Morbosità/Capo II

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Capo II

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— Da me?

— Da voi.

Rifecero il viale adagio senza parlare. Elena strappando le foglioline verdi delle siepi e masticandolo coi suoi bei dentini bianchi e distruggitori, Attilio San Pietro guardando attorno nelle sue lenti cerchiate d’oro.

— Dunque posso aspettarvi, duca?

— Mi aspetterete davvero, marchesa?

- Vi avverto, non più di cinque minuti, è il tempo che uso dedicare a tutti i miei amici quando li aspetto.

— Grazie, marchesa, è già troppo, disse Attilio un po’ comicamente, verrò.

Elena salì leggera nella sua victoria senza aspettare l’aiuto del duca.



Era un appartamento ampio, arioso, severamente elegante. La marchesa Elena lo avea fatto addobbare con un gusto squisito, ma un pochino pesante: i mobili del salone erano grandi, dalle forme riccamente rotonde e piene, i seggioloni di damasco pareva volessero accogliere nelle loro braccia qualche bella matrona, colossale nell’ampia crinoline dei tempi di Luigi XVI.

Erano le scolture massiccio fatte nel mogano, sulle consolide splendeva il marmo verde di Carrara così cupo e così signorile; non vi erano i piccoli tavolini di lacca, così graziosi fatti apposta per posarvi un album, per mettervi un giornale, per scrivervi una letterina rosea da diritti, coi guanti. [p. 18 modifica]

Non le piccole statuine di terracotta, di bronzo, di alabastro che rappresentano tante helle figurine artistiche tentatrici, non i nonnulla, costosi e civettuoli dei salotti delle signore; quei piccoli oggetti che parodiano l’ambiente alla camera, che la riscaldino colla loro presenza, che ne riempiano di vita gli angoli riposti.

Non l’album particolare, intimo, su eni tutti possono serivere un verso, mettere nna data, accollare un fiore, Quell’album che è l’amico confidente e discreto che racchinde tanti pensieri, tanto stranezze, e tanti ricordi!

Vi era quello grosso dei ritratti rilegato in marocchino bruno a fermagli d’argento bronzato, tutte le riviste illustrato dei migliori quadri del Salon di Parigi, capolavori d’incisione; un servizio da birra in cristallo cesellato, un lavoro artistico d’immenso valore,

Poi gli specchi alti, nitidi nelle larghe cornici dorate, parecchi quadri d’autori. un Van-Diek ed un Murillo accanto al ritratto al olio quasi a grandezza naturale della marchesa Elena, vestita di bianco, scollata, col diadema di perle, bella e superba nella sua perfezione di statua viva. In faccia a lei era il ritratto in egnulo grandezza di suo marito, il marchese Alfonso Andrea Malaspina.

Il gentiluomo la guardava dalla sua cornice coi grandi occhi dolci e profondi. come aveva sempre fatto in vita, la guardava con un profondo senso d’amore ed un grande sconforto.

Per lui quella donna era stata la sfinge [p. 19 modifica] adorabile e muta, e lui aveva tanto cercato di penetrare în quell’anima chiusa agli affetti gentili e soavi dell’amore, alle tenerezze della donna; e non era riescito mai ad intendere nulla. A_ volte Elena aveva per lui degli slanci subitanei e selvaggi che stordivano quell’anima mite, a volte aveva delle freddezze crudeli, assidue, sprezzanti, che lo ammalavano di dolore.

Egli aveva consumato così gli ultimi anni di una giovinezza appassita, e poi era morto etico a Bordighera, chiamando e benedicendo Elena, che faceva i bagni a Nizza in una palazzina che egli le aveva comperato.


La contessa Diana di Spa, in veste da camera. i capelli mal pettinati, e con l’aria stanca di chi ha passato la notte in ferrovia, s’aggirava nel suo appartamentino d’albergo, provando quel vago senso di solitudine che ci sorprende sempre fuori di casa. - Apriva gli armadi che mandavano un odore di umidiccio, che attaccava alla gola per la lunga abitudine di star chiusi e vuoti. Le serrature dei cassettoni non chiudevano bene e Diana. non sapeva trovare un posto alla sua roba; tutti quei mobili lucidi, signorili, avevano un non so che d’estranco che l’attristava, i grandi seggioloni che offrivano le lor braccia arrotondate, avevano qualche cosa della cortesia mercenaria del padrone d’albergo.

