Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 17
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CANTO DECIMOSETTIMO
[1]
Hano di remiſſion paſſato il ſegno
Accio ch le giuſtitia ſua dimoſtri
Vguale alla pietā, ſpeffo da regno
A Tyranni atrociſſimi & a Moſtri
E da lor ſorza, e di mal fare ingegno:
Per qſto Mario e Svila poſe al mondo
E duo Neroni, e Caio ſuribondo.
[2]
Domitiano, e l’ultimo Antonino.
E tolſe da la immonda e baſſa plebe
Et eſalto all’Imperio Maſſimino:
E naſcere prima ſé Creonte a Thebe:
E die Mezentio al populo Agilino
Che ſé di ſangue humā graſſe le glebe:
E diede Italia a tempi men remoti
In pda agli Huni a i Lògobardi a i Gothi.
[3]
Che d’Atila diro? che de l’iniquo
Ezzellin da Roman? che d’altri cento?
Ch dopo vn lūgo andar ſemp in obliquo
Ne mada Dio per pena e per tormento:
Di qſto habbian no pur al tòpo antiquo
Ma anchora al noſtro chiaro eſperiméto
Quando a noi greggi inutili e mal nati
Ha dato per guardian Lupi arrabbiati.
[189]
[4]
A cui non par c’habbi’a baſtar lor fame,
C’habbi’i! lor ventre a capir tata carne,
E chiaman Lupi di piú ingorde brame
Da boſchi oltramontani a diuorarne,
Di Traſimeno l’infepulto oſſame
E di Cane e di Trebia poco panie
Verſo quel che le ripe e i campi ingraſſa
Dou’Ada e Mella, e Reco, e Tarro paſſa
[5]
Hor Dio conſente che noi ſian puniti
Da populi di noi ſorſè peggiori,
Per li multiplicati & inſiniti
Noſtri neſandi obbrobrioſi errori,
Tempo verrá, ch’a depredar lor liti
Andremo noi, ſé mai faren migliori,
E che i peccati lor giungano al ſegno
Che l’eterna bontá muouano a ſdegno.
[6]
Doueano allhora hauer gli ecceſſi loro
Di Dio turbata la ſerena ſronte,
Ch ſcorſe ogni lor luogo il Turco e’l Moro
Con ſtupri, vcciſion, rapine, & onte
Ma piú di tutti glialtri danni, ſoro
Grauati dal furor di Rodomonte,
Diſſi e’ hebbe di lui la nuoua Carlo
E che’n piazza venia per ritrouarlo.
[7]
Vede tra via la gente ſua troncata
Arſi i palazzi e minati i templi,
Gran parte de la terra deſolata,
Mai non ſi vider ſi crudeli eſempli,
Doue ſuggite turba ſpauentata,
Non e tra voi chi’l danno ſuo cótempli ?
Che citta che refugio piú vi reſta
Quando ſi perda ſi vilmente queſta?
[8]
Dunqj vn huom ſolo in voſtra terra pſo
Cinto di mura onde non può ſuggire:
Si partirá che non l’haurete oſſeſo
Quando tutti v’ haura fatto morire?
Coſi Carlo dicea: che d’ira acceſo
Tanta vergogna non potea patire.
E giunſe doue inanti alla gran corte
Vide il Pagan por la ſua gete a morte.
[9]
Quiui gran parte era del populazzo
Sperandoui trouare aiuto, aſceſa,
E’erche ſorte di mura era il palazzo
Con munition da far lunga difeſa,
Rodomonte d’orgoglio e d’ira pazzo
Solo s’ hauea tutta la piazza preſa
E l’una man che pzza il mondo poco
Ruota la ſpada, e l’altra getta il fuoco,
[10]
E de la regal caſa alta e ſublime
Percuote e riſuonar fa le gran porte,
Gettan le turbe da le eccelſe cime
E merli, e torri, e ſi meton per morte,
Guaſtare i tetti non e alcun che ſtime,
E legne, e pietre, vanno ad vna ſorte
I.aſtre, e colonne, e le dorate traui
Che ſuro in prezzo agli lor padri e agli aui
[11]
Sta ſu la porta il Re d’ Algier lucente
Dichiaro acciar ch’I capo gliarma e’l buſto
Come vſcito di tenebre ſerpente
Poi e’ ha laſciato ogni ſqualor vetuſto
Del nuouo ſcoglio altiero e che ſi ſente
Ringiouenito e piú che mai robuſto
Tre lingue vibra, & ha ne gliocchi ſoco
Douunqj paſſa ogn’ animai da loco
[12]
No ſaſſo, merlo, traue, arco, o baleſtra
Ne ciò che fopra il Saracin percuote
Ponno allentar la ſanguinoſa deſtra
Che la gra porta taglia ſpezza e ſcuote
E dentro fatto v’ ha tanta fineſtra
Che ben vedere e veduto eſſer puote
Da i viſi impreſſi di color di morte
Che tutta piena quiui hanno la corte,
[13]
Suonar per glialti e ſpatiofi tetti
S’ odono gridi e feminil lamenti
l’afflitte donne percotendo i petti
Corron per caſa pallide e dolenti,
E abbraccian gliuſci e i geniali letti
Che toſto hano a laſciare a ſtrane géti,
Tratta la coſa era in periglio tanto
Quado’l Re giuſe, e ſuoi baroi accato.
[14]
Carlo ſi volſe a quelle man robuſte
C’hebbe altre volte a gra biſogni pròte,
Non ſete quelli voi che meco fuſte
Contra Agolante (diſſe) in AſpramOte?
Sono le ſorze voſtre hora ſi fruſte
Che s’uccideſte lui, Troiano, e Almonte
Con cento mila, hor ne temete vn ſolo
Pur di ql ſangue e pur di qllo ſtuolo.
[15]
Perche debbo vedere in voi ſortezza
Hora minor ch’io la vedeſſi allhora?
Moſtrate a queſto Can voſtra prodezza
A queſto Can che glihuomini deuora,
Vn magnanimo cor morte non prezza
Preſta o tarda che ſia, pur che bé muora
Ma dubitar non poſſo oue voi ſete
Che fatto ſempre vincitor m’hauete.
[16]
Al ſin de le parole vrta il deſtriero
Con l’haſta baſſa al Saracino adoſſo:
Moſſeſi a vn tratto il Paladino Vgiero
A un tempo Namo & Vliuier ſi e moſſo
Auino, Auolio, Othone, e Berlingiero
Ch’ un ſenza l’altro mai veder no poſſo:
E ferir tutti fopra a Rodomonte
E nel petto, e ne i ſianchi, e ne la ſronte.
