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Poesie (Fantoni)/Nota

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Varianti Disegno d'edizione delle 'Poesie'

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NOTA

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I

Naturalmente, nel tracciare la storia esterna delle poesie di Giovanni Fantoni, maggiormente conosciuto col nome arcadico di Labindo, mi occuperò soltanto delle edizioni piú importanti, rimandando il lettore vago di piú ampi particolari alla ricchissima e minuta bibliografia, data da Giovanni Sforza in appendice alla sua eccellente monografia su Labindo1.

Fu, dunque, nel 1782 (anno, nel quale era stata giá pubblicata per le stampe una poesia del F. in un opuscolo miscellaneo), che apparvero per la prima volta le «Odi | di Labindo | Dicar... ... aeolium carmen ad italos | deduxisse modos | Hor., Od., xxx, lib. iii | A bordo del Formidabile | mdcclxxxii | con permesso dell’ammiraglio Rodney». È un libretto di 40 pp. in-4° , dedicato A Caterina seconda, imperatrice detlle Russie ed autocratrice , con le seguenti parole:

Maestá,

All’erede immortale di Pietro il grande, adorata dai popoli, temuta dai nemici, rispettata dall’universo, io consacro dell’odi. Degnatele di quella protezione, che accordate alle scienze ed alle arti. Se ne meriteranno i benefici influssi, oseranno un giorno cantare i vostri trionfi. Mi glorio intanto con la piú profonda venerazione di aver l’onore di essere, ecc. ecc.

Contiene le seguenti poesie, che indico soltanto col numero d’ordine della presente edizione: Odi , I, I [metro imitato da Orazio, [p. 452 modifica] Od., 1, 18 ]; i, 7 [pel metro cfr. Or., Od., i, 2]; Scherzi , 4; Odi, i, 6 ; i, 3 [cfr. Or., Od., i, 4]; i, 8 [cfr. Or., Epod., 1] ; 1, 2 (dedicata a Giacomo Costa) [cfr. Or., Od., i, 21]; Scherzi, 37 (diretta «Al marchese G. P., amico infedele»); Odi, i, 5; i, 9 [cfr. Or., Od., iv, 7]; i, 4; i, 10 [cfr. Or., Od., i, 19].

L’ediz., che senza dubbio fu stampata a Massa, come si rileva da una lettera di Labindo (pubbl. postuma dal nepote) in risposta a certe sciocche critiche metriche d’un articolista delle fiorentine Novelle letterarie, venne rimessa a nuovo nel 1783, mercé la mutazione del frontespizio e della dedica, indirizzata non piú all’imperatrice Caterina, sì bene all’ammiraglio Rodney, e così concepita:

Millord Rodney,

I vostri trionfi hanno meritata l’attenzione dell’universo, ed io, nel filosofico ritiro in cui vivo da quasi un lustro, ho riscosso la cetra per celebrarli. L’edizione delle Odi, che vi presento, non è certamente degna di voi, ma corrispondente alla mediocritá delle mie circostanze. Non valutate che l’espressioni : elleno non possono comperarsi come i caratteri: sono figlie dell’entusiasmo di un cuore, che le gloriose azioni delle passate vostre campagne hanno reso inglese. Riconoscetemi dunque per vostro concittadino; e profittate, con quell’ impero che hanno le anime grandi sopra i cuori sensibili, di chi, ammirandovi con la piú profonda venerazione, si pregia di essere, ecc.

