Novelle cinesi tolte dal Lung-Tu-Kung-Ngan/Novella IV
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Traduzione dal cinese di Carlo Puini (1872)
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IV.
LA FIDANZATA DEL SOLDATO.
I Cin e gli Xao formavano due delle più numerose famiglie1, che abitassero una volta la città di Cao-king-fu, nella provincia di Canton. I Cin erano tutta gente onesta e dabbene, ma povera. Gli Xao invece erano ricchi e potenti, ma avevano riputazione di gente malvagia.
Ora è da sapere anzi tutto, che un tale Cang-ce della famiglia dei Cin aveva un figliuolo, che si chiamava Lung; e che un tale Sieu, della famiglia Xao, anch’esso avea un figlio, di nome Heu: entrambi giovani della stessa età, entrambi studenti2 e non ancora fidanzati.
Si narra dunque che nel quartiere orientale della detta città di Cao-king-fu era un uomo di nobile lignaggio, di nome Lieu-sceng, che aveva una figliuola così bella e gentile, così dritta di cuore e d’un’indole così dolce, da non esservi l’eguale nel mondo. Suo padre l’avea molto cara, e la educava con molto amore; e spesso tenevale lunghi ragionamenti, parlando a lei di quelle donne che nell’antica e nella presente età s’erano rese celebri per la loro bella e magnanima vita. Cun-niang, così chiamavasi la fanciulla, ch’era spedita nell’apprendere, porgeva orecchio alle parole del padre, e ne faceva gran tesoro nella mente. Di quindici anni era giunta a sapere molto bene di lettere, e componeva e recitava poesie con singolare maestria, di modo che gli uomini dei vicini e dei lontani paesi si disputavano l’onore d’averla a sposa.
Un giorno il padre della fanciulla ebbe con un suo parente3 un lungo colloquio, nel quale parlò in questi termini: «La mia figliuola è già da marito4, e coloro che vengono a domandarmela sono senza numero. Io vorrei uno sposo valente e dabbene, che potesse starle alla pari, nè guarderei alla nobiltà di sua stirpe, nè alle sue ricchezze. Ma fra tanti non so decidermi a scegliere, e vorrei avere un vostro consiglio.» — «I nostri antichi, rispose il parente, quando avevano da maritare le loro figliuole, sceglievansi a genero un uomo onesto e saggio, e non badavano punto ch’ei fosse di ricca o di povera famiglia. Egli è qui in città un certo Cin Cang-ce, che ha un figlio per nome Lung, giovane di grande e nobile animo, assiduo allo studio e versato assai negli autori classici5. A dir vero, il poveretto non avrebbe molto a sperare per l’avvenire, s’ei dovesse affidarsi alla fortuna di sua famiglia, che è modesta oltre ogni credere; ma io sono quasi sicuro che, coll’andar del tempo, si farà pei suoi propri meriti una bella fama, e si eleverà al di sopra della sua condizione. Se la proposta vi aggrada, io potrei trattar la bisogna coi parenti di questo giovane, e veder di fare un bel matrimonio con vostra figlia. A me sembra proprio che il cielo gli abbia fatti l’un per l’altro.» — «Ho udito parlare di lui, disse Lieu-sceng, il padre della fanciulla; ma prima di decidermi, voglio sentire il parere di mia moglie, e quel che ne pensa anche mia figlia.» — Qui terminò il colloquio, e i due parenti si separarono, salutandosi cordialmente.