[17]
Ma laſciamo per Dio Signore hormai
Di parlar d’ira, e di cantar di morte,
E ſia per queſta volta detto assai
Del Saracin non men crudel che ſorte,
Che tempo e ritornar dou’ io laſciai
Griphon, giúto a Damaſco in ſu le porte
Con Horrigille perfida, e con quello
Ch’ adultererá, e non di lei fratello,
[18]
De le piú ricche terre di Leuante
De le piú populoſe, e meglio ornate
Si dice eſſer Damaſco, che diſtante
Siede a Hieruſalem fette giornate,
In vn piano ſruttiſero e abondante
Nò men giocondo il verno che l’eſtate,
A queſta terra il primo raggio tolle
De la naſcente Aurora vn vicin colle.
[19]
Per la citta duo ſiumi chriſtallini
Vanno inaſſiando per diuerſi riui
Vn numero inſinito di giardini,
No mai di fior no mai di ſronde priui,
Diceſi anchor, che macinar molini
Potrian far l’acque lanſe che ſon quiui,
E chi va per le vie vi ſente, ſuore
Di tutte quelle caſe, vſcire odore.
[20]
Tutta coperta e la ſtrada maeſtra
Di panni di diuerſi color lieti,
E d’odorifera herba, e di filueſtra
Fronda la terra, e tutte le pareti:
Adorna era ogni porta ogni fineſtra
Di ſiniſſimi drappi, e di tapeti,
Ma piú di belle e ben ornate donne
Di ricche gemme, e di ſuperbe gonne,
[21]
Vedeaſi celebrar dentr’ alle porte
In molti lochi ſolazzeuol balli,
Il popul per le vie di miglior ſorte
Maneggiar ben guarniti, e bei caualli,
Facea piú bel veder la ricca corte
De Signor de Baroni e de vaſalli
Co ciò ch d’ India e d’ Erithree mareme
Di Perle hauer ſi può d’Oro e di Geme.
[22]
Venia Griphone e la ſua compagnia
Mirado e quinci e quindi il tutto adagio
Quando fermolli vn caualliero in via
E gli fece ſmontare a vn ſuo palagio
E per l’uſanza, e per ſua corteſia
Di nulla laſcio lor patir diſagio,
Li ſé nel bagno entrar, poi con ſerena
Fronte gli accolſe a ſontuoſa cena.
[23]
E narro lor, come il Re Norandino
Re di Damaſco, e di tutta Soria,
Fatto hauea il paeſano e’I peregrino
Ch’ordine haueſſe di caualleria
Alla gioſtra inuitar, ch’ai matutino
Del di ſequente, in piazza ſi faria,
E che s’ hauean valor pari al ſembiante
Potria moſtrarlo ſenza andar piú inante.
[24]
Anchor che quiui non venne Griphone
A queſto effetto, pur lo’nuito tenne,
Che qual volta ſé n’ habbia occaſione,
Moſtrar virtude mai non diſconuenne,
Interrogollo poi de la cagione
Di quella feſta, e s’ella era ſolenne
Vfata ogn’ anno, o pure impreſa nuoua
Del Re, ch’i ſuoi veder voleſſe I pruoua
[25]
Riſpoſe il Cauallier, la bella feſta
S’ha da far ſempre ad ogni quarta Luna,
De l’altre che verran la prima e queſta
Anchora non ſé n’ e fatta piú alcuna,
Sara in memoria che ſaluo la teſta
II Re in tal giorno da una gran fortuna,
Dopo ch quattro meſi í doglie e’n piati
Sempre era ſlato e con la morte manti.
[26]
Ma per dirui la coſa pienamente,
II noſtro Re che Norandin s’appella
Molti e molt’ ani ha hauuto il cor ardete
De la leggiadra, e fopra ogn’ altra bella
Figlia del Re di Cypro, e ſinalmente
Hauutala per moglie iua con quella
Con cauallieri e donne in compagnia,
E dritto hauea il camin verſo Soria.
[27]
Ma poi che ſummo tratti a piene vele
Lungi dal porto nel Carpathio iniquo,
La tempeſta ſalto tanto crudele
Che sbigotti fin’al padrone antiquo,
Tre di e tre notti andamo errando, nele
Minaccioſe onde, per camino obliquo,
Vſcimo al ſin nel lito ſtanchi e molli
Tra freſchi riui ombroſi e verdi colli.
[28]
Piantare i padiglioni e le cortine
Fra gliarbori tirar facemo lieti,
S’apparecchiano i ſuochi e le cucine
Le menſe d’altra parte in ſu tapeti,
In tanto il Re cercando alle vicine
Valli, era andato e a boſchi piú ſecreti
Se ritrouaſſe capre, o daini, o centi
E l’arco gli portar dietro duo ſerui.
[29]
Métre aſpettamo in gran piacer ſedédo,
Che da cacciar ritorni il Signor noſtro,
Vedemo l’Orco a noi venir correndo
Lungo il lito del mar, terribil moſtro,
Dio vi guardi Signor ch’I viſo horrédo
Del Orco, a gliocchi mai vi ſia dimoſtro
Meglio e per fama hauer notitia d’effo
Ch’ andargli ſi che lo veggiate appreſſo.
[30]
Non gli può comparir quanto ſia lungo
Si ſmiſuratamente e tutto groſſo,
In luogo d’occhi, di color di ſungo
Sotto la ſronte ha duo coccole d’offo,
Verſo noi vien (come vi dico) lungo
Il lito, e par ch’un monticel ſia moſſo,
Moſtra le zanne ſuor come fa il porco,
Ha lungo il naſo il ſen bauofo e ſporco.
[31]
Correndo viene, e’l muſo a guiſa porta
Che’l bracco ſuol qn entra I ſu la traccia
Tutti che lo veggiam con faccia ſmorta
In ſuga andamo, oue il timor ne caccia,
Poco il veder lui cieco ne conforta
Quando ſiutando ſol, par che piú faccia
Ch’altri non fa e’ habbia odorato e lume
E biſogno al ſuggire eran le piume.
[32]
Corron chi qua chi la: ma poco lece
Da lui ſuggir veloce piú che’l Noto,
Di quaranta perſone, a pena diece
Sopra il nauilio ſi ſaluaro a nuoto,
Sotto il braccio vn faſtel d’ alcuni fece
Ne il grembio ſi laſcio ne il ſeno voto,
Vn ſuo capace Zaino empiſſene ancho
Che gli pèdea, come a paſtor dal ſianco.
[33]
Portoci alla ſua tana il moſtro cieco,
Cauata in lito al mar dentr’ uno ſcoglio,
Di marmo coſi bianco e quello ſpeco
Còe eſſer ſoglia achor no ſcritto ſoglio,
Quiui habitaua vna Matrona ſeco,
Di dolor piena in viſta e di cordoglio,
Et hauea in copagnia donne e donzelle
d’ogni etá, d’ogni ſorte, e brutte e belle.
[34]
Era preſſo alla grotta in ch’egli ſtaua,
Quaſi alla cima del giogo ſuperno
Vn’ altra non minor di quella caua,
Doue del gregge ſuo facea gouerno,
Tanto n’ hauea che non ſi numeraua,
E n’ era egli il paſtor l’eſtate e’l verno
A i tépi ſuoi gli apriua, e tenea chiuſo
Per ſpaffo che n’ hauea, piú che per vſo.
