Notizie storiche delle maioliche di Castelli e dei pittori che le illustrarono/Capitolo VII

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Capitolo VII

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Capitolo Settimo

Dei colori usati dai nostri artisti, e delle diverse specie di pittura

trattate dai medesimi.



I colori adoperati nelle nostre fabbriche per dipingere sulla maiolica erano il giallo, il verde, l’azzurro, il violetto, ed il nero: i quali (ad eccezione dell’azzurro che si trade dal cobalto) si preparavano dagli stessi pittori con grande magistero d’arte. Il vago color rosso, di che molto si pregiavano le officine di Gobbio e di Pesaro, era del tutto ignoto in quelle di Castelli; come lo fu in tutte le altre della provincia metaurense1. A dir vero alcuni pittori castellani, ho scoperto di leggieri, che vi era stato soprapposto con un mordente a freddo: perciò Carmine Gentile in una sua lettera del 1746, diretta ad un tale che gli chiedeva sue opere dipinte in rosso, candidamente confessa l’inutilità di [p. 56 modifica]cosiffatto colore. «Circa il rosso fattizio, egli dice, io non me ne servo, a causa che il medemo non serve per altro, che per coprire qualche difetto, e da molti miei buoni amici m’è stato proibito». In luogo del rosso, i nostri pittori adoperavano un giallo carico, molto simile al colore arancio, che essi distinguevano dal giallo paglino col nome di rosso; forse perchè faceva le veci di questi ne’ loro dipinti: la quale denominazione si è mantenuta anche al dì d’oggi nelle nostre fabbriche. Però se non fu ad essi agevole scoprire il segreto del rosso; non rimase loro sconosciuto quello della doratura. La quale, trovata da Jacobo Lanfranco i Pesaro verso il 1569, come si scorge dal privilegio della privativa concessagli dal duca di Urbino, passò nella nostra Castelli circa un secolo appresso.

Con sì pochi colori variamente permischiati in mezze tinte, servendosi della bianchezza del fondo per i lumi e i chiari, presero a ritrarre quasi tutta la gran varietà degli oggetti, che sono in natura; per modo che chi il gusto non ha molto fino, non si avvede della mancanza de’ più vivi colori in siffatti dipinti. E privi com’erano del rosso, pare che difficoltà somma stasse nell’imitare le carni; dappoichè molto tardi si giunse a colorare con buono effetto le incarnagioni: le quali fecero poi sì belle e delicate, che non ti fanno affatto desiderare il vermiglio. Il Dottor Grue e Giacomo Gentile furono in ciò grandi maestri. In una raccolta di ben intesi disegni a penna, che ci rimane di quest’ultimo pittore, ho trovato scritto la maniera che egli teneva: e mi [p. 57 modifica]piace di qui riportarla con le sue stesse parole. «L’incarnatura si deve far variata, cioè con poco rosso (giallo arancio) nell’ombre delle donne. Si deve però da quando in quando, dove fa più l’ombra, calcar la mano. L’incarnatura d’uomini si deve far col rosso e nero, e si deve calcar la mano delli colori. Sopra l’incarnature tenere si ci dà solo azzurro e rosso, e nell’ombre più cariche qualche botta di nero». Però non è da tacere che quelli, che hanno gli occhi in ciò dilicati, restano offesi dal soverchio uso, che i nostri artisti spesso fecero del giallo; colore poco gradevole e non sempre vero: e si dolgono della languidezza del colorito in che per lo più essi caddero, perchè non potendo far uso delle tinte forti e vivaci, furono costretti a rischiarare tutte le altre, acciò stessero in tono.

Passando ora a parlare delle diverse specie di pittura, vedremo che quasi tutte furono prese a trattare dagli artefici castellani.

