Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/31

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[p. 122 modifica] alito passeggero di venticello fresco nell’estate, odorifero e ricreante, che tutto in un momento vi ristora in certo modo e v’apre come il respiro e il cuore con una [p. 123 modifica]certa allegria; ma prima che voi possiate appagarvi pienamente di quel piacere, ovvero analizzarne la qualità, e distinguere perché vi sentiate cosí refrigerato già quello spiro è passato, conforme appunto avviene in Anacreonte, che è quella sensazione indefinibile è quasi istantanea; e se volete analizzarla vi sfugge, non la sentite piú; tornate a leggere, vi restano in mano le parole sole e secche, quell’arietta per cosí dire, è fuggita, e appena vi potete ricordare in confuso la sensazione che v’hanno prodotta un momento fa quelle stesse parole che avete sotto gli occhi. Questa sensazione mi è parso di sentirla, leggendo (oltre Anacreonte) il solo Zappi.


*   Il gusto presente per la filosofia non si dee stimare passeggero né casuale, come fu varie volte anticamente per esempio appresso i Greci al tempo di Platone dopo Socrate, e appresso i Romani in altri tempi ancora, ma fra i nobili e gli scioli come presentemente al tempo di Luciano, quando mantenevano il filosofo come ingrediente di corte e di famiglia illustre, e si trattenevano benché scioccamente con lui ec. (Vedi Luciano fra le altre opere nel trattato De mercede conductis). In questi tali tempi era effetto di moda, e non avendo il suo principio radicale nello stato dei popoli poteva passare e passava come ogni altra moda, sicch’era cosa accidentale che sopravvenisse questo gusto piuttosto che un altro. Ma presentemente il commercio scambievole dei popoli, la stampa ec. e tutto quello che ha tanto avanzato l’incivilimento cagiona questo amore dei lumi e per conseguenza della filosofia, e questo gusto filosofico che si manifesta nelle opere piú alla moda e quello spirito senza il quale si può dire che nessun’opera moderna incontra; onde questo gusto avendo la sua ferma radice nella condizione presente dei popoli si dee stimare durevole e non casuale né passeggero e molto differente da una moda.


[p. 124 modifica]*   La prosa per esser veramente bella, conforme era quella degli antichi, e conservare quella morbidezza e pastosità composta anche fra le altre cose di nobiltà e dignità, che comparisce in tutte le prose antiche e in quasi nessuna moderna, bisogna che abbia sempre qualche cosa del poetico, non già qualche cosa particolare, ma una mezza tinta generale; onde ci sono certe espressioni tecniche, per esempio, che essendo bassissime nella poesia sono basse nella prosa (giacché qui non parlo di quelle che son basse e plebee assolutamente, le quali anche talvolta sconverranno meno alla buona prosa di quelle ch’io dico qui), come altre che sono basse nella poesia, alla prosa non disconvengono affatto: per esempio, quei versi del Voltaire: Je chante le héros qui régna sur la France Et par droit de conquête, et par droit de naissance: quel tecnicismo pessimo in questi versi, non disdice in prosa. Da questo ch’io ho detto si vede quanto debba diventare come infatti diventa, geometrica, arida, sparuta, dura, asciutta, ossuta, e, dirò cosí, somigliante a una persona magra che abbia le punte dell’ossa tutte in fuori, quella prosa tutta sparsa d’espressioni, metafore, frasi, locuzioni, modi tecnici che usa presentemente massime in Francia, e quanto lontana da quella freschezza e carnosità morbida, sana, vermiglia, vegeta, florida, e da quella pieghevolezza e da quella dignità che s’ammira in tutte quelle prose che sanno d’antico.