[35]
l’humana carne meglio gli ſapeua
E prima il fa veder ch’all’antro arriui.
Che tre de noſtri giouini e’ haueua,
Tutti li mangia, anzi trangugia viui,
Viene alla ſtalla, e vn gran ſaſſo ne leua
Ne caccia il gregge, e noi riſerra quiui,
Con quel ſen va doue il ſuol far ſatollo
Sonado vna zápogna e’ hauea in collo.
[36]
Il Signor noſtro in tanto ritornato
Alla marina il ſuo danno comprende,
Che truoua gran ſilentio in ogni lato
Voti fraſcati, padiglioni, e tende,
Ne fa penſar chi ſi l’habbia rubato,
E pien di grá timore al lito ſcende
Onde i nocchieri ſuoi vede in diſparte
Sarpar lor ferri e in opra por le farle.
[37]
Toſto ch’effi lui veggiono fu’l lito
Il paliſchermo mandano a leuarlo
Ma non ſi toſto ha Norandino vdito
De l’Orco che venuto era a rubarlo,
Che ſenza piú penſar piglia partito
Douunqj andato ſia di ſeguitarlo,
Vederli tor Lucina ſi gli duole
Ch’o racquiſtarla o nò piú viuer vuole.
[38]
Doue vede apparir lungo la ſabbia
La freſca orma, ne va con quella fretta
Con che lo ſpinge l’amoroſa rabbia,
Fin ch giunge alla tana ch’io v’ho detta,
Oue con tema la maggior che s’ habbia
A patir mai, l’Orco da noi s’aſpetta
Ad ogni ſuono di fentirlo parci
Ch’affamato ritorni a diuorarci.
[39]
Quiui Fortuna il Re da tempo guida
Che ſenza l’Orco in caſa era la Moglie,
Come ella’l vede, ſuggine gli grida
Mifero te, ſé l’Orco ti ci coglie,
Coglia (diſſe) o no coglia, o ſalui, o vecida
Che miſerrimo i ſia no mi ſi toglie,
Diſir mi mena, e non error di via,
C’ho di morir preſſo alla moglie mia.
[40]
Poi ſegui dimandandole nouella
Di quei che preſe l’Orco in ſu la riua.
Prima de glialtri di Lucina bella
Se l’hauea morta, o la tenea captiua,
La Donna humanamente gli fauella
E lo conforta: che Lucina e viua,
E che no e alcun dubbio ch’ella muora
Che mai femina l’Orco non diuora.
[41]
Eſſer di ciò argumento ti pofs’ io
E tutte queſte donne che ſon meco,
Ne a me ne a lor mai l’Orco e ſtato rio
Pur che no ci feoſtian da queſto ſpeco:
A chi cerca ſuggir pon graue ſio,
Ne pace mai puon ritrouar piú ſeco,
O le ſotterra viue, o l’incatena
fa ſtar nude al Sol fopra l’arena
[43]
Quado hoggi egli porto qui la tua géte
Le femine da i maſchi non diuiſe.
Ma ſi come gli hauea, confuſamente
1 teatro a quella ſpelonca tutti miſe,
Sentirá a naſo il feſſo differente
Le donne non temer che ſieno vcciſe
Glihuomini fiene certo, & empieranne
Di quattro, il giorno, o fei: l’auide cane.
[43]
Di leuar lei di qui non ho conſiglio
Che dar ti poſſa, e contentar ti puoi
Che ne la vita ſua non e periglio,
Stara qui al ben’e al mal c’hauremo noi,
Ma vattene (per dio) vattene figlio
Che l’Orco non ti ſenta e non t’ingoi
Toſto che giunge d’ognintorno annafa
E ſente ſin ’a vn topo che ſia in caſa.
[44]
Riſpoſe il Re, non ſi voler partire
Se non vedea la ſua Lucina prima,
E che piú toſto appreſſo a lei morire
Che viuerne lontan faceua ſtima
Quando vede ella non potergli dire
Coſa chel muoua da la voglia prima,
Per aiutarlo fa nuouo diſegno
E pòui ognifua iduſtria ogni ſuo Igegno
[45]
Morte hauea I caſa e d’ ogni tépo appeſe
Con lor mariti assai capre & agnelle:
Onde a ſé & alle ſue facea le ſpeſe
E dal tetto pendea piú d’ una pelle,
La donna ſé che’l Re del graſſo preſe
C hauea u gra becco itorno alle budelle
E che ſé n’ unſe dal capo alle piante
Fin ch l’odor caccio ch’egli hebbe inate
[46]
E poi che’l triſto puzzo hauer le parue
Di che il fetido becco ogn’hora ſape
Piglia l’hirfuta pelle, e tutto entrarne
Lo ſé, che’lla e ſi grande che lo cape
Coperto ſotto a coſi ſtrane larue
Facendol gir carpon ſeco lo rape
La doue chiuſo era d’ un ſaſſo graue
De la ſua donna il bel viſo ſoaue.
[47]
Norandino vbidiſce, & alla buca
De la ſpelonca, ad aſpettar ſi mette,
Accio col gregge dentro ſi conduca,
E fin’a ſera diſiando ſtette.
Ode la ſera il ſuon de la ſambuca
Co che’nuita a laſſar l’numide herbette
E ritornar le pecore all’albergo
Il ſier paſtor che lor venia da tergo.
[48]
Penſate voi ſé gli tremaua il core
Quando l’Orco ſenti che ritornaua,
E chel viſo crudel pieno d’horrore
Vide appreſſare all’ufeio de la caua,
Ma potè la pietá piú che’l timore
S’ ardea vedete o ſé ſingendo amaua,
Vien l’Orco inazi, e leua il ſaſſo & apre
Norandino entra ſra pecore e capre.
[49]
Entrato il gregge, l’Orco a noi deſcede,
Ma prima fopra ſé l’ufeio ſi chiude,
Tutti ne va ſiutando, al ſin duo prende,
Che vuol cenar de le lor carni crude,
Al rimebrar di quelle zanne horrende
NO poſſo far ch’achor no trieme e ſude,
Partito l’Orco il Re getta la gonna
C hauea di becco, e abbraccia la ſua Dona
[50]
Doue hauerne piacer deue e conſorto
(Vedédol qui) ella n’ ha affanno e noia
Lovede giunto, ou’ha da reſtar morto
E nò può far perho ch’eſſa non muoia,
Co tutto’l mal (diceagli) ch’io ſupporto
Signor fenda non mediocre gioia,
Che ritrouato non t’ eri con nui
Quádo da l’Orco hoggi qui tratta ſui.
[51]
Che ſé ben il trouarmi hora in procinto
D’ uſcir di vita m’era acerbo e ſorte:
Pur mi farei, come e comune inſtinto,
Dogliuta ſol de la mia triſta ſorte
Ma hora, o prima o poi che tu ſia eſtinto
Piú mi dorrá la tua che la mia morte:
E ſeguito moſtrado assai piú affanno
Di quel di Norandin che del ſuo dano.
