota diretta probabilmente da uno di quei tali amici che la Polizia teneva un po’ dappertutto.

„Lord Brougham, capo della opposizione alla Camera Alta inglese, arrivato in Milano fino dal 28 agosto 1816, fu fatto sorvegliare attentamente dalla Polizia generale. Egli nel suo soggiorno ha fatto relazione colla maggioranza dei capi dell’indipendenza d’Italia che si distinsero nella memorabile giornata del 20 aprile 1814, e con diversi partitanti buonapartisti. Il 18 stante (settembre) nell’essere a desinare presso il conte Luigi Porro, parlandosi della [p. 89 modifica]relegazione di Napoleone, disse: „Due terzi di noi altri inglesi a Londra andremmo a levare da Sant’Elena Napoleone; ma il governo che ha la forza in mano ce lo impedisce. Ma verrà il giorno che Napoleone sarà liberato da Sant’Elena.„ Questo lord Brougham ha grandi talenti; egli è uno del N. 90 .·. delle logge massoniche di Scozia.

„Tutti i di lui confratelli che sono a Milano gli hanno fatto delle dimostrazioni di vera amicizia ed unione. Il 18 corrente partirà per Firenze.„

Il seguente rapporto del 9 ottobre 1822 riguarda S. A. R. il principe Oscar, erede della Corona di Svezia.

„Il francese Passe è fratello del conte Passe, maresciallo di corte del re di Svezia. Fu il detto Passe che fece fare a S. A. R. la relazione dell’Amalia Brugnoli, prima ballerina dell’I. e R. teatro della Pergola nella corrente stagione d’autunno. Per concertare il modo e il luogo del loro abboccamento, in una sera di spettacolo richiamò nel suo palco la virtuosa, la quale condiscendendo all’invito, diede l’appuntamento per la di lei casa d’alloggio in via dei Servi, non avendo ella il sistema di portare altrove i suoi favori. La successiva mattina pertanto, a tenore della convenzione, il giovine principe, dopo le sette, si trasferì dalla Brugnoli in compagnia del suo aiutante generale barone di Thott. La visita di S. A. fu replicata l’indomani nello istesso metodo ed ora.

„In seguito a ciò, la Brugnoli non potè ballare.„

Qui l’agente di polizia entra a far conoscere all’illustrissimo signor presidente del Buon Governo la natura della malattia che alla povera Brugnoli procurarono le visite troppo intime del suo reale amico; la qual cosa dimostra come nulla fosse sacro per la polizia, nemmeno le piccole miserie della vita delle dive da palcoscenico.

In un rapporto del 1 dicembre 1832, si legge che la [p. 90 modifica]città faceva i più gustosi commenti sul bigottismo del conte Penfft-Pilsach, ministro austriaco, e della sua signora. Si narrava come avendo preso i medesimi in affitto un quartiere già abitato da una famiglia protestante, prima di prenderne possesso, lo avessero fatto benedire. Scevra di siffatta tabe, era all’incontro la signora d’un altro ministro austriaco, la baronessa R......y, la quale per le sue avventure galanti, più numerose e più celebri delle note diplomatiche del marito, fornì larga materia alla cronaca mondana del tempo. Bella, spiritosa, contrariamente alle consuetudini del suo paese, non amava i romanzi sentimentali, gli amori eterni, indimenticabili, che si compendiano nella vecchia ma appassionata frase: una capanna ed il tuo cuore, oppure in quell’avverbio che ha il suo domicilio nel cuore e sulle labbra degli innamorati novellini: sempre. Amava volare di cavaliere in cavaliere, come ape di fiore in fiore; e più che l’elegia o il madrigale piaceva alla bella signora recitare il dramma dalla tinta boccaccesca. Ed è un’avventura che avrebbe fatto andare in brodo di giuggiole le donne che messer Giovanni Boccaccio immaginò che sulle sponde dell’Affrico, sotto la grata ombria dei pini e degli olivi, raccontassero le novelle del suo Decameron, quella che capitò alla baronessa R........y, nel 1841, ad una festa da ballo data dalla contessa Eleonora Nencini (la divina Suonatrice d’arpa amata trent’anni prima da Ugo Foscolo) nel suo storico palazzo di via San Gallo, quel palazzo che


