Prose della volgar lingua/Libro terzo/XLIII

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Terzo libro – capitolo XLIII

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- Detto s’era del verbo, in quanto con lui semplicemente e senza condizione si ragiona. Ora si dica di lui in quella parte, nella quale si parla condizionalmente: Io vorrei che tu m’amassi e Tu ameresti me, se io volessi e, come disse il Boccaccio, Che ciò che tu facessi, faresti a forza, il che tanto è a dire, quanto Se tu facessi cosa niuna, tu la faresti a forza. Ne’ quali modi di ragionari, piú ricca mostra che sia la nostra volgar lingua, che la latina; con ciò sia cosa che ella una sola guisa di proferimento ha in questa parte, e noi n’abbiam due. Perciò che Vorrei e Volessi non è una medesima guisa di dire, ma due; e Amassi e Ameresti, e Facessi e Faresti altresí. Nelle quali due guise una differenza v’ha, e ciò è che in quella, la quale primieramente ha stato e da cui la particella Che piglia nascimento e forma, o ancora la quale dalla condizione si genera e per cagion di lei adiviene, la R propriamente vi sta, Amerei Vorrei Leggerei Sentirei; come che alcuna volta Amere’ in vece d’Amerei s’è detto, e Sare’ in vece di Sarei, e Potre’ in vece di Potrei, e dell’altre. E alcun’altra volta è avenuto, che i poeti ne hanno levata la E del mezzo, il che s’è d’altre voci ancor detto, sí come levò messer Cino, il quale disse:

E chi conosce morte, od ha riguardo
della beltà? ch’ancor non men’ guardrei
io, che ne porto ne lo core un dardo.

in quell’altra poscia, che dalla particella Che incomincia o pure che la condizione in sé contiene, la S raddoppiata, Amassi Valessi Leggessi Sentissi, v’ha luogo. Della prima, è la seconda voce del numero del meno questa, Ameresti Vorresti e l’altre, e la terza quest’altra, che con la B raddoppiata sempre termina toscanamente parlandosi, Amerebbe Vorrebbe e Abitrebbe, che disse il Petrarca in vece di Abiterebbe, e gli altri. È il vero che ella termina eziandio cosí, Ameria Vorria, ma non toscanamente e solo nel verso, come che Saria si legga alcuna volta eziandio nelle prose. Poria poscia, che disse il Petrarca in vece di Potria, è ancora maggiormente dalla mia lingua lontano. Nel qual verso ancora cosí termina alle volte la prima voce Io Ameria Io Vorria, in vece d’Amerei e di Vorrei, e cosí quelle degli altri. Da questa terza voce del numero del meno la terza del numero del piú formandosi, serba similmente questi due fini, generale l’uno e questo è Amerebbono Vorrebbono, particolare l’altro, Ameriano Vorriano, e solo del verso. La qual voce, se pure è stata usurpata dalle prose, il che nondimeno è avenuto alcuna fiata, ella due alterazioni v’ha seco recate. L’una è lo avere la vocale A, che nella penultima sillaba necessariamente ha stato, cangiata nella E, e l’altra, lo avere l’accento, che sopra la I dell’antipenultima sempre suole giacere, gittato sopra la E, che penultimamente vi sta; et èssi cosí detto Avriéno Sariéno in vece di Avriano Sariano, e Guarderiéno e Gitteriéno e per aventura degli altri. Raddoppia medesimamente la prima voce del numero del piú la lettera M, Ameremmo Vorremmo e l’altre, del qual numero la seconda appresso cosí fornisce, Amereste Vorreste. Nelle quali voci tutte; aviene alcuna volta quello che si disse che aveniva nelle voci del tempo che è a venire, ciò è che se ne leva l’una sillaba, raddoppiandovisi in quella vece la lettera R, che necessariamente vi sta, Sosterrei e Dilibererei e Disiderrei parimente, in vece di Sostenirei e Dilibererei e Disidererei, dicendosi; e quello che disse Dante:

                                  Chi volesse
salir di notte, fôra egli impedito
d’altrui, o non sarria, che non potesse

in vece di Saliria. Il che parimente in ciascuna persona e in ciascun numero di questi e d’altri verbi si fa, ne’ quali può questo aver luogo. Vedrei poscia e Udrei medesimamente nel verso si disse, e Potrei si disse e nel verso e nelle prose, e ciascuna dell’altre loro voci medesimamente si dissero di questo tempo. E ciò basti con la prima guisa aver detto di questi parlari.