Passando ora agli Scherzi, riesce difficile stabilire quale sia la prima ediz. di essi: se quella, che conosciamo, del 1784, o un’altra, sconosciuta, del 1782, che né lo Sforza né io, per quante ricerche avessimo fatte, giungemmo mai a vedere. Il dubbio sorge da due affermazioni contradittorie di Agostino Fantoni : il quale in un luogo (ii, 309) afferma che gli Scherzi furono stampati per la prima volta a Berna nel 1784; e in un altro (iii, 254), che «l’ardire, che... ispirarono» a Labindo «i primi successi, lo posero in grado di mandare alla luce nell’anno 1782 due piccole edizz. de’ suoi componimenti, cioè gli Scherzi, che furono poi ristampati sotto la data di Berna», e la giá cit. ed. delle Odi. Prendendo a fondamento due altre testimonianze di Agostino — relative l'una all’idillio Il simulacro , che, secondo lui, sarebbe stato «diretto in una delle prime edizioni all’avv. Silverio M. Beggi di Ortonuovo», con una lettera che egli trascrive (ii, 297-8); e l’altra all’idillio La solitudine, cui sarebbe stata premessa una lettera Ad una pastorella , parimente riprodotta, — lo Sforza ragiona cosI : — Poiché siffatte [p. 453 modifica] lettere non si trovano in nessuna delle edizz. note degli Scherzi, «o son in quella del 1782, o i due idilli vennero per la prima volta stampati separatamente, e soltanto nelle loro primitive e sconosciute edizz. si leggono le due lettere» (op. cit., p. 322). Per mio conto, escluderei l’una e l’altra conclusione, e opinerei piuttosto che Agostino Fantoni abbia confuso (cosa non rara in lui) tra prime edizz. e mss.; giacché mi pare assai in verisimile che della supposta ediz. del 1782 o dei due opuscoli congetturati dallo Sforza non ci sia giunta nessunissima traccia: nemmeno un accenno nelle Novelle letterarie di Firenze, che seguivano con occhio tutt’altro che benevolo la produzione di Labindo; nemmeno un ricordo nelle tipografie massesi (in cui il libriccino o gli opu scoli si sarebbero dovuti presumibilmente stampare), delle quali lo stesso Sforza ha indagate con tanta diligenza le vicende.

Comunque, certa cosa è che la prima ediz. degli Scherzi a noi pervenuta è quella, in 142 pp. in-8°, stampata a Massa nel 1784, a spese del F., dal tipografo Stefano Frediani, con la falsa data di Berna. È dedicata «All’anglo-toscano Mecenate | pio dotto magnanimo | principe del S. R. I. | Giorgio Nassau Clawering | lord Cowper», ecc., e reca la seguente prefazione:

Ingegni gravi e severi, nemici impotenti d’Amore, non comperate quest’operetta. I versi, che la compongono, sono figli dell’entusiasmo, e deggiono alla sensibilitá del mio cuore e alle lusinghe dell’ozio la voluttuosa loro esistenza. Un volume, che ha per titolo Scherzi, merita per se medesimo la vostra censura. Condannatelo senza leggerlo: la critica maldicenza plaudirá al giudizio del cinismo, ed io, ridendo, vi confonderò col silenzio.

Contiene: Scherzi , 1, 5; Varie, 8; Scherzi, 29, 24, 26, 27, 14, 22, 30, 25, 28; Varie, 5; Scherzi, 11, 2, 6, 13, 19, 7, 39; Varie, 15; Scherzi , 3, 10, 8, 15, 16 17; Varie, 16; oltre Il «lei», il «voi», il «tu», lettere a Lesbia (ristampate anche dal nepote, iii, 187-200, ma omesse nella presente edizione) e l’indice.

Accennando appena a una ristampa delle Odi, pubblicata a Firenze, appresso Vincenzo Landi, nel 1784 (pp. 32 in-8), a cura di G. P. A. F. (forse, secondo lo Sforza, Giulio Perini accademico fiorentino, autore d’una traduz. in versi sciolti de La félicité dell’Helvétius), che la fece precedere da una lettera assai encomiastica per l’autore; ricorderò l’opuscolo: «Per la faustissima venuta | in Toscana | di Ferdinando di Borbone | re delle due Sicilie ecc. ecc. [p. 454 modifica]

| e | di Carolina | d’Austria | di lui consorte | Odi di Labindo | Hic dies vere miái festus | Hor. | Firenze mdccl.xxxv, per Gaetano Cambiagi stampatore granducale | con approvazione» (pp. xvi in-8°); giacché esso contiene quattro odi fino allora non pubblicate, ossia: Odi, ii, 21 [cfr., pel metro, Or., Epod., 13]; i, 21 [cfr. Or., I, 28], ii, 22; i, 22 [cfr. Or., i, 2].

