Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato (Vol. I)/II. Mantova/II. Relazione di Mantova di messer Vincenzo Tron al duca Gonzaga (1564)

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II. Relazione di Mantova di messer Vincenzo Tron al duca Gonzaga (1564)

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II. Relazione di Mantova di messer Vincenzo Tron al duca Gonzaga (1564)
II. Mantova - I. Relazione del clarissimo messer Bernardo Navagero ritornato di ambasciatore di Mantova (1540) II. Mantova - III. Relazione di Mantova del clarissimo messer Francesco Contarini al duca vincenzo (3 ottobre 1588)
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II

RELAZIONE DI MANTOVA

DI

messer VINCENZO TRON

ambasciatore straordinario al duca

Guglielmo Gonzaga, 1564

Se torna a proposito della Serenitá Vostra e delle Signorie Vostre eccellentissime e illustrissime l’intender ogni particular cosa de qualsevogia principe e particularmente de quei che confina con el Stado suo e che dependa da molto grandi, io stimo che nel dar conto alla Serenitá Vostra di quel puoco che in quattro soli di ho possudo intender degno de so notizia dell’eccellentissimo duca di Mantova e dei so’ Stadi, che confina con le Signorie Vostre eccellentissime e che depende cosí strettamente dalla imperial casa d’Austria, le me vorrá prestar quella grata audienzia che le non suol negar a niun.

El duca de Mantoa è patron de do Stadi: del Stado de Mantoa, feudo dell’impero eretto in ducato da Carlo l’imperator in gratificazion de Federigo, padre del presente duca, che era allora solamente marchese; e del marchesado del Monferá, feudo anche esso dell’impero, vegnudo nella casa de Mantoa per conto della madre del presente duca, rimasa ultima della casa Paleologa che era patrona di questo marchesado.

El ducado de Mantoa non ha che una cittá, che è Mantoa; de tutte le condizion della qual cittá e come essa confini con el Stado della Serenitá Vostra reputo cosa superflua el parlarne, perché non è niun delle Signorie Vostre eccellentissime che [p. 66 modifica]non sapia che Mantoa è visina a Peschiera 20 mia, a Verona 23, a Legnago 25, di maniera che vien ad esser come cincordada da tutte queste cittá e posta quasi in mezzo di esse. E Mantoa cittá grande, perché circuisce cinque mia; è fortissima di sito, per esser posta in un luogo come è noto alle Signorie Vostre eccellentissime e anche agiutada grandemente dall’arte; perché, dove pare che el sito non la rendi cosí compidamente sigura, vi è fortissimi e gagliardissimi bastioni. E se poderia reputar inespugnabile, se non fosse che l’acqua, per openion di qualche un, ghe puoi esser tolte; ché quando quel lago restasse asciutto e le palude scoperte, se vede dal essempio de quella parte del detto lago che è asciutta, che la cittá per la qualitá di un mal aere resteria inabitabile e, quel che importa ancora, in un bisogno non poderia esser soccorsa da parte alcuna. È assai ben populada, perché per l’ultime descrizion si trovò che ghe iera 40 in 45.000 anime; ha un numero grande de nobili devotissimi al so principe e l’amano e osservano grandemente. Ha un territorio molto grande, pien di molti castelli e tanto abondante che dá da viver alla cittá e puoi anche accomodar dei paesi forestieri, c gran parte delle biave, che va alla fiera de Desenzan sul lago de Garda, se cava da questo territorio.

Cava el duca de Mantoa da questa cittá e territorio per l’ordinario intorno a 100.000 ducati d’intrada, come poderia dar particularmente per una nota che ho avudo da buon luogo. Ma, per non attediar la Serenitá Vostra, dirò solo che el Principal fondamento di questa intruda è sopra do dazi: il primo è il dazio del sai, che importa 34.000 ducati; el secondo è quello della masena, che importa 25.000 ducati, per conto del qual se paga 16 grossi per sacco. Vi è un altro dazio notabile e al parer mio molto grave, che è sopra le comprede, perché se paga 7 ½ per cento de quel che se compra, e se paga fin delle dotte, e de questo ne cava 7000 ducati. Della tavola grossa, che è come il dazio della intrada, ne cava 8000 ducati; dei pesci del lago, 4000 ducati; e d’altri dazi minori, fin alla somma che ho ditto de 100.000 ducati. Suol anche i duchi di Mantoa, oltra questa intrada ordinaria, metter per le sue occorrenzie delle imposizioni [p. 67 modifica]e per quanto intendo, el duca Federigo, padre di questo, impose una gravezza del quinto piú de tutti i so’ dazi, la qual si chiamava el «macalufo», e l’applicò alle sue fabriche: per un tempo levada dal cardinal de Mantoa, quando era tutor del duca Francesco, e dopo fu renovada, di maniera che ancora si paga. Hanno anche costumado d’imponer ora un grosso per campo di terra, ora un grosso per pertega delle fabriche della cittá o del territorio, e cose simili.

