Scientia - Vol. IX/L'opera di Giovanni Schiaparelli
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L’OPERA DI GIOVANNI SCHIAPARELLI
I.
Fu un grande pensatore solitario, una mente robusta, vasta, avida di tutto sapere, governata da una volontà tenace, sempre vigile. Si può dire di lui che fu astronomo perchè volle esserlo: si può aggiungere che divenne tutto quello che essere volle.
Nacque1 da parenti biellesi addì 14 marzo del 1835 in Savigliano; ivi compì l’intero corso degli studî elementari e secondarî; nel 1850 passò alla Università di Torino, vi si iscrisse alla Facoltà matematica, e nell’agosto del 1854 ne uscì colla laurea di ingegnere idraulico e di architetto civile. Senza essere un prodigio, fu certo scolaro e studente eccezionale; sì a Savigliano che a Torino egli affermò l’ingegno suo forte e versatile; diede alto concetto di sè a professori e condiscepoli. A Savigliano fortuna volle che conoscesse il teologo Paolo Dovo, uomo di carattere aureo, e grande amatore di cose astronomiche, il quale dal campanile della sua chiesa di S. Maria della Pieve mostrò a lui giovinetto le costellazioni e le maggiori stelle, e lo iniziò ai misteri suggestivi del cielo. A Torino più e più si appassionò per l’Astronomia, e, conseguita la laurea, decise di dedicarsi all’insegnamento privato delle matematiche, per potere attendere contemporaneamente da sè allo studio delle lingue moderne e sopratutto della scienza sua prediletta. Lo studio tenace di questa durante i due anni seguiti al giorno di sua laurea, i saggi promettenti dati di un tale studio, la sua volontà incrollabile di autodidatta finirono per vincere ostacoli che parevano insuperabili, e gli ottennero dal Governo sardo un sussidio per compiere i suoi studî astronomici all’estero.
Fu il suo primo successo. Nel febbraio del 1857 si recò a Berlino, ove rimase due anni e più; nel giugno del 1859 si trasferì al grande osservatorio di Pulkova presso Pietroburgo.
A Berlino studiò astronomia sotto la direzione del celebre astronomo Encke, ma contemporaneamente seguì corsi svariatissimi universitarî obbedendo all’impulso della sete sua insaziabile di sapere, e all’ingegno suo largo e vigoroso che non voleva limiti di attività e di studî, attratto del pari e dai misteri della natura, e dalle più intricate questioni storiche e filologiche, e dal fascino dell’arte.
A Pulkova sotto la direzione di O. Struve e di F. Winnecke diedesi egli per intero allo studio dell’astronomia; ivi passò un anno osservando e calcolando finchè, nominato secondo astronomo all’Osservatorio di Brera in Milano, dove era allora direttore Francesco Carlini, tornò in patria nel luglio del 1860. Non doveva più muoversene. Già nel settembre del 1862, morto il Carlini, a lui veniva dal Governo affidata la direzione della specola di Brera, specola già celebre ma che egli doveva ulteriormente illustrare con le opere dell’ingegno suo, con la vita sua ispirata a virtù, a religione del dovere, vita di studio, di meditazione e di lavoro, feconda di scoperte memorabili.
II.
Mirabile fu l’attività spiegata dallo Schiaparelli negli anni dal 1860 al 1867, i primi che egli passò a Brera. È un periodo di tempo che per lui si inizia colla scoperta del piccolo pianeta Esperia, e chiudesi con una Memoria classica: «note e riflessioni sulla teoria astronomica delle stelle cadenti». È un periodo durante il quale egli seppe: iniziare la trasformazione dell’osservatorio di Brera, ottenendo dal Governo i mezzi necessarî ad acquistare un refrattore equatoriale di otto pollici d’apertura; scrivere una Memoria sopra la distanza delle stelle fìsse dei varî ordini di splendore; assistere in Berlino, quale altro dei delegati del Governo italiano, alla prima conferenza generale geodetica per la misura dei gradi nell’Europa media; pubblicare alcuni suoi studi dotti e geniali intorno alle opinioni e ricerche degli antichi sulle distanze e sulle grandezze dei corpi celesti nonchè intorno alle idee loro sulla estensione dell’universo visibile; prendere in Torino parte alla prima riunione della Commissione geodetica italiana, della quale fu uno dei fondatori e in seguito membro autorevolissimo, decoro e lustro; stampare due Note preziose sulla compensazione delle reti trigonometriche di grande estensione, e una Memoria ricca di idee originali sul modo di ricavare la vera espressione delle leggi della natura dalle curve empiriche; scrivere sul corso e sull’origine probabile delle stelle meteoriche al padre Secchi cinque lettere celebri divenute storiche, nelle quali per la prima volta si dimostra che un’intima e innegabile relazione esiste fra le stelle cadenti e le comete, che quelle sono il risultato della disgregazione e dissoluzione di queste; stampare una sua ricerca sull’influsso che la presenza e i movimenti dell’atmosfera terrestre possono avere sul fenomeno delle stelle cadenti.