Diana abituata nel suo salottino stile barocco, ove passava le lunghe ore sdraiata sulla dormeuse










Li [p. 20 modifica]col ricamo in mano, ove tutti i mobili, i gingilli delle caminiere, parevano conoscerla e volerle bene, provava una stupefazione dolorosa, causata anche un poco dalla fatica del trasloco e del viaggio.

Sul tavolino invece del solito libro nuovo che suo marito aveva la cortesia di procurarle, vi era l’antiartistico, il borghese orario delle ferrovie volgare nella sua copertina gialla, ineducato nelle sue fitte linee di nomi, che pare sempre voglia mandarmi via: da Torino a Firenze, da Firenze a Roma, da Roma a Napoli, e così di seguito tanto da dar le vertigini della corsa a solo pensarvi, s’era affacciata all’ampio balcone di pietra, ma si era ritirata subito stordita dalla folla che schiamazzava; dall’interno della camera si vedeva in lontananza fra lo cortine un’insegna dorata d'un magazzino sulla piazza in faccia, con nome strano che non aveva mai udito, e che l’irritava. Era ansiosa che suo marito ritornasse, ma non osava uscir dalle stanze e farsi vedere dai servi sulla scala ad aspettare.

Attendeva tanto suo marito, perchè si sentiva troppo sola, le cameriere dell’albergo le davano una specie di soggezione noiosa, poi parlavano troppo e la stordivano colla loro aspirazione toscana.

Non s’era portata seco la servitù, voleva far casa nuova; anche i cavalli erano rimasti a Napoli.

Il giorno tramontava © Diana sentiva uno stringimento al cuore, pensando a sua madre che aveva [p. 21 modifica]lasciata per chissà quanto tempo pensando al suo appartamento tanto vicino a quello di lei che si vedevano ad ogni ora; appoggiò la testa fra le mani, e stette a lungo a fantasticare e a ricordare.

Il conte Gastone di Spa, e Diana Malvezzi non si erano sposanti d’amore,

Diana era d’indole delicatissima; sentiva profondamente e tenacemente; a sedici anni aveva amato il duca San Pietro, l’aveva amato con tutta la potenza dell’anima, come solo certe donne sanno amare a quell’età, e d’un amore che certe altre non possono neppur supporre che esista.

Era stata la fase più felice della sua vita, tutta la sua forza d’affetto l’aveva esaurita per lui, era roba sua.

L’imamgine di Aitilio s’era scolpita nel suo animo e nulla l’aveva più potuta cancellare, Il duca che l’aveva amata anche molto, ma molto meno di lei, ed in diversa maniera, la lasciò tranquillamente senza veruna ragione apparente.

Diana aveva sofferto moltissimo, in segreto, aveva pianto, s’era accasciata, l’esile fiore aveva minacciato d’infrangersi sotto quell’orrenda bufera. Dopo una lotta accanita, in cui l’orgoglio solo l’aveva debolmente sostenuta, Diana uscì vittoriosa, cioè non morì di dolore. Visse perchè aveva sedici anni, e la giovinezza è difficile che soccomba; visse perchè aveva sua madre che adorava; si fece una seconda religione della memoria del suo amore immenso, seppelli in fondo al cuore i frantumi del suo passato, irrugiadò ancora quella tomba con molte lagrime amarissime, e comparve nel mondo bella è sorridente, [p. 22 modifica]S’erano incontrati qualche volta il duca e Diana, o al teatro, o al ballo; si salutavano cortesemente senza parlarsi; lei impallidiva mentre il cuore le batteva a scoppiare, lui da uomo di mondo guardava subito dall’altra parte con grande disinvoltura. Allora per parecchi giorni Diana piangeva, si disperava da sola colla febbre nel sangue; la ferita si riapriva, era sempre la stessa, l’ideale infranto tornava ad ergersi inesorabile dinanzi a lei.