„ A lei, futura abitatrice d’Arno,
   Deponendo i pennelli, edificava
   Il bel fabbro d’Urbino. „


Quella sera, dunque, la bella e capricciosa contessa, con grandissimo dispetto del suo amante in titolo, il nobile giovine Marco M.....i, uno dei ganimedi della Firenze galante di quel tempo, aveva accettato con visibile compiacimento gli omaggi che graziosamente ai suoi piedi deponeva il conte Z...i. Le eleganti sale del palazzo Pandolfini erano affollate; le più belle dame di Firenze facevano ivi [p. 91 modifica]mostra delle loro spalle scultorie, dei loro seni giunonici e delle loro braccia vellutate. I drammi amorosi s’intrecciavano fra una presentazione e un complimento, fra una contradanza e un valzer, mentre le signore attempate e brutte esercitavano maledettamente la loro lingua alle spalle delle signore maggiormente corteggiate. Quella sera lì, quei po’ di corte che il conte Z...i faceva alla moglie del ministro di sua Maestà Cesarea, pare che dovesse tenere in moto più del solito le lingue malediche, se i due amanti, per sottrarsi a tanti occhi che si tenevano su di loro, cercarono un rifugio nel giardino. Quivi le piante erano folte, i sentieri s’intrecciavano come in un laberinto; qua e là delle grotte misteriose pareva che facessero invito alle coppie galanti di confidare alle loro pareti, coperte di muschio, i loro segreti. Per altro, la stagione invitava a quella dolce escursione; l’aria era tiepida, il cielo era stellato, e le magnolie profumavano acremente l’aere. I nostri innamorati, che avevano chiesta l’ospitalità ad uno di quegli erbosi nascondigli, non avendo per altro testimone che il piccolo e biondo Iddio d’amore, il quale, come si sa, essendo bendato non poteva dar loro suggezione, fecero trascorrere le ore in quel pezzo di paradiso senza che se ne avvedessero. Pe’ felici il tempo non batte le ore. Quando si svegliarono dal loro sogno d’amore, s’accorsero che il silenzio regnava nel palazzo: non più musica, non più danze, non più allegro cinguettìo di signore. Gl’invitati, compresa la padrona di casa, erano andati a letto. Figurarsi allora lo smarrimento della contessa, l’imbarazzo del suo cavaliere!... Intanto i due poveri innamorati non potevano aspettare l’alba, come Romeo e Giulietta, nel giardino; insieme al canto dell’allodola Dio sa quali grida beffarde sarebbero arrivate alle loro orecchie; laonde, fatta di necessità virtù, gridarono, gridarono tanto che la vecchia Nencini (anche le belle signore diventano vecchie) sentì le loro grida dalla sua camera. La bella di via San Gallo, come trent’anni prima la chiamava la contessa d’Albany, capì a volo, s’alzò da letto, infilò una vestaglia, e prima che accorressero i servi, aprì il cancello del giardino ai due amanti ritardatari ed augurando loro [p. 92 modifica]che Venere, madre degli amori, ricoprisse d’un fitto e prudente velo quel loro viaggio di circumnavigazione intorno al suo giardino, accomiatolli.

Ma Venere pare che non fosse più in tempo per tirare fuori dai suoi bauli quel certo velo invocato dall’ex-amica d’Ugo, e la gustosa e ridanciana novella fece il giro della città, e, naturalmente, in quel suo giro, non mancò di fare una punta sino al Palazzo Non-finito, dove la polizia, sotto forma di rapporto all’illustrissimo signor presidente, la consegnò agli archivi.

E il marito? domanderanno le nostre cortesi lettrici. Oh! Sua Eccellenza R.......y, benchè ungherese, discendeva in linea retta da Menelao.... Le nostre signore lettrici devono capire.... Quel certo re Menelao che nella briosa operetta d’Offembach le ha fatto tanto ridere. Era quindi naturale che le avventure della moglie lo lasciassero indifferente; ma chi, quelle avventure da Decameron non potevano lasciare indifferente, era la corte di Vienna; e il povero marito fu costretto a dare le sue dimissioni.