La spesa che ha sopra questa intrada il duca è diffidi ad ognun a poderla saver distintamente, ma piú diffidi è stata a me, per el poco tempo che io son sta’ in quella cittá. Pur dirò che ha assegnado Sua Eccellenza 8000 ducati d’intrada per uno alli fratelli che ha, cioè a don Lodovico e al cardinal, in essecuzion del testamento de so padre. È vero che il cardinal, essendo fatto ricco de benefici, li ha cessi la mitá di questa intruda. Spende poi nella casa sua ed in quella della mogier molto strettamente, alla qual mogier non ha fatto alcuna assegnazion e la tien molto ristretta, come, dirò poi. Ha le sue spese ordinarie, d’officiali, ministri, consegieri secreti e di giustizia, ambasciatori, corrieri e cose simili, che non sono di molta importanza. A guardia della so persona tien 25 archibusieri e 25 cavalli leggieri. Nella razza Sua Eccellenza spende poco e, perché non se ne diletta, la lassa andar de mal. In soi piaceri non spende molto, perché par che non abbi piacer di altro che di andar vagando or in questo luogo oc In quello, e sempre vi va con poche persone e la mazor parte musici, dei quali l’Eccellenza Sua si diletta assai. Tanto che con tutte queste spese piú tosto ghe avanza che li manca delle intrude. A guardia della cittá, vivendo con puoco sospetto dei visini, non li tien milizia considerabile, perché non ha nella cittá alle porte e nel castello piú di 130 fanti. È vero che nel territorio ha descritto sin al numero di 2000 omeni, come quei alle ordinanze della Serenitá Vostra, che hanno diversi privilegi ed imunitá, dei quali il signor duca se puoi servir in ogni bisogno ad un suon di campana; e ne ha dato il governo di essi al signor Alessandro suo fratel natural. Ma, quando occorresse il bisogno [p. 68 modifica]de qualche travagio, è opinion che questo Stado mettesse insieme 8 o 10.000 fanti, assai buona zente, perché hanno costumado questi ultimi duchi di lassar andar li sudditi soi alla guerra per servizio di Carlo V imperator e del re di Spagna, so fiol, con opinion che l’aver li sudditi soi assuefatti alla milizia li dovesse resultar di benefizio anche a loro.

Erano reputadi li duchi di Mantoa li piú contenti e felici principi che fossero in Italia, prima che avessero il marchesado di Monferá, del quale ora son per parlar; perché, essendo vassali e sotto la protezion dell’imperio, vivendo in bona grazia dell’imperator, essendo respetadi dai pontefici, amati dalla Serenitá Vostra e stimadi ancora dai re de Franza, vivevano in una grandissima sicurtá e contentezza. Ma, pervegnudo in casa sua el marchesado de Monferá, al tempo di Federigo, padre di questo duca, questo suo odo, questa sua quiete si mutò in un grandissimo travagio: perché prima, nel far la lite con el duca di Savoia per la possession di questo Stado, el duca Federigo spese per molte e molte vie una eccessiva quantitá de danari e si privò in poco tempo di quanto aveva in molti anni accumulado; di piú aggravò assai i sudditi e fece grandissimi debiti; poi, nelle guerre tra Franza e Carlo V e tra Franza e Spagna, quel paese è stato tanto lacerato e guasto, ed in molti luoghi ha patido sachi, rapine ed incendi, che ha dato grandissimi dolori e molestie a chi l’ha posseduto. Finalmente per causa di questo Stado la casa di Mantoa si attrova ancora in differenzia con la casa di Savoia, avendo la casa di Savoia molte pretension sopra il Monferá, le qual el presente duca ha renovade, allegando che Carlo V, che diede la sentenzia contra so padre a favor de Federigo, giudicò sopra il possessorio e non sopra il petitorio. Onde assolutamente il marchese di Pescara aveva persuaso il presente duca suo cugnado ad entrar in negozio con el re cattolico di permutar el Monferá con Cremona, e si saria anche contentado de permutarlo con il paese di Gieradada, per uscir di questa molestia ed assicurar anche il re di Spagna de podersi sempre valer del Monferado secondo il suo proposito. Afa Sua Maestá non volse ascoltar fa pratica. [p. 69 modifica]

