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Poesie (Parini)/IV. Le odi/XIV. Il pericolo

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XIV. Il pericolo

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XIV

IL PERICOLO

(Per Cecilia Tron)

[1787?]

     In vano in van la chioma
deforme di canizie,
e l’anima giá doma
da i casi, e fatto rigido
5il senno dall’etá,
     si crederá che scudo
sien contro ad occhi fulgidi,
a mobil seno, a nudo
braccio e all’altre terribili
10arme della beltá.
     Gode assalir nel porto
la contumace Venere:
e, rotto il fune e il torto
ferro, rapir nel pelago
15invecchiato nocchier;
     e, per novo periglio
di tempeste, all’arbitrio
darlo del cieco figlio,
esultando con perfido
20riso del suo poter.

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     Ecco me di repente,
me stesso, per l’undecimo
lustro di giá scendente,
sentii vicino a porgere
25il piè servo ad Amor:
     ben che gran tempo al saldo
animo in van tentassero
novello eccitar caldo
le lusinghiere giovani
30di mia patria splendor.
     Tu da i lidi sonanti
mandasti, o torbid’Adria,
chi sola de gli amanti
potea tornarmi a i gemiti
35e al duro sospirar;
     donna d’incliti pregi
lá fra i togati principi
che di consigli egregi
fanno l’alta Venezia
40star libera sul mar.
     Parve, a mirar, nel volto
e ne le membra Pallade,
quando, l’elmo a sé tolto,
fin sopra il fianco scorrere
45si lascia il lungo crin:
se non che a lei dintorno
le volubili Grazie
dannosamente adorno
rendeano a i guardi cupidi
50l’almo aspetto divin.
     Qual, se, parlando, eguale
a gigli e rose il cubito
molte posava? Quale,
se improvviso la candida
55mano porgea nel dir?

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     E a le nevi del petto,
chinandosi, da i morbidi
veli non ben costretto,
fiero dell’alme incendio!
60permetteva fuggir?
     In tanto il vago labro,
e di rara facondia
e d’altre insidie fabro,
giá modulando i lepidi
65detti nel patrio suon.
     Che piú? Da la vivace
mente lampi scoppiavano
di poetica face,
che tali mai non arsero
70l’amica di Faon;
     né quando al coro intento
de le fanciulle lesbie
l’errante, violento
per le midolle fervide
75amoroso velen;
     né quando lo interrotto
dal fuggitivo giovane
piacer cantava, sotto
a la percossa cetera
80palpitandole il sen.
     Ahimè, quale infelice
giogo era pronto a scendere
su la incauta cervice,
s’io nel dolce pericolo
85tornava il quarto di!
     Ma con veloci rote
me, quantunque mal docile,
ratto per le remote
campagne il mio buon genio
90opportuno rapi;

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     tal che in tristi catene
a i garzoni ed al popolo
di giovanili pene
io canuto spettacolo
95mostrato non sarò.
     Bensi, nudrendo il mio
pensier di care immagini,
con soave desio
intorno all’onde adriache
100frequente volerò.