Qui lasciamo la parola al signor Ispettore di polizia:

„Si parla nelle nobili conversazioni del dispiacere provato dalla contessa R.......y nell’avere inteso dal marito che aveva domandato ed ottenuta la sua dimissione. Vuolsi ch’egli facesse una tale dimanda all’insaputa della moglie, e giuntagli la notizia delle accettate dimissioni, prendesse occasione che la moglie si recava al passeggio per dirle: „Divertitevi, perchè presto partiremo pel nostro castello d’Ungheria avendo io offerto le mie dimissioni, che S. M. l’Imperatore ha accettato.„ A tale annunzio dicesi che la contessa cadesse in isvenimento e convulsione; dopo di che si dèsse a strapparsi i capelli dimostrando una vera disperazione. S’aggiunge che il ministro era stato ridotto a dimettersi per la condotta della moglie troppo franca in galanteria.„ [p. 93 modifica]

Lo stesso principe di Metternich che allora teneva in pugno i destini dell’Europa, come ora li tiene un altro principe di razza teutonica, non isfuggì alla sorveglianza e ai commenti non sempre lusinghieri della Polizia. Arrivato il gran Cancelliere di S. M. I. e R. a Firenze nell’ottobre del 1838, andò ad alloggiare alla locanda di madama Humbert, sul Lungarno di mezzogiorno. Il suo soggiorno non si segnalò che per la sua spilorceria inaudita. Alla musica della Società Filarmonica che aveva rallegrato i pranzi del più grande puntello della Santa Alleanza, mandò a regalare cinque zecchini, che la Società disdegnosamente rifiutò. Alla stessa polizia codesto rifiuto parve dignitoso. Si vede che quanto a convenienze sociali, ne sapeva un zinzino di più un poliziotto toscano, che non il primo ministro di Sua Maestà Cesarea!

Da un principe della politica ad un principe del romanzo. Alessandro Dumas padre, che non s’occupò mai di politica per la semplice ragione di non aver mai saputo trovare un ritaglio di tempo per consacrarlo ad essa, arrivò a Firenze, nel giugno del 1835, preceduto dalla fama di persona sospetta e pericolosa. Si vede che la polizia non poteva capacitarsi come un uomo che aveva ordito ne’ suoi drammi e nei suoi romanzi tanti intrighi, tante congiure, narrato tanti regicidi, descritte tante scene rivoluzionarie, non fosse anche lui un Ravaillac o un Jacques Clement, o per lo meno un conte di Cagliostro. Il console toscano di Tolone aveva segnalato la sua partenza da quella città per Livorno, ove appena sbarcato, la Polizia gli mise dietro alle calcagna uno dei suoi soliti bracchi. Questi riferì che il Dumas, poco dopo il suo arrivo, aveva avuto la visita del dott. Guerrazzi. L’autore della Battaglia di Benevento rendeva così omaggio all’autore del Conte di Montecristo; ma il Guerrazzi, come si sa, non era soltanto un romanziere: [p. 94 modifica]era, specie per la polizia, lo spirito più turbolento di tutto il granducato, e la sua visita allo scrittore francese non poteva che accrescere i sospetti che destava quest’ultimo.

Alessandro Dumas arrivò a Firenze il 1 luglio e prese alloggio all’Albergo di Londra. Aveva seco due signore, sorelle, cui la polizia sempre curiosa trovava molto avvenenti, ed una delle quali, Ida Terrier, di Nancy, era stata presentata dal fecondo romanziere per la signora Dumas. Per altro, il soggiorno del Dumas a Firenze non presentò nulla di notevole; l’autore d’Antony e le sue compagne non pensavano che a scialarla. Pranzi succulenti, scarrozzate, passeggiate nei d’intorni della città, teatri, visite alle gallerie, ecco ciò che riempiva le giornate della nostra lieta e giovanile brigata.

Il Dumas, al contrario del principe di Metternich, non amava che mediocremente i luigi d’oro, di cui erano ben fornite le sue tasche. Quel pezzo di giovanotto alto, robusto, dai capelli crespi, dalle labbra grasse, sensuali, dall’aria così gioviale, aveva le mani bucate.

S’assentò, solo, da Firenze per pochi giorni; e fatta una corsa sino a Roma, al suo ritorno, insieme alle sue signore, se ne tornò in Francia.