Condotto, in séguito a codesta pubblicazione, da Maria Carolina a Napoli, il F. vi pubblicava, anche nel 1785, in opuscolo l’ode 24a del i libro; al tempo stesso che faceva vedere la luce, in Firenze, alle «Poesie varie | e prose | di | Labindo | Est Deus in nobis | agitante calescimus ilio | Ovid. | mdcclxxxv» (pp. 167 in-8°), cui era premessa la seguente dedica:

Altezza,

Uno stile ambizioso di lodi, sacro ai mecenati del secolo, non adornerá certamente questa mia breve dedicatoria. Per tesservi un elogio, io mi contento di nominarvi. Né vi defrauderò di quegli encomi che meritate: il mondo parlerá, mentre io taccio. Voi giá ne conoscete il linguaggio: nacque dai sentimenti che ispirarono i vostri benefizi. Quanto sia questo eloquente, riconoscetelo dalla seguente iscrizione: A Giorgio lord Nassau Clawering .

In questa ediz. le odi sono per la prima volta divise in due libri. Nel primo sono contenute, oltre parecchie poesie giá pubblicate nelle precedenti edizioni (che è inutile qui rienumerare), le seguenti: Odi, i, 20 [cfr., pel metro, Or., i, 9]; ii, 16 [cfr. Or., Epod., 18]; ii, 17 [metro come sopra]; ii, 7 [metro come sopra]; ii, 13 [cfr. Or., i, 2]; ii, 10 [cfr. Or., i, 28]; ii, 20[metro c. s.]; i, 15 [cfr. Or., i, 12]; ii, 9 [cfr. Or., i, 2]; ii, 8 [cfr. Or, i, 7]; i, 11 [metro c. s.]. Nel secondo: ii, 5 [cfr. Or, Epod., 14]; ii, 3 [cfr. Or, Epod., 13]; ii, 13 [cfr. Or, i, 6]; ii, 6 [metro saffico sdrucciolo]; ii, 14 [cfr. Or, ii, 3]; ii, 19 [cfr. Or, i, 2]; i, 17 [cfr. Or, i, 5 e 2]; i, 14 [cfr. Or, i, 10]; ii, 12 [cfr. Or, i, 1]; ii, 18 [cfr. Or, i, 3]; i, 12 [cfr. Or, i, 2]; i, 18 [metro c. s.]; i, 16 [cfr. Or, i, 18]; i, 19 [cfr. Or, i, 2]. Seguono una delle Notti (Notti, 1), dodici degli Idilli (1-9, 12, 15, 13) e tre poesie in versi sciolti ( Sciolti, 1-3). Ciascun idillio è preceduto da una lettera dedicatoria; quasi tutte, per altro, di scarso interesse (tranne forse quella premessa all’idillio L’occasione, che dipinge assai realisticamente le galanterie comuni in Piemonte a quel tempo), e che quindi non riferirò, sembrandomi sufficiente [p. 455 modifica] trascrivere la dedica generale al cav. Francesco Sproni di tutto quel gruppo di componimenti.

In mezzo alle dispute dei partigiani dell’antica poesia pastorale e della moderna, io do i miei idilli alla luce. I freddi copiatori delle frasi, non della delicatezza di Teocrito e di Virgilio gli biasimeranno forse per ricercati; e gli amatori dello spirito del secolo e del frizzo francese gli accuseranno di semplicitá. Io mi contento di aver imitata la natura, e non trascurata quell’arte, che tanto piú si rende difficile quanto meno apparisce. Era tempo che i poeti d’Italia, divenuta, non so per qual fatale decadenza, serva delle nazioni, cessassero di tradurre gli Idilli di Gesner e ardissero d’inventare su l’antiche tracce di Bione e di Mosco. Se le mie forze non avranno corrisposto ai desidèri, servirò almeno di sprone a qualche ingegno felice, trattenuto finora dai pregiudizi e dalla consuetudine. Sarò abbastanza contento di aver risvegliata la mia nazione dal letargo in cui dorme, e di averla richiamata a quei tempi immortali d’invenzione e di lode, che, malgrado gli sforzi degli altri popoli, la rendono piú gloriosa.

Sorvolando su qualche opuscoletto pubblicato tra il 1785 e il 1792, noterò una «nuova edizione corretta ed accresciuta» delle Poesie , pubblicata, per l’appunto nel 1792, a Livorno presso Carlo Giorgi, con la direzione (come sappiamo da Giovanni Rosini) dell’autore medesimo. Contiene, in piú della precedente ediz.: Odi i, 21; ii, 22; i, 22; i, 23; i, 39 [cfr. Or., Epod., 16]; i, 42; i, 14; i, 24; i, 29; Scherzi, 9; Notti, 2-3; Idilli, 10-1; Sciolti, 4-5. Per converso, mancano Odi, ii, 7; Idilli, 15.