Ma, poiché con el parlar mio son zonto a questo termine, dirò brevemente alla Serenitá Vostra le pretension che ho possudo intender che ha il duca di Savoia sopra questo Stado, il qual è cosa nota alle Signorie Vostre eccellentissime esser pervegnudo in questo duca di Mantoa per la duchessa, ch’è rimasa ultima della casa Paleologa. Ma il duca di Savoia pretende che questo Stado debba pervegnir a lui, perché si contrasse zá un matrimonio di una donna Paleologa con uno de soi antecessori, con condizion che, mancando la linea mascolina, li discendenti di essa donna dovesse succeder in quel Stado; e questa condizion fu approbada da l’imperator di quei tempi.

Però dicono che, essendo occorso il caso per la morte di Bonifazio Paleologo fratei della duchessa de Mantoa, qual mori senza fioli o altri eredi mascoli, il duca di Savoia, che descende per retta linea da quel duca che se maridò con tal condizion con la prima Paleoioga, deve succeder lui in questo Stado; e questa è la prima pretension. La seconda: che a questa donna fu promesso in dotta 100.000 ducati, quali li fu assegnadi sopra le terre tra il Tanaro ed il Po, che comprende la mazor parte di questo marchesado, che non furono mai pagadi. La terza: che, essendo sta’ scazzado dai Visconti el marchese di Monferá, che gli era cugnado del duca di Savoia, fu remesso in Stado con le arme ed a tutte spese di esso duca, onde il marchese si obligò di pagar al cugnado le spese; le qual anco fu tra loro legitimade, ma non sono sta’ mai pagade, perché sono infatti di molta importanzia. Allega all’incontro il duca di Mantoa che li contratti, fatti prima tra quei duchi di Savoia e marchesi di Monferá vecchi, non hanno possudo pregiudicar a’ successori e che non ostante questi contratti Carlo V dechiari vera erede sua madre, mogier del duca Federigo, e che la cosa è zá decisa, e che suo padre fu investido da Carlo V e lui ancora da Ferdinando imperador. Però, per dar anco mazzor fomento alle cose sue in ogni caso, si è accostado con cusi stretto parentado con la casa d’Austria, prendendo per mogier una fiola di Sua cesarea Maestá.

Questo Stado, se ben non è molto grande, ha però tre assai bone cittá, cioè Casal, Alba, Acqui, dove sono i bagni, [p. 70 modifica]e oltra questo, come intendo, ha piú di 350 castelli, tra i quali ne sono quatro che di popolo e grandezza non cedono alle cittá. È il paese cusi grasso e abondante che è stato atto a nutrir, a’ tempi delle guerre di Carlo V, validissimi esserciti e per molti mesi; e se ben rende poca intrada al suo principe, come dirò or ora, nondimeno, a tempo che don Ferrante ha governato in Milano, ha pagado piú di 18.000 ducati al mese di contribuzione per allozzamenti e pagamenti di soldati. Soleva questo Stado render 36 in 40.000 ducati d’entrada, ma perché li marchesi passati hanno dona’ molti luoghi e impegna’ una gran parte delle so’ intrude, essa era redutta al tempo del duca Federigo intorno a 15.000 ducati; ma ora intendo che, per la diligenzia del Cardinal di Mantoa passato e di madama madre del duca, mentre che li fioli erano pupili, ne ha recuperadi da 5000, di maniera che ora sono circa 20.000 e piú.

