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Questioni urgenti (d'Azeglio)/1

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I

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Dedica 2

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Pisa, 15 gennaio.


I.


Se lo stato delle menti fosse oggi qual era nel 1849, il pericolo d’Italia potrebbe essere reale.

Ma la fortuna nostra volle che i due grandi movimenti del 1848 e del 1859 non fossero tanto vicini tra loro da non darci tempo a soffrire degli errori commessi (che è la più utile fra le esperienze), e neppur fossero tanto lontani da rendere inutile per gli uomini del 1859 la lezione pratica ricevuta dal 1848.

Così i cervelli si sono corretti. Lo spirito pubblico si è rassodato, e l’Europa ha dovuto stupire del senno pratico degl’Italiani, più che non s’era stupita in altre occasioni delle loro pazzie.

Ma delle lezioni date a noi, non ne profittammo noi soli; tutti ne hanno profittato. Dappertutto si nota un rapido sviluppo di maturità nelle moltitudini. La scienza dell’attenersi al possibile più che al desiderabile, la scienza del sapere aspettare, il senno pratico, attributi sin qui di pochi eletti, sono ora dati alle moltitudini. Le abbiam [p. 10 modifica]vedute intendere le questioni politiche meglio di molte Cancellerie, e meglio guardarsi da giudizi precipitosi e appassionati. Ogni giorno diventa più difficile il mestiere di ciarlatano politico. Le antiche astuzie per condurre i popoli, i ninnoli della loro infanzia come gli spauracchi della loro vecchiaia, sono oramai resi inservibili; e chi ne faceva capitale suo unico, ne perde il capo.

E difatti, i partiti estremi che vivono unicamente o delle infanzie o delle decrepitezze de’ popoli, sono fuor di loro, e non s’agitarono mai tanto convulsi come oggi.

Ma il mondo, in massa, si trova indifferente a tutte le loro smanie: egli ha pagato il giudizio abbastanza caro, per non smarrirlo oramai così facilmente.

Da un lato, i documenti della Corte di Roma piangono la Chiesa perseguitata, la Religione in pericolo. I Vescovi di Francia, più sobrii di lacrime, gettano invece fiamme, minacciano e profetizzano cataclismi. Ma nessun cattolico ignora oramai, che la sua Chiesa non è punto in pericolo, e che non si perseguita nessuno per fatto di Fede. L’incasso del danaro di san Pietro, come il numero dei Crociati gratuiti del Vaticano, ci dà un saggio esatto dell’effetto che gli agitatori clericali possono oramai produrre su coscienze le quali, quand’anco sincere, altrettanto però sono oramai illuminate ed accorte.

Dall’estremo opposto, e dalle tende ambulanti d’altri Leviti, quelli di Dio e del Popolo, ci vengono all’orecchio voci d’altrettanta angoscia, e d’altrettanta minaccia. Anche questa Curia si sente mancare sotto i piedi il terreno; anch’ella vede spuntate le sue scomuniche, vede le sue ire, le sue profezie passare sul mondo senza mutarne l’andare. Ha un bel dire che ha fatta l’Italia, e che l’ha [p. 11 modifica]quasi liberata, che senz’essa non si finirà mai di liberare; ha un bell’armeggiare, affannarsi, farsi grossa per parere un pendant di Vittorio Emanuele e del suo Governo — tutto inutile!

Il mondo, come ogni Italiano, sanno benissimo che se il Re non manteneva lo Statuto dopo Novara; se il conte Cavour non spediva l’esercito in Crimea e non andava al congresso ed a Plombiers; se Napoleone non calava in Italia con 150 mila uomini, e via via sino al giorno in cui, se i bersaglieri ed artiglieri non l’impedivano, Capua diveniva campo di nuove delizie più saporite di quelle di Annibale; nessuno ignora, dico io, che se tutto questo non accadeva, non so che cosa sarebbe stato dell’Italia: ma al punto, al quale è oggi, non c’era arrivata di certo!

In una parola, oramai sono diventati vecchiumi tanto la Curia Romana come la Curia dell’Idea. In Italia come fuor d’Italia non si vuole nè assolutismi di Papi, nè di Re, nè di Tribuni; non si vuole arricchire nè Preti, nè Ciamberlani, nè berretti rossi. Questa lanterna magica la vede da 70 anni l’Europa; conosce le maschere di tutti i colori, le son costate sangue e miliardi, ed ora non ne vuol più. I suoi sudori, il suo patrimonio se li vuol goder lei, e non lasciarsi mangiar viva da speculatori politici, come si lascia pelare uno spensierato da’ fattori o da’ segretari.

Io dunque non vedo l’avvenire in nero. Lo dichiaro incominciando queste pagine. Io credo che in Europa malgrado le minacciose apparenze, sta per prevalere il giudizio. Credo che ci accostiamo ad un’epoca nella quale gli affari del mondo presi nel tutt’insieme anderanno meno male di prima, perchè il mondo li vedrà e li farà [p. 12 modifica]da sè. In ciò sta, in conclusione, tutto il sistema rappresentativo al quale i popoli s’avviano: e se mi si permette una formola volgare, dirò che la differenza dai sistemi assoluti (assolutismo di trono o di piazza è lo stesso) ai sistemi rappresentativi consiste in ciò solo, che quelli lavorano sulla pelle altrui, e questi lavoreranno sulla propria. La mano è sempre più leggera.

Ma se a parer mio si va verso il bene, non ci siamo però arrivati.

Non mai tante questioni nè così gravi e complicate si presentarono come ora in una volta, reclamando ognuna soluzione immediata. Più che mai bisogna star in cervello e levar le redini di mano ai bambini ed ai decrepiti. Gli uomini di buona volontà parlino franco ed aperto. Dal complesso delle loro parole scaturirà il vero; e la sua luce caccierà illusioni, e fantasmi. Questa è l’idea che mi pose in mano la penna, coll’animo di dire il vero, per quanto lo vedo e l’intendo, passando in rivista gli affari e le questioni più urgenti.