Vi apparve, più tardi, una seconda volta; e frutto del suo soggiorno sulle sponde dell’Arno fu il libro: Une Année à Florence, che il presidente Bologna chiamava un libro riboccante d’inesattezze e di falsità. Era il 1841; il grasso Dumas, malgrado il suo viso da cuor contento e le sue relazioni intime coi membri della famiglia di Luigi Filippo re dei francesi, che faceva di tutto per cancellare con una spugna inzuppata nel conservatorismo della più bell’acqua il suo passato di rivoluzionario, era sempre ritenuto dalla polizia toscana come un soggetto equivoco, e com’è naturale, era sorvegliato. Sotto la data del 10 giugno, l’ispettore riferiva sul conto di lui: „È tornato da Parigi Alessandro Dumas insieme alla moglie.... Mercoledì sera trovavasi con questa al Cocomero in un palco al primo ordine. La compagnia francese Doligny rappresentava: Jarvis l’honnête homme, che venne applaudito dal pubblico. Credendo [p. 95 modifica]Dumas che dietro gli applausi si volesse chiamare sul palcoscenico l’autore, partì dal teatro prima che terminasse la rappresentazione.„

Se Dumas era un grande fabbricatore di romanzi, anche la signora che viveva con esso lui, e che abbiamo visto qualificare dalla polizia per moglie del poeta, ne manipolava qualcuno per suo uso particolare. Erano questi, peraltro, romanzi in azione, scritti a quattro mani e all’insaputa dell’autore della Tour de Nesle. La Polizia, difatti, che aveva lo sguardo acuto, sorprese uno di questi romanzi della pseudo-moglie del Dumas; e in un rapporto del 30 ottobre 1841 narra che lo scrittore francese, dovendo partire per Parigi insieme alla sua compagna, per una malattia sopravvenuta a un tratto a quest’ultima, fu costretto a mettersi solo in viaggio. Ma la malattia della signora non era che simulata. Partito il poeta, la sua compagna passò allegramente otto dieci giorni insieme a un francese, amico intimo del sedicente marito ed insieme al quale poi tornò in Francia.

Un’altra apparizione fece il Dumas a Firenze nell’anno successivo. Ne troviamo nota in un rapporto del 19 febbraio 1842: „È stato parlato di un duello che doveva accadere fra il principe di Canino genero di Giuseppe Buonaparte (l’ex-re di Spagna) e il di lui cugino Napoleone figlio dell’ex-re Girolamo per causa di discorsi ingiuriosi che il primo si permetteva di fare a carico dei suoi parenti, per cui il secondo l’aveva sfidato a duello; ma dicesi che il noto letterato Dumas riuscisse a riconciliarli e che il principe di Canino si recasse colla moglie a far visita al principe Girolamo loro zio per scusarsi delle ciarle che in proposito erano state fatte.„

Altra apparizione del Dumas a Firenze, nel 1843. Era venuto anche a soggiornarvi in quei giorni il conte Vitaliano Vimercati, un gentiluomo milanese che fra una cospirazione e l’altra trovava il modo di menare una vita elegante e di corteggiare le signore. Imbattutosi nei salotti aristocratici in uno scrittore francese, Giulio Lecomte, grande corteggiatore di dame ricche, ma quasi sempre vecchie e brutte, l’accusò di ricatti odiosi. Imperocchè (sempre stando a [p. 96 modifica]quanto ne riferiva la polizia, le cui informazioni, per altro, non erano sempre oro colato) il Lecomte, il quale, come il Dumas scriveva romanzi, avrebbe avuto l’abitudine di sottoporre le sue amanti al dilemma o veder pubblicate le loro lettere d’amore nel suo futuro romanzo, o di pagare una somma di denaro per indennizzarlo della perdita che quel Romeo così poco delicato avrebbe sofferto colla soppressione di quell’epistolario dal suo libro.

L’accusa, naturalmente, fece il giro della città e pervenuta all’orecchio del Lecomte, fu da questo smentita. Ma il Vitaliani non si diede per vinto, e rincarando la dose disse che sui fatti ai quali alludeva, poteva deporre il Dumas, il quale interpellato, confermò l’accusa. Il Lecomte, furioso d’essere stato scorbacchiato in quel modo, incontrato un giorno il grande romanziere francese alle Caseine, lo percosse sul viso. Ma il Dumas, agguantatolo pel colletto dinanzi a un pubblico di marchesi, di conti e di duchi, quale appena avrebbe potuto desiderare alla prima recita d’un suo dramma o d’una sua commedia al Théatre français o a la Porte Saint-Martin, gli scaricò addosso una tremenda pioggia di legnate. — Quando ebbe finito di bastonarlo, rivoltosi agli astanti, disse freddamente: „Signori, è il solo duello possibile con costui!„ E vedendo vicino al Lecomte il principe russo Niccola Korzikoff, aggiunse: „In ogni caso, se il signor principe volesse incrociare la sua spada colla mia....

