Poesie (Parini)/VI. Versi sciolti/III. L'auto da fé

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III. L'auto da fé

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III

L’AUTO DA FÉ

     Pingimi, o Musa, or che prescritto è il fuoco
per subbietto al tuo canto, in versi sciolti
atti a svegliar nel sen del mio Baretti
leggiadra bile contro a quel che il primo
5osò scuotere il giogo della rima
che della querul’Eco il suono imita:
pingimi, dico, in qual guisa Libero,
amator di spettacoli funesti,
soglia a sé far delizioso obbietto
10della morte degli empi, i quai fúr osi
sollevarsi ostinati incontro ai dogmi
della religion de’ nostri padri.
     Ecco di giá l’orribile teatro
spalancato ingoiar per cento vie
15la ognor di stravaganze avida plebe.
Ecco sorger da un lato anfiteatro
lagrimevole e tristo, ove non d’orsi,
o tauri o tigri o barbare leene
fera strage sará; ma dove attende
20l’ultima pena i miseri dannati.
Ecco dall’altro il venerato trono
del giudice supremo, a cui fu dato
por fren de gli empi all’esecrande lingue
con la spada e col foco. Intanto move
25con lento passo e con squallide facce
la terribile pompa in ordin lungo.
S’avanzan primi i figli di colui
a cui ’l ciel diè la spada, e disse: — Uccidi

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gli empi fratelli tuoi cui ’l ver s’asconde; —
30indi gli altri ministri, i quai di tanto
gran potestade fúr chiamati a parte.
Ma giá vengon co’ piè nudi, seguendo
l’imagine di quel che per salvarne
mori sul legno, i duri peccatori.
35Ei lor volge le spalle, onde sia chiaro
che lor non resta a piú sperar salute.
Tutti intorno li copre oscura vesta
cui vergan bianche liste; e sopra il petto
e su gli omeri scende altra di tetro
40malaugurato bigio colorita.
Fiamme infernali, draghi e dimon crudi
che con orrendi ceffi attizzan foco
sotto all’immagin del triste dannato
quivi sono dipinti. Al basso appare
45l’infame nome e l’esecrabil colpa
che a tanta pena il cattivel conduce;
o se bestemmiando alzò la voce
incontro al nume, o se per danno altrui
osò evocar da l’Èrebo infelice
50con sacrilego carme spirti ed ombre,
o col poter di bestemmiati sughi
delle sfrenate lammie ai sozzi alberghi
notturno venne. Spaventose mitre
loro sorgon sul capo, ove i demoni
55entro a sulfuree fiamme e serpi e botte
tesson atra ghirlanda. Oh quant’uom puote
umiliar l’altr’uomo! In cotal guisa,
recando ne la man funeree faci
tutte a giallo dipinte, i peccatori
60s’avviano al lor giudizio, indi alla pena.
Ma non eviteran color l’infamia
che prevenner, morendo, il giorno atroce;
però che Tossa lor, sturbate ancora
dalla quiete delle fredde tombe,

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65vanno alle fiamme, accolte in forzier neri
su’ quali alto s’erige il simulacro
ch’ebbero dianzi, allor che spirto e forma
aveano d’uomo. Ecco giá gli ampi roghi
accender veggio: e de le fiamme all’aere
70i minacciosi coni ir sibilando.
Giá le vittime accoglie il tetro foco
vendicator de la religione
insultata da gli empi. Il ciel rimbomba
in voci di pietade e di furore.
75Giá compiuta è la scena: ecco ne porta
le ceneri meschine il vento e ’l fiume.
O Iberia, Iberia, hai tu forse piú ch’altri
di sacrileghi e d’empi il suol fecondo,
che si spesso ritorni al fero gioco?