[52]
La ſpeme (ditte il Re) mi fa venire
C ho di ſaluarti, e tutti queſti teco,
E s’io noi poſſo far, meglio e morire
Che ſenza te mio Sol viuer poi cieco,
Come io ci venni mi potrò partire
E voi tutt’ altri ne verrete meco
Se no haurete, come io no ho hauuto,
Schiuo a pigliare odor d’animai bruto.
[53]
La ſraude inſegno a noi, che còtra il naſo
De l’Orco, ífegno allui la moglie d’effo
Di veſtirci le pelli in ogni caſo
Ch’egli ne palpi ne l’uſcir del feſſo,
Poi che di queſto ognun ſu perſuaſo
Quanti de l’un quanti de l’altro feſſo
Ci ritrouiamo, vccidian tanti becchi
Quelli ch piú fetea ch’eran piti vecchi.
[54]
Ci vngemo i corpi dí quel graſſo opimo
Che ritrouiamo all’inteſtina intorno,
E de P horride pelli ci veſtimo.
In tato vſci da l’aureo albergo il giorno
Alla ſpelonca come apparue il primo
Raggio del Sol, fece il paſtor ritorno,
E dando ſpirto alle ſonore canno
Chiamo il ſuo gregge ſuor de le capane
[55]
Tenea la mano al buco de la tana
Accio col gregge non vſciſſi noi
Ci predea al varco, e quado pelo o lana
Sentia fu’l doſſo, ne laſciaua poi,
Huomini e done vſcimmo p ſi ſtrana
Srada, coperti da gl’hirſuti cuoi,
E l’Orco alcun di noi mai non ritenne,
Fin che con gran timor Lucina venne.
[56]
Lucina, o foſſe perdi’ ella non volle
Vngerſi, come noi, che ſchiuo n’ hebbe,
O e’ haueſſe l’andar piú lento e molle
Che P imitata beſtia non haurebbe:
O quando l’Orco la groppa toccolle
Gridaſſe, per la tema che le accrebbe.
O che ſé le feioglieffero le chiome
Sentita ſu, ne ben ſo dirui come.
[57]
Tutti erauam ſi intenti al caſo noſtro
Ch no hauèmo gliocchi a glialtrui fatti.
Io mi riuolſi al grido, e vidi il Moſtro
Che giá gl’hirſuti ſpogli le hauea tratti,
E fattola tornar nel cauo chioſtro:
Noi altri dentro a noſtre gonne piatti
Col gregge adamo oue’l paſtor ci mena
Tra verdi colli in vna piaggia amena.
[58]
Quiui attediamo inſili ch ſtefo all’obra
D’un boſco opaco il naſuto Orco dorma
Chi lago il mar, chi verfo’I mote ſgóbra
Sol Noradin nò vuol ſeguir noſtr’orma
L’amor de la ſua donna ſi lo’ngombra
Ch’alia grotta tornar vuol ſra la torma,
Ne partirtene mai fin’ alla morte
Se non racquiſta la fedel conſorte.
[59]
Che qn diazi hauea all’uſcir del chiuſo
Vedutala reſtar captiua ſola.
Fu per gittarſi dal dolor confuſo
Spontaneamente alvorace Orco in gola,
E ſi moſſe e gli corte inſino al muſo,
Ne ſu lontano a gir ſotto la mola,
Ma pur lo tenne in mandra la ſperanza
C hauea di trarla anchor di qlla ſtanza.
[60]
La ſera quando alla ſpelonca mena
Il gregge l’Orco, e noi ſuggiti ſente,
E e’ ha da rimaner priuo di cena
Chiama Lucina d’ogni mal nocente,
E la condanna a ſtar Tempre in catena
Allo ſcoperto in fu’l fallo eminente,
Vedela il Re per ſua cagion patire
E ſi diſtrugge, e ſol non può morire.
[61]
Matina e ſera l’inſelice amante
La può veder come s’ affliga e piagna
Che le va miſto ſra le capre auante
Torni alla ſtalla, o torni alla campagna,
Ella con viſo meſto e ſupplicante
Gliaccena, ch per Dio non vi rimagna:
Perche vi ſta a gran riſchio de la vita,
Ne perho allei può dare alcuna aita.
[62]
Coſi la moglie anchor de l’Orco priega.
Il Re che ſé ne vada, ma non gioua,
Che d’ andar mai ſenza Lucina niega
E ſempre piú conſtante ſi ritruoua,
In queſta ſeruitude, in che lo lega
Pietate e Amor, ſtette con lunga pruoua
Tanto ch’a capitar venne a quel ſaſſo
Il figlio d’Agricane e’l Re Gradaſſo.
[63]
Doue co loro audacia tanto fenno
Che liberaron la bella Lucina,
Ben che vi ſu auentura piú che ſenno,
E la portar correndo alla marina,
E al padre ſuo che quiui era, la denno
E queſto ſu ne P hora matutina
Che Norandin co l’altro gregge ſtaua
A ruminar ne la montana caua.
[64]
Ma poi che’l giorno aperta ſu la ſbarra
E ſeppe il Re la Donna eſſer partita,
(Che la moglie de l’Orco gli lo narra:
E come apunto era la coſa gita)
Gratie a Dio rende, e con voto n’ inarra
Ch’eſſendo ſuor di tal miſeria vſcita
Faccia che giunga onde per arme poſſa
Per prieghi o per theſoro eſſer rifeoſſa.
[65]
Pien di letitia va con l’altra ſchiera
Del ſimo gregge, e viene a iverdi paſchi
E quiui aſpetta ſin ch’all’ombra nera
Il Moſtro per dormir ne l’herba caſchi:
Poi ne vien tutto il giorno e tutta ſera,
E al ſin ſicur che l’Orco non lo’ntaſchi
Sopra vn nauilio monta in Satalia
E ſon tre meſi ch’arduo in Soria.
[66]
In Rhodi, in Cypro, e p citta e cartella
E d’Africa, e d’Egitto, e di Turchia:
Il Re cercar ſé di Lucina bella,
Ne ſin l’altrhieri hauer ne potè ſpia,
L’altrhier n’ hebbe dal ſuocero nouella
Che ſeco l’hauea ſalua in Nicoſia,
Dopo che molti di vento crudele
Era ſtato contrario alle ſue vele.
[67]
Per allegrezza de la buona nuoua
Prepara il noſtro Re la ricca feſta,
E vuol ch’ad ogni quarta Luna nuoua
Vna ſé n’habbia a far ſimile a queſta,
Che la memoria rifreſcar gli gioua
De i quattro meſi che’n hirſuta veſta
Fu tra il gregge d l’Orco, e u giorno quale
Sara dimane vſci di tanto male.
[68]
Queſto ch’io v’ho narrato in parte vidi
In parte vdi da chi trouoſſi al tutto,
Dal Re vi dico, che Kalende & Idi
Vi ſtette ſin che volſe in riſo il lutto,
E ſé n’udite mai far’ altri gridi
Direte a chi gli fa che mal n’e inſtrutto
Il gètilhuomo in tal modo a Griphone
De la feſta narro l’alta cagione.
