Novelle gaje/Avventure di due filosofi

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Avventure di due filosofi

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Avventure di due filosofi
Un ideale La pipa dello zio Bernhard

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AVVENTURE DI DUE FILOSOFI

le quali provano inconfutabilmente

l’utilità della filosofia.



NN
el fortunato paese culla dell’uman genere, che il Tigri e l’Eufrate attraversano, che cinque mari abbracciano e dove il cactus e l’aloè ondeggiano mossi da correnti imbalsamate sotto il cielo splendido di Palestina...

Prendiamo una via più corta.

Alle porte di Bagdad, la città cara ai califfi, due filosofi sedevano sotto l’ombra di un palmizio.

È un modo un po’ brusco di entrare in materia, ma io lo preferisco — anzitutto perchè è il modo mio — poi perchè su quattro lettori tre almeno mi saranno riconoscenti della brevità.

I due filosofi si chiamavano Nourredin e Bettredin; appartenevano a sètte diverse e avendo preso moglie da poco ragionavano insieme sull’efficacia dei mezzi più adatti a conservare la pace coniugale. [p. 142 modifica]

Prego a credere che i miei due eroi non erano filosofi da strapazzo, ma persone di gran merito, stimatissime non solo nel loro paese, ma anche nella vicina Arabia, nella Persia, in Egitto; perfino le spiaggie remote del Beluchistan, dell’Afganistan e dell’Indostan ripetevano con venerazione i loro nomi.

Se noi non ne sappiamo nulla, dobbiamo incolparne la decadenza del nostro spirito che da qualche tempo è tutto occupato nella questione d’Oriente, a scapito degli studi profondi ed utili che vengono trascurati con danno palese dell’intelligenza, del buon gusto e dei librai.

Il saggio Bettredin soleva dire che non si pensa mai abbastanza prima di parlare e che non si parla mai abbastanza prima di operare; massima sorprendente e luminosa, che qualora venisse adottate per intero aprirebbe nuove prospettive all’arte oratoria e al modo di cucinare le bistecche.

Egli era dunque assorto in un religioso silenzio, foriero di qualche meravigliosa rivelazione, quando Nourredin prese a dire:

— Vi confesserò, caro fratello, che non sono senza inquietudini. Per quanto abbia studiato il carattere della mia sposa, l’incantevole Aïssa, non mi sono ancora formato un concetto preciso sulla qualità delle molecole che compongono il suo cervello e sulla maggiore o minor rapidità nella circolazione del suo sangue dalle vene arteriose al cuore. Sarebbe per me importantissimo conoscere la sutura che congiunge le ossa del suo cranio e da questa dedurre lo sviluppo delle sue qualità morali, come insegnano i [p. 143 modifica]dottissimi Huxley, Vogt e Büchner, filosofi della Cocincina — poichè vorrete concedermi, caro fratello, che tutto finisce in una quistione paleontologica — il problema dello scheletro, della superficie ossea, della materia!

Un certo ordine di molecole si fondono insieme per fare un briccone e dall’armonia di certe altre nasce il galantuomo.

Bettredin, sempre assorto nelle gravi preoccupazioni della sua mente, non rispose, ma scosse negativamente il capo con tanta violenza che il turbante gli rotolò dieci passi lontano.

Nourredin, che aveva imparato i bei modi da un maestro di ballo francese, si alzò e glielo rese con molta grazia.

Bettredin ricoprì il venerabile tabernacolo della sapienza turca, sempre in silenzio, e l’altro proseguì:

— Noi educhiamo i fanciulli con un codice di morale fatta e con nozioni retoriche di virtù e di eroismo, senza badare che i fanciulli quando nascono hanno già l’angolo facciale disposto in una data maniera e che a volerlo modificare converrebbe vi mettesse opera la Natura stessa o quanto meno la levatrice con un opportuno raddrizzamento di linee. Chi insegnò al nostro santo profeta la via che dall’umile posizione di domestico lo condasse alla massima gloria? Credete che le lezioni ed i precetti degli altri avrebbero ispirato il Corano se il Corano non fosse nato con lui, in una cellula riposta della sua fronte?