Lieu-sceng, ritornato a casa, andò subito dalla moglie, e le fece conoscere il pensiero ch’egli avrebbe avuto di promettere sposa la figliuola ad uno dei Cin. Al che la donna rispose: «In quest’affare voi siete il padrone, e potete disporre a vostro talento, nè v’è bisogno che mi domandiate consiglio.» — «Egli è ancora, riprese il marito, che avrei desiderato che così bel bello aveste fatto conoscere a vostra figlia la cosa di che si tratta, per sapere pur quel ch’ella ne pensa.» Ed infatti la madre, scelta un’occasione favorevole, entrò un giorno colla figliuola in discorso del giovane Cin, e le disse come il padre avesse intenzione di darglielo in isposo. La fanciulla Cun-niang, che aveva anch’essa udito parlar bene del giovanotto, quantunque non osasse dirlo in faccia alla madre, sentì nel profondo dell’animo che un tal matrimonio avrebbe appagati i vivi desideri del suo cuore.
Non era per anco scorso un mese da quel che abbiamo narrato, allorchè Xao-Sieu mandò anch’esso da Lieu-sceng a domandargli, pel suo figliuolo Heu, l’avvenente giovanetta. Ma Lieu— sceng, che aveva già divisato concederla ai Cin, a lui rifiutò, adducendo a pretesto la fresca età della fanciulla, e aggiungendo che non sarebbe stato troppo l’aspettare un altro annetto prima di tornarne a parlare. Dopo che la persona venuta per parte di Xao-Sieu a domandar la fanciulla se ne fu andata, Lieu si recò di nascosto dal suo parente, e gli disse che, se voleva andare a intendersela coi Cin per quel matrimonio, di cui tempo fa gli aveva tenuto ragionamento, andasse pure, dacchè avea stabilito di conceder loro la propria figliuola. Il parente si recò dunque alla casa di Cin Cang-ce, e gli espose l’oggetto della sua visita. Ma Cin Cang-ce, che era poverissimo, per delicatezza d’animo si rifiutò sulle prime di acconsentire ad un così onorifico e nobile parentado. Laonde il parente di Lieu dovette più volte esortarlo ad accettare l’offerta, ripetendogli: «Se il mio parente vi concede la sua figliuola, egli è per la probità vostra e per la stima che universalmente gode la vostra famiglia: non si tratta di sapere se voi siete ricco o povero. Acconsentite, ve ne prego, ai desideri di Lieu-sceng: nessun ostacolo vi si oppone, e non manca altro che scegliere un giorno propizio per la cerimonia delle nozze.»
Cin Cang-ce non credette dover più a lungo insistere nel suo rifiuto, e acconsentì al matrimonio di suo figlio Lung colla fanciulla dei Lieu. Il parente tornò a render conto della sua missione a Lieu-sceng; il quale, saputone il resultato, ne ebbe gran gioia; e chiamati dei sartori, fece subito fare per la famiglia Cin molti capi di vestiario tutti nuovi e belli: e scelto un giorno di buon augurio, si celebrarono con gran pompa le feste degli sponsali6.
Quando Xao-sieu seppe che la figliuola di Lieu-sceng era stata promessa sposa al figlio di Cin Cang-ce, fu fortemente indignato contro il padre della fanciulla; e sfogando con parole l’interno dispetto, dicea tra sè: «Come! non fui io il primo che mandai alla casa tua, per trattare questo maritaggio? Non ti ricusasti, dicendo che la giovanetta non era per anco in età da marito? Ed ora la concedi alla famiglia dei Cin. Cercherò ben io di farti pentire amaramente dell’onta, che mi hai fatta con si indegua azione.»
Dopo aver pensato e ripensato tutto il giorno ad un acconcio modo di vendetta, vennegli in mente un’idea. «Mi sembra sovvenirmi, egli disse tra sè, che i Cin d’origine discendano da una famiglia di soldati, destinati alla guarnigione di Leao-tung7. Essi abbandonarono il campo, e da molto tempo nessuno di loro ha più prestato servizio nell’esercito. Se così è, qualcuno della famiglia Cin dovrebbe ritornare ora sotto le armi, e toccherebbe appunto al giovane figlio di Cin Cang-ce a partire come soldato. Potessi aver notizie precise intorno a questa cosa, avrei trovato proprio il mezzo d’impedire che si effettuassero le nozze.» Così dicendo andò al prefetto della provincia, e gli espose come credeva doverlo prevenire che il figlio di Cin Cang-ce era un militare renitente, a cui incombeva l’obbligo d’essere sotto le armi e partire pel campo.
