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Rime varie (Alfieri, 1912)/CCII. Teleutodia

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CCII. Teleutodia

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CCI. Stima sua gloria essere fra i primi perseguitati

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CCII.1

Teleutodia.


20 gennaio 1799.

ODE.

Strofe I.

Scorso2 è dal labro, e in un dal petto è scorso
Un mio solenne inesorabil giuro,
Per la tua chioma aurata
Cui tergi, o Apollo, entro il Castalio puro,
Di non piú mai sciorre a mie rime il morso,3
6 Tosto che saettata
Avrebbe il veglio dall’alato dorso4
La freccia in me del cinquantesim’anno.
Ecco, teso ei già l’arco,
Per iscoccarla stassi: e in fuga vanno,5
11 Sdegnosi già pria d’esser colti al varco,6
Gl’immaginosi affetti7 e il fervid’estro
Cui forse un dí spiravi a me pur destro.8

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Antistrofe I.

Ma, se innalzar vieppiú dolci canore
Suol (com’è fama) al bel Caístro9 in riva
Le finali sue voci,
Pria che dell’almo suon l’aura abbia priva,10
Candido cigno che cantando muore;
6 Cosí, mentre veloci
Del mio canto omai fuggon le ultim’ore
(Pur che là, Febo, il vogli),11
Fors’io nell’atto in che il tuo don ti rendo,
L’etrusca lira12 che tu a me non togli,
11 Forse ch’io pur vieppiú suonante ascendo
Ove non mai per sé13 giungean mie note,
Mercé il gran nume tuo che il tutto puote.

Epodo I.14

Odo un muggito orribile:
Scosso nel delfic’antro il suol traballa:
Già mi si fa visibile
Dalla squarciata in duo sacra cortina
La Sibilla terribile,
6 Fonte del vero a chi costretta avralla.15
Alma face divina
Le avvampa in fronte: l’alitante petto
Gonfio trabocca dell’ardente Iddio:16
E il suo rabido aspetto
11 E infra frementi labbia il muto urlío
Mi perturba e m’infiamma

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Sí, che fatto esser parmi e son piú ch’io,
Né in me di sano omai riman pur dramma.17

Strofe II.

«Che vuoi?» Grida ella in spaventevol suono.
Non le rispondo io, no: bensí le afferro
Con ambe man18 la mano;
E tra minace19 e supplice mi atterro,
Qual uom che i di lei detti anéla in dono.
6 Dibattesi ella in vano:
E all’atterrirmi20 invan si scaglia il tuono
Da quell’ignea voragine profonda,
Che col vapor suo fero
Di vaticinii il di lei labro inonda.
11 La tengo io salda: e vincitore, io spero
Ottener la fatidica risposta
Di mia intesa da lei muta proposta.21

Antistrofe II.

«Quei che me tutta or di sé tutto invasa22
«Nume tremendo Pizïo te pure
«Agita e sprona; io ’l veggio;
«Che sol dietro sua scorta orme secure
«Spinte aver puoi vêr la fatal mia casa.23
6 «Non vo’ quind’io, né il deggio,
«Far col mio niego appien tua speme rasa:24
«Ma scarsi carmi entro a caligin densa
«Sol può darti il mio labro.
«Sovra ogni nube a volo aquila immensa,
11 «Le cui forti ali il raffrenar fia scabro,25
«La eccelsa cima afferrerà dell’Alpe,
«Quand’occhi e ardir nel piano avran le talpe.

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Epodo II.

«Deh, Diva, aggiunger piacciati
«A dileguar gran nebbia, altri piú carmi:
«Né il mio dubbiar dispiacciati,
«Figlio in me di temenza e in un d’orgoglio,
«S’ei qui importuno allácciati.26
6 «Dimmi or s’egli è, qual nel tuo oracol parmi,
«L’augel di Campidoglio
«Che rinnovar de’ un dí suo altero volo;
«O se in mistico senso intender oso
«Lo spiccarsi dal suolo
11 «Di alato egregio vate ardimentoso?»27
La vergine si sferra28
Da me gridando: «Il sol ti è dunque ascoso?»29
Sacro un orror me tramortito atterra.

Strofe III.

Qual se in tempesta orribile una calma,
Figlia dei Numi, a insignorir pur viensi
Dell’atre rugghianti onde;
Tale un sopor meraviglioso i sensi
Viene acquetando in me dell’ardent’alma,
6 Su cui latte diffonde;30
E al par col sonno31 placido già un’alma
Visïon, ch’io da Giove uscir ben scerno,
In mia mente serpeggia.
La custode del folgore superno,32
11 Che appié del trono dell’Olimpio aleggia,33

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Parmi veder; che acuti occhi raggianti
Vibri in me, sprone a onnipossenti canti.

Antistrofe III.