Un giorno il duca partì improvvisamente per un lungo viaggio all’estero, ed il conte Gastone di Spa chiese la mano di lei, in un momento di amarezza e di solitudine.

Era un gentiluomo perfetto, un cuore piccolo, egoista ed ambizioso; tendeva a salire senza affaticarsi, si sentiva abbastanza ricco da poterlo fare: spendeva tranquillamente il suo danaro, ed era deputato per la terza volta.

Diana aveva accettato, rimanendo parte passiva, erano passati due anni dell’abbandono del duca, ed il suo amore era intatto come il primo giorno. Alla vigilia del matrimonio la sposa aveva tolto da un cassettino molti mazzi di fiori che odoravano ancora, li aveva baciati, guardati a lungo, poi con un moto risoluto aveva gettato tutto sul fuoco: Sono d’un’altro! aveva detto semplicemente, compiendo quel sacrificio come un dovere.

I conti di Spa fecero un lunghissimo viaggio. di nozze, visitarono la Francia e la Germania, ciascuno trascinandosi seco il proprio fantasma, [p. 23 modifica]Diana il duca; e Gastone il musettino retroussé e la capigliatura arruffata d’una prima ballerina della Pergola, ch’era andata a Vienna senza neppure dirgli addio.

In faccia al mondo erano due sposi felici; quando stavano insieme al teatro od in carrozza, si sorridevano, scambiando qualche parola a fior di labbra, con una riservatezza di molto buon gusto fra marito e moglie; poi Gastone aiutava Diana n mettere la pelliccia, le dava il braccio nel peristilio, l'accompagnava alla vettura aiutandola a salire, si assicurava che lo sportello fosse ben chiuso, poi voltava indietro e si fermava cogli amici dinanzi all’uscita degli artisti.

Quando il conte rientrava era sempre molto tareo vedeva il lume in camera di Diana bussava e le dava la buona notte da sulla porta, se no, se ne andava nel suo appartamento, cercar il sonno sotto il baldacchino di damasco giallo.

Finalmente Diana si scosso dalla sua fantasticheria, suo marito entrava nell’albergo.

-— - Sai, ho tardato, disse Gastone, perche un amico mi ha fatto vedere una pariglia che forse comprerò.

— Al! sono belli, di che colore?

— Bai.

— Inglesi?

— Puro sangue, 0 giovanissimi.

Diana non disse altro, si alzò e cominciò a vestirsi per il pranzo. Suo marito acceso una sigaretta.

Morbosità. 2
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— Permetti?

— Fa pure, grazie,

La contessa indossò un abito grigio di stoffa inglese che le modellava il corpo bellissimo, si passò il piumino sulla faccia, poi colla punta del fazzoletto si tolse la polvere di riso da sugli occhi, sempre con calma, guardandosi nello specchio, e sorridendo impercettibilmente alla sua immagine, Suo marito leggera un Pungolo vecchio portato da Napoli.

— Hai visto il nostro appartamento? chiese Diana voltandosi.

— L’ho veduto, assomiglia un poco a quello di Napoli.

Il mobiglio è arrivato, ora stanno rimettendolo.

— Quando sarà abitabile?

— Fra una settimana, credo, ah! ho anche visto la marchesi Malaspina,

— Elena? è non mi dicevi nulla . . . .

— Sai, ho la testa tanto confusa! mi ha lasciato un mondo di cose da dirti, ma sarà meglio che le senta tu stessa, stasera ti aspetta al suo the,

— Riceve sempre, Elena. Mi secca perchè sono molto stanca,..... vacci tu,

— Impossibile, cara, ho un appuntamento.

Diana lo guardò un momento, poi esclamò con un legger tremito di dispetto nella voce,

— Diggià?

— Non vuoi andare? chiese Iui fissandola col suo sorriso fine, ironicamente aristocratico.

— Se v’è molta gente, no.