[69]
Vn gran pezzo di notte ſi diſpenfa
Da icauallieri in tal ragionamento,
E cochiudon ch’amore e pietá imenſa
Moſtro quel Re con grande eſperimèto
Andaron poi che ſi leuar da menſa,
Oue hebbo grato ebuono alloggiamelo
Nel ſeguente (natili ſereno e chiaro
Al ſuon de l’allegrezze ſi deſtaro.
[70]
Vanno ſcorrendo timpani e trombette
E ragunando in piazza la cittade,
Hor poi che de caualli, e de carrette
E ribombar de gridi odon le ſtrade,
Griphon le lucide arme ſi rimette
Che ſon di quelle che ſi trouan rade,
Che P li. uica impenetrabili e incantate
La Fata bianca di ſua man temprate.
[71]
Quel d’Antiochia piú d’ognaltro vile
Armoſſi ſeco, e compagnia gli tenne,
Preparate hauea lor P hoſte gentile
Nerboſe lance e falde e groſſe antenne,
E del ſuo parentado non humile
Cópagnia tolta, e ſeco in piazza venne,
E feudieri a cauallo e alcuni a piede
A tal ſeruigi attiffimi lor diede.
[72]
Giunſero in piazza e traſſonſi in diſparte
Ne pel campo curar far di ſé moſtra.
Per veder meglio il bel popul di Marte
Ch’ad vno, o a dua, o a tre, veniano i gioſtra
Chi con colori accopagnati ad arte
Letitia o doglia, alla ſua Dona moſtra,
Chi nel cimier, chi nel dipinto ſcudo
Diſegna Amor ſé P.ha benigno o crudo.
[73]
Soriani in quel tempo haueano vſanza
D’ armarli a queſta guiſa di ponente:
Forſè ve gli inducea la vicinanza
Che de Fráceſchi hauean cotinuaméte.
Che quiui allhor reggean la ſacra ſtaza
Doue in carne habito Dio omnipotente,
C’hora i ſuperbi e miſeri chriſtiani
Co biaſmi lor, laſciano in man de cani.
[74]
Doue abballar dourebbono la lancia
In augumento de la ſanta fede,
Tra lor ſi dan nel petto e ne la pancia
A deſtrution del poco che ſi crede,
Voi géte Hiſpana e voi géte di Francia
Volgete altroue, e voi Suizeri il piede,
E voi Tedeſchi a far piú degno acquiſto
Che quáto qui cercate e giá di Chriſto.
[75]
Se Chriſtianiffimi eſſer voi volete
E voi altri Catholici nomati.
Perch di Chriſto gli huomini vecidete?
Perche de beni lor ſon diſpogliati ?
Perche Hieruſalem non rihauete?
Che tolto e ſtato a voi da rinegati,
Perche Conſtantinopoli ? e del mondo
La miglior parte occupa il Turco imodo
[76]
Non hai tu Spagna I' Africa vicina
Che t’ha via piú di queſta Italia oſſeſa?
E pur per dar trauaglio alla meſchina
Laſci la prima tua ſi bella impreſa:
O d’ ogni vitio fetida ſentina
Dormi Italia imbriaca, e non ti peſa
C hora di queſta gente, hora di quella
Che giá ſerua ti ſu, fei fatta ancella?
[77]
Se’l dubbio di morir ne le tue tane
Suizer di fame, in Lombardia ti guida:
E tra noi cerchi, o chi ti dia del pane
O per vſcir d’ inopia chi t’ uccida,
Le richezze del Turcho hai no lontane
Cacciai d’ Europa, o almen di Grecia ſnida
Coſi potrai o del digiuno trarti
O cader con piú merto in quelle parti.
[78]
Quel ch’a te dico, io dico al tuo vicino
Tedeſco anchor, la le ricchezze ſono
Che vi porto da Roma Conſtantino,
Portonne il meglio, e ſé del reſto dono:
Pactolo & Hermo Onde ſi tra l’Or ſino
Migdonia e Lydia e quel paeſe buono
Per tante laudi in tante hiſtorie noto
No e s’andar vi vuoi: troppo remoto.
[79]
Tu gran Leone a cui premon le terga
De le chiaui del ciel le graui ſome,
Nò laſciar che nel ſonno ſi ſommerga
Italia, ſé la man l’hai ne le chiome,
Tu fei Paſtore, e Dio t’ ha quella verga
Data a portare, e ſcelto il fiero nome,
Perche tu ruggí, e che le braccia ſtèda
Si che da i lupi il grege tuo difenda.
[80]
Ma d’ un parlar nel’altro oue ſono ito
Si lungi dal camin ch’io faceua hora?
Non lo credo perho ſi hauer ſmarrito
Ch’io non lo ſappia ritrouare anchora,
Io’ dicea ch’in Soria ſi tenea il rito
D’ armarli, che i Fraceſchi haueáo allhora
Si ch bella i Damaſcho era la piazza
Di gente armata d’ elmo e di corazza.
[81]
Le vaghe donne gettano da i palchi
Sopra i gioſtráti fior vermigli e gialli,
Mètre eſſi fanno a ſuon de gli oricalchi
Leuare aſſalti & aggirar caualli,
Ciaſcuno o bene o mal ch’egli caualchi
Vuol far quiui vederſi, e ſprona e dalli:
Di ch’altri ne riporta pregio e lode
Muoue altri a riſo, e gridar dietro s’ ode.
[82]
De la gioſtra era il prezzo vn’ armatura
Che ſu donata al Re pochi di inante,
Che ſu la ſtrada ritrouo a ventura
Ritornado d’Armenia vn mercatante.
Il Re di nobiliſſima teſtura
Le fopraueſte all’arme aggiunſe, e tante
Perle vi poſe intorno, e Gemme & Oro,
Che la fece valer molto theſoro.
[83]
Se conoſciute il Re quell’arme haueffe
Care hauute l’hauria fopra ogni arneſe,
Ne in pmio de la gioſtra l’hauria meſſe
Come che liberal foſſe e corteſe,
Lungo faria chi raccontar voleſſe
Chi l’hauea ſi ſprezzate e vilipeſe
Che’n mezo de la ſtrada le laſciaffe
Preda a chiúcg o inázi o indietro adaſſe.
[84]
Di queſto ho da contami piú di ſotto,
Hor diro di Griphon ch’alla ſu a giunta
Vn paio e piú di lancie trouo rotto
Menato piú d’un taglio e d’una punta,
De i piú cari e piú ſidi al Re fur’otto
Che quiui inſieme hauean lega cógiuta
Gioueni in arme pratichi & induſtri
Tutti o Signori o di famiglie illuſtri.