Quale vita di scienziato offre un periodo altrettanto ricco di lavoro intellettuale, di pubblicazioni, di successi? In meno di sette anni il giovane studioso, reduce da Pulkova, già aveva preso posto fra i più benemeriti e dotti scienziati di Italia; egli era poco più che trentenne, e le sue speculazioni magistrali sulle stelle cadenti, premiate dalla Società italiana detta dei XL e dall’Accademia delle scienze dell’Istituto di Francia, ponevano lui fra gli astronomi più notevoli del tempo.
Non inorgoglì, non riposò sui colti allori lo Schiaparelli. Continuò anzi intorno alle cadenti le meditazioni sue; dettò sulla velocità delle meteore cosmiche nel loro movimento attraverso l’atmosfera terrestre, sulla forma delle radiazioni meteoriche, sulle relazioni fra le comete le stelle cadenti e i meteoriti Note preziose; riassunse gli studi suoi nel libro «Entwurf einer astronomischen Theorie der Sternschuuppen» che egli vergò in italiano e, nel 1871, stampò, tradotto da G. von Boguslawski, in lingua tedesca, Nè mai in seguito perdè di vista e le meteore, e le comete, e le correnti meteoriche. Stampò cataloghi diversi di stelle cadenti e delle radiazioni loro, scrisse sulla grande pioggia meteorica del 27 novembre 1872, sulle grandi pioggie meteoriche in generale e sulla loro relazione con le comete. Osservò quante comete e grandi e telescopiche apparvero fino al 1894 sull’orizzonte di Milano; scrisse preziose istruzioni per lo studio delle meteore luminose; ancora nel 1908 trattò delle orbite cometarie, delle correnti cosmiche, dei meteoriti in un dotto opuscolo nel quale, a grandi tratti e con forte sintesi, riassunse quanto sulle correnti stellari si è, dopo i lavori suoi sulle correnti meteoriche, scoperto e pubblicato.
III.
V’erano nello spirito dello Schiaparelli due tendenze ben distinte e sempre vive. L’una lo portava alla ricerca dei fatti astronomici e naturali i più complessi, l’altra a indagare nell’antichità le origini le più remote della scienza astronomica. Lavori astronomici e ricerche storiche astronomiche si intrecciarono di continuo nelle meditazioni sue; agli uni e alle altre egli seppe sempre contemporaneamente e con successo attendere.
Nei lavori astronomici era sorretto dal suo ingegno robusto di matematico, di geometra, di calcolatore, dalle sue sconfinate cognizioni nel campo delle matematiche pure ed applicate, della fisica e delle scienze naturali; nelle ricerche storiche dalla sua grande cultura letteraria e classica, dalla sua rara e per un astronomo eccezionale conoscenza delle lingue antiche, che a lui permettevano di risalire con critica sicura alle fonti del sapere umano. Mirabilmente complessa, vasta e equilibrata era la mente dello Schiaparelli, e questo spiega come egli, quando ancora durava la eco della sua prima geniale scoperta astronomica, pubblicasse nel 1873 e nel 1875 due Memorie classiche, tosto studiate e tradotte in lingua straniera, «I precursori di Copernico nell’antichità» ― «Le sfere omocentriche di Eudosso, di Callippo e di Aristotele».
Con geniale intuizione di geometra spiegava nella seconda di esse la teoria delle sfere omocentriche dell’antico astronomo Eudosso che non era stata mai da alcuno completamente intesa, e le idee sue ottennero tosto il consenso e il plauso degli studiosi.
Narrava nello studio su Copernico per quali difficili e recondite vie, negli aurei secoli della cultura greca antica, l’ingegno umano tentò di avvicinarsi alle cognizioni del vero sistema del mondo, e per quali ostacoli la potenza speculativa degli Elleni, dopo avere raggiunto il concetto fondamentale di Copernico, non ha potuto tramandare ai nipoti, invece di un monumento durevole, altro che una debole eco di sì ardito pensiero. E continuando, come era suo costume, a meditare e a far ricerche sull’importante argomento, riusciva più tardi, nel 1898, in altra Memoria intitolata «Origine del sistema planetario eliocentrico presso i Greci» a dimostrare, prendendo le mosse da Eraclide Pontico e da Aristarco Sarnio, che se i matematici greci, colle loro forme astratte di movimento per eccentrici ed epicicli intorno a punti ideali, non fossero intervenuti nella questione e l’avessero lasciata alla pura speculazione dei fisici, i Greci non avrebbero avuto da scegliere che fra l’ipotesi di Ticone e quella di Copernico, o, se si vuole, fra quella di Eraclide e quella di Aristarco, e sarebbero quindi pervenuti alla verità.