Le spese che fa il duca in ministri ed offiziali ed altri importa circumcirca quanto l’entrada: è vero che il Stado paga le guardie della cittá, cosí in pase come in tempo di guerra, ed ha obligo di dar ducati 50.000 di dotte alle fiole dei marchesi, e siano quante si vogliano, e di poi che son nate li alimenti ancora; onde la fíola, che ora è nata al duca, sará, per quanto ho inteso, mandata da lui a star con la marchesa madre, qual è governatrice del Monferá e sta a Casal. Li zentilomeni, che hanno castelli, che son molti, sono obligadi, ogni volta che el so signor va alla guerra, seguirlo alle sue spese armati chi con uno e chi con piú omeni di arme. In questo Stado, anche quando occorresse il bisogno, el duca di Mantoa poderia far molti soldati e zente, che con le guerre passade si sono essercitadi assai; e, per quanto intendo, ne ha una ordinanza di 10.000 omeni ben essercitada.

Ora io non credo che sii a proposito che io narri alla Serenitá Vostra alcuna cosa delli principi della casa Gonzaga e come ella za 230 anni o piú sia pervegnuda al dominio della cittá di Mantoa e per dieci successori fino al duca presente; perché queste son cose, e molte altre che potria dir, che se [p. 71 modifica]lezono nelle istorie. Dirò dunque solamente che del 1550, essendo morto Francesco, fiolo di Federigo, di anni 16, che aveva per mogier Caterina, fiola de l’imperator passato, che ora vive ed è reina di Polonia, e dovendo per etá succeder Guglielmo, che è il presente duca, senti la cittá di Mantoa e tutta la casa Gonzaga grandissimo dispiacer, vedendo succeder per suo principe un ometto cosí deforme, che veniva a guastar cosí bella prole, come era sta’ sinora in quella famiglia. Il qual dolor passò tanto oltra, che si tenne proposito e fu per ultima ressoluzion concluso e dalla madre e dal Cardinal, che allora vivea, di persuader Sua Eccellenza, qual allora non aveva piú di 13 anni, che fusse contento, per consolazion dei populi e di tutti i soi, permetter che succedesse nel dominio el signor Lodovico nato doppo lui; il qual, per instanzia che li fusse fatta e per rason che li fusse allegada, non volse mai assentir, dicendo che el viveria e governeria quando e nel modo che piacesse a Dio, per la cui volontá l’era successo a quella signoria, la qual lui reputeria gran viltá lassar cascar in man di altri. Onde, essendo occorso un giorno al signor Lodovico un certo pericolo, mentre che manizava un cavallo alla presenza dell’Eccellenza Sua, ed avendoli dito el signor duca che aveva avuto un gran ventura a non se far male, el signor Lodovico le rispose subito che mazzor era stata la ventura di Sua Eccellenza nascer prima di lui. Questo, essendo dunque sta’ accetado per duca da ognun come si conveniva, ha avuto molta prosperitá che non si pensava, se ben è riuscido anche piú deforme che non si credeva; perché è in modo riuscido sano, ha preso per mogier una fiola di cosí gran principe come iera l’imperador passado, ha avuto una bella prole: cosa che ha apportado tanta mazzor consolazion ai sudditi soi quanto manco l’aspettavano, perché per una certa indisposizion li medici piú volte hanno tegnuda conclusion che e! non podesse aver prole. Della persona del duca non averò altro che dir alla Serenitá Vostra se non che è grandemente inclinado ad una vita retirada, fuzze li negozi e la compagnia di molti e volentiera va vagando or qua or lá; e di questo se ne diletta tanto che i do terzi dell’anno dispensa in questi [p. 72 modifica]suoi viazi di puoche zornade. Ha grandissimo gusto della musica e tanto, che compone ogni sorte di cosa musicale piú che comportevolmente, e si compiace assai in ascoltar le cose da lui composte. È nelle essecuzion delli ordini soi rigidissimo, di maniera che vien ad esser per questa causa tanto temudo quanto è grandemente amado dai sudditi soi. Nelle cose di giustizia e di Stado admette il signor Alessandro, suo fratel natural, e li dá molti carghi, perché lo stima assai; e di veritá non merita esser reputado manco, perché è persona destra, intendente delle cose del mondo e de bel giudizio. Ha Sua Eccellenza dui fratelli: el signor Lodovico, qual si è accostado zá molti anni al servizio della corona di Franza e con la so virtú ha acquistado la grazia de quasi tutti i grandi di quella corte e particolarmente della reina madre. Fa profession de seguitar la strada dei so’ mazzori nella milizia, e delle cose apartenenti a questo essercizio ne parla e discorre accommodatamente, di maniera che anche il signor duca l’ama e lo stima assai. Ora, avendo patido gran danno nella rotta di San Quintino con el contestabile, ha avudo una gran ricompensa dal re cristianissimo col tagio di alcuni boschi, dei quali caverá una bona somma di denari, e con essi spierá di recuperar i so’ beni paterni, che per servizio di quella corona si trovano impegnadi; ed in buon proposito mi affermò il duca che era come concluso tra lui e la sorella del duca di Nivers il matrimonio, di maniera che, recuperati che abbia li soi beni paterni, con la provision che ha dal re e con la dotte che averá dalla mogier, averá piú di 25.000 ducati d’intrada e qualcosa piú. È di etá di anni 26 e, per quanto intendo, nella pratica riesce molto amabile. Dapoi lui séguita il cardinale, che è veramente zentil e virtuoso signore, il qual, si come è successo nelle felicitá del Cardinal suo zio, essendo rimaso erede de tutte le sue spogie e successor dei piú importanti benefici, cusi par che vogia aver ereditado tutte le sue commoditá, essendosi ressoluto di star lontano dalla corte di Roma, attender a governar el so vescovado e viver nel resto poi vita consolada. Li altri principali della casa Gonzaga sono li fioli di don Ferrante: il primo è don Cesare, [p. 73 modifica]che è per la mogier, sorella del Cardinal Boromeo, nepote del pontefice. Questo signore è duca di Ariano e principe di Molfeta, patron di 60.000 scudi di intrada, computada la provision che ha dal re di Spagna, come capitano delle zente d’arme del Stado di Milan; però con el viver splendidamente e con l’usar verso d’ognuno gran cortesia, la qual in lui par naturale e non artificiosa, ha la grazia di tutta Mantoa e d’ognun che lo conosce. Medesmamente intendo che, per causa di simil virtú conzonta con la profession delle bone lettere, è in assai bon concetto universal il Cardinal so fratello, qual si chiama Cardinal Gonzaga a differenzia del Cardinal fratel del duca, che se chiama il Cardinal di Mantoa. Questo signore è ridotto a viver a Roma, sperando con il viver onoratamente in corte farsi cognoscer degno del grado che tien e farsi meritevole di ascender anche piú oltra. Li fratelli, che sono don Andrea, il prior di Barletta e do altri piú zoveni, non mi estenderò a parlar di loro, non avendo possudo, in quattro soli di che son sta’ a Mantoa, far quel sazzo di essi, che me saria bisogno volendone parlar in questo luogo.