Il magistrato fece allora le dovute ricerche: esaminò i registri dell’archivio; percorse i nomi dei soldati della provincia; e non trovando prova di sorta per condannare il figlio di Cin Cang-ce, era per lasciare in dimenticanza il ricorso del Xao. Ma questi, ch’era ricco ed aveva molti denari da spendere, tanto disse e tanto fece che si comperò l’aiuto di un magistrato; il quale rovistando ripetutamente nei libri e nelle carte dell’archivio, giunse a poter provare che il fatto stava precisamente a quel modo che diceva Xao-sieu. Per la qual cosa si mandò subito ad arrestare Cin Cang-ce e il giovine Lung, perchè dessero conto dei fatti loro. Ma siccome essi non poterono provare il contrario di quello che si asseriva essere, fu deciso che Lung dovesse vestire le armi e partire immediatamente per Leao-tung. Il padre e il figlio, colpiti da sì dura e inaspettata disgrazia, si strinsero tra le braccia, e non poteron che piangere a calde lacrime sul loro destino. «Ahimè, diceva il giovane Cin, che sventura è mai questa che ora ci coglie! Noi eravamo poveri, e come se questo fosse poco malanno, ecco che a voi, padre mio, vien tolto anche il sostegno della vostra vecchiaia. Io debbo partire per lontani paesi: il lasciare i miei genitori sconsolati, senza appoggio, senza aiuto, è cosa che mi strazia l’anima e non mi dà riposo.» — «Non ti affannare per me, rispondeva il buon padre: io son vecchio, è vero, e debole; ma ho molti parenti, presso i quali posso trovare un ricovero, e che desidero di rivedere. La tua sorte sola è quella che mi affligge. Tu parti senza che sia stato condotto a termine il parentado coi Lieu, e nella incertezza che ti sia dato unirti colla tua sposa, il giorno che ritornerai da questo esilio che ora ti allontana da lei.» — «Non parliamo di ciò, riprese Lung; imperocchè, credetelo, caro padre, è a causa di questo matrimonio che ci nacquero i nemici, che ora sono origine d’ogni nostra disgrazia. Come oseremo sperare che possa finir bene una faccenda sì male incominciata?»
La notte della vigilia del partire si passò in pianti e in sospiri; e l’indomani a buon’ora la casa fu piena di parenti e di amici, venuti a dire addio al giovane Lung, e a far coraggio ai desolati genitori. Lung ricevette le benedizioni e le ammonizioni paterne, e preso commiato da tutti, partì pel campo.
Quando Lieu-sceng, il padre della fidanzata del giovane soldato, seppe il caso occorso alla famiglia Cin, se ne dolse amaramente; e non cessava di lamentarsene di continuo, sicchè la notizia ne giunse anche nelle stanze della fanciulla. All’annunzio di così inaspettata novella, ella sentissi come penetrare nelle viscere la fredda lama d’un pugnale: non lo aveva ancor veduto in faccia, il suo fidanzato; ma nella solitaria sua camera, innanzi ai suoi fiori, soli confidenti del suo cuore, ella pensava a lui nel segreto dell’animo, e il dolore di quell’improvvisa partenza fu tale, che linguaggio umano non l’avrebbe potuto esprimere.
Era la primavera dell’anno seguente, allorchè una fiera pestilenza afflisse la città di Cao-king-fu. Il padre e la madre della fanciulla perirono vittime del morbo crudele. Si consumò pei bisogni di quella occorrenza il peculio della famiglia; il patrimonio avito andò ben presto venduto; la stessa casa paterna, ove abitavano i Lieu, divenne altrui proprietà: e la povera fanciulla, orfana, senza mezzi, senza sostegno, senza ricovero, rimase in balla della sorte. Fortunatamente una zia paterna si prese cura dell’orfana; l’alloggiò in casa sua: e impietosita della sventura di lei, la prese ad amare, come se fosse sua propria figliuola.