Un sordo brontolìo annunciò a Nourredin che il suo compagno stava finalmente per parlare; e da [p. 144 modifica]quel filosofo garbato ch’egli era (il fatto è tanto raro che non temo di ripeterlo soverchiamente) tacque subito e si pose in attitudine di chi ascolta con attenzione.

Bettredin esclamò:

— Oh setta traviata, materialisti ignobili che in un pugno di fango riponete le leggi divine dell’universo! Allah è grande e Maometto è il suo profeta. Egli ci disse che chi opera bene avrà bene; chi si leva le ciabatte prima di entrare nel tempio godrà l’eterna voluttà del paradiso e chi si astiene dalla carne di porco abbraccierà la più bella fra le hurì. Come potete dunque sostenere che tutto è materia? Ci avrebbe Allah comandato di mortificare la materia se la materia fosse l’unica base del nostro essere? E che valore avrebbe la virtù ridotta allo stato di semplice protuberanza?

— L’uguale valore — gridò Nourredin — che merita allo stato d’astrazione. Quando tutto il sistema spiritualista fosse tradotto in realismo si procederebbe per vie diverse ai medesimi effetti col vantaggio della verità per scorta. Una volta stabilito che il sangue ricco di globuli e di calore non si modifica davanti a un capitolo di filosofia, si tenderà a calmarlo con mezzi materiali, con un trattamento dietetico confacente. Credete che la proibizione del porco, precetto santissimo della nostra religione, agisca su tutti con eguale profitto? Io ne conosco molti che aspirano organicamente alla carne di maiale e che si troverebbero meglio se non fosse vietata.

— Ma dove lasciate il libero arbitrio, la volontà, [p. 145 modifica]l’intelligenza, tutti i moti superiori dell’anima indipendenti dalla materia e senza di essa vivi?

— Senza di essa? scusate. Io vedo bensì molti corpi privi d’anima, ma non vedo un’anima sola senza corpo e dove l’uno e l’altra camminano di conserva è sempre l’anima che soggiace ai materiali bisogni.

A questo punto un largo e prolungato sbadiglio dischiuse le mascelle di Bettredin.

— Argomento, fratello mio, che abbiate fame — continuò Nourredin — per quanto possa ripugnare alla vostra nobile anima, io credo che un pasticcetto caldo aiuterebbe mirabilmente la vostra facondia.

Passava appunto un giovane eunuco, recante su un vassoio d’argento alcuni profumati pasticci d’ananas.

— Che Allah mi perdoni se sbaglio, quello è uno de’ miei schiavi! — esclamò il filosofo spiritualista, e chiamò per nome.

Il giovinetto si accostò riverente.

— Dove porti quei pasticci?

— Alla mia padrona e vostra sposa, la celeste Badura, poichè si sente lo stomaco languido e le pigliano i vapori.

— Come! la celeste Badura, che io nutro di idee sublimi e di ragionamenti spirituali, si permette in mia assenza così basse condiscendenze alla carne?...

Si interruppe, non volendo mostrare tutto quanto il suo pensiero davanti a un servo; prese colle due dita un pasticcetto e lasciò che il messaggero continuasse la sua via. [p. 146 modifica]

— E perchè — disse Nourredin, arrestando la mano del suo confratello che si accostava rapidamente alla bocca — perchè fate torto alla celeste Badura di un desiderio innocente? Avrebbe ella così floride carni e guance color di rosa e braccia rotondette se non vi provvedesse di tanto in tanto con una coscia di montone o un piatto di pilau?

— Siamo tributari della carne... non facciamoci schiavi — rispose Bettredin, seguendo cogli occhi la curva discendente del pasticcetto — ogni boccone che alimenta il corpo spegne una scintilla del fuoco divino.