[85]
Quei riſpondean ne la sbarrata piazza
Per vn di ad vno ad vno, a tutto’l modo,
Prima co lancia e poi co ſpada o mazza,
Fin ch’al Re di guardarli era giocondo,
E ſi ſorauan ſpeffo la corazza,
Per giuoco in ſomma qui facean, fecódo
Fan gli nimici capitali, eccetto
Che potea il Re partirli a ſuo diletto.
[86]
Quel d’Antiochia vn’huom seza ragione
Che Martano il codardo nominone,
Come ſé de la ſorza di Griphone
Poi ch’era ſeco, participe foſſe,
Audace entro nel Martiale agone,
E poi da canto ad aſpettar fermoſſe
Sin che ſiniſce vna battaglia ſiera
Che tra duo cauallier cominciata era.
[87]
Il Signor di Seleucia di quell’uno
Ch’a foſtener l’impreſa haueano tolto,
Còbattèdo in quel tépo con Ombrano
Lo feri d’una punta in mezo’l volto,
Si che l’uccife, e pietá n’ hebbe ognuno,
Perche buon cauallier lo tenean molto,
Et oltra la bontade, il piú corteſe
Non era ſtato in tutto quel paeſe.
[88]
Veduto ciò Martano hebbe paura
Che parimente a ſé no auueniſſe,
E ritornando ne la ſua natura
A penſar comincio come ſugiſſe
GriphO che gliera appſſo e n’ hauea cura
Lo ſpinfe pur, poi ch’assai fece e diſſe,
Cotra vn gètil guerrier, che s’ era moſſo
Come ſi ſpinge il Cane al Lupo adoſſo.
[89]
Che dieci paſſi gli va dietro o venti
E poi ſi ferma, & abbaiando guarda
Come digrigni i minaccioſi denti
Cóe ne gliocchi horribil fuoco gli arda
Quiui ou’ erano e principi preſenti
E tanta gente nobile e gagliarda,
Fuggi lo’ncontro il timido Martano,
E torſe M ſreno e’I capo a delira mano.
[90]
Pur la colpa potea dar al cauallo
Chi di ſcufarlo haueſſe tolto il peſo,
Ma con la ſpada poi ſé ſi gran fallo
Che non P hauria Demoſthene difeſo,
Di charta armato par, non di metallo
Si teme da ogni colpo eſſere ofTefo,
Fuggeſi al ſine, e gliordini diſturba
Ridendo intorno allui tutta la turba.
[91]
II batter de le mani il grido intorno
Se gli leuo del populazzo tutto,
Come Lupo cacciato ſé ritorno
Martano in molta fretta al ſuo ridutto,
Reſta Griphone e gli par de lo ſcorno
Del ſuo copagno eſſer macchiato e brutto
Eſſer vorrebbe ſtato i mezo il ſoco
Piú toſto che trouarſi in queſto loco.
[92]
Arde nel core, e ſuor nel viſo auampa
Come ſia tutta ſua quella vergogna,
Perche l’opere ſue di quella ſtampa
Vedere aſpetta il populo & agogna.
Si che riſulga chiara piú che lampa
Sua virtú, queſta volta gli biſogna,
Ch’ un’ oncia, vn dito ſol d’error ch faccia
Per la mala impreffion parrá fei braccia.
[93]
Giá la lancia hauea tolta ſu la coſcia
Griphon ch’errare I arme era poco vſo,
Spinſe il cauallo a tutta briglia, e poſcia
Ch’alquanto andato ſu, la meſſe ſuſo,
E porto nel ferire eſtrema angofeia
Al Baron di Sidonia ch’andò giuſo,
Ognun marauigliando in pie ſi leua
Che’l contrario di ciò tutto attendeua.
[94]
Torno Griphon con la medeſma antena
Che’ntiera e ferma ricourata hauea,
Et in tre pezzi la roppe alla penna
De lo ſcudo al Signor di Lodicea:
Quel p cader tre volte e quattro accèna
Che tutto ſtefo alla groppa giacea,
Pur rileuato al ſin la ſpada ſtrinfe
Volto il cauallo, e ver Griphon ſi ſpife.
[95]
Griphon che’l vede I fella, e ch no baſta
Si fiero incontro perche a terra vada,
Dice ſra ſé, quel che non potè l’haſta
In cinque colpi o’n fei fará la ſpada,
E ſu la tempia ſubito l’attaſta
D’ un dritto tal ch par che dal ciel cada:
E u altro gli accopagna e u altro appſſo
Tanto che l’ha ſtordito, e in terra meſſo.
[96]
Quiui erano d’ Apamia duo germani
Soliti in gioſtra rimaner di fopra,
Tirſe e Corimbo, & ambo per le mani
Del figlio d’Vliuer cader ſozopra,
l’uno gli arcion laſcia allo ſcotro vani
Con l’altro meſſa ſu la ſpada in opra,
Giá per commuti giudicio ſi tien certo
Che di coſtui ſia de la gioſtra il merto.
[97]
Ne la lizza era entrato Salinterno
Gran Diodarro e Maliſcalco regio,
E che di tutto’l regno hauea il gouerno
E di ſua mano era guerriero egregio:
Coſtui ſdegnoſo ch’u guerriero eſtemo
Debba portar di quella gioſtra il pregio
Piglia vna lancia, e verſo Griphon grida
E molto minacciandolo lo sfida.
[98]
Ma quel con vn lancion gli fa riſpoſta
C hauea per lo miglior ſra dieci eletto,
E per non far error lo ſcudo apporta
E via lo paſſa e la corazza e’l petto,
Paſſa il ferro crudel tra coſta e coſta
E ſuor pel tergo vn palmo eſce di netto,
Il colpo (eccetto al Re) ſu a tutti caro
Ch’ ognuno odiaua Salinterno auaro.
[99]
Griphone appreſſo a queſti, I terra getta
Duo di Damaſco, Ermophilo, e Carmodo
La militia del Re dal primo e retta
Del mar grade Almiraglio e ql ſecodo:
Laſcia allo ſcontro l’un la fella in fretta
Adoſſo all’altro ſi riuerſa il pondo
Del rio deſtrier, che foſtener non puote
l’alto valor co che Griphon percuote.
[100]
II Signor di Seleucia anchor reſtaua
Miglior guerrier di tutti gli altri fette,
E ben la ſua poſſanza accompagnaua
Con deſtrier buono, e con arme perfette,
Doue de l’elmo la viſta ſi chiaua
l’haſta allo ſcontro l’unoe l’altro mette,
Pur Gripho maggior colpo al Paga diede
Clí lo ſé ſtaffeggiar dal maco piede.
[101]
Gittaro i tronchi, e ſi tomaro adoſſo
Pieni di molto ardir co i brandi nudi,
Fu il Pagati prima da Griphon percoſſo
D’ u colpo ch ſpezzato hauria gl’incudi,
Con quel fender ſi vide e ferro & oſſo
D’un ch’eletto s’ hauea tra mille feudi,
E ſé non era doppio e ſin l’arnefe
Feria la coſcia, oue cadendo ſcefe.