Appartengono queste sapienti elucubrazioni storiche ad un periodo di tempo nel quale lo Schiaparelli davasi a un intenso e fecondo lavoro di osservazioni e di calcoli nella specola da lui diretta, e nel periodo stesso trovò egli tempo e modo di pubblicare uno studio «Sui parapegmi o calendarii astro-meteorologici degli antichi, alcune «Annotazioni» da lui fatte all’astronomia di Albatenio, inserite nell’opera in tre volumi pubblicata appunto sull’astronomo arabo da C. Nallino, una geniale Nota «Rubra Canicula» nella quale con erudizione di letterato, di filologo e di astronomo, con rara genialità di pensiero e di forma esamina se sia proprio vero che la brillantissima stella Sirio, oggi del color bianco più puro, fosse al principio dell’era cristiana di color rosso intenso.
IV.
Siamo, come appena dissi, nel periodo della più intensa e feconda attività astronomica dello Schiaparelli, rivolta ad osservazioni ed a calcoli che abbracciano l’universo quant’è esteso, il sistema del Sole e il mondo stellare.
Appena entrato nella specola di Brera intraprese egli al Circolo meridiano alcune osservazioni di stelle fisse che, proseguite, furono dopo parecchi anni raccolte in un «Catalogo stellare». Intorno alle stelle fisse non solo osservò ma meditò egli a lungo, e frutto delle riflessioni sue sono due geniali Memorie che egli pubblicò «Sopra le distanze delle stelle fìsse dei varii ordini di splendore» e «Sulla distribuzione apparente delle stelle visibili ad occhio nudo».
Nel 1875, Schiaparelli cominciò le sue osservazioni di stelle doppie, che in seguito, finchè rimase a Brera, mai interruppe. Riuscì egli a fare ben undicimila misure micrometriche, che formano oggetto di due pubblicazioni importantissime, nelle quali egli si mostrò continuatore degno dei primi e rinomati scopritori e osservatori di stelle multiple, Guglielmo Herschel e Guglielmo Struve.
Sui pianeti Saturno e Urano fece osservazioni e scrisse negli anni 1882, 1883, 1884.
Negli anni 1882 e seguenti, intraprese lo studio del pianeta Mercurio, traendone l’inaspettata conclusione che per esso pianeta sono uguali i periodi della rotazione e della rivoluzione, così come per la Luna. Pubblicò questo risultato nel 1889; e l’anno seguente, discutendo le osservazioni anteriori e combinandole con le proprie, dimostrò che anche per il pianeta Venere ha luogo il fatto stesso: risultato che confermò più tardi nel 1895 con nuove osservazioni. Si trattava di risultati contrarii ad idee universalmente fino a lui accettate dagli astronomi; ma egli, osservatore e indagatore convinto, non esitò a renderli di pubblica ragione, dando nelle pubblicazioni relative prove di essere critico acuto delle osservazioni e delle indagini altrui, ma a un tempo critico severo e imparziale delle opere proprie. Sulla rotazione di Mercurio la più gran parte degli osservatori è oramai d’accordo con lo Schiaparelli; meno generale è il consenso delle menti sulla rotazione di Venere.
Nei mesi di settembre e di ottobre del 1877 intraprendeva Schiaparelli i primi suoi studi sul pianeta Marte, ed essi dovevano mostrare sotto luce nuova le risorse molteplici del suo ingegno, e dare a lui, per la novità loro e per l’indole accessibile in parte anche ai profani e al dilettantismo astronomico, una popolarità e una estensione di fama, che pochi scienziati prima di lui ebbero.
Il 5 maggio del 1878 egli presentava all’Accademia dei Lincei la sua prima Carta del pianeta Marte e la Memoria che l’accompagnava. Ottenne un successo grande e che andò via via allargandosi. Tutto in quella Memoria e in quella Mappa aerografica colpiva: il metodo perfetto dell’osservazione, la precisione delle misure pazienti, il disegno delineato con mano e intelletto di artista, la padronanza della letteratura classica antica, i nomi adottati e tratti dalla geografia primitiva orientale, uno strano e complicato sistema di canali che avvolgeva tutto il pianeta.
Eccitò questo primo lavoro su Marte dubbi e critiche, e forse, se lo Schiaparelli stato non fosse già un astronomo principe e temuto, le sue osservazioni su Marte sarebbero state soffocate in sul nascere da astronomi stranieri e da accademici. Non sfuggirono all’occhio suo indagatore le tergiversazioni degli avversari, ma egli non si lasciò trascinare a polemiche, e facendo da esse astrazione continuò impavido le sue osservazioni per anni e anni, le quali lo portarono a scoprire nel 1882 su Marte altro fenomeno strano che egli, con parola geniale, chiamò la «geminazione dei canali di Marte».