La grazia, l’avvenenza, i bei modi della giovane Cun-niang attirarono l’attenzione di molti, e la zia ebbe ben presto numerose domande per ottenere la mano della fanciulla; ma non sapendo quali fossero le idee della nipote a questo proposito, volle un giorno interrogarla, e le disse: «Tuo padre e tua madre passarono già di questa vita, e ti lasciarono senza appoggio. Fosti promessa al figlio di Cin Cang-ce; ma egli dovette andar a far il soldato, e partì per molto lontano da questo paese: le informazioni prese per sapere qualche cosa sul conto di lui, non hanno condotto a nulla, e non sappiamo neppure, s’egli sia vivo o morto. Vorrai tu dunque rimanergli legata per tutta la vita? Pensaci un poco, figliuola mia, ora che sei nel fiore dell’età tua; e fa a mio modo. Approfitta di una bella occasione; piglia marito, e assicurati così una onorata esistenza fino al termine dei tuoi giorni.
All’udire queste parole Cun-niang rispose piangendo alla zia: «Io fui la causa della sventura caduta sulla famiglia Cin: io fui la rovina loro. Se io rompessi la fede promessa al figlio dei Cin, e mi maritassi con altri, mi renderei colpevole d’ingratitudine e slealtà. No, cara zia; se voi mi amate, tenetemi di buon grado in casa vostra, e lasciate che conservi il mio cuore a lui, fino a che la fortuna lo riconduca di nuovo in seno alla famiglia. Che se qualche disgrazia dovesse succedergli, credetelo, io resterò fedele alla sua memoria per tutta la vita, e non romperò giammai i legami, coi quali la provvidenza avea congiunti i nostri cuori. Se voi mi promettete sposa ad altr’uomo, io preferirò di morire piuttosto che sottomettermi all’altrui volontà.»
La zia udendo tanta virtù e tanta costanza, non tenne di ciò più parola con la fanciulla; la quale continuò a stare in casa di lei, ma tanto ritirata e nascosta nelle sue stanze, che non usciva mai d’un passo fuor della porta; di modo che quasi nessuno aveva occasione mai di vederla in faccia.
Ora avvenne che, andando a questo modo le cose, il decimo mese di quell’anno i pirati, che infestavano le coste di Canton, presa terra, sollevarono grandi turbolenze nel paese. Un grosso esercito d’insorti si avvicinò alla città di Cao-king-fu, e gli abitanti, per aver salva la vita, abbandonarono le loro case e fuggirono, lasciando la città in balia degl’insorti. Cun-niang e la zia, anch’esse seguirono l’esempio degli altri, e si rifugiarono in un luogo molto lontano di la. Non prima dell’anno seguente si giunse a frenare l’impeto della rivolta, e a costringere i pirati ad abbandonare i paesi da loro occupati. Gli abitanti allora ritornarono alle loro case e ai loro campi, e con gli altri le due donne. Ma ahimè! tutto era stato messo a sacco e a fuoco: non una casa, non un pubblico edificio rispettato; non una capanna sola rimaneva in piedi nella desolata città: e le misere donne dovettero andarsene ad abitare una povera e rovinata casupola, ch’era in vicinanza ad una stazione di posta.
