Poesie (Parini)/VI. Versi sciolti/IV. Sopra la guerra

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IV. Sopra la guerra

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IV

SOPRA LA GUERRA

Al dott. Francesco Fogliazzi, parmigiano.

Fogliazzi, amor di Temi e delle Muse,
che teco a raddolcir scendono i petti
con amabil concento in cui le Grazie
sparser di loro mano il mèle ibleo,
5forse, mentre che noi sediam cantando
placidamente, e sol di versi armati
argin poniamo a le mordaci cure,
su la Vistola afflitta il furibondo
Marte semina strage ampia e rovine,
10Ben so che meco ai coraggiosi applaudí
geni de l’Austria: e del valor t’allegri
de’ figli suoi, che a la cornuti salute
le vite lor sul periglioso vallo
offron securi; e fan de’ petti ignudi
15illustre scudo ai timidi Penati.
Natura in prima, e poi Ragion ne appella
le patrie mura a sostener pugnando:
e questa è la virtú che fe’ si arditi
Orazio al ponte e Curzio a la vorago.
20Ma per tua fé, qualor l’alata dea
reca novella di crudel conflitto,
di’, non ti nasce allor nel sen pietade
de’ miseri mortali; e orrore incontro
al fero mostro che, d’Averno uscito,
25sol di sangue si pasce e di rapine?

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Certo che si, però che a te la mente
ragione irradia: e saggio amor ti accende,
di cui filosofia fu a te maestra,
allor ch’esaminar su giusta lance
30ti fé’ il valor delle mondane cose.
Tempo fu giá che i mari, i fiumi e l’alpi
ponean confine ai regni: e non l’immensa
aviditá che ognor piú alto agogna.
Ciascun signore allor nelle sue terre
35vivea contento del primier domino
che a lui natura o altrui piacer donava;
vie piú che d’oro e di purpuree vesti
ricco del cor de’ sudditi beati.
I campi eran sua cura e 1 ’utili arti
40e ’l commerzio e gli studi a Palla amici,
onde fiorendo ogni cittá sorgea
piú ricca e bella, e le frequenti vie
di popolo infinito adorna e piena.
Che se talora ambizioso spirto
45di por tentava a l’altrui patria il freno,
e regnar sopra gli altri, incontanente
qual da l’aratro e qual da le officine
balzar vedeasi: e, tra lor fatto un nodo
che indissolubil fé stringea per sempre,
50s’avventavan feroci, e dell’ingiusto
assalitor le forze ivan disperse
in un momento. Allor l’amica Pace,
qual dopo lieve nuvoletto estivo
fa il ciel sereno, sopra lor ridea.
55Felice tempo, ohimè! quanto desio
de’ tuoi placidi giorni a noi lasciasti,
poi che venne a turbar si bel riposo
mostro infernal che di superbia nacque!
Per lui prima divenne arte e scienza
60dar morte all’uomo; e la piú nobil vita
sprezzar ridendo. Origine celeste

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ei finger seppe: e per le aurate corti
sapienti adulatori a sue menzogne
accrebber fede; allor che l’empia guerra
65chiamar consiglio de l’eterna Mente:
e dir fúr osi che senz’essa i poli
mal reggerebbon l’insoffribil peso
di tante genti, a cui d’alloggio e pasco
saria scarsa la terra. Empi! che Dio
70creder si ingiusto che a pugnar l’un frate
spinga coll’altro; e del lor sangue ei goda.
Forse mille altre vie non bastan anco
onde viene al suo fin l’umana vita
rósa da gli anni o pur tronca ed infranta
75subitamente? Intanto il crudo mostro,
ognor crescendo, ognor piú accorto finse
nomi e sembianze: e lui Ragion chiamáro
le ambiziose menti a cui sol piacque
sopra le altrui rovine erger sé stesse.
80Per lor consiglio i regi a certa morte
spinser per forza incontro all’armi e al foco
i miseri soggetti, i quai Io scettro
dato avean loro per salvar sé stessi
dall’esterno furore; e aver secure
85all’ombra d’un signor vita e ricchezze.
Fu poi detto valor fra i giovenili
audaci spirti, a cui fa spesso inganno
l’ombra falsa d’onor; ché non nel tórre
l’oro e le vite altrui virtú s’appoggia;
90ma si ben nel versar fiumi di sangue
per la sua patria; e assicurar con una
mille di cittadin preziose vite
ch’esser den solo de la patria a un figlio
cara gemma e tesoro. In cotal guisa
95corse l’acherontea’ belva le terre.
Nulla piú fu securo. In van Natura
di monti inaccessibili rinchiuse

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i popol vari, e sciolse i regi fiumi
a divider gli stati. Innanzi a lei
100tutto s’aperse; e ponderoso e curvo
da le antiche sue sedi il santo dio
Termin levossi: e quello allor fu visto
che da natura a le medesme fiere
negato fu; ch’ove il leon non pugna
105contro il leone, e contro al tigre il tigre,
pugna Tuoni contra l’uomo e a morte il cerca.
Che piú? cotanto osò Torribil Furia
che di religion prese le spoglie,
e posto il ferro in mano alTuom, gli disse:
110—Uccidi pur; ché cosí il ciel comanda.—
Tutto cosí inondaron l’Oriente,
e la Gallia e TItalia arme ed armati:
né salve andáro da furor si cieco
le stesse al sommo Dio vittime sacre;
115però che sotto al vastator suo piede
sparso rimase il suol d’ossa insepolte
e d’arsi templi e di sfrondati gigli
di vergini pudiche e caste spose.
Né al piè licenzioso pose freno
120l’oceano immenso; cli’ei Terculee mete
passò superbo: e l’alte sedi infranse,
e i legittimi imperi: e giú dal trono
gl’innocenti signor balzò spietato;
e giunse a tal, che vóto di mortali
125lasciò il terreno onde partissi in prima
e quel dove approdò. Deh! poi che al colmo
di sua fierezza è Timplacabil mostro,
péra oggimai: e a’ desideri umani
freno si ponga ond’ei si nutre e accresce;
130si che i primieri di tornin si belli,
e sospirati assai. Ben la lor pura
luce tornava a rallegrar poc’anzi
questo secol felice in cui la donna

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dell’Istro impera, a cui le sagge voglie
135solo il ciel detta al comun ben rivolte;
se da settentrione il fero turbo
non dissipava la su’ amica pace,
cui per tornar nella primiera sede
i magnanimi eroi sudan pugnando.
140Vincan lor armi a cui dal cielo assiste
l’alma Giustizia: e noi tessiam frattanto
nova corona ai vincitor futuri.