— Secondo la vostra teoria, il mezzo più spiccio onde raggiungere la perfettibilità sarebbe quello di crepar di fame.

Pronunciando questa conclusione, Nourredin fu preso da un eccesso di ilarità così potente che ne ebbe scosso tutto quanto il diafragma e i nervi comunicanti colla mano si rallentarono, facendo cadere il pasticcetto che andò in mille frantumi.

Il saggio Bettredin ne tolse argomento per declamare sulla caducità della materia.

Il sole dardeggiava nella sua massima forza, nuotando dentro un’atmosfera azzurra attraversata da pulviscoli d’oro.

Le larghe foglie della palma ombrellifera difendevano a stento i due filosofi, ma una dolce brezza movendo dal Tigri stormiva fra i boschetti di tamarindi e di fichi e temperava l’eccessivo calore.

— Quale è il sistema da voi scelto — domandò Bettedrin dopo un lungo silenzio — per educare lo [p. 147 modifica]spirito e il cuore della vostra compagna, l’incantevole Aïssa?

— Il mio sistema è di lasciare che i pori del suo corpo, mediante una temperatura dolce e molle lascino evadere in sudore tutti i miasmi dell’organismo. Una donna in istato di traspirazione è generalmente buona e compiacente; la pelle asciutta indica bile e irascibilità. Vedo poi volontieri ch’ella si occupi colle sue schiave ad ammanire succulenti manicaretti, conserve e liquori, tenendo per tal modo gradevolmente occupata la fantasia, che se fosse libera divagherebbe in fisime sentimentali tanto nocive alla felicità domestica. Non le manca per parte mia nessuno degli agi della vita; pago puntualmente le note della sua sarta e per la più corta, ieri le ho regalato un vestito colore della punta della coda di colibrì maschio, che è l’ultima espressione della moda.

— Ma e il cuore, disgraziato, il cuore?

— Mi maraviglio che non sappiate essere la donna quasi priva di questo viscere nel quale noi riponiamo le sensazioni più squisite, quantunque i pareri sieno vari e molti naturalisti propendano a credere che il cervelletto è la sede unica dei moti interni; ma, comunque sia, è positivo che la donna ha meno fosforo dell’uomo e i suoi bisogni, più ancora che i nostri, sono prettamente materiali. Quando una donna mangia, si veste e mette al mondo dei figli, è senz’altro all’apice della sua felicità.

— Ecco dunque la vostra preoccupazione coniugale — tuonò Bettredin con vivissimo sdegno: — mettere al mondo dei figli! [p. 148 modifica]

— Permettete, è dovere. Forse che voi...

— Io non desidero che la celeste Badura abbia ad essere la causa involontaria di quel lubrico ammasso di fango che si chiama uomo; astuccio fragile e immondo entro cui si dibatte come un angelo incatenato l’anima immortale.

Le ciglia di Nourredin si inarcarono per sorpresa, descrivendo al di sopra dei suoi occhi un accento circonflesso. Arrischiò timidamente un — Per cui... — ma l’altro continuò:

— Il corpo col suo seguito di bisogni mortificanti non può essere che un castigo inflitto da Allah. Nel giorno ideale della creazione, quando i mari scintillavano nelle loro vasche di corallo e gli uccelli liberi correvano dall’una all’altra sponda posandosi sugli alberi incontaminati, anche le anime fluttuanti per lo spazio, inconscie di vincoli terreni, saranno convolate a puri amori ed a dolcezze paradisiache, delle quali la terrena voluttà non è che un pallido riflesso.

— Sarà; mi vorrete però concedere che per anime fluttuanti nello spazio non era il caso di creare i frutti saporiti che pendono dagli alberi, nè di dare alle carni di certi animali quel gusto delizioso che emanano girando su uno spiedo. Vi domanderò anche: Perchè furono creati i sessi? e perchè i sessi appartengono al corpo e non all’anima? Mostratemi due anime che, fluttuando in giro, popolino lo spazio di altre anime e crederò alla loro superiorità.