Un mese dopo il triste avvenimento, il figlio d’un magistrato, per nome Hoang-kuang, viaggiando a cavallo giunse nella città, e si fermò a quella stazione; e per le aperte finestre della vicina miserabile casetta vide Cun-niang, che innanzi al camino soffiava il fuoco per apparecchiare il domestico desinare. Hoang-kuang rimase colpito dalla grazia e leggiadria della fanciulla, e domandò ad alcuni che gli eran vicino chi fosse quella vaga giovanetta, e di che famiglia. Un tale che era presente, e che conosceva la fanciulla, si fece innanzi e gli disse, com’ella fosse la figlia del magistrato Lieu; la quale trovavasi in quella casa, perchè aveva perduto ogni suo avere a causa del saccheggio della città. Il giorno dipoi Hoang-kuang manda alla casa, ove aveva veduta Cun-niang, e la fa domandare in isposa. Ma la giovanetta ricusa assolutamente d’acconsentire a un tal matrimonio. Non per questo Hoang-kuang lasciò il pensiero d’averla; anzi baldanzoso e sicuro per l’autorità e il nobile lignaggio di sua famiglia, non cessava di fare presso la zia della fanciulla continue premure per conseguire il suo fine, deciso di adoperare la forza, se per altro mezzo non riuscisse nell’intento. Per la qual cosa la zia, allarmata e malcontenta della insistenza di lui, disse un giorno a Cun-niang: «Il padre di costui è un possente magistrato: se non gli si acconsente nella sua domanda, credi tu che ci lascierà un momento in questo luogo tranquille?» — «Se egli mi vuole a forza sposare, rispose la fanciulla, mi avrà morta. Se volete promettermi a lui, fatelo pure: ditegli solamente che, a causa della morte dei miei genitori, debbo ancora per sessanta giorni portare il lutto; e che soltanto dopo quel tempo potremo incominciare a discorrere della cerimonia degli sponsali. Il tempo darà consiglio: chi sa che in questo intervallo, non si trovi modo di liberarsi da lui!»
Quando Hoang-kuang seppe la causa, per la quale la fanciulla ricusava in sulle prime di aderire ai suoi desideri, si mise l’animo in pace, rassegnossi ad aspettare i sessanta giorni, e lasciò di tormentare le due donne.
Un giorno tre soldati, ch’erano in marcia, presero alloggio nell’albergo di posta, in prossimità della casa delle nostre donne; e mentre due di quei soldati stavano preparando da mangiare, l’altro smontato da cavallo, si era messo a sedere vicino ad essi. Cun-niang, veduti i militari giunti di fresco, disse alla zia: «Là nell’albergo sono arrivati alcuni soldati: vorreste, cara zia, informarvi d’onde vengono, e se per caso conoscono un certo Cin, e dov’egli è: almeno per vedere se potessimo trapelare qualche notizia di lui.» La buona donna andò subito a quei soldati, e domandò loro: «Dite; voialtri in che luogo siete di guarnigione?» — «A Leao-tung, rispose un d’essi, e andiamo a Sin-ceu per portare un dispaccio.» — «Se siete della guarnigione di Leao-tung, riprese la donna, avete forse voi a darmi notizie di un tale chiamato Cin, che è sotto le armi appunto in quel paese?» — «E come conoscete voi questo Cin?» replicò il soldato, che a quelle parole si era alzato e avvicinato a lei che il domandava. — «Vi dirò.... egli è lo sposo di mia nipote. Si celebrarono le feste, in che furono assieme promessi sposi; ma le nozze non si poteron fare, perchè egli dovè partire per l’esercito. Ecco perchè vi ho domandato se lo conoscete.» — «E la fanciulla ha in questo tempo preso impegno con altri?» domandò ancora il soldato. — «Mai no, rispose la donna; ella aspetta il ritorno di Cin, e non vuole a nessun patto maritarsi.» Allora il soldato, dando in un dirotto pianto, che a forza aveva fino allora trattenuto: «Io, disse, io stesso sono il figlio di Cin Cang-ce, il giovane di cui andate cercando notizie.» Potete immaginarvi la sorpresa della donna all’udire tali parole. Corse subito ad informarne la nipote, e poi le condusse in casa il soldato; alle cui parole però non volle a bella prima credere la fanciulla. E vedendo Cin che le stava dinanzi, lo pregò di darle contezza del come si era passata la bisogna. Allora il giovane esattamente e a puntino narrò tutto, cominciando dai preliminari delle nozze fino alla sua partenza pel campo; sicchè ogni dubbio svanì nell’animo della ragazza, e i due sposi si gettarono l’uno nelle braccia dell’altro, confondendo insieme le lacrime, che la gioia di quell’inaspettato rincontro faceva loro copiosamente versare.