Pittura storica. Furono valenti nel dipingere le istorie, e segnatamente si piacquero di ritrarre i fatti biblici, ora colorando disegni proprii, ed ora servendosi degli altrui. Conservasi nel Museo Pasolini un nostro quadretto in maiolica ammirevole per la sua composizioni ricca di oltre a cinquanta figure: esso è alto un piede e largo due, e rappresenta Mosè che mostra le tavole della legge al popolo ebreo. Furono i nostri pittori assai studioso del disegno, perciò nelle figure, e specialmente in quelle nude, è ben intesa la corrispondenza e proporzione delle membra, le quali sono sì [p. 58 modifica]dolcemente sfumate, che sembrano tondeggianti e rilevate. Molta varietà osservasi negli scorci, grande proprietà e sceltezza nei volti, espressione e grazia negli atteggiamenti. Se non che peccano non di rado per le attitudini troppo risentite, per le forme alquanto grosse, e per quella maniera troppo studiata nel gettare i panni; il che li fa cadere di leggieri nell’artificioso e nell’ammanierato. Ma questi falli sono piuttosto da attribuire al secolo guasto in cui vissero, che troppo si allontanò dalla via insegnata dagli antichi maestri.

Allegorie e favole. Chi si fa a considerare quanto quella misera età fu vaga delle allegorie e delle favole, non è preso da meraviglia in vedere la maggior parte delle nostre maioliche piene di siffatti argomenti: i quali la fantasia ingombrando, diceva il Giordani, e lasciano il cuore di affetti alla patria utili, voto e freddo.

Battaglie e cacce. Questi subbietti furono trattati molto volentieri da’ nostri artisti, in ispezialtà da coloro che dipingevano nel secolo XVII. Un fatto d’armi, figurato in un piatto di Castelli, è stato descritto dall’egregio sig. Giacomo Racioppi con le seguenti parole. «Ecco episodi di battaglia, gruppo di cavalli e cavalieri accennato con franchezza magistrale, unico e vario senza confusione, vivo così che quasi sentite l’urto e la foga dell’azione. Era senza dubbio codesta una tenzone di quattro cavalieri; or due di essi son tratti giù di arcione squilibrati e rovesci sotto gli abbattuti cavalli; l’altro fu testè sbalzato supino dalla lancia dell’avversario, e il suo cavallo rizzando la criniera e nitrendo, [p. 59 modifica]si slancia fuor dalla mischia e de’ cadaveri a recar solo una trista novella. Il vincitore, ritto sull’infocato corridore, è tratto oltre impetuoso; ma indietro volgesi intanto, e leggermente incurvandosi, è per finir della sua asta micidiale l’avversario abbattuto. Cavalli e cavalieri in varie attitudini e in iscorcio o di prospetto sono egregiamente disegnati ed aggruppati con arte squisita»2. Due cacce maestrevolmente dipinte osservansi in due grandi piatti del Museo Bonghi; in uno è figurata la caccia dell’orso colla lancia, e in un altro la caccia col falcone e coi segugi.

Costumi e scene familiari. Si piacquero i nostri artisti di colorare diverse costumanze contemporanee e patri scene: con le quali ci lasciarono la memoria delle varie fogge di vestire usate a quei tempi. È notabile nel Museo Bonghi un piatto, nel quale è rappresentata la mensa di Enrico IV, di cui l’artista ci ha dato un vivissimo ritratto.

Paesaggi e scene campestri. Le dilettosissime scene, che lo spiritoso disegnatore trova ne’ nostri Apruzzi, presentano immagini sì varie e vive, e tanto acconce a comporre paesaggi, che non fa mestieri giuocar di fantasia, e dilungarsi molto dal vero. Da questo avvenne che quasi tutti i nostri pittori posero mano a dipingere paesi e scene pastorali; e divennero in questo genere di dipintura assai celebre. Piacemi al [p. 60 modifica]proposito riferire la testimonianza dell’egregio avv. de Minicis, che così si esprime. «Nè mi sembra che dovessero passarsi in silenzio le altre (maioliche) delle fabbriche di Castelli, specialmente le dipinte dai Grue; di fatto, sebbene i colori di queste non siano sì vivaci e sì forti come di quelle dipinte in Pesaro, in Gubbio ec. ed ancora in Deruta, nè sempre presentino soggetti desunti da sommi maestri, pure esatto vi si scorge il disegno tanto nei contorni come nella espressione, e molta verosimiglianza specialmente nelle campagne, nelle marine, nelle cacce, negli animali e nei fiori; a talchè sono esse graziosissime, e di effetto meraviglioso, nè poco diletto si prende in vederle. Basti il sapere che fu assunta l’opera di Francesco Antonio Saverio Grue anche per alcuni vasi della rinomatissima Spezieria della Santa Casa di Loreto, ove tuttora si veggono». Si notano come i più valenti in questa specie di pittura Francescantonio ed Anastasio Grue, Giacomo Gentile, e Candeloro Cappelletti,