Depende il signor duca, per quanto si vede, grandemente dalla causa d’Austria; ma perché li domini sono accompagnadi sempre da zelosia, non essendo tra principi nessun parentado, niuna dependenza vacua di timor o sospetto, per questa causa il signor duca, non senza proposito, consente al fratel che tegna servitú con la corona di Franza. e per questa istessa causa ed anche per il timore del duca di Savoia si trattien con il re cattolico, che è tanto potente in Italia, in bona intelligenzia, mostrando voler esser quell’affezionado e devoto verso di Sua Maestá, che è sta’ li so’ precessori verso l’imperador Carlo V. E se ne è veduto l’effetto; ché, volendo prender mogier, non solamente l’ha vogiuda prendere con so consenso, ma ancora per so mezzo e intercession. È vero che a questa mogier poi non usa quel trattamento che doveria e per la qualitá del sangue suo e per la bontá di lei, che è santissima signora, e finalmente per averli fatto cosí bella prole; perché di veritá, non so per quai respetti, la tien piú tosto come zentildonna privata che come signora di [p. 74 modifica]quel sangue qual è, né sinora li ha assignati li 10.000 ducati di sua provision, si come si obligò nel matrimonio. Ella all’incontro comporta pazientemente ogni cosa, né sin qui s’intende che si sii lamentada con alcun.