Un frutto maturo, staccandosi dal palmizio, cadde sul naso dell’eloquente Nourredin che si affrettò a tirare fuori il fazzoletto. [p. 149 modifica]

Bettredin, supponendo che il suo compagno volesse starnutire, ebbe la compitezza di dirgli: Felicità!

La qual cosa non consolò nè punto nè poco il filosofo materialista.

Uno splendido tramonto rosseggiava sulle cime dell’Ararat e già le prime stelle salivano dall’orizzonte a popolare il cielo, nè i due filosofi mostravano di voler andarsene — anzi dialogavano con molta anima, allo scopo di rendere felici le loro spose e sè stessi.

Bettredin diceva:

— Le donne, creature eteree, vaporose, caste, che assai più di noi si avvicinano all’ideale, non dobbiamo considerarle (come pur troppo avviene) quali macchine passive destinate a scopo di materia. Un nutrimento leggero esclusivamente vegetale, foglie di rosa se fosse possibile — letture mistiche — aspirazioni continuate verso l’indefinito...

— E pediluvi frequenti — interruppe Nourredin ridendo sotto la barba.

Non pare che Bettredin rilevasse l’ironia perchè seguitò:

— Quando il mondo uscì perfetto dalle mani di Allah e prima che la materia si ergesse a dominatrice...

— Un momento. È oramai provato, provatissimo che la terra è un sole estinto, e sia che la si voglia considerare all’epoca del suo massimo calore, un aggregato cioè di materia gasosa incandescente, sia allo stato solido che acquistò gradatamente raffreddandosi [p. 150 modifica]— o sia pure quando spenti i fuochi interni e stabilito l’equilibrio dell’atmosfera si manifestò nel primo filo d’erba il germoglio della vita, noi vediamo sempre e dovunque la materia che regna.

— Queste teorie alla fin fine non sono che ipotesi — mormorò Bettredin, rompendo a mezzo la frase con un sonoro sbadiglio.

— Ma basate — incalzò Nourredin — su calcoli astronomici, fisici, matematici e geodetici; e dopo aver osservate le stratificazioni della terra nelle epoche più remote, la paleozoica, la siluriana, la devoniana, la carbonifera...

— Vedete, vedete come la vanità umana si affatica dietro ricerche che non provano nulla, che non insegnano nulla, che non conducono a nulla. Quando avete ben determinato che la crosta solida del nostro globo è di circa quarantottomila metri nei quali si trovano a strati e a filoni l’allumina, la potassa, il quarzo, il granito, l’argilla e una infinità di silicati e di felspati, di micaschisti, di clorite e di manganese, ebbene? Mi sapete spiegare perchè da un seme nasce l’albero e da un ovo l’uccello? Voi trovate una ragione a tutto, una soluzione a tutto, ma il perchè, il fiat, il Dio dov’è? Ne sapete voi qualche cosa?

— È appunto per questo che non credo. Datemi una prova evidente, palpabile, sicura...

— Alzate gli occhi al cielo e mirate la danza armonica degli astri nell’etere inesplorato. Ditemi, la forza che li regge può essere materia?

— Perchè no? Dal momento che un atto puramente materiale soffia la così detta anima in un [p. 151 modifica]corpo d’uomo... ci vorrà maggior spirito a fare una stella?

— Ma questi astri brillanti di una luce incognita non dicono nulla al vostro cuore?

— Sì — disse Nourredin alzandosi — essi mi avvertono che è l’ora di andare a letto, e spero bene che l’incantevole Aïssa mi aspetterà impaziente per presentarmi una torta di ribes fatta colle sue belle mani. Venite anche voi?