Bambocciate e caricature. Dalle scene fanciullesche e dalle caricature tolsero pure qualche volta argomento per le loro pitture. Il sunnominato signor Giacomo Racioppi ha descritto un piatto rappresentante quattro fanciulletti che si trastullano all’altalena; e un altro nel quale è figurato un cavaliere in caricatura vestito alla spagnuola in una maniera assai goffa, il quale dà fiato bizzarramente ad una tromba3.

[p. 61 modifica]Animali e fiori furono disegnati dai nostri pittori con molta diligenza; ma per mancanza de’ più vaghi colori, questi dipinti hanno pochissima vivacità. Trovato il metodo di preparare il color vermiglio e le altre tinte dilicate, divenne eccellente in questa maniera di dipingere Gesualdo Fuina.

Il prezzo delle nostre maioliche dipinte, fu vario secondo le diverse specie di pittura, ed il valore degli artisti. Dalle lettere di parecchi nostri pittori venute alle mie mani, si scorge che i quadretti rappresentanti paesaggi si pagavano da un ducato sino a due; quelli istoriati insino a quattro. Le tazze da caffè dipinte a paesi si vendevano da carlini ventiquattro sino a trentasei la dozzina: le istoriate costavano di più, e se erano dipinte da un artefice nominato, il prezzo era molto maggiore. In una lettera scritta a Carmine Gentile nel 1725, si legge che una dozzina di tazze dipinte ed indorate colla corrispondente caffettiera, fu a lui pagata ducati ventotto. Al presente il costo si è assai elevato per le molte richieste che vi sono. Non solo i Musei italiani, ma i più celebri della Francia e dell’Inghilterra richieggono le nostre maioliche antiche. Non ha molto si vendette a caro prezzo nel locale de’ pubblici incanti a Parigi, una importante collezione di maioliche italiane, fra le quali figuravano quelle di Castelli4. Nel nostro regno taluni caldi amatori dell’onore delle arti nazionali sonosi mostrati solleciti di conservare i [p. 62 modifica]più belli monumenti di questa nostra gloria artistica. Fra costoro merita singolar menzione il sig. Diego Bonghi, che non perdonando a spesa ed a fatica, è giunto a radunare una sceltissima raccolta di maioliche castellane.

Le nostre maioliche si distinguono notabilmente dalle altre italiane, per una maniera tutta lor propria. Perchè possano riconoscersi anche da coloro che non sono pratichi del fare de’ nostri artisti, ci piace qui riportarne i caratteri distintivi assegnati dal dottor Frati, che nel descrivere il Museo Pasolini, in apposito capitolo le ha collocate. «Le maioliche di queste fabbriche, egli dice, sono più recenti delle finora descritte, e di una maniera al tutto diversa da quella. Il disegno vi è buono assai; il colorito morbido, ma d’ordinario languido; le incarnagioni colorite di una tinta olivastra, distintivo caratteristico di questa fatta di stoviglie; nelle vesti predomina un turchino chiaro e un giallo ocraceo; il paese vi è condotto con molta finitezza; la prospettiva aerea meglio che nelle stoviglie finora descritte, osservate5».

Note

  1. Nel Museo Bonghi si veggono sei tazze da caffè colorate in rosso: ma queste debbono essere di epoca più recente.
  2. V. l’articolo del sig. Racioppi intitolato Fogli staccati di un album in maiolica, inserito nel Pol. Pitt. an. XV. pag. 30.
  3. V. Pol. Pitt. an. XV pag. 31.
  4. Giornale del regno delle due Sicilie n.° 10, 1854.
  5. V. la Descrizione del Museo Pasolini, pag. 33.