I fatti tutti osservati su Marte, specialmente i canali e la geminazione loro, sollevarono disquisizioni interminabili alle quali egli non si sottrasse e prese anche parte discreta, conservando però sempre e nella forma e nel pensiero quella misura che della mente sua era caratteristica invidiabile. Certo «vi hanno molte questioni più importanti che quella dei canali doppii di Marte, ma è difficile trovarne una più straordinaria, e della quale il segreto sia più lontano dalla nostra esperienza di ogni giorno e tuttavia più profondo». Certo ancora «il dubbio è lodevol cosa e fonte talora di mirabili scoperte nelle ricerche scientifiche, ma ammettere non si può su fatti veduti, riveduti e fedelmente riprodotti». E a questi egli portò viva attenzione in tutte le opposizioni di Marte fino a quella del 1800, ed essi illustrò in una serie di sette Memorie da lui presentate all’Accademia dei Lincei sotto il titolo di «Osservazioni astronomiche e fisiche sulla topografia del pianeta Marte»
Il pianeta Marte fu certo l’argomento nel quale lo Schiaparelli meglio potè dimostrare la genialità somma, le complesse e varie e mirabili attitudini di sua mente. Scrisse intorno ad esso lunghi articoli di indole popolare usciti in tedesco, in francese nelle più diffuse riviste astronomiche. Scambiò intorno ad esso lettere magistrali con gli astronomi contemporanei suoi, sempre affermando che più li studiava e più andava persuadendosi che sui fenomeni di Marte era a lui impossibile arrischiare una congettura qualunque. «Sono essi così complicati e bizzarri e mutevoli che rendono difficile, e per il momento impossibile, un tentativo di spiegazione razionale. Sulla Terra nulla abbiamo di simile: anche quella che potrebbe chiamarsi la parte metereologica di essi fenomeni non potrebbe essere paragonata alla nostra meteorologia terrestre. Nello stato attuale delle nostre cognizioni, o meglio della nostra ignoranza sulla natura fisica di Marte, le espressioni mare e continente non sono che mezzi di indicare in un modo chiaro, corretto e conciso gli spazî oscuri e gli spazî chiari della superficie del pianeta; una linea oscura, in questo sistema di denominazione, si dovrà chiamare uno stretto o un canale, ma, impiegando queste parole, bisognerà ricordar sempre che si tratta di parole semplicemente convenzionali».
Degli arcani fenomeni di Marte lo Schiaparelli sentiva però tutta la suggestività e poesia, e questa più volte espresse nella corrispondenza sua privata e talora con versi magnifici in lingua latina, lingua, della quale egli era come pochissimi padrone. Ad esempio inviando all’amico suo professor Tito Vignoli la sua Memoria terza su Marte scriveva sul retto e sul verso della prima pagina, dopo quella che porta il titolo, e sotto forma di dedica, alcuni versi che in parte descrivono la sua Mappa di Marte, che degni sono di essere pubblicati in un articolo destinato a dare della complessa compagine morale dello Schiaparelli un’idea chiara, e che grazie alla cortesia del Vignoli io posso qui trascrivere.
vino perillustri2
tito vignolio
amico maxime colendo
Navita Iasonius narrari desinat, et quae
Fabula Maeonii claruit arte senis;
Non hodie Cadmus non Trojae victor Atrides,
Non pius Aeneas carmine dignus erit.
Quid actis opus est implere poëmata fastis?
Vera mihi astrorum candida Musa canit.
Audi, quae Insubricis prod it miracula ab oris
Urania, Вatavo ludere docta vitro.
Aspice, quas mutat facies Mavortius aster,
Dum vice perpetua vertitur axe suo.10
Ecсе novos poteris visu discurrere mundos,
Nulli terrigenûm litora visa prius:
En sulcos duplices, rutilo quos duxit in orbe
Ignotus terris Daedalus arte nova.
Hic prope Thaumasiam protenditur Aurea Сherso,
Illic gemmifero clauditur ora sinu;
Nec minus Ausoniae longos mirabere tractus,
Caerula Thirrhenii quam subit linda maris.
Adsunt infausto signatae nomine Syrtes
Urget quas Titan ignipotens radiis,20
Et quae laetificat florentia litora Ganges,
Et Thule, algentis condita nocte poli.
Ecce Acheronta vides nigros devolvere fluctus,
Vatibus et clarum jam Simoenta vides;
Flumina non lactis desunt, Fontesque Iuventae,
Divitat et campus mellibus Hybla suos.
Non tanta erravit regione agitatila Ulyxes,
Nec tenuit tantani natus Olympiadis;
Non Dionysiacos ululavit tanta triumphos,
Nec pressit tantam Martia Roma jugo,30
Quanta tibi tenui hoc prostat signata libello,
Spectatum quanta in nostra tabella dabit.
Quique laves studiis, Tu Vir clarissime, nostris
Gratum habeas parvum munus amicitiae;
Quae sermone Deûm excelso revelata fuerunt
Ne velis incultis spernere dieta notis.