— Non ancora. È questa l’ora soave del raccoglimento e della meditazione. Vedo di qui la celeste Badura in colloquio coi genî misteriosi della notte; le nostre anime vaganti d’astro in astro si incontreranno in pure aspirazioni che non giova turbare con una importuna presenza.

— Addio, dunque. Che Allah vi protegga.

La casa di Nourredin, bianca, piccina, cinta da aranci (destinati a fare del giulebbe) e che la nascondevano quasi tutta, pareva immersa nel sonno. Solo l’eunuco, custode dell’harem, accoccolato sulla soglia, piangeva dirottamente e stracciavasi il turbante.

— Che mai avvenne? — chiese il filosofo oltre ogni dire meravigliato e perplesso.

— Mio signore — gemette l’eunuco trascinandosi carponi a’ suoi piedi — una orribile disgrazia ci ha colpiti. Aïssa, l’incantevole Aïssa, bella come il raggio del mattino che brilla sulle vette del Caucaso, elegante come il palmizio che si specchia nelle onde del Tigri, dolce come i profumi che il vento ci reca dall’Yemen, candida come la perla appena formata nel grembo dei mari, maestosa come i cedri...

— Parla, miserabile. Che avvenne di lei? [p. 152 modifica]

— È sparita. Nell’harem desolato echeggia il suono della sua voce divina; il morbido divano conserva tra le pieghe di raso l’impronta della vaga persona; geme nel bagno di porfido l’acqua che accolse le bellissime forme; e sulla mensa apparecchiata si raffredda la torta di ribes.

— Sparita! sparita! — ripeteva Nourredin — ma come? quando? perchè?

L’eunuco tirò fuori una lettera nascosta gelosamente tra la doppia fodera del suo turbante e la consegnò in silenzio.

Il filosofo l’aperse con precipitazione. Era profumata di muschio, colle iniziali a timbro secco e diceva:

«Caro marito,

«Sono stanca di sudare e di far torte; non incolpa nessuno della mia fuga; l’eunuco è innocente. Io parto con un capitano francese che mi assicura essere Parigi la città delle donne, e che il costume europeo mi anderà a pennello. Pare che non si portino calzoni oltre il Mediterraneo; ti lascio i miei per ricordo; ma prendo i gioielli e l’oro che mi serviranno durante il viaggio. Sono delicata in materia d’onore e non voglio essere d’aggravio al capitano. Addio, caro marito. Quando ne hai abbastanza di fare il turco, puoi venire a trovarmi in Europa, dove vivremo di buon accordo tutti e tre. Mi assicurano che la cosa è possibilissima e niente affatto contraria alle leggi del paese.

«Tua fedele Aïssa

«PS. Ricordati di rinnovare il miglio nella gabbia del mio canerino.» [p. 153 modifica]

Dopo la lettura di questa epistola, Nourredin si abbandonò al più violento dolore. Invano l’eunuco tentava consolarlo, promettendogli una seconda sposa, una circassa dagli occhi tagliati a mandorla, neri come il manto della notte, col naso a punto di spada, la bocca vermiglia come il fiore dell’aloe, il collo bianco e flessibile come quello delle cicogne quando si curvano vezzeggianti dall’alto dei minareti... L’eunuco aggiunse molte altre descrizioni, ma tali che si potrebbero dire appena in lingua turca.

Nourredin si mostrò insensibile; ed anzi, venutogli in uggia la vista di uno schiavo che non aveva saputo custodire il tesoro affidatogli e la casa stessa richiamandolo alla memoria del perdute dolcezze, fuggì a lunghi passi che lo portarono sotto la palma dove Bettredin contemplava ancora le stelle.

— Mio povero amico — esclamò il filosofo spiritualista, quando ebbe udito il triste caso — non mi maraviglio che il vostro sistema vi abbia condotto a sì deplorevoli effetti. La materia...

— Vi prego, consolatemi diversamente — interruppe lo sposo tradito, prevedendo una dissertazione metafisica.