I camerati del giovane soldato, saputo il fatto, molto se ne rallegraron con lui. «Chi lo avrebbe mai detto, esclamarono essi, che le molte miglia che abbiamo fatte, dovesser condurci a vedere l’unione di questa coppia felice? Noi vi porteremo, dissero a Lung, i vostri arnesi da viaggio in casa di vostra moglie. Speriamo che questa notte si compiranno le nozze!»
Si prepararono le mense nel recinto esterno della casa. I due soldati vi si acconciarono, e là s’intrattennero allegramente: intanto il giovane Lung con la fanciulla Cun-niang e colla zia entrarono in casa a ristorarsi alquanto.
Ad ora avanzata i due soldati ritornarono al loro albergo, e gli sposi si avviarono alla camera da letto..... Riuniti dopo tante vicende, dopo aver sofferto tante sventure, oh quante e quante cose avevano a dirsi! quanti segreti a svelarsi, che avevano tenuti si gran tempo ascosi nel fondo dei loro cuori!...
All’indomani i due soldati si recarono da Cin, e indovinando i sentimenti dell’amico: «Assai vi peserà, camerata, gli dissero, abbandonare vostra moglie dopo la prima notte di matrimonio. Fate dunque a modo nostro: aspettateci in questo paese, chè andremo noi soli a portare il dispaccio, e nel ritorno passeremo di qua a prendervi. Allora recandoci di nuovo al campo di Leao-tung, potrete condurre con voi vostra moglie, e là vivervene in buona pace e armonia, felici come pesci nell’acqua.»
Così dissero, e così fu stabilito di fare. I due camerati partirono, e Lung si stette nascosto nella casa di Cun-niang sua novella consorte: e i giovani sposi passavano i giorni, dandosi reciproche testimonianze del più tenero affetto.
Passati una ventina di giorni, Hoang-kuang venne a cognizione di tutto quello che era successo, e mal sopportando di vedersi andare a vuoto i concepiti disegni, inviò subitamente alcuni suoi famigliari nella casa della donna, perchè si impadronissero del giovane Lung, e arrestatolo, lo menassero a lui. E tratto che fu il soldato in casa di lui, e condannatolo come disertore, Hoang-kuang lo fece senz’altro morire sotto il bastone; e poi ne nascose il cadavere in una vicina fornace di mattoni; e il giorno dopo ordinò che si andasse da Cun-niang per combinare la cerimonia degli sponsali, com’ella aveva promesso, spirato che fosse il termine di sessanta giorni.
Cun-niang, che stava nella più grande ansietà per la sorte del marito, saputo ch’era stato fatto morire da Hoang-kuang in maniera sì barbara, disperata entrò nella propria camera, decisa di togliersi la vita appiccandosi. Ma la zia giunse in tempo a salvarla, e volendola distòrre dal fatale proponimento, le andava dicendo: «Fino a che Cin era in vita, tu eri unita a lui per la promessa contratta fra le vostre famiglie; ma ora ch’egli è morto, ogni legame è rotto, e tu sei libera. Devi dunque pensare, mia cara, a rimaritarti; e giacchè il figlio di un tanto nobile personaggio ti domanda, acconsenti, e tutto andrà pel meglio. A che pro martoriarti l’anima a questo modo per cosa che non ha rimedio?» — «Il dover mio, rispose Cun-niang, è quello di vendicare mio marito uccidendomi, e così morendo per lui8. E voi invece, volete che mi unisca in matrimonio coll’uomo, che mi fu cagione di così grande sventura?»