Sic possis longos vitam perducere in annos,
Adsit et incoeptis grata Minerva tuis.
At mihi non desit caelestis gratia Musae,
Nec cesset votis esse benigna meis:40
Mysteria ignoti pateant pulcherrima mundi,
Carmine quae sacro concelebrare queam.
Tum, quae nunc rudibus studeo describere chartis,
Auratis tradam Calliopes fidibus;
Non me verbor m ars, faciet res maxima vatem
Celsaque Pieridum scaridere tempia dabit.
Vini tenui ingenio spirabit gloria Olympi;
Dumque lyra audaci sidera magna canam,
Pindarus Aonia mecum si judice certet,
Pindarus Aonia judice victus erit.50
Achilles Parius3
V.
Nel 1900 lo Schiaparelli volle, malgrado le opposizioni e le insistenti preghiere fattegli, abbandonare la direzione della specola di Brera, un pò per ragione della sua salute cagionevole, molto, credo io, per darsi finalmente alle intime gioie intellettuali del lavoratore indipendente e solitario. Ritiratosi a vita privata dedicossi egli infatti senza indugio alle sue predilette ricerche intorno alle origini dell’Astronomia, e ad esse meglio si preparò cominciando a studiare a fondo la lingua degli Ebrei e la scrittura degli Assiri e dei Babilonesi.
In pochi anni riuscì a poter leggere la Bibbia nel testo ebraico, e a pubblicare, già nel 1903, prima un dotto articolo intitolato «Interpretazione astronomica di due passi del libro di Giobbe», poi il suo libro «Sull’astronomia nell’antico Testamento». Rivelano dette pubblicazioni quanto a lui fosse famigliare la vasta letteratura avente a protagonista il popolo Ebreo; espongono esse con ordine quanto gli Ebrei sapevano in fatto di astronomia, e quali applicazioni delle cognizioni astronomiche loro fatte avevano alla cronologia e alle pratiche religiose. Non era possibile trarre dalla sacra scrittura risultati paragonabili per importanza a quelli che egli dedotto aveva dalla letteratura astronomica dei Greci, ed egli stesso trova la ragione in ciò che al popolo Ebreo non toccò in sorte la gloria di creare i principî delle scienze, e nemmeno quella di levare ad alto grado l’esercizio delle belle arti, l’una e l’altra, delle quali cose fu grande e imperitura lode del popolo Greco. Pure il libro dello Schiaparelli sull’astronomia nella Bibbia segna un progresso notevole delle cognizioni nostre sul difficile argomento, sicchè ebbe tosto l’onore di due traduzioni, una in tedesco l’altra in inglese.
Mai stanco e mosso sempre dalla sua sete insaziabile di sapere, passò lo Schiaparelli, con spontanea evoluzione della mente, dallo studio del popolo eletto a quello dei Babilonesi, dei quali, grazie alle moderne scoperte archeologiche fatte sui documenti tratti dalle rovine di Ninive e di Babilonia e dai vecchi templi della bassa Caldea, conosceva l’alto grado di civiltà raggiunto e l’importanza delle cognizioni astronomiche. Scrisse egli dapprima sulle osservazioni di Venere e delle opposizioni di Marte fatte dai Babilonesi, descrisse in seguito le varie fasi per le quali è passata l’astronomia babilonese, fece di questa un quadro di massimo interesse in due Memorie preziose pubblicate in questa rivista “Scientia„ e intitolate l’una «Sui primordi dell’Astronomia presso i Babilonesi» l’altra «Sui progressi dell’Astronomia presso i Babilonesi».4
Sono questi gli ultimi due lavori storici pubblicati dallo Schiaparelli, ma essi non segnano gli ultimi confini degli studî suoi sull’astronomia presso gli antichi. Non ignorava egli le importanti ricerche fatte a partire dalla metà del secolo XIX sulla letteratura e sulle antichità degli Indiani; conosceva i libri sanscriti di astronomia venuti fuori dalle tenebre loro secolari e pubblicati da Thibaut; ben sapeva che i documenti relativi all’Astronomia indiana possono oggi presentarsi secondo un ordine istorico sicuro nelle sue linee principali. E neppure all’India si arrestavano le cognizioni storico-astronomiche sue, poichè gii studî suoi aveva estesi all’Astronomia di tutti i popoli di più antica civiltà, compresi i Cinesi, e per essi appunto era portato ad affermare con scienza e coscienza «non esservi capitolo dell’Astronomia antica nel quale le innovazioni portate dai nuovi studi non abbiano introdotto cambiamenti radicali, e il quale non debba per conseguenza essere o parzialmente o anche interamente rinnovato». E intorno a una nuova storia dell’Astronomia antica stava egli lavorando quando morte l’incolse.5
VI.