Né il dardeggiar dell’aquilino sguardo
Basta: vi aggiunge altro ammirabil mostro,34
L’articolata voce
Che intento io bevo35 dal divin suo rostro.
«Dell’arte tua sublime ond’io tutt’ardo
6 «L’immaginar veloce,
«Appo il quale il mio fulmine par tardo,
«Già in un attimo solo ha in sé compreso
«L’È stato, l’È, ed il Fia:
«Quindi hai l’oracol pienamente inteso,36
11 «L’una accoppiando all’altra gloria mia;
«D’aspro coraggio le indomabili arti;
«E d’acuto intelletto i maschi parti.»

Epodo III.

«Carmi v’ha che fien l’organo37
«Di pura e sacra libertà; che impera
«Vili38 del par si scorgano
«E gli Spartachi e i Cesari,39 perch’almi
«Catoni40 un dí risorgano.
6 «Regenerar Roma seconda e vera,
«Se gl’infiammati salmi
«Pria nol potran di un libero Tirtéo,
«L’aste forse il potran di armati servi?41
«O il conciliabol reo
11 «D’altri inetti piú ancor schiavi protervi?

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«Nascon del forte i forti.
«Germe il leon fu mai d’imbelli cervi?
«Molti eroi, sí, da un vate sol fian sorti».

Strofe IV.

Inebriato di quei caldi accenti,
Desto hammi già dal mio sonno superbo
L’intumidito42 cuore.
Ma il po’ di senno ch’io teneami in serbo,
Perché al tacersi in me dei carmi ardenti
6 Del calvo capo fuore
Tutti ei sgombrasse poi gli erronei venti,
Tetro canuto un refrigerio spira
Che mia febbre ristaura,
Ma ogni baldanza a un tempo in pianto gira;43
11 Ora vana esser tutte e instabil aura
Le umane imprese asseverando il crudo,
D’inganni al par che di pietade ignudo.4445

Antistrofe IV.

Ma e che? Vorresti or tu gelido Senno,
Tronche non sol del poetar le vie,
Farmi aver anco a vile
Le dianzi scritte tante opre ben mie?46
Se stesso ei spregi chi di sé niun cenno
6 (A spuma vil simíle)
Dopo sé lascia a quei che viver denno:47

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Non cosí, no, chi inestinguibil fuoco
Dall’alma traboccava48
Forse a pro d’altri: abbenché ognor pur poco
11 Giovi altrui l’alto dire in terra prava.49
Poco è l’uom sempre: ma piú molto è assai
Pur del Ciclope chi cantonne i lai.50

Epodo IV.

Ah sí, per quanto labile51
Sia l’esser nostro, io pur gli sguardi addentro
Nell’avvenir palpabile:
E scerno (o spero) la piú tarda gente52
(Poiché sol uno e stabile
6 Sempre fia ’l ver dell’uman cuore in centro)53
Al mio pianger piangente,
Se avverrà mai che in denso ampio teatro
Una qualch’abil Mirra o Elettra o Alceste54
Scolpisca il dolor atro,

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11 Ond’io forse impregnai lor voci meste.
Ma di mia cetra orbato,
Pago di sogni or fia che intanto io reste,
Muto aspettando il non lontan mio fato.55


Note

  1. Teleutodia è vocabolo composto di due parole greche (τελευτή e ᾠδή), canto della fine, canto del cigno): l’A., a proposito della composizione di questo vocabolo e della partizione dell’ode in strofe, antistrofe ed epodo, scriveva: «L’autore prega i begli spiriti di non volerlo a bella prima tacciar di pedante, perch’egli abbia un pocolin grecizzato nella distribuzione di questa sua ultima ode e nell’intitolarla Teleutodia. E l’autore supplica anche piú caldamente i pedanti di non lo tacciare né di bello spirito, né di saccentello, perch’egli abbia fatto di queste due voci greche un raccozzamento che finora non si trova registrato nei lessici greci. Vagliano quasi scudo a questa povera Teleutodía le voci ben note di Palinodía, Trenodía, e tante altre cosí legittimamente già prima da altri formate. E vaglia poi anche ad iscusare l’autore l’evidenza e brevità di questa parola, che cosí perfettamente viene a definire un agonizzante poeta ed un nascente pedante»....

    In quanto alla struttura metrica di questa ode, essa è molto semplice: le strofe e le antistrofi sono cosí composte: ABcBAcADeDEFF; gli epodi, nella seguente maniera: a(sdrucciolo)Ba(sdr.) Ca (sdr.)BcDEdEfEF.