Si trattien molto con il pontefice e so’ dependenti, se ben ora non tanto quanto soleva far, essendo, per la morte del Cardinal so zio, cessate in gran parte le cause di tal trattenimento. Con la Serenitá Vostra Ella vede anche come si trattien e, per quanto ho inteso io da persone di giudizio, il duca non fa poco fondamento della conservazion delle cose soe sopra l’affezion della Serenitá Vostra, credendo anche sumamente la conservazion del suo Stadoe dell’altro sia tanto desidera’ per interesse commun dalla Serenitá Vostra come dall’Eccellenza Sua; la qual conosce che una bona intelligenzia con la Serenitá Vostra gli debba essere di grandissima reputazion appresso ad ognun, ed il suo patrocinio stima non manco un zorno ghe possa esser di gran zovainento per questa causa.

Io son sta’ da Sua Eccellenza onora’ di quel muodo che la Serenitá Vostra ha inteso dalle lettere mie, essendo sta’ incontra’ sin alla porta fuor del ponte della cittá con smontar da cavallo e con commandarmi e quasi forciarmi ad andar da lei di sopra; al che io finalmente consentii doppo molta resistenzia, dicendo che anche in questo mi pareva di onorar l’Eccellenza Sua con far quello che la mi commandava. Ha voluto anche Sua Eccellenza, se ben mi era sta’ provisto dal mio forier d’un onorato allozzamento, che io allozzasi nel suo palazzo di corte vecchia, che è grandissimo ed onoratissimo. E per farmi anche mazzor favor, ha vogiudo che io manzi quasi ogni zorno in so compagnia, mentre che io son sta’ in quella cittá, dandomi quei trattenimenti che ha comportado la stason, di cazze, musiche ed altre cose, scusandosi spesse volte con grande affetto che, per esser tutta la nobiltá di Mantoa alle so’ possession, no podeva far quanto desiderava, usando, mentre che io son sta’ in so compagnia, segni e parole di gran larghezza di animo e di affezion, con trattegnirme in longhi rasonamenti, in modo che pareva ad ognun che avesse muda’ natura, essendo per [p. 75 modifica]l’ordinario l’Eccellenza Sua malinconico e di puoche parole. Nei qual rasonamenti mi disse un zorno, in proposito de l’amor della Serenitá Vostra verso di lui e della confidenzia che ella aveva in questa serenissima republica, che, per far noto ad ognun che ancora lui era amorevol fiol di questo serenissimo dominio, aveva delibera’ di vegnir publicamente in questa cittá a far riverenzia alla Serenitá Vostra. Al che io corrisposi con quelle cortese e grate parole che mi parsero convenienti, procedendo piú tosto un puoco riservado che altrimenti; si che l’Eccellenza Sua non ha possudo desiderar da me, come rapresentante della Serenitá Vostra, mazzor cortesia, né manco per le mie parole potrá esser rimasa piú calda di quel che ella era da se stessa. Ma, al creder mio, l’Eccellenza Sua, per causa della gran spesa che faria lei e tutti i soi, non metterá ad effetto cosí facilmente questo suo pensier.

Ora io vorrei dir alcuna cosa del secretario mio, qual è sta’ messer Antonio Mazza; ma perché esso è ben noto per le sue proprie azion e mi ha anche pregado di non attediar la Serenitá Vostra con parlar di lui, io dirò sol questo: che, se per molte ambassarie che ha fatto in servizio suo, e massime per quella di Milan, con tante differenzie di acque ed altri negozi de non minor importanzia, trattade con molta reputazion della Serenitá Vostra, è fatto segno al par di qualsivoglia altro della grazia sua, cosí mi par che nelle sue occorrenzie meriti d’esser raccomandato alla Serenitá Vostra ed alle Signorie Vostre eccellentissime.

De mi io non dirò cosa alcuna, perché il ringraziar la Serenitá Vostra dei onori, che ghe è piasudo di darmi, come doveria non posso; l’offerirgli l’aver e la persona mia in so servizio non debbo, perché offereria le cose sue, come sono tutte le cose mie. Le qual cose, dico sue e non mie, sempre che saranno adoperade e spese in servizio della Serenitá Vostra, io senza fallo ne riceverò piú tosto grandissima grazia, che la Serenitá Vostra e le Signorie Vostre eccellentissime una minima ricompensa dei oblighi che ghe ho.