Poesie (Parini)/V. Terzine/III. Nel dì di san Bernardino sanese

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III. Nel dì di san Bernardino sanese

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III. Nel dì di san Bernardino sanese
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III

NEL DÍ DI SAN BERNARDINO SANESE

[20 maggio.]

     Sorgi, novella aurora, e il crin componi
oltre l’usato de’ piú vaghi fiori,
che in quest’alma stagione a noi tu doni.
     Mira che il sol non osa spuntar fuori
5aneli’ei de l’oceán col carro ardente,
però ch’ei teme de’ suoi propri onori.
     Andran vostre bellezze inferme e spente
dinanzi al nome di colui che il mondo
salvò dall’ira del crudel serpente,
     10A quel gran nome inchinasi ’l giocondo
albergo de’ beati, a quel gran nome
il suol s’inchina e il Tartaro profondo.
     Ma tu, celeste Musa, or dimmi come
sparse gli onor del nome santo intorno
15il fraticel che in cielo orna le chiome
     d’eterni raggi, ed a cui sacro è il giorno
ventesimo del mese che il sol mostra
di Leda favolosa il doppio scorno.
     A lui s’aperse la materna chiostra
20il di ch’è festo al gran natal di lei
che diede al mondo la salute nostra.
     A che de gli avi suoi canto i trofei,
o di te, patria sua, che dotta e altera
degl’itali delizia a ragion sei?
          

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     25Te stessa illustra la bontá sua vera,
lo cui splendore un di del sozzo Averno
sgombrò in Italia la caligin nera.
     Piccol fanciullo ancor mostrò il superno
don di facondia, ond’ei poteo cotanto,
30insin ch’ei lasciò il frale ad Amiterno;
     però che pueril turba, all’incanto
tratta del suo parlar, nascer sentia
nel cor la doglia e ne le luci il pianto.
     Ma poi ch’ei giunse al sommo de la via
35che, a doppia elezione, in duo si scioglie,
la dritta ei tenne e non guardò a la ria.
     E il nobil fior, che s’altri un di lo coglie
piú non rinverde, ognor tenne si chiuso,
che invan gliel combatter non pure voglie.
     40Sassel colei che col volto confuso
da lui si diparti, da poi che in vano
gli ebbe l’intero suo pensier dischiuso.
     Quantunque fabbricar femminil mano
sa lusinghe al diletto in opra pose
45quell’arsa donna di furore insano;
     le luci armò di fiamme velenose;
dolce ad arte languí; preghi, querele...
e nulla legge ad onestate impose.
     Ma il giovin forte, come in mar crudele
50scoglio, immoto si stette; e il corpo vinse,
novo seguace al figlio di Rachele;
     anzi duro flagello in mano strinse,
e a la Venere ignuda il caldo fianco
de lo stesso di lei sangue dipinse.
     55Dritto era ben che come neve bianco
fosse l’araldo che del sommo agnello
dovea il nome dappoi bandir si franco.
     E colui che in Alvernia il gran modello
copiò di Cristo in sé, ben si compiacque
60che tanto lume ornasse il suo drappello.

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     Ma perché il rito che da Ambrosio nacque
vuol questo giorno a la grand’alma sacro
che or si disseta nelle divin’acque?
     Or io il dirò: Aletto che con acro
65viso mira il ben nostro, ave’ a’ mortali
de la Pace rapito il simulacro;
     e Italia, oppressa da infiniti mali,
vedea piantar l’un figlio a l’altro in seno
i caldi de l’altrui sangue pugnali.
     70Scorrea la furia e il rabido veleno
le terre tutte; si che l’una ormai
sotto il ferro de l’altra venia meno.
     Né tu però fuggisti i comun guai,
o cara patria mia, che dal canuto
75verro il nome famoso e nobil hai.
     Tal eri forse tu qual fu veduto
il Lazio allor che lo sospinse al sangue
quella implacabil’anima di Bruto.
     Ma Bernardin, che in pulpito non langue,
80tra lo zelo inquieto la man porse,
e in piedi alzò la bella Pace esangue.
     E giovine puranco a Milan corse,
e partissi, e tornò; e dèi suo duce,
impavido parlando, il fasto morse;
     85e, al balenar di sovrumana luce,
cacciò l’empia Discordia, a lei mostrando
l’immortai nome che in trionfo adduce.
     In cambio di vessillo o targa o brando,
feroci insegne! allor ne l’alto appese
90il nome di cui Stige odia il comando;
     che ’l cittadin devoto con sospese
luci mira talor, pensando a lui
che, per noi ricomprar, sua vita spese;
     poi, colla man cenno facendo altrui:
95— Quest’è fors’opra, — dice, — del gran divo
cui fur cari i nostr’avi, ed or siam nui. —

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     Però è dover che ’l di ch’ei d’esser vivo
lasciò qui ’n terra, e in ciel féssi immortale,
non sia per noi di voti e d’onor privo;
     100ma al tempio suo, che culto ha verginale,
il pannicel s’onori onde ammantosse,
e i sacri rostri ond’egli a l’infernale
     mostro fe’ guerra, e ogni duro cor mosse.