  2. 1. Scorso, sgorgato.
  3. 5. Di non scrivere piú versi.
  4. 7. Il veglio dall’alato dorso, il Tempo, rappresentato con le ale ad indicare la sua rapidità. — Scriveva l’A. il 15 ottobre 1798 all’abate di Caluso: «Io sto per chiudere bottega, quanto ai versi massimamente, che mi son proposto al tocco dei 50 (a cui mancano soli tre mesi) di non piú poetare». Similmente in una lett. all’Abate di Caluso del 28 ott. 1799.
  5. 9-10. In verità, il 20 gennaio dal 1799, cinquant’anni l’A. li aveva compiti.
  6. 11. Fuggendo, prima che altri li faccia fuggire.
  7. 12. Gli immaginosi affetti: sono qui accennati due elementi essenziali della poesia: quello fantastico a quello affettivo.
  8. 13. Destro, favorevole, propizio.
  9. 2. Il Caistro (Caystrus) è un fiume della Lidia, ora chiamato Chïay.
  10. 4. Priva, privata.
  11. 8. Vogli è per la rima, ché la forma grammaticale è voglia.
  12. 10. Etrusca lira, perché l’A. volle in Toscana purificarsi dell’ibrido linguaggio natio e toscanamente scrivere.
  13. 12. Per sé, da sé.
  14. Immagina l’A. di ascoltare, intorno all’opera sua di fronte alla posterità, il responso della Pitonessa nel tempio di Delfo: la descrizione della terribile vaticinante è tratta da Virgilio (Eneide, VI, 47 e segg.):
    Ventum erat ad limen, quum Virgo: «Poscere fata
    Tempus, ait: Deus, ecce, Deus». Cui talia fanti
    Ante fores subito non vultus, non color unus,
    Non comptae mansere comae; sed pectus anhelum
    Et rabie fera corda tument, maiorque videri
    Nec mortale sonans, afflata est numine quando
    Iam propriore Dei: «Cessas in vota precesque,
    Tros, ait, Aenea?...».
  15. 6. Profetessa di verità a chi sarà riuscita a costringerla.
  16. 9. Dell’ardente Iddio, del Nume da cui essa è ispirata.
  17. 14. Dante (Purg., XXX, 46 e seg.):
    Men che dramma
    Di sangue m’è rimasa che non tremi.
  18. 3. Con ambe man, piú comunemente: con ambe le mani.
  19. 4. Minace: dal lat. minax, minaccioso.
  20. 7. All’atterrirmi, per atterrirmi.
  21. 13. Proposta ha qui significato di comando.
  22. 1. Invasa, empie.
  23. 5. Casa nel significato di tempio: Dante (Inf., VIII, 120) usa questo vocabolo ad indicare l’inferno:
    Chi m’ha negate le dolenti case?
  24. 7. Rasa, vana, nulla: Dante (Inf., VIII, 118), in maniera analoga:
    Le ciglia avea rase
    D’ogni baldanza...
  25. 11. Scabro, difficile. — L’oracolo è appositamente oscuro, ma verrà chiarito in appresso.
  26. 5. Se importunamente il mio dubbio ti tien qui obbligata a vaticinare.
  27. 6-11. Questo è il dubbio dell’A: ha la Sibilla voluto alludere ad un’aquila che dovrà spiccare un giorno il volo dal Campidoglio, qualche cosa di simile al veltro dantesco, oppure l’aquila altro non è che un audace e veritiero poeta?
  28. 12. Si sferra, si stacca, frequente nei classici: l’Ariosto (Orl. fur., VI, 23):
    Ruggier con fretta de l’arcion si sferra
    E l’A. stesso nella seconda parte de I viaggi:
    .... purch’io mi sferri
    Da un tal Profosso.
  29. 13. «Il sol ti è dunque ascoso?» «Non vedi le cose piú chiare?»
  30. 4-6. Costruiscasi: .... tale un sopore meraviglioso dell’anima, prima ardente e sulla quale esso diffonde la pace (il latte), viene acquetando i miei sensi.
  31. 7. Al par col sonno, insieme col...
  32. 10. Orazio (Odi, IV, 4): Ministrum fulminis alitem; e l’Ariosto (Orl. fur., VI, 18): Quello Celer ministro del fulmineo strale.
  33. 11. Aleggia, vola leggermente, ma è verbo improp. trattandosi di un’aquila.
  34. 2. Mostro, miracolo, come in latino.
  35. 4. Bevo, ascolto con profonda attenzione; anche il Parini:
    D’Eàcide la prole
    Bevea queste parole.
  36. 5-10. Intendasi: la tua immaginazione tanto veloce che, a paragone di essa par lento il mio fulmine, ha chiaramente compreso il valore che la tua opera poetica ha di fronte al passato, nel presente e al cospetto dell’avvenire... — L’È stato, l’È, ed il Fia, van considerati come tre sostantivi; nella satira L’antireligioneria:
    D’infamia quindi il meritato acquisto
    Ai recisori vien d’ogni pia Fede