„— Niente affatto, mio caro poeta, rispose il principe; mi trovavo per caso vicino al signor Lecomte.„

Un’altra figurina — quella d’un principe tedesco, che oggi porta corona reale.

Da un rapporto del 9 decembre 1843: „È arrivato in Firenze il principe ereditario di ...... Si dice che sia di carattere assai timido e che il padre lo faccia viaggiare per [p. 97 modifica]renderlo più franco.„ E il 16 decembre, l’Ispettore scriveva: „Si dice che il principe ereditario di ... siasi invaghito della moglie d’un certo G. ... di Montecatini e sorella della principessa Pon...y presso la quale abita da qualche tempo, mentre il marito trovasi a Vienna col duca di Lucca... Ad un pranzo dato dal principe di Monteforte (l’ex-re di Westfalia) intervennero questi due innamorati. La signora si mostrò assai scaltra, ma il principe fece distinguere la sua passione, come avrebbe potuto fare un collegiale.„

Un’ultima figurina, quella del conte Moltke.

Gli archivî di una polizia possono rassomigliarsi a una boîte à surprise. All’improvviso, quando voi, curvo sui fogli ingialliti, seguite colla passione d’un frugatore di vecchie pratiche burocratiche l’andamento d’un affare attraverso la selva aspra e forte delle ministeriali abbassate e delle note innalzate, degli ordini impartiti e delle circolari diramate, eccovi la sorpresa che vi trattiene la mano, rende immobile il vostro occhio e trasforma il vostro viso in un grosso punto ammirativo....

E qual non fu la nostra sorpresa — si vede che le sorprese si seguono ma non si rassomigliano — quando mi bel giorno gettando un’occhiata sulle carte costituenti l’inserto, potemmo apprendere che il conte Moltke, un conservatore della forza che tutti sanno, un pilastro del partito feudale del regno di Prussia, un ufficiale la cui devozione al suo re e al suo giuramento non poteva dar luogo a dubbî di sorta, corse pericolo, fra il novembre e il dicembre del 1840, in una delle sue gite autunnali per le classiche terre della Magna Parens, d’essere sfrattato da Firenze, nientemeno sotto la imputazione di rivoluzionario, di sovvertitore di troni e d’altari, di mangia-tiranni!...

Ecco come andarono le cose. [p. 98 modifica]

Il 7 dicembre 1840, S. E. il ministro degli affari esteri del granducato di Toscana trasmetteva all’illustrissimo signor cavaliere auditore presidente del Buon Governo la seguente nota riservatissima:

„Questo I. e R. Dipartimento degli affari esteri è venuto a sapere che nel novembre ultimo scorso fu dato un pranzo in casa del conte Ermanno Potoski, rifugiato polacco, e al quale presero parte, fra molti altri, un certo Bentivoglio e il conte Moltke. Vi furono dei brindisi ripetuti e clamorosi alla libertà, contro i tiranni, in favore della rigenerazione della Polonia ecc.

„Dicesi che la cosa abbia avuta molta importanza e che ne sia stato scritto anche in Russia. Prevedendosi di potere essere richiamato a dare schiarimenti sul proposito, il Dipartimento domanda che sieno schiarite le cose colle opportune indagini.„

Le opportune indagini, d’ordine del Presidente del Buon Governo, furono assunte dall’Ispettore, come risulta dal rapporto presentato da quest’ultimo il giorno 14 dicembre:

„I fratelli conti Ermanno e Giuseppe Potoski nel mese di luglio p. p. si recarono a Livorno, quindi ai bagni di Lucca, di dove non ritornarono che il 3 novembre scorso... Dopo il loro ritorno non vi sono state in casa loro riunioni numerose, nè pranzi, nè cene o conversazioni, come accadeva quando era in famiglia la moglie del conte Ermanno, che si sa trovarsi ora a Pietroburgo ove si è recata per reclamare dall’Imperatore una porzione almeno del patrimonio del marito, ma senza ottenere l’intento; avendo scritto che per conseguirlo occorrerebbe che i figli tornassero in Polonia, al che il conte Ermanno non vuole acconsentire, mentre vien ricusato a lui e al fratello Giuseppe di rimpatriare con essi.