Vasta era la mente dello Schiaparelli, nè io saprei senza temerarietà segnarne con linea sicura i giusti confini. Non solo all’Astronomia, presa nel suo significato più largo, ma ad altri e diversi campi dello scibile seppe egli rivolgere con efficacia di risultati la sua intelligenza sovrana.
Sulla probabilità delle orbite iperboliche, sul principio della media aritmetica, sulle maree prodotte in un pianeta o in un satellite dall’azione del suo corpo centrale, scrisse egli, e in una sua pubblicazione giovanile «Sulla trasformazione geometrica delle figure e in particolare sulla trasformazione iperbolica», studiò egli le proprietà aritmetiche delle trasformazioni geometriche, divinando per tal modo con geniale intuito come si potesse studiare geometricamente la teoria dei numeri.
Nel 1898 diede alle stampe una pubblicazione profonda e originale, la quale rivelò e la potenza del suo ingegno di matematico e le sue vaste e precise cognizioni intorno alle scienze naturali. In questo suo «Studio comparativo fra le forme organiche naturali e le forme geometriche pure» si tenta di indagare per la prima volta se nei semplici, chiari e rigorosi principî, che presiedono alla classificazione delle forme geometriche pure, si può trovare luce per rischiarare l’oscuro e difficile problema della classificazione dei regni organici, e lo studio delle relazioni di carattere che collegano e distinguono ad un tempo le infinite varietà degli esseri viventi. Lo Schiaparelli invocò sulla ricerca fatta il verdetto dei naturalisti, ma questo, che io sappia, peranco non venne, nè v’è a meravigliarsene. Trattasi più che altro di un audace e magnifico tentativo d’uomo di genio; forse esso è prematuro; forse i fatti considerati, per la loro stupefacente complessità, non possono ancora esprimersi con il linguaggio e con le formole della matematica odierna, ma certo le pagine scritte dallo Schiaparelli, frutto di lunga meditazione, esercitano sul lettore, per la forma stessa, un fascino irresistibile, e pongono come scrittore lo Schiaparelli fra i classici italiani.
Al problema delle variazioni delle latitudini terrestri, che verso la fine del secolo scorso tanto occupò astronomi e geodeti, molto pensò lo Schiaparelli, e ne fanno fede un suo discorso letto nel 1882 al Congresso degli alpinisti italiani in Biella, e la sua ricerca ben nota agli studiosi «De la rotation de la Terre sous l’influence des actions géologiques» (St. Pétersbourg, 1889).
All’opera dello Schiaparelli come geodeta già accennai più sopra. Notevoli sono ancora le lezioni da lui date nel R. Istituto tecnico superiore di Milano «Sulla determinazione della posizione geografica dei luoghi per mezzo di osservazioni astronomiche»; le sue pubblicazioni «Intorno al rapporto del Klafter normale di Vienna col metro legale di Francia» ― «Intorno alla vera lunghezza della base del Ticino misurata nel 1788 sotto la direzione di B. Oriani» ― «Intorno alle operazioni fatte per determinare la differenza di longitudine dell’osservatorio di Brera coll’osservatorio di Neuchàtel e colla stazione trigonometrica del Sempione». Notevolissimo è il suo discorso «Sulle anomalie della gravità» letto in Milano nel 1896; notevolissime non meno sono le «Comunicazioni» sue diverse sparse nei processi verbali delle riunioni della Commissione geodetica italiana, alcune «Relazioni» presentate all’Associazione geodetica internazionale.
Della Meteorologia e del Magnetismo terrestre lo Schiaparelli si occupò più che altro per debito d’ufficio, ma pur sempre con successo vero.
Magistrali sono le Memorie sue «Sulle variazioni periodiche del barometro nel clima di Milano» ― «Sul clima di Vigevano» ― «Sulle variazioni periodiche della tensione del vapore acqueo atmosferico e dell’umidità relativa nel clima di Milano» ― «Sui temporali dell’Italia superiore e sulla loro dipendenza dai movimenti dell’atmosfera nell’Europa occidentale» ― «Sul periodo undecennale delle variazioni diurne del magnetismo terrestre considerato in relazione con la frequenza delle macchie solari.» ― «Sull’influenza della Luna sulle vicende atmosferiche».
Modelli per forma sono alcune descrizioni di «Aurore boreali osservate a Milano», modelli per forma e per contenuto sono le pubblicazioni «Sulle variazioni dell’eccentricità del grande orbe e i climi terrestri nelle epoche geologiche» ― «Sopra una possìbile connessione fra le eclissi totali del Sole e le variazioni del magnetismo terrestre» ― «Sul passaggio delle onde atmosferiche prodotte dall’eruzione del vulcano Krakatoa nello stretto della Sonda»; mirabili sono l’articolo «Topografia e clima di Milano» nell’opera «Mediolanum» (1881), il rapporto accademico fatto al R. Istituto lombardo di scienze e lettere sul libro di L. De Marchi intitolato «Studio sui climi terrestri durante l’epoca glaciale e quaternaria e sulle cause che hanno contribuito a modificarle».