La zia seguitava ad eccitarla con le parole, perchè non si lasciasse trascinare dalla foga e dall’impeto della passione: ma la fanciulla si mostrava ferma nel suo proposito, e rifiutava in ogni modo di acconsentire ai consigli di lei. E stando in questa alternativa, si ode un pubblico banditore, che dall’albergo vicino ad alta voce annunziava dicendo: «L’eccelso giudice Pao-kung, del supremo tribunale di giustizia, è per venire a visitare il paese e ad esaminare l’amministrazione del prefetto della provincia. Egli arriva questa sera: preparatevi a riceverlo.»
Cun-niang, udito quell’annuncio, giunse le mani e ringraziò con effusione il cielo. E preparato in iscritto un memoriale, nel quale esponeva tutto l’accaduto, mentre che il giudice faceva a cavallo il suo ingresso nella città, glielo presentò chiedendo giustizia. Pao-kung, arrivato che fu alla residenza officiale, ed esaminato il foglio, fece chiamare a sè la donna, per avere da lei maggior contezza del fatto. Cun-niang, giunta innanzi al tribunale, colle lacrime agli occhi e il dolore dipinto sul volto, narrò al giudice la luttuosa istoria delle sue sventure. Allora, senza per tempo in mezzo, Pao-kung dette ordine che si arrestasse e si menasse a lui Hoang-kuang; ma il malvagio uomo negò impudentemente la verità, nè volle confessarsi reo dell’uccisione del giovane soldato. Per la qual cosa il giudice, pensando al modo di venire in chiaro sulla realtà del fatto, tra sè diceva: «Se un uomo fu ucciso, si deve pur trovare il suo cadavere; e questo rinvenuto e riconosciuto che fosse, aprirebbe la via per rintracciare più facilmente il vero, e darebbe una prova, innanzi alla quale il reo, se egli è tale, non oserebbe più negare il delitto. Ma se questa prova manca, come farò io a trovare la verità?» Ora stando in questa incertezza ed imbarazzo, un forte buffo di vento soffiò davanti al banco del magistrato; e, cosa meravigliosa! il giudice Pao-kung udì da quel vento uscire una voce che diceva: «se temi di condannare un innocente, che i tuoi sergenti mi seguano.» La voce cessò, e il vento fece ancora tre giri intorno al seggio del giudice.
Cang-lung e Hia-u, i due sergenti ch’erano nell’aula del tribunale, seguirono la corrente del vento che, uscita fuori, andò distante venti li dalla città, e si fermò; e poi girando e rigirando entrò in una fornace da mattoni, e là si disperse. I due sorgenti guardarono dentro alla fornace, e vi scorsero il cadavere di un uomo, che la corruzione non avea per anco alterato nei lineamenti. Diedero notizia di questa cosa a Pao-kung; ed egli ordinò che quel corpo fosse portato nella sala del tribunale, e disse a Cun— niang ivi presente, s’ella lo riconoscesse. Il vederlo e il riconoscerlo fu per lei un istante solo. Ella si strinse al seno le fredde spoglie dello sposo, e le bagnò con amare ed abbondanti lacrime. Molte lividure si vedevano sul cadavere dell’infelice: erano i segni dei colpi di bastone, sotto i quali Hoang-kuang lo aveva fatto morire.
Il barbaro Hoang non potè più nascondere alla giustizia il delitto che aveva commesso, e confessò intiera la verità. Ed il giudice Pao-kung, pronunziando pubblica ed esemplare sentenza, lo condannò a scontare colla vita la crudeltà sua; e inoltre ordinò che a spese della famiglia del condannato si facessero i funerali e si erigesse una tomba all’ucciso marito di Cun-niang, a quel modo e con quell’onore che la donna desiderasse migliori.