Dopo una materiale, ma fedele ristampa di questa ediz., fatta in Rimini, nel 1797, presso Giacomo Marsoner, e qualche opuscoletto, che è inutile indicare, venne pubblicata nel 1800 una nuova serie di poesie del F.: «Le | odi | di | Giovanni Fantoni | cognominato | Labindo | Italia [Genova] | anno ultimo del secolo xviii | presso Angelo Tessera» (pp. vm-38 in-4é ), dedicata «a coloro il di cui cuore e le di cui mani non si contaminarono nell’ultimo decennio del secolo xviii»; contenente una prima decuria (non seguita da altre) di odi (Odi, i, 40; ii, 42, 46; i, 47; ii, 34; Varie, 4; Odi, ii, 40, 43, 45, 48); e preceduta dalla seguente prefazione:

Labindo agli amici della lirica poesia

Per aderire alle premure di pochi amici, vi offro in nitida edizione di caratteri bodoniani alcune odi oraziane, che, nella perdita della massima parte de’ miei mss., la mia memoria ha salvato dalla distruzione di un anno tanto fatale all’Italia e troppo infame nei fasti dei popoli civilizzati. Costretto a ricercare in me stesso le varie correzioni che loro ho fatte [p. 456 modifica] in diversi tempi, onde rapirle, se mi fosse stato possibile, alla mediocritá, ho prescelto di darle alla luce in quinternetti separati, contenenti ciascheduno di essi dieci odi di un genere differente. L’ultimo, oltre le dieci odi, conterrá una breve lettera a Melchiorre Cesarotti, in cui l’autore mostrerá sinceramente al pubblico qual metodo ha tenuto in tentare questo genere di lirica, quali errori ha commessi, come ha procurato correggersene, quanto potrebbe questo ancora perfezionarsi, quali nuove strade restano da calcarsi ai lirici italiani onde rendere questo genere di poesia perfetto, degno di servire alla pubblica istruzione, e capace di formare il popolo alla compassione ed alla generositá, non meno che al disprezzo della morte ed al sacro entusiasmo dell’amor della patria. Non dubito che la critica, resa piú atrabiliare da qualche anno dalle passioni messe in fermento dalle vicende politiche, troverá da pascersi nelle mie odi: mi credo quindi in debito di prevenire tutti coloro che mi leggeranno, che ho per massima il non rispondere in iscritto alle calunnie e alle critiche. L’unica risposta, che, a mio credere, può loro darsi, è alla prima quella di una condotta irreprensibile: alla seconda di correggersi, s’è giusta; di disprezzarla, s’è stolta. Qualunque Aristarco o Quintilio vorrá dunque degnarsi di rendermi migliore, troverá sempre in me un amico docile e senza egoismo. I Mevi poi ed i Zoili gracchino pure quanto loro fa d’uopo per isfogare la bile: mentr’io tacerò, essi udranno dai saggi ripetersi quello che io scrissi sono quasi vent’anni:

Il vostro biasimi la virtú non morde:
muore nascendo, e fredd’oblio l’assale.

Dal 1800 in poi le edizioni delle poesie di Labindo si moltiplicano: due a Pisa, nel 1800, dedicate ambedue da Giovanni Rosini alla signora Teresa de Rossi; una a Parma, pel Bodoni, nel 1801; un’altra a Pisa, nel 1803, con l’aggiunta delle nuove odi stampate a Genova nel 1800; una quinta in 2 voli, a Milano nel 1809 (due anni dopo la morte del Fantoni), per Giovanni Silvestri, degna di speciale menzione, perché le odi in essa sono divise in tre libri invece che in due; una sesta, in 2 voll., a Firenze, nel 1817, per iniziativa di Giuseppe di Giov. Pagani; una settima di poesie inedite, a Pisa, nel 1819, per Niccolò Capurro; un’ottava a Prato nel 1820, a cura di Luigi Vannini; una nona nel 1821 a Milano, ove Pietro Agnelli ristampava l’ediz. Silvestri del 1809; una decima, anche a Milano, nel 1823, vol. 126 della Biblioteca di opere italiane antiche e moderne, in cui il Silvestri rifondeva le due edizz. pisane di poesie edite e inedite.