[102]
Feri quel di Seleucia alla viſera
Griphone a vn tèpo, e ſu quel colpo tato
Che l’hauria aperta e rotta, ſé non era
Fatta, come l’altr’ arnie, per incanto,
Glie vn pder tempo che’l Paga piú ſera
Coſi ſon l’arme dure in ogni canto:
E’n piú parti Griphon giá feſſa e rotta
Ha l’armatura a lui, ne perde botta.
[103]
Ognun potea veder quanto di ſotto
Il Signor di Seleucia era a Griphone,
E ſé partir non li fa il Re di botto
Quel che ſta peggio la vita vi pone,
Fé Norandino alla ſua guardia motto
Ch’entraffe a diſtaccar l’aſpra tenzone
Quindi ſu l’uno, e quindi l’altro tratto
E ſu lodato il Re di ſi buon atto.
[104]
Gli otto ch diázi hauea col mòdo impſa
E non potuto durar poi contra vno:
Hauendo mal la parte lor difeſa
Yfriti eran del campo ad vno ad vno,
Glialtri ch’eran venuti allor conteſa
Quiui reſtar ſenza contraſto alcuno,
Hauendo lor Griphon ſolo interrotto
Quel ch tutti eſſi hauea da far gtra otto.
[105]
E duro quella feſta coſi poco
Ch’in men d’un’hora il tutto fatto s’era:
Ma Noradin per far piú lungo il giuoco
E per continuarlo inſino a ſera:
Dal palco ſcefe e ſé ſgombrare il loco
E poi diuiſe in due la groſſa ſchiera:
Indi fecondo il ſangue e la lor proua
Gliado accoppiado e fevna gioſtra noua
[106]
Griphone in tanto hauea fatto ritorno
Alla ſua lí. in/. i, pien d’ira e di rabbia:
E piú gli preme di Marta lo ſcorno
Ch nò gioua l’honor ch’effovito habbia
Quiui per tor l’obbrobrio e’ haueaitorno
Martano adopra le mendaci labbia,
E l’aſtuta e bugiarda meretrice
Come meglio ſapea gli era adiutrice.
[107]
O ſi o no che’l giouin gli credeſſe
Pur la ſcuſa accetto come diſcreto:
E pe’l ſuo meglio allhora allhora eleſſe
Quindi leuarſi tacito e ſecreto,
Per tema che fe’l populo vedeſſe
Martano comparir, non ſteſſe cheto:
Coſi per vna via naſcoſa e corta
Vſciro al camin lor ſuor de la porta.
[108]
Griphone, o ch’egli o che’l cauallo foſſe
Staco, o grauaſſe il ſonno pur le ciglia,
Al primo albergo che trouar, fermoſſe
Che non erano andati oltre a dua miglia,
Si traſſe l’elmo, e tutto diſarmoſſe
E trar fece a caualli e fella e briglia,
E poi ſerroſſi in camera ſoletto,
E nudo per dormire entro nel letto.
[109]
Non hebbe coſi toſto il capo baffo
Ch chiuſe gliocchi, e ſu dal ſono oppſſo
Coſi profundamente, che mai Taſſo
Ne Ghiro mai s’ addormèto, quato eſſo
Martano in tanto & Horrigille a ſpaffo
Entrare in vn giardin, ch’era li appreſſo
Et vn’ inganno ordir, che ſu il piú ſtrano,
Che mai cadeſſe in ſentimento humano.
[110]
Martano diſegno torre il deſtriero
I panni, e l’arme, che Griphon s’ ha tratte
E andare inanzi al Re pel caualliero
Che tante pruoue hauea gioſtrádo fatte,
l’effetto ne ſegui fatto il penderò:
Tolle il deſtrier piú candido che latte
Scudo, e cimiero, & arme, e fopraueſte
E tutte di Griphon l’inſegne veſte.
[111]
Con gli ſcudieri e con la donna, doue
Era il popolo anchora, in piazza venne,
E giunſe a tempo che ſinian le pruoue
Di girar ſpade e d’arreſtare antenne,
Comanda il Re che’l cauallier ſi truoue
Che per cimier hauea le bianche penne,
Bianche le veſti, e bianco il corridore,
Che’l nome non ſapea del vincitore.
[112]
Colui ch’indoſſo il no ſuo cuoio haueua
Come l’Aſino giá quel del Leone,
Chiamato, ſé n’ andò come attendeua,
A Norandino, in loco di Griphone,
Quel Re corteſe incontro ſé gli leua
l’abbraccia e bacia, e allato ſé lo pone,
Ne gli baſta honorarlo e dargli loda
Ch vuol che’l ſuo valor per tutto s’ oda.
[113]
E fa gridarlo al ſuon de gli oricalchi
Vincitor de la gioſtra di quel giorno,
L’alta voce ne va per tutti i paſchi,
Che’l nome ídegnovdir fa d’ ognintorno
Seco il Re vuol ch’a par a par caualchi
Quado al palazzo ſuo poi fa ritorno,
E di ſua gratia tanto gli comparte
Che baſteria ſé foſſe Hercole o Marte.
[114]
Bello & ornato allogiamento dielli
In corte, & honorar fece con lui
Horrigille ancho, e nobili donzelli
Mando con eſſa, e cauallieri ſui,
Ma tépo e ch’ancho di Griphon fauelli
Ilqual ne dal còpagno ne d’altrui,
Temèdo inganno, addormentato s’era
Ne mai ſi rifueglio fin’ alla ſera.
[115]
Poi che ſu deſto, e che de l’hora tarda
S’ accorſe, vſci di camera con fretta
Doue il falſo cognato, e la bugiarda
Horrigille, laſcio con l’altra fetta,
E quádo non gli truoua, e che riguarda
Non v’effer l’arme, ne i pani, foſpetta,
Ma il veder poi piú ſoſpettofo il fece
l’inſegne del copagno in quella vece.
[116]
Soprauien l’hoſte, e di colui l’informa
CIí giá gra pezzo di biach’ arme adorno
Con la donna e col reſto de la torma
Hauea ne la citta fatto ritorno,
Truoua Griphone a poco a poco l’orma
Ch’aſcofa glihauea Amor fin’ a ql giorno
E con ſuo gra dolor vede eſſer qllo
Adulter d’ Horrigille, e non fratello.
[117]
Di ſua ſciochezza i damo hora ſi duole
C hauendo il ver dal peregrino vdito
I.aſciato mutar s’habbia alle parole
Di chi l’hauea piú volte giá tradito,
Védicar ſi potea, ne ſeppe, hor vuole
L’inimico punir che gli e fuggito,
Et e conſtretto con troppo gran fallo
A tor di ql vil’huom l’arme e’I cauallo,
[118]
Eragli meglio adar fenz’ arme e nudo
Che porſi in doſſo la corazza indegna,
O ch’imbracciar l’abominato ſcudo
por ſu l’elmo la beffata inſegna,
Ma per ſeguir la meretrice e’I drudo
Ragione in lui pari al diſio non regna,
A tempo venne alla citta, ch’amhor.i
Il giorno hauea quaſi di vino vn’hora.