Sarebbe facile e anche attraente continuare questa numerazione e andar anzi spigolando pensieri e giudizî dello Schiaparelli qua e là negli scritti suoi varî e minori. Vastissimo è il campo al quale questi si estendono; abbracciano, oltreché l’astronomia e la storia delle scienze, la matematica, la fisica, le scienze naturali, le letterarie. Sono commenti alla Divina Commedia, alle opere di Galileo; recensioni di opere scientifiche o storiche notevoli; contributi alla storia delle scienze; relazioni tecnico-astronomiche; rapporti accademici; commemorazioni e necrologie; articoli scientifico-popolari numerosi. In essi sempre più si afferma il carattere della mente sua robusta e colta; si esplica tutta la sua genialità di pensatore e di scrittore, tutta l’affascinante sua cultura letteraria e scientifica, la distintissima attitudine sua a volgarizzare magistralmente le scienze. Vi sono pagine che si leggeranno sempre volontieri e che inducono a porre lo Schiaparelli, come scrittore e letterato, a fianco di Galileo.
Nel 1900, compiendosi i quarant’anni della luminosa carriera astronomica dello Schiaparelli, gli astronomi di tutta Italia pubblicarono quale omaggio, che egli molto gradì, una cronistoria minuta della sua vita scientifica, e una diligente bibliografia completa de’ suoi scritti fino a tutto il 30 giugno 1900.6 Nei Rendiconti della R. Accademia dei Lincei (vol. XIX, serie 5ª, fasc. 10°, 1910) io, continuando l’enumerazione del ricordato omaggio, completai l’elenco di detti scritti e lo portai fino alla data della morte.
Sommano per tal modo a 250 le pubblicazioni elencate dello Schiaparelli, senza contare le pagine sparse, e le lettere della sua corrispondenza scientifica, le quali sono molte, 4000 e più le scambiate dal 1803 al 1900. Tutto questo lavoro immenso ben può dirsi il piedestallo più del bronzo robusto che egli con mano diligente, assidua, instancabile pose alla sua fama grande e, senza ombra di esagerazione da parte mia, imperitura.
Per esso quarantotto Accademie, italiane e straniere, fra le più celebri, lo acclamarono a loro socio; la Società italiana dei XL gli assegnò nel 1868 una medaglia d’oro; la Reale Società astronomica di Londra altra medaglia d’oro gli conferì nel 1872; ebbe nel 1876 dall’Imperiale Accademia Tedesca Leopoldina Carolina dei Naturalisti la medaglia d’oro Cothenius; due volte, nel 1868 e nel 1890, l’Accademia delle scienze dell’Istituto di Francia gli decretò il premio Lalande; di dodici ordini cavallereschi, italiani e stranieri, otteneva le insegne.
Ma nè i successi, nè la grande fama, nò i molti e mai ambiti onori valsero a cambiare l’uomo. L’astronomo divenne celebre; lo scienziato illustre; l’uomo rimase immutato, sempre uguale a sè medesimo. Entusiasta del sapere, leggitore appassionato ed instancabile, pieno di fede nella scienza e nell’avvenire di essa, nemico implacabile dell’ozio, degli accidiosi, della teatralità, della posa, di tutto che del vero avesse solo l’apparenza. Nobilmente onesto, nella sua vita disinteressata e pura, tutto chiese al suo forte ingegno e al suo lavoro, nulla mai alla fortuna o al favore altrui. Diligente fino allo scrupolo, poco tempo potè dare a ricevimenti e conversazioni, ma attese ognora regolarmente alla sua corrispondenza vasta. Lavoratore solitario, a primo incontro riservato, quasi diffidente e freddo, volontieri chiudevasi in un silenzio punto incoraggiante e pieno di riserbo, ma se opportunità o necessità lo richiedevano, oppure se interrogato su questione determinata, prendeva a parlare con grande naturalezza e a lungo, e le sue parole pratiche, sapienti, ricche del più puro idealismo scientifico, raro era che non gettassero vivi e sorprendenti sprazzi di luce sull’argomento al quale si riferivano. In quegli istanti appariva egli più grande di quello che per fama lo si credesse, nè io conobbi uomo che avvicinato più di lui grandeggiasse.
Nell’intimità ebbe modi semplici e spontanei, carattere rigido, impetuoso, a scatti collerico, ma buono. Tutti di sua famiglia, senza distinzione, più che amarlo, l’idolatravano per la sua sostanziosa, e sempre fresca e benefica bontà. Raramente parlava di sè, e il suo discorso era per sistema obbiettivo ed impersonale. Nello scrivere, purchè il volesse, sapeva toccare maestrevolmente la corda del sentimento.
