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Mormorava ai singulti

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Giacomo Lubrano

XVII secolo Indice:AA. VV. - Lirici marinisti.djvu canzoni Letteratura X. I tumulti di Napoli del 1647 Intestazione 12 agosto 2022 100% Da definire

Si slaccia Filli il petto e le native
Questo testo fa parte della raccolta Giacomo Lubrano
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X

I TUMULTI DI NAPOLI DEL 1647

     Mormorava ai singulti
di moribonda schiera
l’ebraïca peschiera,
e de l’acque sconvolte infra i tumulti
bevean le turbe inferme
contra l’ire del fato
vitalissime terme.
Or del bagno odorato
l’onde un tempo superbe
nutrono in sozzo suol povere l’erbe.
     Mondo, correggi il voto.
Non piú torbido flutto
a le piaghe del lutto
le panacee sue stempra col moto.
Quanti offre l’incostanza
al genio turbolento
pelaghi di speranza,
son eolie di vento;
né mai piena di sdegni
co’ precipizi suoi fa base a’ regni.
     Insolenza plebea,
stolta quanto spietata,
ne la patria turbata
credé trovar di libertá l’idea.
Pianse la mia Sirena
tra tempeste d’inganni,
che piú schiavi di pena
regnasser da tiranni;
e da stragi confusa
bramò per fuggir via farsi Aretusa.
     Quanti aborti di terra
su le reali altezze

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disegnano grandezze?
quanti Marti cenciosi escono in guerra?
Il piú vile è piú audace;
al veder mi vergogno
idra d’odi la pace.
Republica di sogno
con suffragi protervi
vuol ergere in sul tron cònsoli i servi.
     Qual fascino d’inferno
a un pescatore insano
pose lo scettro in mano?
tolse le canne? Ahi, de le leggi a scherno
ogni spiaggia par fòro
da publicare editti;
pregi di sangue e d’oro
corrono per delitti,
mentre in reti di morte
scalzo un Timoteo osa pescar la sorte.
     Bella reggia d’eroi,
Partenope infelice,
cangiò la plebe ultrice
in arte di perfidia i plettri tuoi.
Non piú t’intreccia al crine
vero valor le palme;
bollon rabbie assassine
in proditorie calme;
sognano (il dico e piango)
pazze democrazie spirti di fango.
     So che nel ciel sovente
a fulminar il fasto
marciò con nembo infausto
di zanzare e locuste oste fremente.
Teman l’anime insane
di egizi Faraoni
fiumi di sangue e rane,
piogge di piaghe e tuoni,

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ché sempre a’ re malvagi
la maestá fu merito di stragi.
     Ma de l’Austria fedele
chi non adora i pregi?
Fan volare i suoi regi
per l’indo mar cattoliche le vele.
Quanti nascono augusti
portano da le cune
il titolo di giusti,
arbitri di fortune;
e dove stende il piede
lo scettro de’ Filippi, entra la fede.
     Del volgo la potenza
si fa legge d’un «voglio»,
e con rabbie d’orgoglio
suona le trombe a popolar licenza.
Spartachi e Vibuleni,
barbari disumani,
non resero sereni
gli emisferi romani.
Al Sol pon fare scorno,
ma non mai le comete han fatto un giorno.
     Svégliati a’ pianti miei,
Britannia sconsigliata,
or che di frodi armata
condanni a le mannaie i re da rei.
Giá fulmina perigli
di ben giusta vendetta
l’amor d’orfani figli,
ed offesa t’affretta
(né senza vero io parlo)
l’ultimo funeral l’ombra di Carlo.
     Emolo de’ monarchi
accampi un Cromuelle
esercito rubelle,
e di Londra infedel sospenda agli archi

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trofei d’empie vittorie:
saettaranno i cieli
l’odïose memorie
di pompe sí crudeli,
ché potenza rapita
efimera del fasto ha poca vita.
     Spesso nube orgogliosa
con parelio mentito
ruba dal Sol tradito
di sinonimo onore ombra vistosa.
Ma quel ch’agli occhi parve
riflesso di splendori,
fu ludibrio di larve,
maschera di vapori:
in un breve momento
le porpore non sue disperge il vento.