„Ciò premesso, la vigilanza esercitata sui detti fratelli escludeva che nel dì 29 novembre scorso avesse avuto luogo in loro casa (abitavano in via della Scala) un pranzo con intervento di molti invitati; ma approfondite, ciò nonostante, le indagini, ne è risultato la conferma di tale esclusione nel modo più positivo e sicuro, mentre è stato rilevato [p. 99 modifica]che in quel giorno non vi furono estranei a pranzo e soltanto la mattina, al déjeûné, verso il tocco, v’intervenne il polacco Grocoiscky.

„Non troverei improbabile che fra loro avessero fatto dei brindisi alla libertà, contro i tiranni ecc., poichè si conosce bastantemente i sentimenti dei fratelli Potoski e dei loro amici; ma è certo che il conte Moltke, ora abitante in via Maggio, e il Bentivoglio-Quaranta, in quella sera, non vi erano... Moltke, il conte Kamiscky, il predetto Grocoiscky e un altro non conosciuto vi furono a bere il thè la sera del 25 detto mese.

„Debbo finalmente avvertire che essendo stato licenziato, perchè poco rispettoso, insolente, dal servizio dei conti Potoski, Luigi Tartalli, ho creduto opportuno di farlo destramente interrogare da persona di fiducia e le di lui dichiarazioni stanno pure ad escludere il supposto pranzo con molti convitati e brindisi...„

Bisogna convenirne, l’Ispettore a cui il cavaliere Presidente aveva affidato l’incarico di riferire sui famosi brindisi, era un galantuomo. Egli aveva sotto la sua mano tutti gli amminnicoli per fare una relazione fosca, dalle ombre sapientemente addensate come in un quadro del Rembrandt, aveva dinanzi a sè una famiglia di rivoluzionarî, di proscritti, i Potoski, impiccati in effigie a Varsavia, all’indomani del giorno in cui i battaglioni e gli squadroni dello Czar vi avevano portato l’ordine — quel tale ordine, che alla tribuna di Parigi, la prima tribuna del mondo, aveva trovato nel generale Sebastiani (un giacobino del rosso più carico divenuto conservatore con un po’ di maschera liberale) un eloquente apostolo; aveva, diciamo, l’ispettore sempre a sè dinanzi un polacco non meno esaltato dei Potoski, il Grocoiscky, cospiratore permanente contro l’egemonia della santa Russia. [p. 100 modifica]

Non aveva, gli è vero, nè il pranzo, nè la numerosa riunione; ma ci aveva per contro, la riunione di famiglia, la riunione intima, coll’indispensabile thè delle riunioni familiari della gente del Nord. Mancavano i brindisi, e questa era una lacuna da non potere essere colmata facilmente; ma alla fantasia d’un poliziotto di manica larga, con un po’ di sforzo, non avrebbe fatto difetto qualche ripiego per trovarla con più meno artificio; al postutto, l’avrebbe potuto anche inventare di sana pianta coll’interessata compiacenza d’un confidente bugiardo. Si trattava, alla fin fine, di servire la buona causa; di rendere un servizio a quel buon Niccolò di Russia che mandava in Siberia o in esilio i polacchi che non poteva impiccare, e un po’ di inventiva, come si sa, entra sempre nel mestiere del poliziotto: lo che, s’intende, sarebbe stato più che sufficiente per far dare lo sfratto al conte Moltke dalla Toscana, specie che allora il dotto uffiziale prussiano non s’era guadagnata la riputazione di saper tacere in sette lingue.

Ma il nostro poliziotto non era seguace della scuola del conte Riccini di Modena e del marchese Del Carretto di Napoli; era, all’incontro, un discepolo della scuola semplice, casalinga, nemica del rumore e dei colori foschi, che allora imperava sulle sponde dell’Arno; — e il conte Moltke, malgrado la sua partecipazione ad una riunione intima presso una famiglia di rivoluzionari, fu lasciato tranquillo.