    Che il Sarà nell’È stato non han visto.
  37. 1. L’organo, il mezzo.
  38. 2-3. Impera vili, bisogna sottintendere la congiunzione che.
  39. 4. E gli Spartachi e i Cesari, e la bassa plebe e i potenti.
  40. 5. Catoni, personaggi forniti di vera e soda virtú.
  41. 6-9. Se l’Italia non potrà essere rigenerata prima per opera di un grande Poeta, lo potrà forse fare l’infima plebe armata?
  42. 3. Intumidito, gonfio per la profezia ascoltata: Dante, dopo le parole di Oderisi sulla vanità della gloria umana, (Purg., XI, 118):
    Lo tuo ver dir m’incuora
    Buona umiltà e gran tumor m’appiani.
  43. 4-10. Intendasi: il po’ di senno che io mi ero tenuto in serbo perché facesse uscir fuori dal mio capo i fumi della vanità suscitati dalla profezia dell’aquila genera un tetro refrigerio, proprio della matura età, che converte in pianto ogni anteriore baldanza. Ma quel po’ di senno che il Poeta tiene in serbo per usarne al momento opportuno, e che è capace di spirare un refrigerio — refrigerio, si noti, tetro e canuto! — che bislacche immagini e che espressioni poco degne della poesia! — Gira, converte.
  44. 11-13. Ora vana esser tutte e instabil aura: Dante (Purg., XI, 100 e segg.):
    Non è il mondan romore altro che un fiato
    Di vento, ch’or vien quinci ed or vien quindi,
    E muta nome, perché muta lato.
  45. 13. Ignudo, privo.
  46. 4. Ben mie, proprio mie, con senso di legittimo orgoglio.
  47. 5-7. Anche qui ricorre alla mente l’espressione dantesca (Inf., XXIV, 49 e segg.):
    Sanza la qual [fama] chi sua vita consuma
    Cotal vestigio in terra di sé lascia
    Qual fummo in aer ed in acqua la spuma...
  48. 9. Il verbo traboccare, anche in prosa, è usato dall’A. transitivamente: «Amante io ed amico, riamato da entrambi i soggetti, traboccava da ogni parte gli affetti» (Aut., III, 6°).
  49. 11. Terra prava: Dante (Inf., XVI, 8 e segg.):
    «Sostati tu, che all’abito ne sembri
    Essere alcun di nostra terra prava».
  50. 13. Chi cantò i lai — altro che lai! — del Ciclope fu Omero nel 9° libro dell’Odissea.
  51. 1. Labile, fuggevole.
  52. 4. La piú tarda gente, gli ultimi nepoti, avrebbe detto il Leopardi.
  53. 5-6. Poiché la verità è per gli uomini di tutti i tempi sempre la stessa: fu opinione assai diffusa nel sec. xviii questa della invariabilità de’ sentimenti umani, ma altrettanto erronea, perché essi mutano e si rinnovano come tutto quello di cui sono il prodotto.
  54. 9. La Mirra, nonostante i suoi difetti, una, a parer mio, delle piú commoventi tragedie dell’A., fu scritta nel 1784 e dedicata alla Contessa d’Albany con questo sonetto, che riproduco perché manca a tutte le edizioni del Canzoniere alfieriano, mentre trovasi in un esemplare delle tragedie, che ha la data Italia, MDCCCIX:
    Vergognando talor, che ancor si taccia,
    Donna, per me, l’almo tuo nome in fronte
    Di queste omai già troppe, e a te ben conte
    Tragedie, ond’io di folle avrommi taccia;
    Or vo’ qual d’esse meno a te dispiaccia
    Di te fregiar: benché di tutte il fonte
    Tu sola fossi, e il viver mio non conte
    Se non dal dí, che al viver tuo si allaccia.
    Della figlia di Ciniro infelice
    L’orrendo a un tempo ed innocente amore
    Sempre da’ tuoi begli occhi il pianto elice.
    Prova emmi questa, che al mio dubbio core,
    Tacitamente imperiosa dice
    Che di Mirra consacri a te il dolore.

    Questa tragedia ebbe in tempi piú vicini a noi un’insuperabile interprete in Adelaide Ristori, che degli sforzi compiuti per giungere ad impadronirsi dell’intera anima di quel personaggio, lasciò ricordo nelle sue pagine autobiografiche (Ricordi e studi artistici, Torino, Roux, 1887); Elettra ha parte in due tragedie dell’A., nell’Agamennone e nell’Oreste (1776) e forse l’A. ha voluto riferirsi all’una e all’altra, ma non so che alcuna attrice siasi particolarmente segnalata in questa parte: Alceste è l’ultima tragedia composta dal nostro Poeta, dopo che ebbe letta e tradotta l’Alcestide euripidèa.

  55. 14. Endecasillabo veramente bello e pieno, che chiude questa serie di infelicissimi versi.