Era piccolo di statura, piuttosto tarchiato, e coll’andare degli anni leggermente incurvò, sicchè alcuni si compiacquero chiamarlo il curvo e accigliato astronomo di Brera. L’occhio suo era fortemente miope, e ad esso forse dovevasi il suo andare per le vie, il suo presentarsi nei pubblici ritrovi, sempre circospetto e in apparenza diffidente. Invecchiando la fisionomia sua prese a rispecchiare meglio e sempre più l’alta intelligenza e l’abituale nobiltà del pensiero. I suoi ultimi ritratti colpiscono più che quelli della sua virilità. Vorrei essere pittore, e riproducendolo quale egli oggi mi riappare e quale era negli ultimi suoi anni sarei certo di tramandare ai posteri una delle più nobili figure di vecchio e di scienziato che mai siano esistite.
- Milano, R.° Osservatorio astronomico di Brera.
G. Celoria
Note
- ↑ «Archivio del R. Osservatorio astronomico di Brera di Milano», Marzo, 1896.
- ↑ Al Chiarissimo Signore, il Prof. Tito Vignoli, Amico da tenersi nel maggior conto.
Cessino d’esser celebrati il navigatore Giasone e quella favole, che divennero illustri per l’arte del Meonio vegliardo.
Non più oggi Cadmo, non più l’Atride vincitore di Troia, non il pio Enea sarà meritevole di poema.
A che pro riempire le carte di glorie immaginarie? A me sincera Musa canta la scienza degli astri.
Odi quali maraviglie dalle insubri terre esprime Urania, esperta nel trattare le batave lenti.
Osserva quanti aspetti assume la stella di Marte, mentre con perpetua vicenda sopra il suo asse si gira.
Ecco: ben potrai scorrere con l’occhio attraverso nuovi mondi, plaghe prima d’ora non viste da alcuno de’ mortali;
oh! i doppi canali, che nel fiammeggiante spazio con nuova arte tracciò un Dedalo sconosciuto!
Qui, presso la Taumasia, si stende l’aurea Chersoneso, di lì la regione è circoscritta dal gemmifero golfo:
nè ammirerai meno il lungo percorso d’Ausonia, cui bagna la cernia onda del mare Tirreno.
Seguono le Sirti, designate con nome che suona sventura, e l’ardente Titano le dardeggia della sua luce:
e i lidi fiorenti, che rende lieti il Gange, e Tule confinata nella notte del gelido polo.
Ecco, tu vedi Acheronte volgere i nevi flutti, vedi anche il Simoenta, già ben noto ai poeti.
Non vi mancano i Fiumi di latte, e le Fonti della Giovinezza, e l’Ibla vi arricchisce di miele i suoi campi.
Non per sì vasta regione peregrinò il travagliato Ulisse, non sì vasta regnò il figlio d’Olimpiade;
non sì vasta echeggiò al grido de’ trionfi di Dioniso, nè sì vasta soggiogarono i Romani generati da Marte,
quanta a te davanti si spiega descritta in questo libercolo, quanta ti farà vedere il mio disegno.
E tu, o nobilissimo Uomo, che indulgi ai miei studî, abbi grato il piccolo dono dell’amicizia:
non voler disprezzare, dette in semplice linguaggio, le verità che furono rivelate dalla parola degli Dei.
Così tu possa trarre per lunghi anni la vita e riconoscente Minerva ti assista ne’ tuoi lavori.
A me frattanto non venga meno il favor della Musa celeste, nè ella desista dall’esser benigna a’ miei voti;
si rendano manifesti i mirabili misteri del mondo ignorato e possa io celebrarli con sacro carme.
Allora, quel che oggi tento di riprodurre in umili prose, affiderò all’aurea lira di Calliope:
non me farà poeta l’arte del dire, ma l’altissima materia, che mi consentirà di salire all’eccelso tempio delle Pieridi.
La gloria d’Olimpo inspirerà forza al modesto ingegno e, mentre su le audaci corde canterò gli astri superbi,
Se Pindaro meco gareggerà, giudice l’Aonia. Pindaro, giudice l’Aonia. sarà dichiarato vinto.(Traduz. di A. Avancini ― Milano).
- ↑ Achille Parius, è anagramma di Schiaparellius.
- ↑ «Scientia ― Rivista di Scienza», Vol. III, N. V-1 e N. VI-2.
- ↑ Rendiconti della R. Accademia dei Lineei, Vol. XIX, Serie 5.a fasc. 10.°
- ↑ Milano, Menotti, Bassani e C.
- Testi in cui è citato Giovanni Virginio Schiaparelli
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- Testi in cui è citato Francesco Carlini
- Testi in cui è citato Aristotele
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- Testi in cui è citato Eraclide Pontico
- Testi in cui è citato Aristarco di Samo
- Testi in cui è citato Carlo Alfonso Nallino
- Testi in cui è citato il testo Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XII. - Rubra Canicula. Considerazioni sulla mutazione di colore che si dice avvenuta in Sirio
- Testi in cui è citato William Herschel
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