Ed eccoci finalmente all’edizione curata da Agostino Fantoni, nepote di Labindo (Italia, 1823); ediz. di capitale importanza (quantunque non esente da pecche), perché, come giá notava il Carducci, [p. 457 modifica] resta finora la silloge piú ricca delle poesie e delle prose del F. Divisa in 3 voll., contiene, nel primo, le Odi (divise in quattro, non in tre libri, come scrisse, per una evidente svista, lo Sforza), con Osservazioni sui metri e Annotazioni di Agostino Fantoni: nel secondo, gl’Idilli, le Egloghe virgiliane, le Notti, i Poemetti, gli Scherzi, con le annotazioni relative; nel terzo, gli Epitalami, i Sonetti, le Odi anacreontiche, varie altre odi, l’idillio Il sacrifizio, l’In obitu Lycophontis, oltre alcuni frammenti, le solite annotazioni, le Prose letterarie e le Memorie storiche sulla vita di G. F.

Con la quale edizione (che ebbe una materiale ristampa a Lugano, 1823-4) potrei anche chiudere il rapido elenco da me qui abbozzato, giacché d’allora in poi le poesie di Labindo non vennero piú pubblicate integralmente, ma soltanto per iscelte piú o meno copiose. Ricorderò per altro, honoris causa, tra le parecchie che se ne fecero, quella di 50 odi, inserita dal Carducci nei suoi Lirici del sec. XVIII. E vorrei pur lodare, se ciò fosse possibile, l’edizione delle sole Odi, che in modo assai affrettato pubblicò nel 18S7, presso il Triverio di Torino, Angelo Solerti. Qualche parola, per altro, mi sembra necessaria intorno all’Epistola a Napoleone Bonaparte, la quale, trovata fra le carte di Vincenzo Salvagnoli, cui nel 1840 era stata donata da Agostino Fantoni in una copia manoscritta del tempo, venne per la prima volta pubblicata da Alessandro D’Ancona in una edizioncina per nozze di soli 60 esemplari (Pisa. Nistri, 1890), insieme con questa lettera, diretta parimente a Napoleone, che la precede:

Voi potreste essere l’uomo piú grande che abbia esistito e porvi in capo della lista dei benemeriti della vostra specie. I tempi e la progressione dello spirito umano vi hanno preparate le circostanze, e queste la gloria di poter esser utile sommamente. Pochi nell’istoria hanno avuto una situazione piú favorevole. Ma l’occasione fugge, la vita dell’uomo è breve, l’insidie che lo circondano, se è potente, molte e frequenti: onde per poco gli è concesso di fare il bene. Chi perde il momento di farlo o siegue l’orme degli ambiziosi volgari, si confonde fra la folla degli uomini, ed è reo verso se stesso e presso l’umanitá. Perisce, è vero, la sua coscienza, ma non quella della posteritá, che lo giudica.

Abbiate la gloria che vi conviene: astraetevi, se avete veri talenti, dal comune degli uomini illustri, e procacciatevi nel gran piano che non potete fare a meno di meditare, con la prosperitá dell’Italia, un giudizio che sia degno delle vostre circostanze e di una giusta ambizione.

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II

Due questioni, l’una connessa con l’altra, bisognava risolvere nell’accingersi a dare un’ediz. critica delle poesie di Labindo: a) quella dell’aggruppamento dei vari componimenti, b) l’altra delle date di ciascuno di essi. A tal uopo occorreva tener presente: a) le edizz. delle Odi del 1782, degli Scherzi del 1784, delle Poesie del 1792, nonché la genovese del 1800, delle quali si sa con certezza che furono dirette dal Fantoni medesimo; b) l’ediz. del nepote, i Lirici del sec. XVIII del Carducci, e, per quella poca parte della cronologia che era accettabile, l’ediz. del Solerti; c) un disegno di edizione (che poi non ebbe luogo), elaborato da Labindo circa il 18002, nel quale egli tien presente l’ediz. Giorgi, 1792, e quella di Berna, 1784, introducendo a penna mutamenti e aggiunte, e, quel che è piú, segnando sotto quasi ciascuna poesia l’anno in cui venne composta.