[119]
Preſſo alla porta oue Griphon venia
Siede a finiſtra vn ſplendido cartello,
Che piú che ſorte, e ch’a guerre atto ſia
Di ricche ſtanze, e accomodato e bello,
1 Re, i Signori, i primi di Soria
Con alte donne in vn gentil drappello
Celebrauano quiui in loggia amena
La real ſontuoſa e lieta cena.
[120]
La bella loggia fopra’l muro vſciua
Con l’alta rocca ſuor de la cittade,
E lungo tratto di Iontan ſcopriua
I larghi campi, e le diuerſe ſtrade,
Hor che Griphon verſo la porta arriua
Co quell’arme d’obbrobrio e di viltade
Fu con non troppa auenturoſa ſorte
Dal Re veduto, e da tutta la corte.
[121]
E riputato quel di e’ hauea inſegna
Moſſe le donne e i cauallieri a riſo
II vii Martano, come quel che regna
In gra fauor, dopo’l Re, e’I primo affifo,
I'. preſſo allui la Donna di ſc degna,
Da i quali Norandin con lieto viſo
Volſe ſaper chi foſſe quel codardo
Ch coſi hauea al fuohonor poco riguardo
[122]
Che dopo vna ſi triſta e brutta pruoua
Con tanta ſronte, hor gli tornaua inante
Dicea, queſta mi par coſa assai nuoua
Ch’eſſendo voi guerrier degno e pſtate
Coſtui copagno habbiate, ch nò truoua
l’i viltá pari in terra di Leuante,
Il fate ſorſè per moſtrar maggiore
Per tal contrario il voſtro alto valore
[123]
Ma ben vi giuro per gli eterni Dei
Che ſé non foſſe ch’io riguardo a voi
La publica ignominia gli farei
Ch’ io ſoglio fare a glialtri pari a lui,
Perpetua ricordanza gli darei
Come ognhor di viltá nimico ſui,
Ma ſappia, s’ impunito ſé ne parte
Grado a voi, che’l menaſte in qſta parte.
[124]
Colui che ſu de tuti i vitii il vaſo
Riſpofe, alto Signor dir non ſapria
Chi ſia coſtui, ch’io l’ho trouato a caio
Venendo d’Antiochia, in ſu la via,
Il ſuo ſembiante ni’ hauea perſuaſo
Che foſſe degno di mia compagnia,
Ch’intefa non n’ hauea pruoua ne viſta
Se non qlla che fece hoggi assai triſta.
[125]
Laqual mi ſpiacque ſi, che reſto poco
Che per punir l’eſtrema ſua viltade.
No gli faceſſi allhora allhora vn gioco
Che non toccaſſe piú lance ne ſpade,
Ma hebbi piú ch’allui riſpetto al loco
E riuerentia a voſtra Maeſtade,
Ne per me voglio che gli ſia guadagno
L’effermi ſtato vn giorno o dua 9pagno.
[126]
Di che contaminato ancho eſſer parme,
E fopra il cor mi fará eterno peſo
Se co vergogna del meſtier de l’arme
Io lo vedrò da noi partire illeſo:
E meglio che laſciarlo, ſatisfarme
Potrete, ſé fará d’un merlo impeſo:
E ſia lodeuol’opra e (ignorile:
Perch’el ſia eſépio e ſpecchio ad ognivile
[127]
Al detto ſuo Martano Horrigille haue
Senza accennar confermatrice preſta,
Non ſon (riſpoſe il Re) l’opre ſi praue
Ch’ al mio parer v’ habbia d’ adar la teſta
Voglio per pena del peccato graue
Che ſol rinuoui al populo la feſta
E toſto a vn ſuo Baron che ſé venire
Impoſe quanto haueſſe ad eſequire,
[128]
Quel Baron molti armati ſeco tolſe
Et alla porta della terra ſcefe,
E quiui con ſilentio li raccolſe,
E la venuta di Griphone atteſe,
E nel entrar ſi d’ improuiſo il colſe
Che ſra i duo ponti a ſaluaméto il preſe
E Io ritenne con beſſe e con ſcorno
In vna oſcura ſtanza in fin’ al giorno.
[129]
Il Sole a pena hauea il dorato crine
Tolto di grembio alla nutrice antica,
E cominciaua da le piaggie alpine
A cacciar l’ombre, e far la cima aprica,
Qií temédo il vii Martan, ch’ai ſine
Griphone ardito la ſua cauſa dica,
E ritorni la colpa ond’ era vſcita
Tolſe licentia, e fece indi partita.
[130]
Trouando idonia ſcufa al priego regio
Che no ſtia allo ſpettacolo ordinato,
Altri doni gli hauea fatto, col pregio
De la non ſua vittoria, il Signor grato,
E fopra tutto vn’ ampio priuilegio
Dou’era d’alti honori al ſommo ornato,
Laſcianlo andar, ch’io vi pmetto certo
Che la mercede haura ſecodo il merto.
[131]
Fu Griphò tratto a gravergogna in piazza
Quádo piú ſi trouo piena di gente,
Glihauean Iellato l’elmo e la corazza:
E laſciato in farſetto assai vilmente,
E come il conduceſſero alla mazza
Porto l’hauean fopra vn carro eminéte:
Che lento lento tirauan due vacche
Da lunga fame attenuate e fiacche.
[132]
Venian d’intorno alla ignobil quadriga
Vecchie sfacciate e dishoneſte putte,
Di che n’era vna & hor vn’altra auriga
E con gran biaſmo lo mordeano tutte.
Lo poneano i fanciulli in maggior briga
Che, oltre le parole inſami e bruite,
l’hauriano co i faſſi inſino a morte otí’efo
Se da i piū faggi non era difeſo.
[133]
L’arme che del ſuo male erano ſtate
Cagion, che di lui ſer non vero indicio
Da la coda del carro ſtrafeinate
Patian nel fango debito ſupplicio,
Le ruote inanzi a vii tribunal fermate
Gli fero vdir de l’altrui maleſicio
La ſua ignominia, ch’il ſu gliocchi detta
Gli ſu: gridandovn publico trombetta.
[134]
Lo leuar quindi, e lo moſtrar per tutto
Dinanzi a templi ad oſſicine e a caſe
Doue alcun nome ſcelerato e brutto
Che non gli foſſe detto, non rimaſe,
Fuor de la terra all’ultimo condutto
Fu da la turba, che ſi perſuaſe
Badirlo, e cacciare indi, a ſuon di buſſe.
Non conoſcendo ben ch’egli ſi ſuſſe.
[135]
Si toſto a pena gli ſſerraro i piedi
E liberargli l’una e l’altra mano
Che tor lo ſcudo, & impugnar gli vedi
La ſpada che rigo gran pezzo il piano.
Non hebbe contra ſé lance ne ſpiedi
Che fenz’arme venia il populo inſano,
Ne l’altro canto diferiſco il reſto
Che tèpo e nomai Signor di ſinir queſto