— Volete venire a casa mia? L’ordine, la pace, il puro amore che vi regna calmeranno il vostro spirito, e la celeste Badura vi solleverà il cuore colle armonie soavi del liuto.

Nourredin nulla rispose; l’altro lo prese sottobraccio avviandosi silenziosamente per le strade della città, attraverso piazze deserte e giardini sconfinati fino ad una solitaria collinetta, dove sorgeva fra gli oleandri la casa di Bettredin. [p. 154 modifica]

— Entriamo dalla porticina del parco che mette direttamente all’harem.

Così disse Bettredin; ma fu ben sorpreso allorquando trovò la porticina aperta... Corrugò la fronte come sogliono tutti i filosofi nelle circostanze gravi e si diede a riflettere seriamente.

Bentosto un rumore lieve, indistinto, variato nelle sue cadenze, ora fievole come un sospiro, ora schioccante come un bacio, percosse contemporaneamente le quattro orecchie dei due filosofi.

— Qui c’è gente — disse Nourredin.

— Parlate piano e levatevi le babbuccie.

Nourredin rattenne il fiato, ma spalancò gli occhi e vide agitarsi sotto gli oleandri fioriti due ombre... di ambo i sessi. Lui aveva il caffetan azzurro ricamato in oro, Lei un paio di calzoncini color perla e una tunica di cachemir rosa tutta sparsa di gemme; un lungo velo bianco le adombrava gli omeri ignudi e tremolava come una nuvoletta ai raggi della luna.

— Eterno Iddio, chi vedo? La celeste Badura! — mormorò Bettredin vicino a svenire.

— Conversa, a quanto pare, con un genio della notte — disse Nourredin separando i rami per osservare meglio, e dopo aver osservato soggiunse: — e il tema non mi ha l’aria di essere molto spirituale...

Per quanto i due filosofi usassero cautela, il loro bisbiglio fu udito. I calzoncini color perla balzarono in piedi e il caffetan azzurro si pose in guardia facendo balenare la lama damaschinata d’una scimitarra persiana. [p. 155 modifica]

— Allontaniamoci — biascicò il marito mezzo morto per l’affanno e l’altro mezzo per la paura — io sono il più infelice degli uomini.

— O non avete per consolarvi l’anima immortale?

Bettredin non rispose verbo; tutti e due macchinalmente ripresero la via del palmizio. L’aurora imperlava gli estremi lembi dell’orizzonte e gli uccelli chiacchierini cantavano i loro amori sulle cime dei bambù.

Due giovani contadini marito e moglie entravano allora in Bagdad carichi di frutta e di erbaggi destinati al mercato. Avevano la gioia dipinta sul volto e la tranquillità negli occhi sereni.

— Da dove venite? — chiese loro Bettredin, sperando di poter sfogare con qualcuno il suo dolore.

— Dal lavoro.

— E dove andate?

— Al lavoro.

— Siete voi felici?

I due si guardarono e risero.

— Che sistema usate — interruppe Nourredin vôlto al marito — per mantenere l’equilibrio negli umori latenti della vostra sposa?

Nuova occhiatina e nuovo sorriso.

— Non vi siete mai occupato dei globuli del suo sangue?

— No sicuramente — rispose il contadino che incominciava a credere di aver incontrato due pazzi.

— Conoscete almeno le protuberanze del suo cranio?

— Nemmen per sogno. [p. 156 modifica]

— E la sutura?

— Cos’è quest’affare?

— Comprendo — riprese Bettredin — voi seguite la filosofia spiritualista, la credenza nel fattore invisibile, nella forza incorporea, nell’anima che aleggia al di sopra della terra.

— Ma signori, io non so niente di tutte queste cose. Adoro Allah, amo mia moglie, lavoro il mio campo e sono felice.

Così dicendo proseguì la sua strada.

I due filosofi si guardarono interdetti e dopo aver riflettuto profondamente sedetter ancora sotto la palma per cercare nuove teorie.