Posto ciò, e, incominciando dalle Odi, bisognava dividerle in quattro libri, come fecero Agostino Fantoni e il Solerti; o in tre, come nell’ediz. Silvestri di Milano; o in due, come varie edizz. curate dal medesimo autore; o in una serie di decurie, giusta il proposito enunciato dall’autore nell’edizione di Genova, 1800; o infine limitarsi a un libro unico, secondo il disegno d’ediz. avanti citato? Certo, se avessi voluto e potuto seguire un ordine strettamente cronologico (cosa impossibile, perché di alcune poesie non possediamo né data, né elementi da poterla fissare), il metodo preferibile sarebbe stato l’ultimo; e non so davvero intendere perché il Solerti, che siffatto ordine si propose di adottare, volesse poi frazionare i vari componimenti in quattro libri: divisione, che, in tal caso, resta meramente estrinseca. Di un aggruppamento per decurie non è nemmeno da parlare, tanto essa, quantunque vagheggiata per un momento da Labindo, si presenta a prima vista arbitraria. Non restava dunque se non dividere le odi in due o in [p. 459 modifica] tre libri. Avevo in principio adottato quest’ultimo partito, riproducendo nei primi due libri i due della scelta del Carducci e nel terzo le odi da lui lasciate fuori. Senonché, meglio riflettendo, ho pensato che anche la divisione in due libri, cosí come è data dal Carducci, il quale rispetta l’ordine cronologico (o quel che egli crede tale), resta, essa pure, del tutto estrinseca, come quella del Solerti in quattro. Per conseguenza ho conglobati i due libri della scelta carducciana in un solo libro, il primo della presente edizione (nell’interno del quale ho spostato l’ordine di quei soli componimenti, ai quali il Carducci aveva assegnata una data che mi è risultata erronea); e nel secondo libro ho raccolte, disponendole anche in ordine cronologico, quelle odi che il Carducci aveva escluse. Mi sembra che, per tal modo, si abbiano parecchi vantaggi; non ultimi dei quali quello di conservare la divisione in due libri, che in fondo era quella che il F. preferiva; e l’altro, di fare restar traccia, anche nella presente edizione, della scelta fatta da un uomo come il Carducci, il quale, se difettava di intelletto critico, nel significato stretto della parola (e verso il F., per l’appunto, egli si mostrò, a mio modo di vedere, tutt’altro che giusto), possedeva, da quel sommo poeta che era, cosí raro e affinato gusto artistico, da aver la mano felice piú di chiunque altro nel compiere una scelta.

Circa la cronologia delle singole odi, i mutamenti introdotti da me alle datazioni del Carducci e del Solerti sono i seguenti:

Ad alcuni critici: Card., 1782; Sol., 1787: data esatta, 1781, come risulta dal disegno av. cit.

Al march. G. B.: Card., 1781; Sol., 1792: data esatta quella del Card., per la semplice ragione che non è possibile che un’ode del 1791 fosse pubblicata neli’ediz. del «Formidabile», che, come si è visto, è del 1782.

Ad Apollo: Card, e Sol., 17S3: data esatta 1782.

A Bartolomeo Forteguerri: Card, e Sol., 1795: data esatta 1791.

Ad Antonio Cerati: Card, e Sol., 1790: data esatta 1786.

Il sogno: Card, e Sol., 1791; data esatta 1789.

A Nice: Solerti, 1788; corr. 1787
A Diana: » 1781; » 1782
A Fille: » 1787; » 1785
Alla Fortuna » 1788; » 1791.

Inoltre il disegno d’ediz. av. cit. mi ha permesso d’assegnare la data del 1779 all’ode, che nell’ediz. del nepote è indirizzata A Domenico Guidoni di Masseto fattore in Lunigiana. e che io [p. 460 modifica] ho ristampata, con diversa intitolazione, come iv del ii libro della presente ediz.; nonché la data del 1786 all’ode Lo sdegno.