Nè il giudice Pao-kung dimenticossi di Xao. Quest’uomo malvagio, origine di tante sventure, fu condannato, per aver comperato e sedotto un pubblico funzionario, alla deportazione militare, e a terminare così i suoi giorni lontano dal paese nativo.
Pose dipoi il giudice sotto la custodia e la protezione di alcuni parenti la sconsolata Cun-niang; alla quale ogni mese il magistrato pagava a spese del tesoro pubblico una pensione pel sostentamento di lei, affinchè le fosse possibile infino alla morte conservarsi fedele al defunto marito, e compiere in una casta vedovanza quella vita, che aveva incominciata con esempi di sì rara virtù.
Note
- ↑ [p. 68 modifica]In Cinese: Ziu-wei-cing-zu riuniti formano un Clan (su) completo. Il Clan (su) è formato di quattro Liu, ed ogni Liu di venticinque famiglie, Kia; onde un Clan, su, è la riunione di cento famiglie. Kang-hi Ze-tien clas. 70, p. 41.
- ↑ [p. 68 modifica]In cinese: Tung-cuang-tu-xu, tutti e due (alla finestra) leggevano libri. La luce scarsa che viene dalle finestre con impannate, delle antiche case cinesi, obbliga a mettere la tavola sotto alla finestra, alfine di aver luce a sufficienza per leggere o scrivere. Di qui la locuzione, stare alla finestra o sono alla finestra, che significa studiare, applicarsi allo studio, star sempre alla finestra ha in cinese lo stesso significato, che ha la nostra frase, star sempre a tavolino.
- ↑ [p. 68 modifica]In Cinese Zu-hiung, il fratello maggiore del clan.
- ↑ [p. 68 modifica]Letteralmente: mia figlia, per l’età, già arrivò alla spillone da capelli, locuzione che vuol dire, giunta in età da marito. Una fanciulla nella sua adolescenza porta un nodo di capelli da un lato della testa, ed una ciocca che ricade sulle gote; ma quando ella è fidanzata, deve sottomettersi ad un’antica usanza, che consiste in tirar su i capelli e riunirli con uno spillone. «Quando una fanciulla è promessa, dice un libro cinese, le sue chiome debbono esser tirate su, e deve portare lo spillone da capelli come segno dell’impegno preso.»
- ↑ [p. 68 modifica]Letteralmente: era diligente nello studio dello Xi-king e dello Xu-king, cioè a dire nel Libro dei versi e nel Libro delle storie, i due principali King, o libri classici, compilati da Confucio.
- ↑ [p. 68 modifica]Il testo ha Xi-gi-Kuo-men: scegliere un giorno per passar la porta. Malgrado ciò la fanciulla, come vedremo nel seguito della novella, non esce dalla casa paterna. L’espressione Kuo-men, passare la porta, vuol dir divenire la moglie di qualcuno; e indica specialmente la cerimonia, colla quale si promette sposa una giovanetta. Questo avvenimento si celebra con grandi feste, in ispecial modo nella casa della fanciulla; i fidanzati però non si vedono l’un l’altro sino al giorno delle nozze, e il giovane deve solo limitarsi a inviare dei regali all’incognita sua sposa promessa. A partire da quel giorno i due giovani sono irrevocabilmente uniti; e la donna vive ancor più separata dal mondo, e negli appartamenti [p. 69 modifica]reconditi della casa, a lei destinati. Questo, bene inteso, succede nell’alta classe della società. Nella classe povera, dopo questa cerimonia, la fanciulla passa non di rado nella casa dello sposo, sotto la tutela della suocera, e vive con lei, cercando essere utile alla sua nuova famiglia, fino all’epoca del matrimonio.
- ↑ [p. 69 modifica]Leao-tung, provincia della Tartaria cinese.
- ↑ [p. 69 modifica]Parrà uno strano modo di vendicarsi delle offese ricevute, quello di uccìdersi. Ma nella Cina l’onta di un suicidio cade non già sul disgraziato che toglie la vita, ma su colui che ne fu la causa.