Passando ora agli altri componimenti poetici, nella pubblicazione dei quali non avevo altro predecessore che Agostino Fantoni, cui, come si è potuto scorgere, non dispiacque abbondare in divisioni, credetti opportuno intitolare Scherzi quel gruppo di poesie che nel cit. disegno d’edizione era indicato col nome di Odi senz’altro (a differenza delle odi propriamente dette, ivi intitolate Odi oraziane); e ciò, sia perché Scherzi chiamò l’autore quella parte che ne pubblicò nel 1784, sia perché includere fra le odi, p. e., alcuni sonetti sarebbe parso un nonsenso. Perciò tra gli Scherzi feci rientrare gli Epitalami (del primo dei quali stabilii la data sulla testimonianza dell’autore), le Odi anacreontiche, i sonetti indicati nel cit. disegno, e le liriche stampate da Agostino Fantoni, a pp. 137-296 del in vol. della sua ediz. Credetti per altro rispettare un po’ meglio del nepote la volontá di Labindo, non collocando tra gli Scherzi quei componimenti che l’autore per una qualsiasi ragione voleva sopprimere, e introducendo, in quelli che restavano, le varianti indicate dal F. nel citato disegno. Cosí parimente non inclusi tra gli Scherzi il componimento intitolato Amore ape, poiché il suo posto, come dimostra l’ediz. di Livorno, 1792, doveva essere tra gli Idilli. Delle varie poesie disposi in ordine cronologico quelle di cui avevo la data, e a esse feci seguire, nell’ordine dato dal nepote, le altre; avendo cura, come era naturale, di porre in principio l’Introduzione (non datata) e in fine la Conclusione (quantunque datata).

Per le Notti ho seguita scrupolosamente l’ediz. del 1792, che ho tenuta presente anche per gli Idilli, in cui ho comprese anche le poesie che il nepote intitolò Egloghe, le quali tutte, tranne una (che perciò ho inclusa in altra parte del volume), hanno contenuto idilliaco. A quel gruppo di endecasillabi sciolti, ai quali il nepote aggiunse l’Eroide di Armida e Rinaldo e dette il titolo complessivo di Poemetti, ho ridata l’intitolazione, voluta dal F. nell’ediz. del 1792, di Sciolti, rimandando ad altra parte del voi. l’eroide anzidetta, e aggiungendo qui per converso l’Epistola a Napoleone Bonaparte, di cui precedentemente si è fatta parola.

Finalmente in un’ultima sezione, intitolata Varia, ho compreso gli scritti poetici che non rientravano nelle precedenti partizioni, sia perché dal F. rifiutati, sia per altre ragioni. Cosí il lettore vi troverá un’ode (n.e ii), pubblicata nel 1791 in un opuscoletto e poi [p. 461 modifica] rifiutata3, la Versione d’Orazio av. cit., l’inno All’Essere supremo, gli Scherzi rifiutati, i sonetti esclusi dal cit. disegno di ediz., l’egloga sacra La Redenzione, l’Eroide d’Armida e Rinaldo, il sonetto In morte di Giuseppe II4, le composizioni poetiche giovanili pubbl. dal nepote nelle note alla sua ediz. (escludendo per contrario i frammenti, i quali offrono così scarso interesse, che avrebbero inutilmente ingrossato questo giá troppo grosso volume) e l’elegia In obitu Lycophontis.

Con che, e con l’avere aggiunta un’appendice delle principali varianti, credo d’avere fatto quanto potevo per mettere insieme un’edizione delle poesie di Labindo, che rispondesse alle giuste esigenze degli studiosi. La quale, certamente, avrei curata con assai maggior fatica e minore precisione (o, se si vuole, maggiore imprecisione) senza gli affettuosi e paterni consigli di Giovanni Sforza, e la cortese liberalitá con la quale il direttore dell’Archivio di Stato di Massa, cav. Giorgetti, mise a mia disposizione quanto in quell’Archivio è raccolto, per munifico dono del medesimo Sforza, di Giovanni Fantoni.



  1. Giovanni Sforza, Contributo alla vita di G. F. (Labindo), Genova, tip. della Gioventú, 1907 (estr. dagli anni VII-VIII del Giorn. stor. lett. della Liguria). A compimento della bibliogr. dello S., si veda Achille Neri, Un opuscolo sconosciuto di G. F., in Gior. stor. della Lunigiana, a. I, fasc. 1; e Ubaldo Mazzini, Una lettera e una versione poetica di Labindo, ivi, a. I, fasc. 2.
  2. È posseduto dal prof. Federigo Patetta, e fu giá pubblicato dallo Sforza, pp. 345-348. Lo ripubblico, ciò non pertanto, in appendice a questa l’iota.
  3. Cfr. Sforza, pp. 338-9.
  4. Pubbl. per la prima volta dal Carducci in Rivista d'Italia, a. II, fase. i. (cfr. Opere, xix3+ùà++++, 218).